Un anno per un giorno, Massimo Bisotti

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“Io ti dico che è possibile, ma tu non farmi altre domande, perché a tutto il resto non posso risponderti. Queste sono apparentemente delle semplici bolle di sapone ma servono a riportarti dove vuoi. Potrai tornare a riscattare un giorno della tua vita passata, dando un anno della tua vita attuale. Un anno per un giorno.”

Massimo Bisotti, Un anno per un giorno. Romanzo uscito il 10 Maggio 2016 in tutte le librerie, ancora un romanzo da scoprire, da vivere. Un romanzo sui temi fondamentali della vita: il tempo, il caso o il destino, il vero amore, la famiglia, l’amicizia. Ambientato tra Parigi e Napoli, città a cui Bisotti ridà la loro naturale bellezza mai invecchiata, mai toccata dal tempo.

Alex Gioia, famoso cantante italiano, vive tormentato dal rimorso di non aver potuto vivere la sua storia d’amore con Greta, una ragazza più giovane di lui, conosciuta durante un evento a Napoli. Da qualche tempo Alex si è trasferito a Parigi per vivere in una città in cui non lo conosce nessuno, per ritrovare la sua ispirazione perduta. In metrò, per giorni, osserva una donna che scende ogni giorno a una fermata diversa, con persone diverse, facendo delle bolle di sapone. Ne resta affascinato, così la ferma per parlarle, conoscerla, e allora Nirvana, così si chiama, gli offre un tubo magico di bolle di sapone grazie al quale ogni volta che lo desidererà potrà tornare nel passato e rivivere un ricordo, magari cambiarlo. Ma ogni tentativo ha un prezzo: per ogni viaggio dovrà dare un anno della sua vita. Un anno per un giorno.

È così che Alex ci prova, ci prova sapendo che non si può vincere una battaglia contro il tempo, non si può cambiare il corso degli eventi senza avere una ripercussione sull’attuale vita, perché ogni avvenimento ci rende le persone che siamo. A nessuno viene data la possibilità di cambiare il passato e, forse, è meglio così; ci viene data, però, la possibilità di rivalutare l’importanza di ciò che abbiamo, il suo valore, il suo peso, per capire cosa siamo disposti a perdere e cosa a tenere.

“Fra quel che dici e ciò che pensi davvero, fra quel che dici e quel che provi in realtà, ci passa una strada, una strada parallela a questa vita. Se percorressimo quella, ci incontreremmo ancora. Basta davvero un attimo per perdersi, poi ci resta il resto di una vita per mancarsi sempre e non riuscire a ritrovarsi più.”

Consigliato a chi non riesce a perdonarsi una perdita, ma nonostante tutto non perde la forza di andare avanti, a chi ha il coraggio di perdersi per ritrovarsi.

Serena Votano

Legends of tomorrow. Una scommessa vinta !

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Siete amanti delle serie sui supereroi ma avete già esaurito tutte le stagioni di Arrow e The Flash? Ecco, Legends of tomorrow è proprio quello che fa per voi.

Questa serie, i cui protagonisti sono tratti da eroi secondari e villains delle due serie sopracitate, è partita come una sfida, in quanto, essendo ben otto i protagonisti, si rischiava di fare molta confusione e di non riuscire a ottenere l’interesse del pubblico. Eppure, sebbene con alti e bassi, questo mito è stato sfatato tanto che la serie sarà riconfermata per una seconda stagione.

Ma andiamo un po’ a conoscere chi sono questi eroi, anzi queste “leggende”. Sara Lance/White Canary, l’emblema  dell’anti-eroina, combattuta tra la sua sete di sangue ed il desiderio di aiutare il prossimo; Ray Palmer/Atom, geniale scienziato desideroso di avere un nome in questo mondo; Kendra Suanders&Carter Hall/Hawkgirl&Hawkman, due antichi amanti con un leggero problema con la reincarnazione (starete a vedere!); Martin Stein e Jefferson Jackson, i due componenti di Firestorm spesso in conflitto per la loro differenza d’età e infine, a mio avviso i più adorabili; Leonard Start&Mick Rory/Capitan Cold&Heat Wave due astuti criminali che scopriranno il loro lato eroico. Questo gruppo eterogeneo di supereroi è stato reclutato da Rip Hunter, signore del tempo, per viaggiare attraverso varie epoche e impedire al tiranno Vandal Savage di radere al suolo l’intera umanità .

