Bukowski la cui <> fa rima con libertà.

Factotum, romanzo che rivelò Bukowski al pubblico italiano, ma soprattutto un romanzo on the road dove Henry Chinaski, alter ego dell’autore, è il protagonista.

Un factotum, appunto, un tuttofare che passa indifferentemente da un mestiere all’altro per permettersi da vivere e da bere, attraversa l’America vivendo alla giornata, affidandosi al caso e a quel destino fatto di lavori manuali, sesso e sbornie quotidiane.

Era vero che non avevo grandi ambizioni, ma doveva pur esserci un posto per gente senza ambizione, voglio dire, un posto migliore di quelli che mi capitavano di solito.”

Un’ agenzia di distribuzione riviste, una redazione di un giornale, un magazzino di pezzi di ricambio per auto, una fabbrica di biscotti per cani, un negozio di abbigliamento, un ufficio spedizioni, un magazzino di biciclette, una ditta di impianti di luce al neon, un’ altra specializzata in articoli natalizi, un albergo.

Così disgustato dalla vita, da ciò che un essere umano deve fare per mangiare, dormire e permettersi qualche straccio. Non sopporta chi gli sta intorno, i lavori ripugnanti che ha svolto, le ripetute segnalazioni per ubriachezza molesta. Proprio non riesce a capire come possa essere divertente alzarsi alle sei di mattina, saltare giù dal letto, mangiare qualcosa controvoglia, andare in bagno, buttarsi nel traffico per raggiungere un posto dove si fanno i soldi per conto di qualcun altro.

Nonostante l’ assenza di una trama e la fastidiosa sensazione che niente possa cambiare né in Chinaski né tantomeno nelle persone che lo circondano, non si può non catturare un significato più profondo e non restare colpiti dalle rare ma coinvolgenti perle di saggezza senza filtri, senza regole.

Questione di fegato. Chissà come stava il mio fegato.”

Un testo sbronzo di solitudine, consapevole di non dover essere riempita con chiunque, una solitudine amata e che basta a se stessa.

Consigliato a chi vuole approcciarsi a un testo alla Kerouac, un inno alla non omologazione a tutti i costi in una società che spinge sempre più alla perdita della propria individualità.

Serena Votano

Adesso di Chiara Gamberale

Tanto ormai è successo.
E quando?
Adesso.

Chiara Gamberale, in Adesso, affronta lo stesso tema che da anni la letteratura cerca di interpretare, scoprire, sviscerare: l’amore

Ma l’amore non è più quello adolescenziale delle attese sul motorino fuori scuola, i primi messaggi, le prime gite al mare, i primi mesi, no … l’amore inteso più come un mal d’amore, che ti forma ma ti deforma, che guarisce le tue ferite ma ti frantuma il cuore e da quel momento finirai per spezzare il cuore a chiunque proverà ad aggiustare il tuo (sempre che le tue ferite non ti abbiano resa troppo menefreghista per lasciarti andare con una persona nuova), perché a quel punto sarai destinata a incontrare solo persone che non ti capiscono, e perciò ti trovano irresistibile, o persone che ti capiscono e che per questo si allontanano.

E adesso? Adesso Lidia e Pietro, una neo-coppia con retaggi di un passato irrisolto, relazioni interrotte, paure stupide,  traumi giovanili, fame d’ amore contrastata da un impetuoso ed irrefrenabile desiderio di fuga oltre a figure ingombranti riemerse o mai scomparse dal proprio cammino.

La loro, in fondo, sarebbe una semplice storia d’ amore, se non subentrassero a complicarla maledettamente quei fantasmi di un passato che ritorna e di un destino che appare segnato.
Lidia e Pietro sono profondamente diversi. Lei lavora nel mondo dello spettacolo, e’ vulcanica, estroversa, logorroica, vive intensamente ogni storia,senza figli, ma un ex marito bambino mai cresciuto, tuttora presente ed incalzante, da cui è stata più volte tradita. Lui è un preside, serio, compito, di poche parole, tende a sottrarsi agli affetti più cari, ha una figlia adorabile ed una ex moglie con neo-vocazione monacale.
Entrambi hanno sofferto di perdite, assenze genitoriali, affetti negati e si incontrano, quasi per caso, come la maggior parte delle neo-coppie, iniziando una relazione specchio del proprio tormentato essere e di quella paura di amare e di perdersi che li trattiene da sempre.

