In Cina esplode la rabbia contro la politica zero Covid. Su Twitter il governo tenta la censura

Durante lo scorso fine settimana, in svariate città della Cina sono andate in scena una serie di proteste contro le restrizioni Covid, causando un’ondata a livello nazionale che non si vedeva dai moti pro-democrazia del 1989. A catalizzare la rabbia pubblica un incendio mortale (10 vittime) a Urumqi, la capitale della regione dello Xinjiang, dopo che molti hanno accusato le restrizioni sanitarie di aver reso impossibili le operazioni di soccorso.

Fonte: Wired Italia

È il culmine dell’insoddisfazione pubblica in costante crescita negli ultimi mesi nel Paese asiatico, uno degli ultimi al mondo ad applicare una rigida politica “zero covid”, che implica confinamenti continui e test molecolari quasi quotidiani della popolazione. Ma le manifestazioni di questo fine settimana hanno anche fatto emergere domande di maggiori libertà politiche, addirittura di dimissioni del presidente Xi Jinping, appena riconfermato alla testa del paese per un terzo mandato.

Slogan di protesta in tutta la Cina

Dopo l’incendio, la protesta scoppia prima sui social poi nelle strade: il 27 novembre una folla di manifestanti, rispondendo ad appelli sui social network, aveva espresso la sua rabbia principalmente a Pechino e Shanghai, prendendo alla sprovvista le forze dell’ordine. Tra gli slogan gridati all’unisono: “Basta test covid, abbiamo fame!”, “Xi Jinping, dimettiti! Pcc (Partito comunista cinese), fatti da parte!”, “No ai confinamenti, vogliamo la libertà”. Lo stesso giorno si sono svolte diverse manifestazioni a Wuhan (dove quasi tre anni fa è stato confermato il primo caso al mondo di Covid-19), a Canton, a Chengdu e a Hong Kong. Nella città meridionale di Hangzhou, due giorni fa le autorità hanno arrestato diverse persone bloccando un raduno sul nascere.

Fonte: Ansa

Nei giorni scorsi sono stati fermati anche alcuni giornalisti: domenica un cronista della Reuters, trattenuto per breve tempo prima di essere rilasciato, quindi Ed Lawrence, della Bbc. Un fatto “scioccante e inaccettabile” ha sottolineato il premier britannico Rishi Sunak. Per questa vicenda, ieri l’ambasciatore cinese a Londra è stato convocato dal Foreign Office. Nel frattempo, le proteste si sono estese anche davanti alle ambasciate cinesi di Londra, Parigi e Tokyo, oltre che alle università negli Stati Uniti e in Europa.

Il rigido controllo delle autorità cinesi sull’informazione e le restrizioni sanitarie sui viaggi all’interno del paese complicano la verifica del numero totale di manifestanti. Ma una sollevazione così estesa è rarissima in Cina, tenendo conto della repressione attiva contro tutte le forme di opposizione al governo: ciò fa credere che la mobilitazione è stata probabilmente la più grande dai disordini pro-democrazia del 1989. Tuttavia, “ci sono alcune differenze” tra le proteste in Cina di questi giorni e i fatti di Tiananmen del giugno 1989, quando le Forze di sicurezza cinesi hanno massacrato migliaia di studenti e cittadini che dall’iconica piazza della capitale chiedevano libertà e democrazia nel Paese. È il commento ad AsiaNews di Wei Jingshou, il “padre della democrazia” del colosso asiatico, attualmente in esilio negli Stati Uniti.

La rivolta dei fogli bianchi

La pagina bianca è diventata un elemento iconico del movimento di protesta, che molti ora chiamano «protesta del foglio bianco» o «protesta A4». Durante le varie manifestazioni, infatti, sono state viste parecchie persone esibire in mano un foglio di carta bianco, simbolo di tutte le cose che in Cina non si possono dire.

In un video virale – risalente a sabato, secondo quanto riferito – un uomo non identificato ha portato via uno di quei fogli di carta dopo che una donna dell’Università di Nanchino lo aveva sollevato. In un altro video di quella notte, dozzine di altri studenti sono state viste nel campus con in mano pezzi di carta bianca, in piedi in silenzio. Scene simili si sono verificate anche in altre grandi città durante il fine settimana.

Basta zero Covid

Il sito della Bbc riporta un prospetto delle conseguenze nefaste che la politica zero Covid portata avanti dal governo cinese ha comportato nell’ultimo anno. Oltre all’incendio di Urumqi sopra menzionato, all’inizio di questo mese, una famiglia di Zhengzhou ha detto che il loro bambino è morto dopo che un’ambulanza è stata ritardata a causa delle restrizioni di Covid. Lo scorso settembre, ai residenti di Chengdu è stato impedito di lasciare le loro case durante un terremoto di magnitudo 6,6 che ha ucciso 65 persone. A ottobre, un padre ha riferito che la figlia di 14 anni ha sviluppato la febbre durante la quarantena nella provincia di Henan ed è morta dopo non aver ricevuto cure adeguate in un centro di quarantena. Durante il lockdown di Shanghai ad aprile, le persone si sono lamentate della mancanza di cibo e delle difficili condizioni in cui versano gli anziani, portati con la forza nei centri di quarantena.

“Le persone hanno raggiunto un punto di saturazione dato che non ci sono direzioni chiare sulla via per porre fine alla politica zero covid”, spiega all’Afp Alfred Wu Muluan, esperto di politica cinese all’Università nazionale di Singapore. “Il partito ha sottovalutato la rabbia della popolazione”, aggiunge.

In foto Mi Feng, portavoce e vice direttore del Dipartimento della comunicazione della Commissione sanitaria nazionale cinese. Fonte: italian.cri.cn

Il portavoce della Commissione sanitaria nazionale Mi Feng ha affermato che i governi dovrebbero “rispondere e risolvere le ragionevoli richieste delle masse” in modo tempestivo. Alla domanda se il governo centrale stia riconsiderando le sue politiche anti-Covid, Mi ha replicato che le autorità “hanno studiato e adattato le misure di contenimento della pandemia per proteggere al massimo l’interesse delle persone e limitare il più possibile l’impatto sulle persone stesse“.
Ma nonostante la replica evasiva di Mi Feng, all’inizio del mese la Cina ha annunciato 20 misure intese a semplificare i controlli sanitari e di prevenzione del Covid-19 e a correggere le “misure politiche eccessive” intraprese dalle autorità locali, sotto le costanti pressioni di Pechino per tenere sotto controllo il numero di casi di infezione nei propri territori.

Una valanga di spam come censura

Le proteste degli ultimi giorni – apertamente antigovernative e schierate contro il presidente Xi Jinping – sono molto insolite in Cina, dove il dissenso viene sistematicamente soppresso. Ed è per questo che, oltre a utilizzare gli agenti per stroncare sul nascere ulteriori manifestazioni, dal 28 novembre la censura delle autorità cinesi lavora per cancellare ogni traccia dell’ondata di proteste dei giorni precedenti: decine di milioni di post sui social sono stati filtrati, mentre lo Stanford Internet Observatory ha notato un aumento di “tweet spam” che mostrano contenuti porno, annunci di escort e giochi d’azzardo e che stanno oscurando la protesta dei cinesi. Secondo l’Osservatorio, oltre il 95% dei tweet contenenti il termine di ricerca “Pechino” provengono da account spam che diffondono questo tipo di informazioni.