Legends of Tomorrow, piace proprio perché sdogana il classico concetto di eroe, protagonista assoluto ed invincibile , dando spazio anche al lato comico e al lato umano di questi otto personaggi, di cui seguirete i dubbi, le paure, lo spirito di sacrificio e la conseguente crescita nel corso della stagione. È un serie consigliata a un pubblico medio, che vuole vedere scene d’azione ben realizzate ma che non disdegna nemmeno la parte sentimentale.
E voi quale leggenda sceglierete?

Edvige Attivissimo

Civil War, tutto il dolore per un’amicizia distrutta… e Spiderman

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Succede, spesso, che due persone abbiano un incomprensione. Si può litigare, urlare, allontanarsi e nei casi più estremi arrivare alle mani. I motivi per litigare possono essere molteplici: cause esterne alla coppia, cause interne, incomprensioni o fraintendimenti.  Se sei un supereroe con la capacità di distruggere tutto e litighi con un altro supereroe che ha la stessa capacità, beh forse non finirà proprio bene. Sicuramente, sia per quanto riguarda i supereroi che per quanto riguarda le persone normali, tornare ad essere “amici come prima” è dura. Una cosa è sicura: da un litigio si può o uscirne più forti o non uscirne mai.

Captain America: Civil War si presenta proprio così. Un grosso litigio, una grossa incomprensione che non si sa come andrà a finire. Il film, che dovrebbe rappresentare il terzo della saga di Captain America, risulta essere un sequel dei film degli Avengers. I protagonisti assoluti sono Captain America e Iron Man ma il team degli Avengers è quasi al completo. Questo perché non ci troviamo semplicemente all’ennesimo sequel, ma al primo film che inaugura ufficialmente la terza fase cinematografica del Marvel Cinematic Universe. Infatti gli studios, di proprietà della Disney, ci hanno abituato nel corso degli anni a seguire con ansia tutti i film in uscita in quanto tutti collegati tra loro. Una grande scelta di marketing.

Proprio a proposito del marketing di casa Marvel quello che ha preceduto il film parlava piuttosto chiaro: #teamcap o #teamironman, tu da che parte stai? L’intento è stato subito quello di far schierare il pubblico. Sì, proprio come se tu fossi l’amico di una coppia che sta per disfarsi e sei tenuto a scegliere da che parte stare. Questa idea è stata assolutamente vincente facendo scatenare sul web le due fazioni contro, come se si stesse veramente combattendo una guerra civile. Però, fra tutte le guerre, questo tipo di contesa è quella che lascia di più l’amaro in bocca. Siamo sempre stati abituati a vedere i film con i supereroi che combattono il male. Nella guerra civile il male è difficile da identificare, quasi non c’è. Quando vedi due amici che lottano fino alla morte quello che desideri con tutto il cuore è che smettano di lottare e che torni tutto come prima. Ma non torna mai tutto come prima. Ripeto: ottima scelta di marketing, Marvel. Ci troviamo, così, inermi davanti a questa lotta. Le fazioni si sfaldano. Chi tifava per Iron Man o chi tifava per Captain America non ha più importanza: ci importa che tutto finisca.

