La nuova proposta di legge di Fratelli d’Italia: basta parole straniere

L’esponente di Fratelli d’Italia e attuale Vicepresidente della Camera dei deputati, Fabio Rampelli, in accordo con altri venti deputati ha presentato una proposta di legge per vietare l’uso di parole straniere negli atti e nelle intestazioni pubbliche. Rampelli aveva già presentato due proposte di legge per “costituzionalizzare” l’italiano come lingua ufficiale della Repubblica e per chiedere l’istituzione di un Consiglio superiore contro l’abuso di lingue straniere. 

Cosa ironica è che il primo a dover essere multato sarebbe proprio il Governo, in quanto la premier Giorgia Meloni ha ribattezzato il “Ministero dello Sviluppo Economico” in “Ministero delle Imprese del Made in Italy” facendo così uso di parole straniere.

Mi accorgo come tutti, anche io che sono patriota, veniamo travolti dall’uso di parole straniere quando per ciascuno di queste parole ne esisterebbero quattro-cinque diverse

Queste le parole del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la quale aveva invitato gli ambasciatori italiani a usare la loro lingua madre il più possibile.

Fonte: HuffPost Italia Foto: Angelo Arconi

Carlo Calenda si espone così:

In Francia il divieto è già regola

Il governo francese ha vietato ai dipendenti statali l’uso di termini inglesi concernenti il mondo ludico. Il Ministero della Cultura francese ha spiegato all’Agence France Presse – Agenzia di stampa francese – che il settore dei videogiochi era colmo d’inglesismi e questo avrebbe potuto causare difficoltà comunicative da parte dei non giocatori.

Il presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini non si è detto d’accordo con tale proposta

La proposta di sanzionare l’uso delle parole straniere per legge, con tanto di multa, come se si fosse passati col semaforo rosso, rischia di vanificare e marginalizzare il lavoro che noi, come Crusca, conduciamo da anni allo scopo di difendere l’italiano dagli eccessi della più grossolana esterofilia, purtroppo molto frequente. L’eccesso sanzionatorio esibito nella proposta di legge rischia di gettare nel ridicolo tutto il fronte degli amanti dell’italiano

Secondo gli ultimi dati: dal 2000 ad oggi il numero di parole inglesi confluite nella lingua italiana scritta è aumentato del 773%. Quasi 9.000 sono gli anglicismi attualmente presenti nel dizionario della Treccani su circa 800.000 parole in lingua italiana.

Fonte: Accademia della Crusca

La proposta di legge in breve

Articolo 1: “La Repubblica garantisce l’uso della lingua italiana in tutti i rapporti tra la pubblica amministrazione e il cittadino in ogni sede giurisdizionale”

Articolo 2: “Gli enti pubblici e privati sono tenuti a presentare in lingua italiana qualsiasi documentazione su territorio nazionale”

Articolo 3: “L’uso di strumenti in ogni manifestazione, conferenza o riunione pubblica organizzata nel territorio italiano è obbligatorio”

Articolo 4: “Chiunque ricopra cariche all’interno delle istituzioni italiane, della pubblica amministrazione, di società a maggioranza pubblica e di fondazioni deve avere padronanza scritta e orale della lingua italiana”

Articolo 5: “Utilizzo della lingua italiana in ogni contratto di lavoro”

Articolo 6: “Uso della lingua italiana negli istituti scolastici e nelle università pubbliche italiane in tutte le offerte formative che non sono rivolte all’apprendimento di  lingue straniere”

Articolo 7:  “Introduzione di un comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana nel territorio nazionale ed estero”

Articolo 8: “La violazione degli obblighi  comporterebbe una sanzione amministrativa di una somma da 5.000 a 100.000 euro”

Gabriella Pino

La lingua messinese, dialetti e curiosità del territorio

Fonte: wikipedia.org

Il Gallo Italico, l’arabo, il greco, il latino, il francese, lo spagnolo e il portoghese. Eccoli gli idiomi e le lingue che da sempre hanno influenzato il nostro modus operandi di lingua siciliana.