Arriva un momento, per ognuno di noi, dopo il quale niente sarà più uguale: quel momento è “adesso”.”

Chiara Gamberale scava nelle emozioni armata di un bisturi, mettendo il nostro cuore sotto i riflettori della coscienza, descrivendo una generazione cresciuta solo anagraficamente, ancora figli quando la realtà li vorrebbe madri e padri, ancora così impauriti dai sentimenti abituati a un regime di indifferenza di fronte alle proprie emozioni, un meccanismo di difesa che le delusioni passate hanno eretto.

Ma proprio in una giornata come le altre, in cui non ti chiedi più se succederà qualcosa, ecco quella cosa speciale che succede proprio a te.

È un testo dallo stile per niente impegnativo, forse una narrazione confusa nella prima parte ma alleggerita da mail, sms, addirittura un curriculum sentimentale (che forse tutti dovremmo avere, così per facilitare un po’ tutto) , con curiosi e divertenti coprotagonisti che, con le loro storie, si intrecciano alla storia principale.

Non è prima di una vecchiaia dolce e non è dopo un’infanzia tremenda, non è prima di niente e dopo di niente, è solo adesso, dopo il dolore, prima del dolore, finalmente è adesso, un momento in cui rimanere mentre c’è, senza fuggire, perché è una fuga in sé, senza sperare, perché è in sé una speranza, io? Tu, no no, sì sì, non sono pronto, nessuno lo è.”

Serena Votano

Cent’anni di solitudine

Cent’anni di solitudine”, Premio Nobel  di Gabriel Garcia Marquez, è la storia della famiglia Buendia dalla fondazione di Macondo alla sua evoluzione.
Le pergamene di Melquiades profetizzano la stirpe dei Buendia, ma nessun componente della famiglia è in grado di tradurne il contenuto.

Erano le ultime cose che rimanevano di un passato il cui annichilimento non si consumava , perché continuava ad annichilarsi indefinitamente, consumandosi dentro se stesso, terminandosi in ogni minuto ma senza terminare di terminarsi mai.”

Un secolo di vita della stirpe dei Buendia viene raccontato tramite singoli avvenimenti che, sebbene svoltisi in un lungo periodo di tempo sembrano coesistere in un solo attimo, in una Macondo in cui il tempo sembra girare in tondo senza portare alcuna novità o miglioria. È Jose Arcadio Buendia a dare origine a tutto ciò, sposandosi con Ursula Iguaràn. La loro stirpe sarà lunga e ricca di avventure e mille dispiaceri, tra la morte dei figli prima dei genitori, guerre e delusioni amorose.

Il lettore viene condotto in un universo a sè, in un’opera tutta umana e raffigurante come un dipinto la condizione dell’essere su una terra aspra che sembra respingere ogni vita. Marquez è il massimo esponente di quello che viene definito “realismo magico“, ed infatti l’elemento magico (sotto forma di fantasmi, presenze e superstizioni) è fortemente presente nel romanzo in questione ed è ciò che poi caratterizza tutti gli avvenimenti.

Straordinaria la capacità di Marquez di fare della linea temporale un filo di lana da arrotolare e srotolare sulle dita, da tagliare e da ricomporre a proprio piacimento.
Resta inevitabile affezionarsi ai singoli componenti di questa famiglia e a come questi sono condannati al loro carattere.