Non a caso Twitter è balzata improvvisamente tra le app più scaricate in Cina: in seguito alla censura del governo, molti cittadini hanno usato le Vpn per accedere ai servizi Internet e ai social media come Twitter e Telegram per organizzare le proteste. Ma l’elevato volume di spam rende più difficile trovare informazioni legittime e utili sulle proteste e ha anche un impatto sugli utenti al di fuori della Cina che stanno cercando di ottenere informazioni sul campo riguardo gli eventi. Anche i media hanno sostituito le notizie sul Covid con articoli sui Mondiali e sui risultati delle missioni spaziali della Cina.

https://twitter.com/WallStreetSilv/status/1597862999812734976

Per non parlare dei social network cinesi, dove tutte le informazioni riguardanti le manifestazioni del fine settimana sembrano già essere sparite.
Ad esempio, sulla piattaforma Weibo (una sorta di Twitter cinese) le ricerche “fiume Liangma” e “via Urumqi”, due dei luoghi di protesta del giorno precedente, non davano alcun risultato legato alla mobilitazione. Persino i video che mostravano gli studenti cantare e manifestare in altre città sono scomparsi dalla piattaforma WeChat: sono stati rimpiazzati da messaggi che avvertivano che il post era stata segnalato come contenuto sensibile contrario al regolamento.

A coronare il tutto, la pubblicazione di un articolo sul Quotidiano del popolo – il più diffuso e autorevole giornale della Cina – che mette in guardia contro la “paralisi” e la “stanchezza” di fronte alla politica zero covid, senza tuttavia accennarne un termine. D’altronde, come George Orwell insegna, la parola ha un enorme potere nella delimitazione dei confini del pensiero delle masse.

Gaia Cautela

Cina: i fallimenti della strategia “zero Covid”, città in lockdown e qualità della vita in calo

L’aumento dei contagi da 130mila a oltre un milione in soli due mesi non ferma la Cina dal portare avanti la strategia “zero Covid”. Con questa il paese spera di diminuire, se non azzerare, i casi da Covid-19. La variante Omicron si è però rivelata in grado di superare i rigidi lockdown e le altre misure restrittive attuate, come dimostra il caso di Shangai.

Cosa comportano i lockdown?

La Cina conta attualmente 46 città in lockdown totale o parziale nel tentativo di combattere la variante Omicron, che risulta essere più contagiosa, ma meno aggressiva. Sembra che negli ultimi giorni i contagi siano in calo, ma le misure restrittive si sono rivelate dannose per le condizioni economiche del paese, e soprattutto hanno provocato enormi disagi alla popolazione, la quale continua ad avere una qualità della vita sempre peggiore. Le persone sono costrette a stare in casa con misure quasi detentive, i beni di prima necessità e non hanno prezzi triplicati andando comunque a ruba nei supermercati e i porti in cui avvengono le esportazioni si trovano in difficoltà.

Chi subisce un trattamento peggiore sono sicuramente coloro che risultano positivi agli screening di massa effettuati ogni giorno: trascinati a forza in ambienti appositi molto affollati, i positivi sono costretti a vivere per giorni in scarse condizioni igieniche e ambienti rumorosi.

                                             Strade quasi deserte (fonte: china-files.com)

 

Le misure restrittive di Pechino

La capitale teme di divenire la “nuova Shangai”. Per evitarlo sta attuando delle strette su metro e bus, chiudendo più di 40 stazioni della metropolitana e 158 linee di autobus, la maggior parte delle quali facenti parte del distretto di Chaoyang, l’epicentro del focolaio. I ristoranti si limitano all’asporto, le scuole non riapriranno prima dell’11 maggio, chiudono centri commerciali e hotel mentre musei e parchi hanno una capienza limitata al 50%. Per accedere alla maggioranza dei luoghi pubblici è richiesto un tampone con esito negativo. Intanto viene riaperto l’ospedale di Xiaotangshan nel caso in cui ci dovesse essere un aumento dei casi. Notizie positive, invece, per quanto riguarda la quarantena che deve rispettare chi viene dall’estero: non si tratta più di 14 giorni, ma di 10, seguiti da un’altra settimana di auto-monitoraggio a casa. 

                                       Stazioni chiuse a Pechino (fonte: rainews.it)

Perchè la Cina si ritrova ad affrontare questa situazione?

La Cina ha utilizzato una politica sanitaria repressiva sin dal primo lockdown a Wuhan, attuato circa due mesi dopo il primo contagio. La stessa politica era stata presa ad esempio da altri paesi nel mondo, come l’Italia. Inizialmente, non avendo conoscenza di cosa stesse accadendo, le misure restrittive rappresentate dai lockdown sembravano la via migliore da percorrere. Lo sbaglio della Cina è stato però quello di non aver mai cambiato la sua strategia:

“se un virus pandemico dilaga, l’unica cosa che si può attuare, tecnicamente, è una politica di mitigazione.”

Queste le parole del dott. Lopalco, epidemiologo e professore di Igiene alla Facoltà di Medicina dell’Università del Salento. Bisogna dunque cercare di tenere basso il numero dei contagi e raggiungere una sorta di equilibrio con il virus, fino ad arrivare ad un’immunità di gregge. Si dimostra sbagliato il lockdown forzato che comporta la limitazione di molti diritti, soprattutto con l’arrivo di Omicron che è stata in grado di superare anche queste barriere. 

La scelta del vaccino non ha certamente aiutato: alla maggior parte della popolazione sono stati somministrati i vaccini sviluppati dalle aziende Sinvac e Sinopharm, contenenti una versione inattivata del primo ceppo di Sars-Co-2 isolato a Wuhan. Questi farmaci non hanno la stessa qualità di Pfizer e Moderna in termini di efficacia e il rischio di complicazioni in caso di contagio rimane alto. 

A tutto ciò si aggiunge la scarsa adesione della popolazione alla dose di richiamo: solo il 20% degli anziani l’ha ricevuta. In assenza di un’immunità che un vaccino efficace avrebbe dovuto portare e a fronte di misure contenitive pressoché sbagliate, la Cina si ritrova ad affrontare un virus che circola come ad inizio pandemia.

Eleonora Bonarrigo

 

Shanghai, 25 milioni di persone tornano in lockdown. Il malcontento degli abitanti

Dopo due anni di pandemia e l’arrivo dei primi, seppur flebili, bagliori di speranza sull’essere prossimi al lasciarsi alle spalle uno dei più tristi e scombussolanti capitoli della storia moderna, tornare a parlare di lockdown è difficile. A fine marzo, il governo di Pechino ha reputato necessario tornare ad attuare tale misura nella città di Shanghai, in seguito a un esponenziale aumento dei contagi dalla variante Omicron.

25 milioni di persone in lockdown (fonte: ilmattino.it)

 

Il lockdown è entrato in vigore il 28 marzo. Era stato pensato per essere articolato in due diverse fasi: dal 28 marzo all’1 aprile per i distretti ad est del fiume che attraversa la città (il fiume Huangpu); dall’1 al 5 aprile per i distretti ad ovest. Tale predisposizione, secondo la previsione iniziale, avrebbe dovuto permettere di tenere sotto controllo la nuova ondata di contagi, evitando la totale paralisi della città.

Invece, oggi, in quello che è uno dei più importanti hub commerciali e finanziari della Cina si sta attuando, di fatto, la più grande chiusura dai tempi di Wuhan.

 

Record di contagi

Negli scorsi giorni il governo ha deciso di estendere le restrizioni all’intera città. Una misura drastica, ma necessaria per far fronte al picco di contagi registratosi lunedì 4 aprile, quando sugli account ufficiali della città erano stati segnalati 13.146 asintomatici e 268 nuovi positivi sintomatici.

Tamponi a tappetto in tutta la città (fonte: ilmessaggero.it)

Numeri in realtà in linea con altre esperienze nel panorama internazionale, ma che sono stati ritenuti sufficienti per far scattare l’allarme da Pechino.

«Attualmente, i nuovi casi locali di Covid confermati e le persone infette che sono asintomatiche stanno crescendo rapidamente e la trasmissione comunitaria in alcune aree non è ancora arginata – ha detto Mi Feng, portavoce della Commissione Nazionale della Sanità – il numero di infezioni rimane a un livello elevato e la situazione di prevenzione e controllo è seria e complessa.».

Nelle ultime 24 ore, la Cina ha annunciato un record di 20.472 infezioni, anche se 19.089 sono asintomatici, la maggior parte delle quali, l’80%, proprio a Shanghai, la città più grande del Paese e centro finanziario. Ora, ci si sta preparando per aprire un gigantesco ospedale da campo da 40mila posti. Fonti da Pechino, inoltre, riferiscono che altre città sono state mobilitate per accogliere fino a 60 mila pazienti evacuati da Shanghai.