Messina, crocevia di tante culture, di tante fasi storiche, non fu da meno nell’evoluzione della lingua locale, ancor prima di Palermo e di Catania se consideriamo che in diversi periodi storici la stessa nostra amata città capoluogo di regione per l’intera Sicilia.

Ebbene, voi, egregi lettrici e lettori farete caso a come nella stessa Messina, in base alle diverse zone e luoghi di vita, la lingua locale, spesso possa variare ed esser diversa nelle sue molteplici sfaccettature. Non solo in città ancor più con i suoi centri provinciali oggi, per intenderci, metropolitani.

La lingua è quel qualcosa che ha sempre caratterizzato l’uomo, gli scambi commerciali, istituzionali di rappresentanza e di relazioni più in generale ma nello stesso tempo è stata la disciplina fondante della connessione del popolo messinese, delle sue interazioni e della sua fondatezza intrinseca della messinesità che oggi caratterizza noi tutti, studenti, docenti, operatoti pubblici privati cittadini e comporti di ogni settore, questi inglobati nel tessuto urbano di Zancle e della sua terra più limitrofa.

Il “Bellu” che si pronuncia a Messina, nella sua provincia diventa “Beddu” con la doppia D invece che della doppia L, l’origano che in alcune parti della zona nord si dice “Riinu” in altre del centro e della zona Sud si pronuncia con la definizione “Rienu” ovvero la seconda i viene sostituita dalla e, addirittura in zone distanti dal centro spesso anche “Rianellu” o per gli acquisiti messinesi provenienti dalla provincia ormai per motivi di studio o lavoro naturalizzati “zanclesi” si aggiunge la doppia D e “u rianellu” diventa quasi naturalmente “u Rianeddu” utilizzando la doppia D.

Insomma, per non dilungarmi e rimanere sul filo del discorso, dobbiamo dire in primis che il messinese è dialetto complesso quanto articolato e che, ad onor del vero, non basterebbe una enciclopedia per spiegarne le sfaccettature.

Diciamo subito che la parte della Sicilia nord orientale insieme a quella parte della Calabria sud meridionale è di fatto, ormai saputo e risaputo più volte confermato da esperti di settore, la zona più grecanica al di fuori della Grecia.

Possiamo tranquillamente affermare che da Catanzaro alla parte nebroidea della nostra provincia, l’influenza grecanica portò certamente una evoluzione lessicale non di poco conto. Come così fu per il periodo di dominazione spagnola soprattutto e araba ancor prima.

Fonte: www.pinterest.de

“Nta dda Manera”, ad esempio, deriva dallo spagnolo “Manera” appunto maniera, in quella maniera successivamente trasformato in italiano lingua questa che risaputo anche qui nasce originariamente dalla lingua siciliana come lo stesso reggino e parti della provincia di Salerno ancora oggi sentono l’influenza del loro idioma d’origine; ovvero la nostra lingua siciliana classificata oggi come meridionale estremo.

Ma torniamo alla differenza di alcune parole o modi di dire messinesi.

Per affermare che una persona “veniva” o “andava” in un luogo specifico, nella parte centrale cittadina, come in buona parte della tirrenica e ionica, il termine dialettale è “vinìa” o “n’dava” mentre nella parte nebroidea (Patti, Capo D’Orlando, Sant’Agata di Militello (Tipico d’origine di Militello Rosmarino) il termine diventa “vineva” o “eva”. Ancora nello specifico in alcune zone dell’area Barcellonese si hanno le varianti tra “manciari” con la C tipico barcellonese e “mangiari” con la G tipico d’origine Castrense (Castroreale, Terme Vigliatore, Rodi Milici e Furnari ).

E’ Chiaro che, come Messina, anche Barcellona, essendo ormai una cittadina nonché la seconda più popolosa subito dopo la stessa Messina, subisce un’influenza globale di molteplici comuni e borghi ad essa limitrofi, un po’ come Messina con i suoi villaggi e comuni adiacenti.