Proseguendo la lettura, è inevitabile confondersi a causa dell’ intreccio di parentele e di legami tra i vari membri della famiglia, si rischia di non avere più molto chiaro l’albero genealogico di questa famiglia così sfortunata e toccata solo un attimo dalla felicità (che come è arrivata, se ne va) ma, allo stesso tempo, così unita da un filo conduttore, un sentimento: la solitudine.

Solitudine come assenza di contatti con altre persone, ma anche come quel senso di malinconia che ti assale nonostante la compagnia e i divertimenti.
Una storia familiare che dura un secolo, cent’anni, cent’anni di solitudine.

Perché le stirpe condannate a cent’anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra.

Serena Votano

IT di Stephen King

Il 1986 è l’anno in cui il terrore ha fatto la conoscenza della carta stampata.
L’anno in cui gli incubi di ogni persona hanno avuto un contatto diretto con la realtà.
L’anno in cui viene pubblicato il capolavoro dell’orrore di Stephen King “It”.

“E una volta andato non puoi più tornare indietro

Quando di punto in bianco sei nel buio”

Queste sono le parole di “My My, Hey Hey (Out Of The Blue)” storico pezzo di Neil Young, che perfettamente sintetizzano la sensazione che questo libro regala ad ogni lettore sin dalle prime pagine. Una volta iniziato non ci si può più fermare, non c’è scampo, veniamo immersi nella realtà tetra, umida e stantia dove vive la paura mascherata da clown, dove il male si nutre e prolifera. Nella dimora di It!

Tutto inizia nel 1957 nella cittadina, fittizia, di Derry dove da parecchi giorni imperversano forti temporali che stanno allagando la città e causando non pochi problemi a tutta la popolazione. Qui facciamo la conoscenza del piccolo George Denbrough che, nonostante il diluvio, si trova nelle strade della città a giocare nei piccoli canali che si sono formati ai bordi della strada con una barchetta di carta fabbricatagli dal fratello Bill.
Il cielo è grigio ed il vento soffia forte spingendo la barca sempre più veloce lungo il marciapiede di Witcham Street, tanto forte che Georgie quasi non riesce a stargli dietro. Ma le acque in cui la barchetta naviga sono troppo mosse per permetterle di resistere a lungo nel suo tragitto ed in poco tempo finisce per affondare ed essere trasportata dalla corrente in uno dei canali di scolo presenti lungo la strada. Li è dove si nasconde il pagliaccio Pennywise con il suo sorriso sgargiante ed il coloratissimo mazzo di palloncini, ma, come in ogni sogno che ci fa risvegliare sudati e sconvolti, ciò che può sembrare innocuo e sicuro in realtà rappresenta la più oscura delle paure. In un attimo il demone si palesa e uccide brutalmente il piccolo Georgie seminando il panico a Derry…

Dopo questo terribile avvenimento, un gruppo di bambini guidati proprio dal fratello maggiore di George, Bill Denbrough, decidono di formare una squadra, o meglio un club, “il Club dei Perdenti”, per riuscire a stanare il mostro e fermare la sua sete di sangue.

La storia si muove su due piani temporali diversi, uno parallelo alla morte del piccolo Denbrough (1957-1958) ed uno futuro in cui i membri del club sono ormai grandi e vivono la propria esistenza lontani da Derry (1985), ma si mantiene sempre lineare, semplice, grazie soprattutto alla capacità dello Scrittore di miscelare alla perfezione i momenti di riflessione dei vari personaggi con corposi flashback che ci permettono di vivere a cavallo di tre decadi senza mai sentirci spaesati nel testo. La scrittura di King è dinamica, fluente, introduce il lettore nelle scene e gli permette di viverle nella realtà, di immaginarsele alla perfezione nella mente, non in maniera grezza o approssimativa, ma estremamente particolareggiata.
Ogni personaggio ha una sua specifica immagine, un suo carattere ben delineato, una sua personale e profonda paura e questo consente di creare legami stretti con ognuno di loro, di viverne le avventure e non di osservarle da lontano come spettatori asettici.