Non si rimane indifferenti ad un film del genere. Rimaniamo travolti da una trama che prende così una svolta inaspettata e grazie anche al consolidamento e all’introduzione di nuovi personaggi. Molto convincente Black Panther che nel corso della pellicola sembra essere l’ago della bilancia della situazione. Per non parlare dell’entrata in scena mozzafiato. Però c’è da dire che tutti gli occhi erano puntati sul nuovo Spider-Man. Tom Holland, che interpreta il “bimbo-ragno”, si è dimostrato perfetto per la parte. In tutte le scene in cui è presente riesce a strappare un sorriso. È divertentissimo. Bello (magari da approfondire nel film di Spiderman che uscirà nel 2017) il rapporto con Tony Stark che diventa per lui come una figura paterna. Il loro primo incontro ci dà da subito l’impressione che con loro due non ci annoieremo facilmente anche grazie al grande feeling che sembrano avere Tom Holland e Robert Downey Jr.

Per i fan Marvel questo film rappresenta una spaccatura non da poco. I film che seguiranno saranno sicuramente molto interessanti. Ancora una volta la Marvel è riuscita a darci un valido motivo per continuare a guardare i suoi prodotti. Questo rende MOLTO felici loro ma anche a noi non dispiace.

Nicola Ripepi

“Fai bei sogni” di Massimo Gramellini

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“ Preferiamo ignorarla, la verità. Per non soffrire. Per non guarire. Perché altrimenti diventeremmo quello che abbiamo paura di essere: completamente vivi.”

Il pensiero della morte è uno di quei fardelli che ci portiamo dietro per tutta la vita. Si cerca sempre di relegarla nel più profondo dei nostri cassetti del cuore, si prova a nasconderla sotto una pila di avvenimenti ed emozioni vissute. Più volte tentiamo di esorcizzarla purificandoci con una serie di riti di fede. Ma lei è sempre lì, pronta a venir fuori dalla sua prigione dell’anima, per segnare alcuni dei momenti più tragici e difficili della nostra vita lasciando cicatrici che difficilmente vanno via.

La storia di Massimo, narrata in prima persona in questo romanzo autobiografico, inizia proprio alla fine di quella della sua amata madre. È la mattina del 31 Dicembre 1969  e i suoi sogni da bambino innocente di nove anni sono interrotti bruscamente dall’urlo del padre che è appena venuto a conoscenza della morte della moglie, la mamma del fanciullo che osserva sgomento la scena dalla porta della sua cameretta, ancora intontito dalla quantità di informazioni, miste ai postumi della dormita, che gli stanno pervenendo.

Questo avvenimento segnerà un repentino cambiamento nella vita del giovane torinese, che alternerà momenti di solitudine e moderata autocommiserazione, a momenti di tenui gioie donategli dai brevi amori giovanili, dalla scrittura e dalla sua squadra del cuore, il Torino.

La storia è narrata in maniera lineare, attraverso un lungo flashback che si interrompe negli ultimi capitoli, con forti spunti ironici che accompagnano tutte le fasi della vita del protagonista: dagli anni delle scuole medie passati a difendersi dai bulli e a rinnegare la morte della madre, al periodo Universitario, in cui il demone della sua infanzia, che lo scrittore denomina Belfagor, lo priva di emozioni,  passioni e sentimenti per evitargli ulteriori delusioni che la vita potrebbe propinargli; fino ai primi anni da giornalista e inviato vissuti nel limbo tra amore e frustrazione, gioie e delusioni.

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“Camminavo sulle punte e le guardavo di continuo, perché non ero capace di alzare gli occhi al cielo. Avevo le mie ragioni. Il cielo mi faceva paura. E anche la terra.”

Il rapporto con il padre sarà un nodo cruciale nella storia, caratterizzato da pallidi momenti di vicinanza e brusche liti che porteranno più volte lo scrittore a sferrare decise staffilate nei confronti dell’autoritario genitore. Il tutto si risolverà nelle pagine finali in cui Massimo, ormai grande, riceverà una busta sigillata da quarant’anni nella quale si nasconde il più sconcertante dei segreti che lascerà ogni lettore stupefatto.