Motivo per cui andare a ritroso sulla storicità dei dialetti per le città medio grandi, capirete bene, che è compito assai arduo ma grazie alle origini di questi idiomi si può sostanzialmente risalire alle zone di appartenenza e quindi di nascita della lingua locale di ognuno di noi.

Un altra chicca di differenza sono la “caponatina” per i messinesi lo skibeci (equivalente della caponatina ) per l’area tirrenica d’origine Castrense oggi comunemente usata su tutta la fascia tirrenica tra Giammoro di Pace del Mela e Oliveri e zone limitrofe Pattesi e ancora il pescivendolo comunemente chiamato “u pisciaru” in buona parte della fascia tirrenica diventa “u pisci neri”.

Immagino i sorrisi dei lettori e la sorpresa nel leggere queste “assurdità” dirà qualcuno e comprendo non sia facile credere che esistono ad oggi differenze così marcate e nette anche a distanza di 10 km se non di meno tra un luogo ed un altro tra la caponatina e u skibeci ma che ci crediate o meno è proprio così. Questa è la bellezza di Messina, della sua gente, del calore lessicale che il popolo messinese tutto, come già di suo nei modi e nei tratti, emana ed esporta in ogni dove questo si trovi in sicilia, in italia e nel mondo fin dai tempi antichi.

Una tipica e palese differenza tra le zone di Messina e la sua provincia è la trasformazione della frase : Il Professore se n’è andato.

Diventa a Messina città: U prufissuri sinnannau o si nni iu.

Diventa nel dialetto tirrenico da Messina a Milazzo: U prufissuri sinnannoi o sindandoi

Diventa nel dialetto tirrenico da Barcellona con sua buona parte e con l’area di Castroreale: U Prufissuri sindandò

e ancora “Per alzarsi” Messina città: suggiti, sua provincia iazziti.

(notare anche qui similitudini con il susiti catanese e iasiti reggino ).

ccani, ddani, cchiuni per dire ccà,ddà e cchiù.

Conoscere un’altra lingua significa avere una seconda anima, così la storia volle attribuire all’imperatore Carlo Magno e cosi noi oggi nella stessa misura possiamo asserire che la nostra è impregnata di tutte le sfumature che di noi, popolo messinese ne fa uno dei più colti e ricchi della più bella Isola del Mediterraneo: la cara e luminosa Sicilia.

Filippo Celi

… Messina ha rivestito un ruolo di primo piano nella storia della lingua italiana?

Nessuna tradizione linguistica europea ha dovuto fare i conti con un dibattito culturale appassionato come la questione della lingua che ha interessato la penisola italiana. La mancanza di un centro politico, che nella vicina Francia si è realizzato in tempi più rapidi consentendo al volgare d’oltralpe di acquisire precocemente una veste formale già nei Giuramenti di Strasburgo (842 d.C), in Italia ha continuato a farsi avvertire almeno fino alla grande svolta linguistica in direzione dell’italiano parlato impressa da Alessandro Manzoni.

E non è un caso che si faccia il nome di uno scrittore. La lingua italiana più di tutte ha un debito nei confronti della letteratura. Possiamo dire che lo sviluppo della lingua comune italiana ha ricalcato le impronte lasciate da quegli autori che hanno dato lustro alla storia letteraria, primo tra tutti, naturalmente, Dante. Ma nel De Vulgari Eloquentia, dovendo cercare un volgare unitario, “illustre”, tra quelli usati dalle varie parlate locali, l’Alighieri cita in primo luogo la scuola siciliana, nata nella magna curia di Federico II di Svevia.