Il genere horror vive in perfetto equilibrio sul filo sottile che separa la magia dalla realtà, la mera falsità dal puro terrore umano, e con questo libro Stephen King si dimostra il migliore tra i funamboli riuscendo a rendere vere e carnali le sensazioni che questa storia immaginaria ci incide nella mente. Mai una volta ci ritroveremo a pensare che una delle scene narrate sia troppo esagerata o falsa, appunto. Ogni particolare è sapientemente inserito tassello per tassello in un mosaico che ci permette di arrivare ad un’unica conclusione: la magia esiste!

Abbiate timore di leggere questo libro, non quel timore che congela il pensiero e costringe ad un vigliacco dietrofront, ma quello che ci incuriosisce, che ci spinge ad avvicinarci al burrone ed a guardare giù anche quando chiunque sarebbe pronto a dirci di non farlo, perché, in fondo, chi non ha mai provato a rapportarsi con la propria paura, ad avvicinarsi solo per sfiorarla in una profonda introspezione.            Abbiate quindi il coraggio di avere paura, di allontanarvi dalla luce chiara e sicura del sole, per trovarvi cosi, di punto in bianco, nel buio…

Giorgio Muzzupappa

 

(nda di seguito il trailer del remake cinematografico del libro che uscirà l’8 settembre)
https://youtu.be/w7Zv5nPLDqw

 

Dieci Minuti per il resto della tua vita.

“E a che serve questo gioco dei 10 minuti?”
“Boh, la dottoressa non me l’ha spiegato. Credo serva fondamentalmente a impegnarmi la testa, a riempire il vuoto e a fare ordine nella confusione che mi ritrovo al posto della vita”

Capita che tu debba lasciare la casa in cui sei cresciuto, che il tuo compagno di sempre ti abbandoni e che il tuo lavoro di sempre venga affidato a un altro. E allora cosa si fa?  Chiara Gamberale non ha più nulla da perdere e allora ci prova. In “Per Dieci Minuti” ci mostra come i cambiamenti spaventano tutti ma sono necessari per ridarci il resto della vita che da soli bruciamo quando qualcosa va storto.

 “Vorrei assicurarle che non c’è verso: dentro momenti come questo bisogna cadere con le braccia, le gambe, il cuore, i polmoni. Tutto. 

Bisogna andare in fondo, bisogna marcire. 

Vorrei prometterle che non lo sa, che ora non può immaginarlo: ma arriverà il giorno in cui scoprirà di essere sopravvissuta.”

Dieci minuti al giorno. Tutti i giorni. Per un mese. Fare una cosa nuova, fuori dagli schemi senza aver timore di sbagliare, senza aver paura dell’oblio. Gettarsi in avanti e vivere quello che capita.

“Hai paura di perdere tutta te stessa, perdendo lui.”

Il modo di scrivere di Chiara, che si denota in questo libro come negli altri, è semplicemente istantaneo, ti tiene incollato alle righe finché non giri l’ultima pagina e arrivi all’ultima parola. È diretta e sintetica, a volte ironica nonostante il tema del dolore e della sofferenza, a convincere è proprio il ritmo incalzante della narrazione, dato dall’uso di continui flashback del passato inseriti ad arte, e dal soffermarsi sapientemente sull’analisi dei sentimenti e degli stati d’animo.

Questa è una lettura consigliata a chi è pronto a seguire il consiglio di Chiara, uscire dalla monotonia, sperimentare, scoprire nuove passioni, migliorarsi. Alla fine si scoprirà che può diventare un gioco di fantasia da prendere sul serio, quasi senza accorgersene.

Combattere gli schemi e ricominciare.

“Quanto è assurda la vita, quando non tocca a noi.”