Con questo libro, Massimo Gramellini, ci apre le porte più remote della sua anima e ci permette di toccare con mano le ferite che gli sono state inferte, ma anche di vivere i numerosi successi che la  vita gli ha riservato, tutto in maniera semplice e ironica, ma allo stesso tempo profonda e diretta al cuore.

È una lettura consigliata per tutti coloro che, nonostante la scomparsa di un qualcosa o un qualcuno a loro caro, hanno il coraggio di andare avanti e di combattere i propri demoni interiori, proprio come Massimo con Belfagor. Ma è anche un libro per tutti coloro che hanno perso la speranza nella vita, affinché possano riprendere a guardare il cielo tenendo i piedi ben saldi a terra.

Giorgio Muzzupappa

Brancaccio – Storie di Mafia Quotidiana

  “Carme’, tu ci sei mai stato in treno?”
“E per andarmene dove?  C’è qualche posto meglio di Palermo?”
Brancaccio è lo sfondo e l’involucro avvolgente di molte storie. Così come delle vite che al suo interno si incrociano. E’ un luogo stantio e sospeso, separato apparentemente dal resto del mondo, dove gli eventi si ripetono seguendo ciascuno il medesimo corso circolare in un’atavica perpetua immobilità. Di recente la Bao Publishing ha curato questa nuova edizione del fumetto, uscita nelle librerie nel mese di febbraio. Al soggetto scritto da Giovanni di Gregorio che ha ottenuto nel 2007, all’epoca della prima pubblicazione, il riconoscimento Attilio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura di un romanzo grafico e il premio Carlo Boscarato, si è aggiunta un’inedita appendice illustrata a colori di Claudio Stassi e una nuova copertina.
Entrambi gli autori, affermati e di fama internazionale, sono nati a Palermo, e già nelle dediche di apertura mettono nero su bianco quel plumbeo senso di nostalgia e di rassegnazione di chi ama la propria terra ma è costretto a lasciarla. Lo stesso destino che in un altro contesto, quello proprio del fumetto e della Palermo della metà degli anni ’90, Nino, l’adolescente protagonista delle illustrazioni, interpreta attraverso il desiderio di partire con il treno che di notte porta nel continente. La fuga verso un futuro diverso e migliore è solo uno degli aspetti che formano l’intreccio delle piccole storie quotidiane che agitano Brancaccio, il quartiere industriale che Pino Puglisi aveva sottratto alla mafia e fatto rivivere grazie alla forza comunicativa delle sue parole prima di venire assassinato nel settembre del 1993. Ma, se la mafia uccide, lo fa anche senza pallottole o bombe: “basta far finta che non ci sia”.
L’esigenza urgente di parlare e raccontare, come Rita Borsellino sottolinea nella prefazione, è la causa che ancora oggi portano avanti Libera, Addio Pizzo ed altre realtà e associazioni che operano nei quartieri della città per contrastare la mentalità mafiosa e interrompere l’immobilità che storie come quelle narrate rappresentano. La  capacità del fumetto di rivolgersi soprattutto ai giovani è interprete efficace di questa esigenza. Le linee dei disegni tracciano con nettezza, come i limiti della ferrovia, i confini di un quartiere schiacciato dalla misera e dalle pieghe dell’omertà: le moto rubate e rivendute nelle officine, le lotte dei cani cresciuti con le bastonate perché imparino ad attaccare, la malasanità e la corruzione negli ospedali, l’acqua che manca per giorni interi, i favoritismi e le mazzette. Dall’altra parte la rivalsa del doposcuola e le figure eroiche che in questa Palermo si incontrano, unite da un filo che le congiunge, ma che finisce per travolgerle:  Nino appunto, un venditore ambulante di panelle, e Angelina.
Il cambiamento può avvenire se non si rinuncia a gridare a gran voce. E ciò vale da sempre per Brancaccio e oltre Brancaccio, come nel titolo della prefazione. Il fumetto è un viaggio intenso e doloroso attraverso i chiaroscuri dei disegni di luoghi che ci sono familiari. E’ un romanzo disegnato che ha ottenuto un ampio consenso da parte dei lettori già nella prima edizione, e che in questa nuova veste torna a parlare di sé, senza smettere di parlare agli altri.
              