 

Le proteste degli abitanti per le nuove misure di contenimento

Dopo le chiusure selettive, il passaggio al lockdown totale e l’inasprimento delle misure anti-contagio, stanno facendo montare la rabbia dei cittadini. Molte le problematiche nei centri per quarantena, affollati e con problemi di igiene, oltre alle difficoltà a reperire cibo o medicinali per tutti i cittadini.

Le lamentele si sono acuite per la decisione di separare i bambini positivi dalle proprie famiglie. Sono scoppiate delle proteste, finché, alla fine, è stata modificata la disposizione e ora ai genitori è permesso stare insieme ai propri piccoli in isolamento, previa firma di un documento in cui ci si assumono i rischi e ci si impegna a seguire le regole rigide delle strutture.

Però, il malcontento generale non si placa. La gestione nella megalopoli di oltre 25 milioni di abitanti si è dimostrata più complessa del previsto per le autorità locali. Una dirigente del Centro di prevenzione del distretto di Pudong ha detto: «la gestione politica del coronavirus ci sta facendo impazzire».

Nella città, le strutture per l’isolamento non bastano più. Per questo motivo si stanno intraprendendo i lavori per convertire il grande dormitorio Covid National Exhibition and Convention Center in un ospedale da campo da 40mila posti letto.

Foto di una tenda presso un posto di lavoro (fonte: informazione.it)

Molte persone sono costrette a trascorrere la quarantena presso la propria attività lavorativa, dormendo in sacchi a pelo e tende da campeggio, come testimoniano le foto che compaiono sui social network.

 

Le possibili ripercussioni sulla leadership di Xi Jinping

Il ritorno alla normalità per la megalopoli era stato previsto per l’inizio di aprile, ma la situazione ha spinto le autorità a riaffermare il regime restrittivo. Si avvicina il Congresso nazionale del Partito comunista cinese (Pcc), evento politico che determinerà la nuova leadership politica per il Paese.

Le conseguenze dell’inasprimento dell’epidemia potrebbero essere usate dai rivali del presidente Xi Jinping per contrastare la sua carica.  Il lockdown totale di Shanghai conferma che il governo cinese non ha portato il Paese veramente oltre l’emergenza della pandemia, nonostante le rigide misure di prevenzione e controllo attuate dal 2019 a oggi.

Shanghai non è l’unico grande focolaio attualmente presente in Cina: ci sono altri casi problematici, tra cui quello della provincia di Jilin, ma sicuramente è il più importante sul piano geopolitico. Shangai, che come enuncia il suo stesso nome, città “sul mare”, si trova in prossimità del delta del fiume Yangtze, terzo corso d’acqua più lungo al mondo e arteria idrica più importante della Cina, e intorno al suo delta si concentra oltre il 20% del Pil nazionale cinese.

Inoltre, la città rappresenta un teatro fondamentale per le lotte di potere intestine al Paese. Il suo porto è il più grande del mondo per flusso di merci ed è luogo di riferimento della cerchia politica intorno all’ex presidente cinese, Jiang Zemin, detta “gang di Shanghai” e rivale di quella dello Zhejiang, guidata da Xi.

A partire dal 2013, l’attuale presidente ha primeggiato all’interno del Pcc e delle Forze armate; ha posizionato i suoi fedelissimi nei centri nevralgici del Paese, anche a Shanghai, dove il capo di partito è Li Qiang.

Ad oggi, Pechino ha tolto il posto ad alcuni funzionari locali per non aver contenuto correttamente l’epidemia, ma l’incarico di Li non è stato ancora messo in discussione, ma non è escluso che, l’aggravarsi della situazione e le conseguenti difficoltà economiche possano ripercuotersi irrimediabilmente.

 

Rita Bonaccurso

 

 

Nuova Dehli: settimana lockdown, ma non per il Covid

È di sabato 13 novembre la decisione del capo del governo di Nuova Delhi, capitale dell’India, di chiudere le scuole per una settimana e i cantieri per quattro giorni, a partire da lunedì 15 novembre.

Gli impiegati degli uffici pubblici svolgeranno le loro ore di lavoro in modalità smart, per cercare di ridurre l’elevata circolazione di automobili e mezzi pubblici. Anche le lezioni proseguiranno a distanza.

La causa di queste chiusure, questo “semi-lockdown“, ebbene, questa volta, non è da imputare al Covid-19, bensì all’inquinamento. Sebbene la situazione risulti molto complicata e il premier Arvind Kejriwal abbia avanzato l’ipotesi di passare a un lockdown totale della città, ciò potrebbe tradursi in una misura concreta, in realtà, solo dopo aver ascoltato il parere del governo federale.

Le città indiane sono ogni anno più inquinate

Ogni anno sono molte le città indiane costrette a combattere contro livelli di inquinamento atmosferico sempre più preoccupanti. Tra queste, Nuova Delhi è sicuramente una delle città in cui la situazione è gravissima. Secondo la SAFAR (una delle principali agenzie di monitoraggio ambientale dell’India), l’indice di qualità dell’aria della capitale è arrivato a “molto scarso”. In particolare, nelle aree urbane della città, la quantità di particolato nell’aria supera di sei volte la soglia di sicurezza. Il particolato indica tutto l’insieme di sostanze, liquide o solide, sospese in aria, la cui dimensione può variare da pochi nanometri fino a 100 µm. E’ proprio il particolato ad essere tra gli inquinanti più frequenti nelle zone urbane.

La decisione di fermare le attività, scolastiche e lavorative, è stata quindi obbligata. Secondo i dati diffusi da Kejriwal, i livelli di inquinamento sono arrivati ad un limite di rischio altissimo, ovvero al livello 437 su una scala di 500, secondo l’indice della qualità dell’aria.

La Porta dell’India nascosta dallo smog (fonte lastampa.it)

La pratica del debbio e le parole dell’attivista Aditya Dubey

Preoccupazione arriva anche dalle immagini dei satelliti della NASA. Da queste si può notare come, gran parte delle pianure dell’India settentrionale, siano coperte da una fitta e densa foschia.

A rendere tutto ancora più complicato è l’abitudine, che si ripete ogni inverno, da parte degli Stati confinanti, di bruciare i residui dei raccolti precedenti. Questa pratica viene chiamata “del debbio”: i contadini procedono a fertilizzare le campagne utilizzando i residui bruciati. I fumi causati da queste combustioni, spinti dal vento, arrivano fino a Nuova Delhi, con conseguente aumento dell’inquinamento atmosferico. A pronunciarsi sulla situazione è stata anche l’attivista Aditya Dubey, che ha presentato, alla Corte Suprema, una richiesta di lockdown totale nella capitale. Dubey si è inoltre rivolta al governo, invitandolo a mettere in atto delle misure per contrastare l’inquinamento sempre più crescente.

Più di un milione di vittime all’anno

A Glasgow, durante la COP26 tenutasi dal 31 ottobre al 12 novembre, lo Stato indiano ha annunciato di voler arrivare all’obiettivo zero emissioni nel 2070, dopo Cina, Usa e Europa. La volontà dell’India, però, è in netto contrasto con quella che è la realtà in cui il Paese si trova e con quello che dovrebbe essere il comportamento giusto da adottare. Solo a Nuova Delhi, ogni anno, le vittime dell’inquinamento sono più di un milione. Tra le cause principali troviamo malattie respiratorieinfarti, diabete, complicazioni polmonari e malattie infantili. Proprio in merito all’aumento delle malattie, il Times of India ha rilevato un numero sempre maggiore di persone nei pronto soccorso degli ospedali. Il dottor Suranjit Chatterjee, dell’ospedale Apollo, ha dichiarato:

“Stiamo ricevendo 12-14 pazienti ogni giorno in emergenza, soprattutto di notte, quando i sintomi causano disturbi del sonno e panico”.