Serena Votano

 

Cecità di José Saramago

“… ciechi che pur vedendo, non vedono”

La lettura di “Cecità”, testo di José Saramago, nonché Premio Nobel per la letteratura, può lasciare una certa inquietudine, ma è un romanzo che cerca di metterti alla prova terrorizzandoti e sbattendoti in faccia molte realtà che non vedi. cecità 2
Ci sono mille ragioni per cui il cervello umano si chiuda, si limitò ad allungare le mani fino a toccare il vetro, sapeva che la sua immagine era lì a guardarlo, l’immagine vedeva lui, lui non vedeva l’immagine.”

Il romanzo comincia con un automobilista fermo ad un semaforo, una luce rossa e la fila ad attendere che diventi verde e … e poi tutto diventa bianco, nessuna sfumatura o ombra, solo bianco. Ma questo non è altro che l’inizio di una terribile epidemia che andrà a colpire prima le persone con cui si ha un contatto fino ad arrivare all’intera popolazione. Soltanto una donna resterà immune da questo male. Ma si finisce per chiedersi se sia stato un bene o un male, restare l’unica vedente in un mondo di ciechi, l’unico testimone oculare di un incubo che sembra non finire mai. La paura di essere contagiati porta a chiudere i ciechi in quarantena dove la convivenza i pri
mi giorni scorre senza intoppi, ma col crescere dei malati finisce per degenerare dando  libero sfogo alla disumanità. Non esiste pietà o conforto, neanche ragione.

La “cecità” finisce per non essere tanto quella fisica quanto quella dell’animo, laddove si perde il rispetto e comincia a vigere la regola del più forte,si perde  l’umanità, si finisce per diventare animali, senza regole e senza futuro. È la fine, l’Apocalisse.

Fa male perché senti che in circostanze simili anche tu diventeresti egoista e senza scrupoli, disposto a sacrificare la morale per un tozzo di pane, a perdere la tua umanità in cambio della sopravvivenza. Lo sai che è vero.

La scrittura di Saramago è fluida nonostante la mancanza di punteggiatura nel dialogo, di tempo, di spazio e di nomi propri, ma a che servono dei nomi in un mondo di ciechi?

È un libro che si lascia leggere, è importante prestare particolare attenzione al comportamento dell’uomo che se prima era portato all’aiuto del prossimo, finisce per cadere nell’accidia e nell’egoismo. Ad essere ciechi, troppo spesso, siamo noi e , forse, non ce ne rendiamo conto.

Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che vedono, ciechi che pur vedendo, non vedono.”

Serena Votano

“Il primo uomo cattivo” di Miranda July

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“Questo libro vi farà ridere, sussultare e immedesimarvi in una donna che non avreste mai previsto di essere. E quando Miranda July parla della maternità, il libro diventerà la vostra bibbia.” Lena Dunham

Ci sono persone che scelgono i libri basandosi sulla copertina , non rientro fra questi ma nella scelta de “Il primo uomo cattivo” mi è capitato di sceglierlo proprio per il disegno e i colori esterni e per l’autrice : Miranda July della quale avevo visto solo un film e letto qualche intervista.

 

Cheryl Glickman è la protagonista-narratrice del racconto, lavora alla Open Palm una società no profit che si occupa di autodifesa per le donne.

Conduce una vita piuttosto semplice, forse monotona, minimale soprattutto nell’economia domestica dove vige il principio di efficienza.

E’ affetta da globus hystericus, un nodo alla gola, ed infatuata di un collega, una figura ricorrente nella narrazione. C’è la maternità, ma non descritta come nella maggior parte dei film o libri, Cheryl ha una relazione quasi karmica basata sul “primo sguardo” con Kubelko Bondy lo spirito di un bambino che lei immagina di vedere nei figli altrui.

La vita di Cheryl prende una direzione inaspettata quando deve ospitare Clee, figlia ventenne dei suoi capi all’Open Palm. Una ragazza che è totalmente opposta a lei, dalla fisicità, Cheryl molto magra, quasi androgina, Clee viene definita “molto donna”, allo stile.

Clee è un personaggio un po’ sgradevole, sporca, una passiva-aggressiva, in alcune situazioni attiva-aggressiva.