  Eulalia Cambria           

Recensione “Un Bacio” di Ivan Cotroneo

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Siamo in un piccola cittadina del Nord, precisamente ad Udine, lo sfondo è una scuola che sembra una fabbrica. Arriva un uragano di colori sgargianti : Lorenzo.
 
Lorenzo è un ragazzo rimasto orfano che viene adottato da una coppia piena di buone intenzioni e, a differenza del contesto, accetta la diversità. Lorenzo è estroverso, simpatico, sicuro di sé e della sua omosessualità. Il mondo ostile che lo circonda non intacca la sua fantasia e solarità.
 
Fa amicizia con Blu, una ragazza che tutti odiano e definiscono una facile e con Antonio, un ragazzo taciturno e giocatore di basket che quotidianamente fa i conti con la morte del fratello. I tre emarginati grazie all’amicizia vivranno esperienze uniche, se non entrassero poi in gioco i meccanismi dell’attrazione e della paura del giudizio altrui.
 
Ivan Cotroneo oltre a essere il regista è anche lo sceneggiatore (il film è infatti tratto dal suo omonimo racconto uscito nel 2010) e ha dato nuovamente prova della sua bravura (v. "La kryptonite nella borsa") narrando chiaramente, e anche con l'ironia di alcuni passaggi, le vicende di omofobia e bullismo che spesso accadono nelle scuole e nei sentimenti degli adolescenti.
 
I protagonisti sono tutti e tre ragazzi alla prima esperienza cinematografica e hanno dato prova di avere la stoffa per continuare egregiamente in questo settore.
La colonna sonora è composta volutamente da soli brani musicali, di cui uno appositamente prodotto per questa opera : To the wonders degli STAGS. Poi abbiamo Hurts di Mika, con il quale i ragazzi hanno girato proprio il video della canzone.
E’ un film sulle prime volte, sulla adolescenza, sui problemi che tutti abbiamo affrontato o che ci hanno semplicemente sfiorato.
Sulla accettazione di se stessi prima dell’altro perché spesso ciò che più difficile è guardare dentro di sé ed accettarsi, anzi, per dirla con una strofa della canzone che Lorenzo cita spesso “Don’t hide yourself in regret/ Just love yourself and you’re set/ I’m on the right track baby/ I was born this way” (Born this way – Lady Gaga).

Mi piace definire questi tre personaggi come i tre moschettieri dell’amicizia, come ripete Blu nel film: “l’amicizia ti salva” ; infatti non ci sarà mai nessuno che potrà capirti e coinvolgerti come un vero amico. Come l’amicizia, questo film si infiltra nel nostro cuore e ci soddisfa pienamente.
 

Arianna De Arcangelis

Recensione del libro “Noi siamo Infinito” (Ragazzo da Parete)

Vi è mai capitato di incontrare uno sconosciuto, magari sul treno o alla fermata dell’autobus, e di raccontargli cose che magari non raccontereste nemmeno al vostro migliore amico? Non è più facile parlare con qualcuno che sapete non rincontrerete più?
Charlie, protagonista di Noi Siamo Infinito, affida pensieri e racconti di vita quotidiana, attraverso un serie di lettere, a qualcuno di cui aveva sentito “parlare bene”.
 
Ragazzo da Parete (The perks of being a wallflower, titolo originale), divenuto Noi Siamo Infinito dopo il successo del film, è un romanzo epistolare scritto da Stephen Chbosky e pubblicato nel 1999, che narra, in prima persona, le vicende di Charlie (pseudonimo usato nelle lettere dal protagonista  per non farsi riconoscere) che si affaccia allo spaventoso mondo liceale, ambientato tra il 1991 e 1992.
 