Dante anzi arriva a dire, nel suo trattato latino, che tutto quello che in letteratura è stato fatto fino ad allora, si può chiamare siciliano. Nella corte del sovrano del Sacro Romano Impero, sorta intorno alla sede di Palermo nel XIII secolo, si distinsero alcuni autori messinesi. La loro importanza, non è esclusivamente di carattere artistico, perché non furono solo grandi poeti e codificatori di stilemi e forme metriche destinate a nutrire il Canzoniere di Francesco Petrarca, ma sono stati i primi a conferire piena dignità alla nuova lingua. Del giudice messinese Guido delle Colonne, pioniere della scuola siciliana, i manoscritti tramandano cinque canzoni, definite nel Del Vulgari raffinati esempi di stile. Il ricorso a metafore tratte dal mondo naturale ebbe influenza su altri letterati, tra cui Guido Guinizzelli. Di Stefano Protonotaro, nato a Messina, non si può non rilevare l’autorevolezza documentaria della canzone Pir meu cori alligrari: l’unico componimento della scuola siciliana integralmente conservato nella fonetica originale, quindi una delle più antiche testimonianze in assoluto di volgare italiano. Sono numerosi i nomi associati alla corte di Federico originari del messinese, ma menzione spetta a quello di Nina da Messina, conosciuta come la prima donna a poetare in volgare.

Ma quale doveva essere la lingua in una moltitudine di stati e staterelli come era l’Italia tra il Medioevo e l’età moderna? Le discussioni riguardo alle origini e alle caratteristiche della lingua italiana, anticipate dalla originale trattazione dello scritto dantesco, hanno avuto largo appeal soprattutto nel 1500. A mettere fine alle discordie e ad imporre un modello di riferimento che avrà vita lunga per molti secoli, fu Pietro Bembo. Sappiamo che Bembo, prima di pubblicare le Prose della Volgar Lingua (1525), dove veniva fissato una volta per tutte un canone dell’italiano in Petrarca e Boccaccio, trascorse due anni a Messina. Nel 1492 infatti si recò da Napoli nella città peloritana per studiare il greco alla scuola di Costantino Làscaris. All’epoca risale l’elaborazione dello scritto latino De Aetna dedicato alle impressioni ricavate dall’esplorazione del vulcano.

“ Decidemmo allora di andare a visitare l’Etna, e in tal modo, mentre ci saremmo presi un poco di distrazione, come dovevamo pur fare quantunque occupatissimi, avremmo conosciuto, anche godendo una vacanza, un così grande prodigio di natura. Quindi presi da alcuni simpatici compagni, che ci dovevano fare da guida, partimmo da Messina viaggiando a cavallo. A sinistra si vede subito comparire Reggio e la campagna Calabrese, al di là di un braccio di mare dapprima breve, poi via via più largo poiché dallo stretto si passa a poco a poco al mare aperto. Da dentro ci sovrasta una linea continua di colli, una zona tutta abbondantissima dei doni di Bacco”    (De Aetna, Pietro Bembo)

Il contributo di Messina alla questione della lingua non si esaurisce qui. Il dialetto messinese trova riscontro in alcuni documenti eccezionali. Al 1647 risale un galateo in latino maccheronico, il poemetto Cittadinus maccaronice metrificatus, di autore ignoto composto sotto lo pseudonimo di Partenio Zanclaio. Più avanti, nel ‘700, incontriamo il nome di Pippo Romeo, accademico dei Pericolanti, che ne I pregi dell’ignoranza difende il l’uso dialettale contro la “moda” del parlare italiano. È del secolo scorso un romanzo di mole mastodontica, l’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, scrittore nato ad Alì Terme, la cui stesura richiese un travagliato lavoro durato all’incirca 20 anni. L’opera è uno dei più interessanti e complessi casi di postmoderno della letteratura italiana. La lingua usata dall’autore è un rebus inestricabile che fonda una lingua del tutto nuova e personalissima innestata su una base dialettale.

Eulalia Cambria

Si ringrazia il Prof. Fabio Ruggiano del DICAM per la gentilezza e i consigli. Ricordiamo, per chi avesse dei quesiti da sciogliere su questioni particolari legate all’uso della lingua italiana, che è attiva la piattaforma DICO dell’Università di Messina: http://www.dico.unime.it/