Ed è in questo momento che il libro prende una piega che non mi sarei mai aspettata e la July si dimostra perfetta narratrice: tracciando il crescere della libido di Cheryl con una nota ironica e , di contrappasso, delicatamente il suo istinto materno. Ci rende partecipi ai sussulti della protagonista.

 

I meno puritani di me non si scioccheranno delle crude scene di violenza , le descrizioni delle condizioni igieniche di Clee mi hanno nauseata ma sono funzionali al personaggio , non le si perdonano ma si accettano.

Cheryl vede solo il suo mondo non c’è contorno, essenziale.

Sono personaggi sgradevoli in parte, così maniacali, strani, imprevedibili da essere in realtà comuni e umani , che alla conclusione del libro li accettiamo.

Miranda July è una artista stimolante e provocatoria, a vent’anni trasferitasi a Portland entra nel movimento delle Riot grrrl (il movimento punk-rock femminista) e inizia a frequentare, colei che è la sua più stretta amica, Carrie Brownstein (altra artista eccezionale) chitarrista e voce delle Sleater Kinney , band simbolo del movimento e ancora oggi una delle migliori rock band femminili.

Definirla è difficile, è una regista, scrittrice, musicista, attrice, creatrice di app , è un soggetto molto stravagante, irriverente a tal punto da pensare che sia folle : è geniale.

“Il primo uomo cattivo” è il suo primo romanzo, caldo, ironico, disgustoso è pura vita comune.

Arianna De Arcangelis 

 

 

Intervista con la scrittrice Noemi Villari

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Per chi ama l’avventura e la fantasia, leggere Believeland, è un tuffo in un mondo in cui le parole d’ordine sono proprio queste; ma c’è di più: credere, un’imprescindibile parola che accompagna il lettore per tutto il romanzo.

La giovane scrittrice Noemi Villari, con il suo primo libro, apre una finestra su un nuovo mondo: Believeland; creature e poteri magici si intrecciano alla vita di alcuni adolescenti, protagonisti del romanzo che coinvolgono il lettore con le loro emozioni.

La gentilissima Noemi, subito dopo la presentazione del suo libro, ha risposto ad alcune domande e ha regalato dei preziosi consigli agli appassionati di scrittura.

 

 

 

 

Parliamo degli albori di Believeland: inizi a scriverlo quando eri nella primissima fase dell’adolescenza, avevi dodici anni. L’idea che hai avuto allora è rimasta la stessa?

  • L’idea è stata elaborata diverse volte e aveva tutt’altra impostazione; del modello iniziale è rimasto il concetto del mondo fantastico di Believeland, che prima non si chiamava così: un aneddoto simpatico riguarda, per l’appunto, il nome. All’inizio l’ho chiamato Magics (che in realtà è quello delle Winx), poi Magic Village (che sa molto di villaggio turistico) ed infine quello attuale.

Le protagoniste, in un certo senso, è come se fossero cresciute con me e ho lasciato loro un’età adolescenziale perché mi piace trattare questo periodo della vita, che per me è fondamentale nella nostra esistenza: se si capisce ciò che prova un adolescente, si capisce come diventerà da grande.

A quale personaggio sei più legata?

  • Istintivamente rispondo che sono più legata ad Alessia (la ragazza del mondo reale), perché proviene dal mio stesso contesto scolastico, ovvero da un istituto d’arte, a cui tengo molto, quindi ho voluto che lei, almeno in questo aspetto, fosse identica a me. Poi, come personaggio, è stato elaborato in modo totalmente opposto al mio: lei indossa una maschera di sicurezza che nasconde la sua insicurezza e, invece, per me è al contrario.

 

Un aggettivo con cui descriveresti il tuo libro.

  • Più che un aggettivo, a me viene in mente la parola “credere”, sostanzialmente il motore che fa camminare il romanzo.

 

Hai un luogo in cui preferisci scrivere?