Come se tutto ciò non bastasse, ogni anno si forma uno strato di schiuma, altamente tossica, sul fiume Yumana, affluente del Gange. All’interno della schiuma sono contenute alte quantità di ammoniaca e fosfati, due sostanze che possono causare problemi cutanei e respiratori. La crisi nella metropoli indiana potrebbe durare fino al 18 novembre, almeno secondo il Centro per il controllo dell’inquinamento.

La schiuma tossica sul fiume Yamuna (fonte teleambiente.it)

 

Beatrice Galati

Due chiacchiere con Giulia Dragotto, la protagonista di “Anna”

“Selvaggia e disorientante”. “Una fiaba per adulti”. “La serie tv italiana più coraggiosa mai realizzata”. Queste sono alcune delle tante espressioni utilizzate per definire la serie tv “Anna“, tratta dall’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti (Premio Strega 2007 e regista della serie), ambientato in una Sicilia post-apocalittica, dove la popolazione adulta è stata sterminata da un virus altamente letale, “La Rossa“. La serie è disponibile su Sky Atlantic e su Now Tv ed è prodotta dalla Wildside, del gruppo Fremantle.

Ammaniti racconta la vicenda della tredicenne Anna, impegnata principalmente a proteggere e -ad un certo punto- a salvare il piccolo fratellino Astor. L’interprete dell’impavida eroina è la giovanissima e bravissima attrice palermitana Giulia Dragotto, con la quale abbiamo scambiato due chiacchiere per telefono.

Giulia Dragotto, interprete della protagonista Anna

In che modo sei stata selezionata per il ruolo di Anna e quali sensazioni hai provato sapendo di dover interpretare il ruolo della protagonista al tuo esordio come attrice?

Tutto in realtà è nato per caso: era l’estate del 2019 e mia mamma su Facebook trovò un annuncio di un casting per il film “Le sorelle Macaluso”. Quando mi chiese se l’avessi voluti fare io accettai subito; lo feci per gioco, non avrei mai pensato di arrivare a tutto ciò. Quindi feci i provini, mi dissero che ero troppo grande per il ruolo che cercavano e mi avrebbero chiamato non appena avrebbero trovato una situazione adatta a me. Tempo dopo, infatti, mi chiamarono “Anna”: ho fatto tantissimi provini e tantissimi laboratori con la moglie di Niccolò Ammaniti, Lorenza Indovina. È stato un percorso veramente faticoso, ma ad oggi posso dire che ne è valsa assolutamente la pena. Non mi dissero subito che sarei stata Anna, ma ho capito di esserlo quando mi hanno convocata a Roma.

A quale attrice o personaggio ti sei ispirata maggiormente per interpretare al meglio il tuo ruolo? Quali sono i tuoi modelli principali nel mondo del cinema?

Per il ruolo di Anna non mi sono ispirata ad un’attrice in particolare; però posso dire che ne apprezzo tantissime, in particolare Millie Bobby Brown -molto classica come attrice preferita dalle ragazze- e Kristen Stewart.

Anna e il fratellino Astor (Alessandro Pecorella)

Chi è Anna? Chi è, invece, Giulia? Quali sono le maggiori differenze tra te e Anna?

Anna è una ragazzina cocciuta e parecchio coraggiosa, che vive in una situazione catastrofica, qualcosa che non riuscirei ad immaginare. Io, invece, mi ritengo la persona più imbranata di questo mondo e non penso ci sia essere vivente più impacciato di me. Questo ritengo sia una cosa che mi rende molto diversa da Anna. Devo dire che il personaggio di Anna mi ha lasciato molto, soprattutto per quanto riguarda la determinazione, grazie a lei ho compreso quali sono le difficoltà vere e non mi faccio più abbattere da sciocchezze. Il coraggio, invece, ci accomuna, anche se parliamo di due vite completamente diverse.

Quali sono state le maggiori difficoltà che hai vissuto durante le riprese? Quali, invece, i momenti più belli e significativi che hai vissuto e non dimenticherai mai?

Le difficoltà erano all’ordine del giorno; sono stata sempre messa davanti a situazioni difficoltose. Per esempio, ho dovuto rifare una scena in cui correvo nelle scale tante volte perché io non riuscivo a sincronizzare i piedi. Una scena abbastanza difficile sicuramente è stata quella girata sull’Etna alle quattro e mezza del mattino: là sopra c’erano -4 gradi ed è stata veramente dura. Non ci sono stati momenti più belli e significativi; posso dire che è stato uno splendido percorso dall’inizio alla fine.

Giulia sul set

Chi ha guardato la serie ha sicuramente apprezzato anche la tua interpretazione della bellissima canzone napoletana “Core ‘ngrato”. Quando è nata la tua passione per il canto e come l’hai coltivata nel tempo?

Ho sempre avuto la passione per il canto: sin dall’asilo ho cantato sempre nelle recite scolastiche e a casa cantavo spesso le canzoni -tra gli altri- di Elisa e dei Negramaro. Dato che mi ritenevano abbastanza intonata i miei genitori decisero iscrivermi ad un’accademia di canto, per darmi modo di poter coltivare questa mia passione. Ho iniziato a studiare canto a otto anni e ho smesso verso i dodici.

Quali sono state le sensazioni che hai provato le prime settimane di lockdown a causa di una pandemia per certi versi abbastanza simile all’epidemia presente nella serie?

Inizialmente avevo sottovalutato la situazione perché ero molto presa dal set, che impegna molto. Quando arrivò invece la notizia ufficiale fu una bella botta e subito notai la coincidenza con il romanzo di Anna, uscito nel 2015, ma ambientato proprio nel 2020. Una coincidenza che ti fa fare due domande. La cosa traumatica fu quando tornai a casa e, abituata alle giornate ricche di emozioni, mi sono detta “che faccio adesso?”, “quanto durerà questa situazione?”, “riprenderemo a girare?”. Ho avuto un sacco di paranoie, perché ho saputo che molti set sono stati interrotti e avevo paura che tutti i sacrifici fatti da me, i miei amici e tutte le persone dello staff si vanificassero. L’unico aspetto positivo è che anche il lockdown mi ha fatto crescere molto.

Sull’Etna

Quali sono i tuoi progetti nel breve periodo? Hai qualche lavoro in cantiere? Come ti vedresti, invece, tra dieci anni? Vorresti continuare su questa strada oppure ti piacerebbe fare anche qualcos’altro?

In realtà ancora no, ma spero di poter vivere altre esperienze del genere, perché ti lasciano tanto. La recitazione non la considero -almeno per adesso- un lavoro, ma l’ho sempre definita un divertimento, uno svago, un qualcosa di liberatorio. Sinceramente non so come mi vedrei a 24 anni; sicuramente spero di essere felice. Intanto mi metto molto sotto con lo studio perché so che mi servirà, anche perché mi piacerebbe fare l’Università.

Perché un/a giovane siciliano/a -e non solo- dovrebbe guardare la serie “Anna”?

Perché è una serie che arriva al cuore; lo penso perché chi l’ha vista mi ha detto che trasmette davvero tanta emozione. Non dovrebbe essere presa esclusivamente come una serie su una pandemia, cosa che potrebbe non invogliare il pubblico visto il periodo che stiamo vivendo. Ho sentito spesso dire questo, ma chi l’ha detto si è poi ricreduto, perché Niccolò utilizza il virus solo come mezzo per arrivare ad un altro concetto, quello della speranza. Il virus lo senti all’inizio, ma nell’evoluzione della storia percepisci tutt’altro. Questa è la cosa bella di Anna.

 

Mario Antonio Spiritosanto

 

 

Giulia sui social:

instagram.com/_giulia_dragotto_

 

Si ringrazia Federica Ceraolo per averci fornito le foto

 

Conferenza stampa Draghi: riaperture dal 26 aprile e debito buono per ripartire

(fonte: governo.it)

Ieri sera, il Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi ha tenuto, assieme al Ministro della Salute Roberto Speranza, una conferenza stampa per illustrare la situazione epidemiologica del Paese e fornire alcune anticipazioni sulle riaperture a partire da giorno 26 aprile.