Il titolo “Ragazzo da Parete” (wallflower) si rifà allo stesso Charlie, quel ragazzo che ad una festa non si scatena in pista, ma sta appoggiato ad una parete, scrutando il mondo. Vedremo attraverso i suoi occhi, ascolteremo attraverso le sue orecchie, proveremo i sentimenti  che lui prova nel susseguirsi delle lettere, perchè Charlie non è un tipo che parla, ma che guarda, ascolta e pensa, tanto.
Il linguaggio è semplice, la lettura è scorrevole. Inizieremo a leggere la lettera del 25 Agosto 1991 (la prima), e senza rendercene conto, tra colpi di scena, pianti e risate, ci ritroveremo a quella del 25 Agosto 1992 (l’ultima).
 
Verranno affrontati temi delicati (sesso, droga, omosessualità, suicidio), ma quasi non ce ne accorgeremo, perchè Ragazzo da Parete è scritto con l’ingenuità e l’intelligenza di quel ragazzo sedicenne che sa pensare e capire.
 
Marta Picciotto

Recensione “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” di Enza Negroni

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Sono passati appena vent’anni dall’uscita nelle sale di “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, film tratto dall’omonimo romanzo di Enrico Brizzi. La vicenda riprende la storia realmente accaduta dell’abbandono del noto gruppo musicale Red Hot Chili Peppers da parte del chitarrista John Frusciante, con una revisione tutta italiana.

La pellicola si apre su quattro ragazzi che, durante la notte, si intrufolano in una proprietà privata per poter fare un bagno notturno in una piscina. Fra una chiacchierata e l’altra, i quattro si interrogano sulla particolare esperienza che un loro amico, Alex, ha recentemente subito e sul suo relativo cambiamento caratteriale, guardando la sua storia a ritroso per poter analizzare meglio la vicenda. Così facciamo la conoscenza di Alex (Stefano Accorsi) un ragazzo al penultimo anno di liceo appassionato di musica e bassista di un gruppo musicale fondato con i suoi amici. Tornando a casa, subito dopo aver intrattenuto una brevissima conversazione con i suoi genitori (intenti a guardare Nightmare), riceve una telefonata da una certa Adelaide (Violante Placido) chiamata Aidi, al quale propone di vedersi subito dopo per passare un po’ di tempo insieme. Fra varie prove con la band e i molti incontri con Aidi, Alex sembra essere felice. Forte di ciò, il nostro protagonista decide di dare un “senso” al suo rapporto con la ragazza, mettendo in chiaro ciò che prova per lei. Aidi, benché provi un forte sentimento per Alex, decide di chiedere al ragazzo di poter restare solo dei semplici amici con un forte legame, affermando che finora non ne aveva mai avuto uno così forte e preferiva capire che cosa stesse provando. In realtà, Aidi cercherà solo di prendere tempo poiché vi è la possibilità che si trasferisca in America per un po’ di tempo e il rischio di cancellare ciò che è successo con Alex e di farlo soffrire. Questa decisione non viene presa bene dal giovane che interrompe perfino il rapporto di amicizia con Adelaide fino al punto di non salutarsi più quando si incontrano. Tutto ciò lo porterà a fare la conoscenza di Martino (Alessandro Zamattio) che, a detta degli amici di Alex, non avrebbe mai voluto come amico in circostanze normali.