  • Solitamente, preferisco scrivere a letto con il pc sulle gambe e di sera; invece, la mattina preferisco prendere appunti sui quadernoni (perché mi piace scrivere a mano), ma sulla scrivania.

 

Progetti futuri: scriverai ancora?

  • Sicuramente continuerò a scrivere: ho un’idea per continuare Believeland, ma vorrei anche guardare nuovi orizzonti, per affrontare tematiche diverse.

Di certo, non voglio abbandonare questo racconto, a cui sono legata affettivamente.

 

 

Hai dei consigli per i giovani scrittori?

  • Sicuramente direi loro di seguire il primo istinto ed iniziare a scrivere partendo da ciò che sentono, per poi affidarsi alla tecnica.

Consiglierei anche di usare internet, dove ci sono molti siti che guidano alla scrittura e dove, personalmente, ho imparato tanto. Poi, apprendere dai libri che si leggono ma, soprattutto, impegnarsi per realizzare il proprio sogno.

 

 

 

Jessica Cardullo

 

Umberto Spaticchia e il suo ‘’Null01- La storia di Downey’’: quando le menti messinesi si mettono in gioco

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A tutti i lettori chiediamo: cosa è che vi attrae di un libro? La copertina, il titolo, il nome di quell’autore famoso, il posto in classifica.

Tra le caratteristiche, secondo noi, dovrebbe essercene anche un’altra: è stato scritto da un mio concittadino. A maggior ragione se, lui o lei, è uno studente come noi. In questo caso stiamo parlando di un lui: Umberto Spaticchia, giovane di 21 anni, nerd alla mano e spiritoso.

Il suo libro, Null01- La storia di Downey, distribuito dalla Libreria Bonanzinga (anch’essa nostrana), è stato presentato presso i locali dell’istituto tecnico industriale Verona Trento e in alcune province di Messina.

Noi abbiamo avuto il piacere di averlo come ospite di Radio UniversoMe e questa è la sua intervista.

Umberto, tu hai scritto questo libro, ‘’Null01- La storia di Downey’’, che si può trovare sia in forma digitale che cartacea. Di cosa parla?

Sì, è pubblicato anche in cartaceo ed è disponibile presso la Libreria Bonanzinga. Il libro viene esposto come un secondo viaggio dantesco (niente di meno!). È un romanzo a sfondo psicologico- narrativo e parla di come una persona può reagire a seguito di uno shock, sia esso positivo o negativo. Ognuno di noi, infatti, può reagire in maniera diversa: chi inizia a soffrire di depressione, chi sviluppa doppie personalità. In questo caso, attraverso il romanzo, viene raccontata la storia di questo uomo che fa il programmatore informatico e nel tempo libero studia biologia. A un certo punto si trova in uno stadio di fermo appunto perché, essendo un informatico e non un biologo, non riesce ad andare avanti, si trova davanti a un muro: lui, infatti, studia su studi già fatti. E questo lo porta ad uno stato di depressione e stress. La sua mente, quindi, non può far altro che trovare altri piani che prendono vita sotto forma di un’ape azzurra. Questa si riferisce all’ unica guida mentale dello stato in cui si ritrova.

Quindi, sostanzialmente, un viaggio nella sua stessa mente.

In un certo senso. Il punto sta, però, nel fatto che è tutto fine a sé stesso, non coinvolge il mondo, tutto avviene nella sua testa. Intorno a questo sta il secondo viaggio dantesco: è come un Dante dei nostri giorni.

Diciamo però le cose come stanno, Umberto: un romanzo non è un vero romanzo se i personaggi non fanno all’amore almeno una volta.

Eh, diciamo che, nel mio caso, i personaggi lo fanno con il cervello!

Sappiamo che lo hai presentato in alcune province di Messina, a giorni, inoltre, lo presenterai proprio qua a Messina, presso l’istituto Verona Trento.