La data, sicuramente in anticipo rispetto a quanto ci si prospettava, è stata ispirata dall’ottimismo proveniente dall’andamento della campagna vaccinale. Il Ministro Speranza si è detto positivo degli ultimi dati: più di 14 milioni di dosi e l’80% degli over 80 che ha già ricevuto una dose.

(Lo stato delle vaccinazioni secondo quanto appare dal DEF 2021 – fonte: mef.gov.it)

Niente decreto al momento, ma Draghi rassicura: “Si può guardare al futuro con prudente ottimismo e fiducia”. Ed intanto la strategia sarà quella di una road map con riaperture gradualisostegni all’economia ed alle imprese“debito buono” per la ricrescita del Paese. Da coniugarsi, naturalmente, ad un allentamento della curva dei contagi ed un incremento di quella dei vaccini.

Le riaperture dal 26 aprile

Torna a grande richiesta la zona gialla: sarà inoltre possibile spostarsi tra Regioni gialle. Per andare in Regioni di diverso colore si parla di un “pass“: si pensa che sia necessaria la vaccinazione, l’esecuzione recente di un test Covid-negativo, l’avvenuta guarigione da Covid. Tuttavia, dal Presidente non sono stati aggiunti dettagli.

Prevalenza alle attività all’aperto, in base a quanto osservato nelle più recenti analisi sui dati del contagio: «All’aperto riscontriamo una difficoltà molto più significativa nella diffusione del contagio», ha affermato Speranza durante la conferenza. Riapriranno quindi ristoranti e bar con disponibilità all’aperto sia a pranzo che a cena, ma si tiene a sottolineare che oltre alla ristorazione si terrà conto delle altre attività. I ristoranti potranno riaprire anche al chiuso solo a pranzo a partire dal 1° giugno.

Quanto alle attività fisiche, da metà maggio il via alle piscine solo all’aperto e dal primo giugno anche le palestre. Più in avanti torneranno anche le terme, fiere e congressi e parchi tematici. Dal 26 aprile ripartiranno tutte le attività fisiche all’aperto non agonistiche come calcetto, beach volley e basket.

(fonte: lagoleada.it)

Scuole, teatri, cinema e spettacoli

Ritorna la scuola in presenza di ogni ordine e grado per le zone gialle e arancioni, mentre per quelle rosse saranno aperti in presenza gli asili nido e le scuole fino alla prima media; i licei continueranno con la modalità blended. Non si parla, invece, di università. Secondo quanto stabilito dall’ultimo decreto, le zone arancioni e le future zone gialle saranno libere di autogestirsi le riaperture.

Finalmente il via anche a teatri, cinema e spettacoli, ma con particolari misure di prevenzione dettate dal Consiglio tecnico-scientifico e solo in zona gialla. I musei torneranno automaticamente col passaggio in zona gialla.

Sostegno all’economia e ricrescita

Durante la conferenza stampa si è parlato di una decisione fondata su un “rischio ragionato”, basata sul parere degli scienziati. Ed in effetti nelle ultime settimane l’indice Rt del paese è sceso assieme ad un’incidenza dei contagi che, pur rimanendo di alto rischio, è ad oggi pari a 180 contagi per 100,000 abitanti.

Intanto, con l’approvazione del Documento di Economia e Finanza (DEF) 2021, Draghi getta le basi per una ricrescita economica. È il cosiddetto debito buono: 40 miliardi di debito nel 2021 per sostenere l’economia e le imprese assieme ai lavoratori autonomi. Per gli anni 2022-2033 si prevede invece un indebitamento medio annuo di 6 miliardi. Le risorse impiegate in quest’ultimo lasso di tempo, spiega il comunicato stampa, «saranno utilizzate per definire un ulteriore insieme di interventi dedicati essenzialmente agli investimenti complementari al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), che il governo considera centrali per dare impulso alla crescita economica dei prossimi anni».

Si tratta di una vera e propria scommessa che, se vinta, permetterà al Paese di uscire dall’indebitamento per effetto della crescita stessa, senza che sia necessario una manovra correttiva. Così sostiene fermamente il Presidente Draghi.

Quanto agli interventi effettivi, Draghi ha affermato che le risorse gestite tramite il PNRR (ben 191,5 miliardi di euro di cui 69 miliardi a fondo perduto), verranno impiegate per effettuare un’ambizioso programma di riforme. Al momento sono 57 i commissari predisposti per la realizzazione di opere pubbliche concernenti tale programma.

Infine, i sostegni all’economia seguiranno una logica doppia: «un sostegno alle persone e alle famiglie che hanno subito un calo del reddito e non per loro colpa, e un aiuto in favore delle imprese per evitare che chiudano per mancanza di liquidità». Le attenzioni sono rivolte alle famiglie e imprese colpite dalla crisi, ma anche ad aziende e partite Iva.

 

Valeria Bonaccorso

Un anno dal discorso che cambiò le vite degli italiani: dalle origini della pandemia fino ai vaccini

A un anno dalla pandemia numerosi sono gli eventi che hanno sconvolto la nostra vita, dalle abitudini quotidiane fino alle restrizioni imposte a livello nazionale, dagli slogan ottimisti affissi sui balconi alla soluzione concreta dei vaccini. Cosa è cambiato? 

Le origini.

Wuhan è una metropoli cinese di 11 milioni di abitanti, capoluogo della provincia di Hubei. Conosciuta in America come la “Chicago della Cina” è divenuta nota come epicentro della diffusione della pandemia che ha travolto il mondo un anno fa. Già nel dicembre 2019 il virus avrebbe fatto registrare diversi casi simili alla polmonite, ma con risvolti ancora più gravi. Nonostante i primi decessi a inizio gennaio, il Partito Comunista di Xi Jinping rimane cauto– e omette, secondo i più – informazioni necessarie che non solo avrebbero ritardato l’intervento e la prevenzione del virus, ma ha permesso a quest’ultimo di valicare i confini nazionali fino alla dichiarazione dell’ “emergenza sanitaria globale” dell’Oms, arrivata solo il 30 gennaio 2020. Nella stesso giorno, i primi due casi accertati anche in Italia: si tratta di due turisti cinesi ricoverati in isolamento allo Spallanzani di Roma.

L’Italia e la fase 1

Papa Francesco nella deserta Piazza San Pietro, diventa uno dei simboli più emblematici della pandemia. Fonte: ANSA.

I primi focolai nel Lodigiano e in Veneto mettono in crisi il nostro paese, che infatti è tra i primi ad essere investito dalla crisi più difficile dal secondo dopoguerra. Come un anno fa, il 9 marzo 2020, l’Italia diventava zona rossa. Viaggi, attività, banchi di scuola, riunioni familiari, amici, passeggiate al parco, abbracci e baci, diventano solo uno sfumato ricordo per essere sacrificati in nome di un appello più alto alla responsabilità e alla salute. Le strade, prima piene di vita, vengono consegnate al silenzio di città tappezzate di striscioni che invitano all’ottimismo e alla resistenza; l’assalto ai supermercati e gli scaffali vuoti diventano scenari abituali, così come i volti coperti dalla mascherina e la corsa all’acquisto di gel disinfettanti. Le polemiche sulle restrizioni si ammutoliscono difronte al triste corteo funebre di camion dell’esercito lungo le vie di Bergamo, a dieci giorni di distanza dal primo dpcm dell’allora premier Giuseppe Conte, le cui immagini strazianti suscitano il sostegno di tutto il mondo.
Il lockdown procede, con proroghe di volta in volta annunciate dalle dirette del Premier, fino a Pasqua e Pasquetta (che però fanno registrare comunque circa 14.000 sanzioni da Nord a Sud). Le riaperture di molte attività, con divieti di distanziamento, mascherine obbligatorie e multe per assembramento, saranno stabilite solo a inizio maggio, inizio della fase 2.