Il film, datato 4 aprile 1996, è interamente ambientato a Bologna (lo si vede e, soprattutto, lo si sente) cercando di concentrarsi sul periodo tardo-adolescenziale di Alex. Il tentativo è quello di voler rappresentare una generazione giovane con i tipici “problemi” di questa età, ma purtroppo non riesce a farlo senza cadere nei classici stereotipi. Tuttavia è da evidenziare la leggerezza dei temi trattati, nonostante alcuni di essi siano abbastanza importanti, senza cadere sul classico “oscuro e duro” al quale, ultimamente, siamo molto abituati a vedere in film di questo genere. In generale il film risulta piacevole, anche se alcune scene o addirittura intere parti potevano essere evitate o modificate. La recitazione non eccelle, ma vi è da considerare che ai tempi furono scelti attori quasi sconosciuti e provenienti dalla stessa Bologna. Sicuramente è un film che si avvicina maggiormente alla generazione precedente che a quella attuale, ma non è difficile trovarne un riscontro in alcune parti. Il lavoro primario che la pellicola svolge è sicuramente l’introspezione psicologica dei personaggi, molto spesso sovrastando la storia e ponendola in secondo piano, ma ciò non è necessariamente un male.

Il film avrà anche spento la sua ventesima candelina, ma anche se marginalmente, indubbiamente ha ancora il suo ruolo e il suo perché in una cinematografia italiana e in una evoluzione generazionale che è ancora in corso.
                                                                                                                                                           
Giuseppe Maimone
 
 

Regina Rossa: il perfetto ibrido?

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Regina Rossa (Red Queen è il titolo originale), è il primo romanzo di una saga d’esordio di una giovane ragazza americana: Victoria Aveyard. E’ entrato tra i best seller del New York Times e forse diventerà un film. L’autrice stessa ha studiato sceneggiatura e la sua scrittura risente di questa impronta “cinematografica”.

La storia è incentrata su Mare, una diciassettenne che abita in un mondo diviso dal colore del sangue tra Rossi e Argentei. Lei fa parte dei primi, ovvero della povera gente al servizio dei secondi che inoltre sono dotati di poteri sovrannaturali. Mare non ha prospettive sul futuro  finché un giorno si ritrova al palazzo reale dove, involontariamente, mostra e scopre un potere sovrannaturale che gli Argentei non posseggono. Questo sembra impossibile, infatti Mare sembra l’eccezione che potrebbe mettere in discussione l’intero sistema sociale del suo mondo. Così il re, per evitare che la notizia trapeli, la costringe a fingersi una principessa Argentea e la promette in sposa al suo secondo figlio. Mare si ritrova in mezzo alle dinamiche del palazzo ma allo stesso tempo vuole aiutare i ribelli Rossi. Ma in questo mondo chiunque può tradire chiunque e niente è come sembra.

Per metà del romanzo, il ritmo è molto lento, ricco di pensieri (anche ripetitivi) della protagonista e di descrizioni dei luoghi. Nonostante ciò il linguaggio non diventa mai ricercato, anzi è molto chiaro e spinge a proseguire la lettura. Dal punto di svolta in poi il ritmo accelera, condito dalla giusta dose di colpi di scena che invogliano a divorare il resto del libro nel minor tempo possibile.

Il punto negativo del romanzo è prevalentemente lo stile di scrittura un po’ acerbo dell’autrice. Disturbano la ripetizione di certi concetti e pensieri, inoltre i nomi dei luoghi e dei poteri degli argentei non sono affatto originali (non si sa se questo sia colpa del traduttore o meno).

I punti di forza del romanzo, invece, sono: la forza e la credibilità dei personaggi e dei dialoghi, la coerenza della storia in generale, lo sviluppo della trama e i colpi di scena.

Ma, dopo la lettura di Regina Rossa, cosa possiamo dire di aver letto? E’ un distopico o un fantasy? E se è un fantasy, è ambientato in un futuro, un mondo parallelo o un mondo medievaleggiante? O forse è un romanzo di supereroi stile x-men? Per questi dubbi, secondo me “l’ibrido” in questa storia non è solo Mare (sangue Rosso, poteri Argentei), ma è la storia stessa. Ibrido non solo per quanto riguarda il genere, ma anche per quanto riguarda i contenuti. Infatti, sia i personaggi che le ambientazioni sembrano essere stati presi qua e là da altri romanzi, fumetti o film. Se cerchiamo solo una lettura che intrattenga e che tenga incollati alle pagine, Regina Rossa è il romanzo perfetto. Se cerchiamo invece originalità della storia e una scrittura davvero a regola d’arte, Regina Rossa non è il romanzo che fa per noi.