Le fasi 2 e 3

Decade l’ordinanza riguardo l’obbligo dell’ autocertificazione, rimanendo comunque limitato lo spostamento tra regioni; invece, chiese, bar e negozi solo dal 18 maggio hanno potuto nuovamente aprire le porte. Data la ripresa incoraggiante, sopraggiunge la decisione in giugno di una fase 3 che ha permesso a centri estivi, sale giochi, centri di benessere, attività culturali di riprendere a pieno regime. Durante l’estate sono in particolar modo le discoteche a far discutere: orde di giovani ammassati l’uno all’altro in locali molto ristretti senza nessuna precauzione pongono fine al divertimento, specialmente per le località turistiche che erano state al centro della polemica.

La stretta sulle discoteche arriva ad agosto in seguito a numerose infrazioni. Fonte: Repubblica.

Nel corso di settembre stabilita anche l’apertura delle scuole, con calendari differenziati, che tuttavia subiranno ulteriori restrizioni nella gestione degli orari di ingresso e di uscita per gli alunni a ottobre, quando i contagi preoccupano al punto da far ritornare in dad il 75% dei ragazzi nelle scuole superiori. Non solo, le nuove restrizioni vedono la chiusura di centri commerciali nel weekend e del rinnovo del coprifuoco, in vigore dalle 22 alle 5 del mattino.

Fasce a colori

Dal 6 novembre viene istituto il sistema a colori relativo al rischio contagio tuttora in vigore. Italia rossa durante dicembre, in particolar modo durante le vacanze natalizie: divieto di spostarsi dalle regioni dal 21 dicembre al 6 gennaio, l’obbligo di rimanere nel proprio comune il 25, 26 e 1 gennaio e, inoltre, coprifuoco dalle 22 alle 7 per Capodanno. L’ultimo dpcm di Conte proroga lo stato di emergenza con divieto di spostamento tra regioni (anche gialle) e lo stop all’asporto per i bar dalle 18, mantenuto anche dal nuovo premier Draghi. Quest’ultimo però non sembra intenzionato a dare il via libera a riaperture in virtù di una situazione pandemica preoccupante tanto ora come un anno fa, soprattutto dopo la scoperta di nuove varianti che incombono sulla vita di milioni di persone e che hanno costretto all’istituzione di nuove zone rosse o di colore più intenso (come quella arancione scuro). Infatti, il Cts in una comunicazione recente al governo ribadisce la necessità di chiusure nei weekend come a Natale, misure più stringenti per le zone gialle e zone rosse locali in grado di contenere il contagio.

Il vaccino

Dpcm, restrizioni, coprifuoco, multe, ci hanno tolto molte della libertà a cui eravamo abituati e che oggi hanno assunto un significato assai rilevante. Giunti -non senza fatica – a un anno dalla pandemia allora, cosa ci rimane? Forse anche la speranza ha lasciato il posto alla rassegnazione? Certamente per molti, ma non per tutti. La luce in fondo al tunnel esiste ed è costituito da un piano vaccinale sistematico ed efficiente, e rassicura Draghi non essere lontano. Ieri, nel giorno in cui si è toccato il tetto di 100.000 morti dall’inizio della pandemia, il Presidente del Consiglio ha confermato un piano che prevederà un “doppio binario” per cui saranno coinvolte in primis «le persone più fragili e le categorie a rischio», per cui verranno utilizzati maggiormente i vaccini Pfizer-BioNTech e Moderna, mentre Astrazeneca ha avuto il via libera per le persone over 65, ma in buona salute. Entro questa settimana dovrebbe essere approvato dall’Unione Europea anche il vaccino Johnson & Johnson, mentre rimane sullo sfondo il russo Sputnik.

L’obbiettivo dell’Unione Europea è arrivare entro giugno a 60 milioni di somministrazioni. Fonte: Yahoo Finanza.

L’obbiettivo comune è quello di arrivare a 60 milioni di somministrazioni entro la fine di giugno. Si tratta di 15 milioni di persone con la doppia dose, quindi pienamente vaccinati. 30 mila invece coloro i quali saranno coperti parzialmente da una sola dose.

Il vaccino è un alleato straordinario in una guerra contro “il nemico invisibile” che ha distrutto legami, ma ne ha anche creati di nuovi con l’aiuto indispensabile della tecnologia. Ha portato con sé dolore, ma ci ha offerto l’opportunità di dar nuova ad pratiche prima insignificanti. Ha stravolto il mondo ma ci ha reso coscienti degli strumenti per farlo muovere ancora, stavolta, si spera, in un modo migliore.

Alessia Vaccarella

Oggi presentata la bozza del dpcm di Draghi: verso nuove restrizioni a Pasqua. Ecco quali

19.886 casi, 308 morti, un tasso di positività del 4,8% sono i dati registrati nell’ultimo bollettino del Coronavirus che non possono essere ignorati. «Non possiamo allentare le misure, non ci sono le condizioni epidemiologiche» afferma Speranza. Parole che sembrano preparare gli italiani a nuove restrizioni che, per il secondo anno di fila, li costringeranno a trascorrere Pasqua e Pasquetta in casa. Proprio oggi il Premier Draghi presenterà il dpcm anti-covidil primo per il nuovo leader insidiato a Palazzo Chigi- in vigore fino dal 6 marzo fino al 6 aprile.

Fonte: VelvetMag. Oggi la bozza del primo dpcm anti-covid del governo Draghi che prevede nuove restrizioni fino alle festività.

Il dialogo con le Regioni

Ai governatori di ciascuna regione sarà consegnata la bozza del provvedimento in queste ore, la cui approvazione è prevista tra venerdì 26 febbraio e il week end. Nell’incontro di ieri la ministra degli Affari Regionali e le Autonomie Mariastella Gelmini (FI) ha annunciato:

«Per l’esecutivo Draghi è fondamentale il confronto costante con le Regioni e anticipare le decisioni, in modo da lasciare ai cittadini il tempo necessario per poter organizzare la propria vita. State certamente notando un cambio di metodo. Ci siamo visti domenica e ci stiamo rivedendo oggi. Gli incontri saranno sempre più frequenti e costanti».

Il confronto diretto con le Regioni e la comunicazione con largo anticipo delle misure adottate dal governo, come già preannunciato da Draghi in Parlamento, è il cambio di rotta fondamentale che segna una certa discontinuità rispetto all’esecutivo di Conte. Fedeli a questa linea, durante la riunione di ieri, presente anche il Ministro della Salute Roberto Speranza, che potrebbe cambiare il colore di alcune regioni: da giallo ad arancione, da arancione a rosso. A preoccupare è infatti la curvatura dei contagi che fa aumentare le probabilità di una Terza Ondata, con un innalzamento dell’indice Rt al di sopra dell’1% secondo il fisico dell’Università di Trento Roberto Battiston. Rassicura però la Gelmini: «Il sistema a fasce verrà mantenuto. Finora è stato scongiurato un lockdown generalizzato e questo deve essere l’obiettivo principale anche per le prossime settimane e per i prossimi mesi».

Fonte: ANSA. La ministra per gli Affari Regionali e le Autonomie Mariastella Gelmini. Roma, 25 Febbraio 2021.

Cosa prevede il nuovo dpcm

Infatti, per allontanare il rischio di una possibile chiusura totale, il nuovo dpcm di Draghi non conterrà alcuna riapertura, ad eccezione per un barlume di speranza dato al settore della cultura. Intanto, è possibile riassumere schematicamente alcuni provvedimenti in vigore fino a Pasqua.

  • Spostamenti tra regioni. Lo stop agli spostamenti tra regioni (consentiti solo per rientro nella propria residenza, motivati da esigenze lavorative, ragioni di salute o di necessità) è valido fino al 27 marzo, ma numerose sono le ipotesi che farebbero pensare a un prolungamento. Sempre all’interno dei confini regionali, in zona gialla è possibile andare in abitazioni private, una sola volta al giorno e compreso in un orario tra le 5 e le 22, in presenza di due persone più i figli minori di 14 anni.
  • Seconde case. Anche in zona rossa sarà possibile raggiungere le seconde case, ma solo per il nucleo familiare.
  • Attività commerciali. Saracinesche abbassate per i negozi in zona rossa, dove sono garantiti esclusivamente gli esercizi commerciali essenziali come farmacie, alimentari e ferramenta. In zona gialla e arancione tutti i negozi sono aperti, ma nel fine settimana vietato l’ingresso a centri commerciali.
  • Attività sportive. Sul fronte delle attività sportive continuano a rimanere sigillate palestre e piscine. Bici, corsa e attività individuali come la camminata all’aperto sono invece permessi. È attesa una decisione riguardo la possibilità di concedere il via libera a lezioni individuali o su prenotazione.
  • Ristorazione. Niente apertura in orario serale per i ristoranti, ma consentito fino alle 22 l’asporto. Asporto e domicilio sono consentiti anche in zona arancione e rossa. Bocciata l’ipotesi della Lega e di Fratelli d’Italia di ristoranti aperti nelle regioni di fascia gialla: oltre le 18 consentita l’attività solo a mense, ristoranti negli alberghi e autogrill.

Il settore culturale

Per quanto riguarda il cinema, si lavora a un protocollo molto rigido che prevede una riapertura in sicurezza entro aprile: uso delle mascherine, distanziamento in sala, misurazione della temperatura, biglietti acquistati online per evitare assembramenti alla cassa e sale sanificate. Altra prerogativa è tenere aperti i musei e le aree archeologiche anche il sabato e la domenica, che al momento sono aperti solo nei giorni infrasettimanali in zona gialla.

«Il ministro Franceschini – continua la Gelmini – ha avviato un confronto con il Cts per far in modo che, superato il mese di marzo, si possano immaginare riaperture con misure di sicurezza adeguate. E’ un percorso, non è un risultato ancora acquisito. Ma è un segnale che va nella giusta direzione».

La scuola: apertura o chiusura?

Le scuole costituiscono anche per il governo Draghi un argomento assai problematico. Molte regioni chiedono di chiudere gli istituti scolastici di ogni grado e ordine per evitare il contagio dalle varianti, ma l’esecutivo assume un atteggiamento attendista. Per la Gelmini, chiedere l’apertura di alcune attività economiche e la chiusura delle scuole non è altro che una contraddizione. Numerose le perplessità dei governatori, tra cui Emiliano, che propone un piano vaccinale più efficace e veloce che possa mettere in sicurezza il rientro nelle aule. Nel frattempo, continua l’alternanza tra didattica a distanza tra il 50% e il 75%

Per Zaia, governatore del Veneto, il parere del Cts è di primaria rilevanza:

«Ho chiesto formalmente che il Cts si esprima ufficialmente rispetto all’apertura delle scuole la scuola, è una realtà sacra. Quando decisi la chiusura parlai chiaramente di una ‘sconfitta’ ma, se la guardiamo dal lato epidemiologico, il Cts ci deve dire perché altre forme di aggregazione sono pericolose e la scuola no. Perché noi non siamo in grado di esprimere una valutazione scientifica».

Immediata la chiusura per le scuole invece nelle zone rosse (come Siena e Pistoia) e arancione scuro (come Bologna), che mirano a contenere i focolai causati dalle varianti del virus.

Alessia Vaccarella

Ricciardi invoca un altro lockdown totale. La proposta agita l’Italia

È stato come un fulmine a ciel sereno il monito del consigliere del ministro Speranza, Walter Ricciardi, sulla necessità di un immediato lockdown. Esponenti politici in furia e italiani terrorizzati e pieni di domande: com’è possibile che ad un anno dall’inizio della pandemia, con una campagna vaccinale in corso e mentre molte regioni passano alla zona gialla, si parli ancora di un lockdown generale? A quale rischio ci espongono le varianti? I vaccini sono efficaci? Se il virus non ci uccide, non sarà forse la fame a farlo? La mente e la psiche saranno ancora in grado di reggere?

La luce in fondo al tunnel? Una chimera. Le parole di Ricciardi non lasciano spazio a dolci scenari.

L’alto rischio delle nuove varianti Covid

A preoccupare Ricciardi è il risultato dell’inchiesta voluta da Joe Biden, Angela Merkel, Boris Johnson ed Emmanuel Macron: la variante inglese avrebbe una letalità maggiore tra il 20 e il 30 %. “Tutte le varianti del virus Sars-Cov-2 sono temibili e ci preoccupano ma, in particolare, quella inglese risulterebbe essere anche lievemente più letale e sta facendo oltre mille morti al giorno in Gran Bretagna”.

Da prendere in considerazione anche il preliminare responso del New and emerging respiratory virus threats advisory group (il comitato tecnico-scientifico britannico) riguardo la contagiosità della variante inglese, secondo cui sarebbe superiore dal 30% al 50%. Nelle prossime settimane dal Regno Unito dovrebbero arrivare dati definitivi.

Intanto in Italia, il 17,8 % dei contagiati sembra essere affetto proprio da questa variante. Sul fronte vaccini, per il momento, i timori della loro possibile inefficacia sulla variante inglese sono stati largamente smentiti.

Da tenere sotto controllo anche la variante brasiliana che non crea immunità dopo il contagio, esponendo al rischio di reinfezione, e quella sudafricana che depotenzia il vaccino di AstraZeneca.

Tuttavia, il presidente dell’agenzia italiana del farmaco Aifa, Giorgio Palù ha fatto dichiarazioni rassicuranti: “Anche il preparato dell’azienda anglo-svedese protegge dalle forme più gravi della malattia e dagli eventi mortali. La perdita di efficacia dei vaccini non è tale da dover generare sfiducia, anche perché mantengono sempre la capacità di bloccare l’infezione attraverso la produzione di anticorpi neutralizzanti diretti contro l’intera proteina Spike”.

Cosa ne pensano gli esperti

Sono molti gli esperti che, come Ricciardi, mettono in dubbio l’efficacia delle aree rosse locali e del sistema a zone nella gestione della pandemia. Questi invocano un lockdown immediato, necessario a far abbassare la curva dei contagi, e un rafforzamento di tracciamenti e vaccini. La strategia di convivenza con il virus andrebbe, dunque, totalmente rivista.

Il parere degli esperti – Fonte: www.ansa.it

Sulla stessa lunghezza d’onda è Andrea Crisanti, professore di microbiologia dell’Università di Padova, che rivendica l’urgenza di un lockdown immediato per evitare che la variante inglese causi effetti devastanti come già avvenuto in Gran Bretagna, Portogallo e Israele. Dello stesso parere anche Massimo Galli, direttore del reparto Malattie Infettive dell’ospedale Sacco di Milano: “Il sistema della divisione dell’Italia a colori non sta funzionando. E la prova è nei fatti”.

Favorevole alla chiusura è anche Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe: “un lockdown totale per due settimane farebbe abbassare la curva per poter riprendere il tracciamento, altrimenti bisognerà continuare con stop&go per tutto il 2021”. Secondo Giorgio Palù è necessario rinunciare a tentazioni di riaperture e attenuazioni di colori per qualche altra settimana e continuare con le vaccinazioni per tenere il virus a bada nei prossimi mesi ed uscire dall’emergenza.

Sul fronte opposto, il virologo Roberto Burioni e il direttore dello Spallanzani Francesco Vaia. Il primo esclude l’ipotesi lockdown, utile soltanto a guadagnare tempo, e guarda con fiducia alla campagna vaccinale, unica arma efficace contro il virus; per il secondo non si dovrebbero “aggravare le misure anti-Covid, ma applicare con severità le misure che abbiamo”.

La furia di Lega e Centro-Destra

Il tweet di Salvini contro l’ipotesi lockdown – Fonte: www.today.it

Salvini e il centro-destra non ci stanno e accusano Ricciardi di terrorismo mediatico. Anche questa volta hanno confermato la linea “aperturista”. Il consigliere del Carroccio e la Meloni vedono nelle parole di Ricciardi il ripetersi degli errori della politica di Conte che, sulla gestione della pandemia, a detta dell’esponente di Forza Italia, si sarebbe rivelata un disastro:

Se dopo un anno e più siamo ancora a parlare di lockdown totale, significa che la politica di lotta alla pandemia è stata totalmente fallimentare”.