Noemi Villari

Manuale di sopravvivenza dell’attore non protagonista

Esistono nel cinema come nel teatro e specialmente nella fiction in Italia svariate rappresentazioni dei modi di intendere il successo. Una di queste si allontana dall’immagine di popolarità a cui istituzionalmente la parola si lega per definire ed accostarsi a un ruolo considerato inevitabilmente defilato e marginale: quello del personaggio secondario, del comprimario, o meglio ancora del non protagonista. La lunghissima sequenza di esperienze maturate attraverso i teatri e i set su e giù per la penisola e all’estero, gli spettacoli e le brevi pose intervallate con poco stacco in città diverse, gli infiniti chilometri macinati in una sola notte, e nel complesso l’infaticabile gavetta che porta avanti l’attore nel suo tentativo di affermarsi, sono raccolti e raccontati con grande efficacia e freschezza narrativa secondo un punto di vista personale che è non unicamente un’autobiografia. Le stesse strade che percorre l’attore sono oggi quasi sempre segnate dalle scorrettezze di un sistema che come la serie tv Boris declamava, sacrifica la qualità. E come in Boris dove Ninni Bruschetta, attore di cinema (I cento passi, Mio fratello è figlio unico, La mafia uccide solo d’estate, L’uomo in più, Quo vado?, tra gli altri), sceneggiatore e registra teatrale messinese, nonché per un periodo direttore artistico del Teatro Vittorio Emanuele, interpreta il ruolo di Duccio, questo Manuale di sopravvivenza è una chiave per guardare e comprendere il dietro le quinte dello spettacolo e il suo lato oscuro e le sue meraviglie, senza rivolgersi, a dispetto del titolo, esclusivamente agli addetti ai lavori.

Il terreno privilegiato in cui si muove l’attore non protagonista è, come dicevamo, la fiction. A questa è dedicata un’ampia parte del libro. “Nella fiction c’è una grande confusione dell’atto creativo e si tende ad affermare una certa mentalità industriale che pone il “prodotto” quando non “l’operazione”, ben più in vista del racconto. In questo modo quella che noi chiamiamo l’urgenza artistica, la necessità di raccontare una storia o di creare un’opera non proviene da un artista o semplicemente da un narratore, ma piuttosto da un presunto gusto del pubblico. Gli ideatori delle fiction infatti sono convinti di saper individuare non so grazie a quale talento intuitivo, le esigenze del pubblico. Che senso può avere pensare di poter intuire il gusto del pubblico? Si fa molto prima a fare un bel film”. Con una dichiarazione ironica ma realistica Ninni Bruschetta afferma che il vero autore della fiction è il funzionario di rete. All’interno di questo mercato edulcorato, invecchiato e bigotto, ancorato su privilegi e disposizioni indirizzate dall’alto, pare esserci spazio soltanto per la figura del protagonista bello e vincente (sempre lo stesso) addosso al quale viene cucita la vicenda, che quindi si sviluppa senza estro a partire dall’attore e dal suo personaggio anziché dall’idea.

E’ da questo meccanismo che il bravo attore che si definisce sagacemente non protagonista prende le distanze, allo stesso tempo affermando la sua volontà di porsi come fautore di un cambiamento di rotta nel sistema dello spettacolo. Ancora una volta riferendosi a Boris Ninni Bruschetta fa notare come il successo sia stato trasversale ad ogni classe sociale e efficace e continuo nel tempo grazie al web. L’opera di qualità non è, insiste a sottolineare, un prodotto di nicchia, e il non protagonista può rappresentare un punto di frattura con la sua umiltà e la fiducia nei propri mezzi: “Dal momento che tutti vogliono essere protagonisti, essere dichiaratamente non protagonisti finisce per diventare un privilegio”.

Eulalia Cambria