Per Salvini il nuovo governo Draghi deve portare con sé il vento del cambiamento con nuove aperture e anche nuovi tecnici. “La comunità scientifica è piena di medici e virologi che non terrorizzano gli italiani, ne parleremo con Draghi”, dice il segretario della Lega che vorrebbe all’interno del Cts il direttore del reparto Malattie Infettive del San Martino di Genova Matteo Bassetti e al Ministero della Salute un sottosegretario leghista.

Ma non solo, c’è un altro residuo del governo Conte di cui la Lega e il centro-destra sembrano volersi liberare: il commissario Domenico Arcuri, da sostituire immediatamente con Guido Bertolaso.

Anche il governatore ligure Toti non ha dispensato parole gentili a Ricciardi: “Tutte le sante domeniche il super consulente del Ministero della Salute Ricciardi invoca un nuovo lockdown totale. Ogni domenica i cittadini e le imprese italiane si chiedono perché non sia possibile un lockdown ad personam per Ricciardi”.

Chiusura impianti sciistici

Stando a quanto detto dallo stesso Ricciardi in tv, Roberto Speranza sembra appoggiare l’ipotesi lockdown. D’altronde, non è difficile prospettare il sì alla chiusura da parte del ministro della Salute, visto la linea rigorista già manifestata nella decisione di prorogare la chiusura degli impianti sciistici fino al 5 marzo. Provvedimento che ha messo in fibrillazione imprenditori ed esponenti politici del Nord Italia. Ad essere criticata è soprattutto la tempistica: una decisione dell’ultimo minuto che ha messo i bastoni tra le ruote a ristoratori ed albergatori che si erano già preparati per la riapertura. Le regioni, inoltre, si sono unite compatte alle imprese turistiche della montagna per insistere sui ristori, comunque già promessi da Speranza e dal ministro del turismo Massimo Garavaglia domenica sera.

Cosa farà Draghi?

Il presidente del consiglio Mario Draghi – Fonte: www.metronews.it

La parola adesso spetta a Draghi che, nella decisione lockdown sì-lockdown no, si gioca tutto: consenso dell’opinione pubblica, appoggio della maggioranza e la fama da “uomo del destino chiamato a salvare l’Italia”.

La conferma di Speranza alla Salute e l’appoggio nella decisione della chiusura degli impianti sciistici potrebbero far pensare che sia favorevole al lockdown. D’altronde sarebbe una decisione perfettamente in linea con il “whatever it takes”, cioè con una politica pragmatica e risolutiva.

Ma non si può giungere a conclusioni troppo affrettate. La matassa che è chiamato a sciogliere rende difficile fare delle previsioni, troppi sono i nodi da sbrogliare: il malcontento degli imprenditori, una crisi di governo appena conclusa e un nuovo governo da stabilizzare, crisi economica, opposizioni politiche, varianti Covid.

Non ci resta che stare a vedere.

Chiara Vita

 

Si conclude la zona ultrarossa a Messina. Ecco cosa aspettarsi da domani

(fonte: palermo.repubblica.it)

Si conclude oggi 29 gennaio la zona “ultrarossa” su Messina, istituita con ordinanza del sindaco Cateno De Luca una settimana prima che l’intera regione diventasse rossa.

L’ordinanza, che prevedeva un’ulteriore restrizione delle misure previste per la comune zona rossa, non sarà più valida a partire da domani, sabato 30 gennaio. A tal proposito rimarranno in vigore le ordinanze regionali volute dal presidente Musumeci – con zona rossa ancora fino al 31 gennaio.

Il sindaco di Messina, che alcune settimane fa ha dichiarato di voler rassegnare le dimissioni nel caso in cui la sua ordinanza non venisse approvata, ha deciso dunque di cedere la gestione dell’emergenza agli organi regionali e nazionali e lo annuncia tramite un video sulla pagina Facebook ufficiale:

Si conclude la fase della mia ordinanza e da sabato si applicheranno le regole e le limitazioni stabilite dal Ministero della Salute e dal Presidente della Regione Musumeci sia per le attività economiche che per le scuole.

La mancata proroga

Nei giorni scorsi il primo cittadino aveva proposto una proroga dell’ordinanza anche per l’ultimo weekend di gennaio, ma immediato è stato il no dei commercianti e delle imprese:

Chiediamo pertanto al Sindaco di non emanare ulteriori provvedimenti restrittivi e di attenersi a quelle che saranno le disposizioni messe in atto dal Governo Nazionale e dalla Regione (Tempostretto.it)

Molto ha fatto parlare la lettera dell’imprenditore Lino Santoro Amante, titolare del celebre bar Santoro di Piazza Cairoli, che ha esplicitamente bocciato la proroga delle restrizioni. Così scrive nella lettera l’imprenditore messinese:

Siamo a rischio chiusura e, ogni giorno che passa, la situazione va sempre più peggiorando.

Cosa cambia nel weekend

A partire dalla mezzanotte del 30 gennaio rimarranno in vigore esclusivamente le misure previste dall’ordinanza regionale. Rimangono chiuse le scuole e niente visite ai parenti, ma torna l’asporto. Rimarranno aperti tutti i negozi previsti dal DPCM del 14 gennaio 2021: tornano barbieri e parrucchieri e le librerie.

La circolazione rimane limitata alle comprovate esigenze di lavoro.

(fonte: messinaoggi.it)

Le dimissioni del sindaco

Nel frattempo, De Luca sembra irremovibile sulle dimissioni: dal 5 febbraio entrerebbero in vigore ed il primo cittadino cadrebbe dal ruolo in un momento assolutamente intenso per l’amministrazione locale. Non sono mancati gli appelli dei consiglieri comunali già pochi giorni dopo l’annuncio delle dimissioni.

Il 26 gennaio il consigliere Nello Pergolizzi ha presentato la mozione per richiedere il ritiro delle dimissioni. La motivazione sarebbe proprio la gestione dell’emergenza da COVID-19, che diverrebbe impossibile sotto commissariamento.

Ma il fronte del consiglio sembra dividersi: oggi altri 7 membri, tra esponenti del PD e di Libera Me (a cui appartiene anche Pergolizzi) hanno preso le distanze dal consigliere, ribadendo l’incapacità del Sindaco nel gestire dell’andamento epidemico. Ed affermano:

Se De Luca vuole realmente dimettersi, cosa che sarebbe anche auspicabile, lo faccia subito e passi la mano a chi dopo di lui può meglio affrontare e gestire la crisi pandemica, altrimenti faccia marcia indietro, come peraltro è già capitato parecchie altre volte, e cerchi di assumere un profilo consono al ruolo che riveste e al momento storico la città sta vivendo. (Tempostretto.it)

(fonte: gazzettadelsud.it)

Da febbraio possibile zona arancione su tutta la Sicilia

Intanto, sul territorio regionale si prevede il ritorno della Sicilia alla zona arancione a partire da lunedì 1 febbraio.

Si aspettano i risultati dell’Istituto superiore della sanità sull’indice Rt in Sicilia: sotto l’1.25 il rischio potrebbe abbassarsi fino a moderato, mentre appena una settimana fa l’indice rt della regione si trovava a 1,27. Tuttavia il calo dei contagi constatato questa settimana fa sperare a molti la zona arancione.

Cosa aspettarsi dalla zona arancione? Quanto alla mobilità, si potrebbe circolare dalle 5 alle 22 all’interno del proprio comune; le scuole superiori adotterebbero la presenza alternata fino al 75%, mentre l’apertura delle Università rimarrebbe alla discrezione dei rettori. Rimane l’asporto da tutti i locali dalle 5 alle 18; per i ristoranti fino alle 22. Riaprirebbero anche i centri commerciali, ma non nei giorni festivi e prefestivi.

Valeria Bonaccorso