Sì, lo ho presentato sia a Spadafora, che nel comune di Naso dove ho trovato persone, che mi hanno ospitato, davvero squisite. La presentazione a Messina durerà circa un’ora e spero di vedere il coinvolgimento delle persone de dei ragazzi! Devo dire che, comunque, sono contento, perché ha avuto molti feedback positivi. Oltre i soliti curiosi, anche alcuni professori mi hanno i complimenti, dicendo che ho preso spunto da Kafka (che io, però, non ho mai letto!).

Toglici una curiosità, come è nato il tuo libro? Cosa ti ha ispirato?

Allora, il libro è nato da un disegno che ho fatto io stesso: sarebbe l’ape che c’è sulla copertina del libro. Quindi la storia è stata ispirata da me stesso. Poi ci sono stato un anno a scriverlo, tra alti e bassi, per cui ci sono dei momenti di allegria e dei momenti un po’ più introspettivi, legati al fatto che, ovviamente, durante questo anno, io stesso ho affrontato periodi della mia vita diversi.

Ma quindi è un po’ autobiografico?

No, vi giuro di no!

Da cosa è nata questa idea di scrivere un libro? Ad alcuni rimane per sempre questo ‘’sogno nel cassetto’’, tu, invece, ci sei riuscito!

Io sono dell’idea che tutti possono scrivere un libro e che, allo stesso tempo, non tutti possono. Perché, inutile nasconderlo, ci sono dei momenti in cui vorresti mollare tutto, perché non ci riesci, non sai più cosa devi dire: il classico blocco dello scrittore. Bisogna avere costanza, questo sicuramente, e non mollare nemmeno durante quei momenti. Bisogna essere, in ogni caso, fieri delle proprie opere.

Umberto per noi sei un grande esempio anche perché, se non sbaglio, ancora non sei laureato. Secondo te, cosa serve realmente a un ragazzo, che magari non ha terminato gli studi come te, per mettersi in gioco e realizzare qualcosa di concreto?

No, purtroppo, ancora no!

Secondo me il problema non è tanto dei ragazzi che non fanno qualcosa, il problema sta nel fatto che non c’è partecipazione. Questa è la grande pecca dei nostri cittadini. Ci sono tantissimi eventi di diverso genere in tutta la città, in svariati locali e così via: ma nessuno partecipa. Ci lamentiamo tanto ma poi, a conti fatti, il nuovo non ci interessa.

E allora grazie perché sei un grande esempio per la nostra generazione e, soprattutto, in bocca al lupo!

Grazie a voi ragazzi, siete fortissimi!

Elena Anna Andronico

 

L’Arte di essere fragili: il libro della settimana!

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Alessandro D’Avenia ci accompagna in un viaggio alla riscoperta di un autore molto spesso etichettato come “sfigato”, non è stato facile per il prof. rinnovare questa etichetta in “tendente all’infinito”.

Ma partiamo dall’inizio: lo scrittore, un semplice professore nonché autore di Bianca come il latte rossa come il sangue, Cose che nessuno sa e Ciò che inferno non è,vuole ridare giustizia all’immagine di Giacomo Leopardi, poeta cercatore della felicità.

In questo libro Alessandro si rivolge direttamente al suo amico Giacomo chiedendogli essenzialmente due cose: cosa vuol dire essere adolescenti e cosa rimane dentro di noi di questa età della vita.

Così viene rielaborato ogni suo scritto, principalmente lo Zimbaldone, per assistere alla creazione di un’immagine di Leopardi completamente diversa da quella che a scuola i nostri vecchi professori ci hanno reso.
“Solo chi vive il suo rapimento genera rapimenti e provoca destini”

Questo rapimento è spiegato proprio come una vocazione, non si tratta semplicemente di qualcosa di mistico o straordinario, ma ciò per cui “vale la pena vivere”, quello che ci tiene in piedi e ci fa andare sempre avanti spingendoci oltre ogni nostra possibilità.

mentre comunichi il dolore, senza saperlo lo ripari. L’universo non è tenuto a essere bello, eppure lo è. E così i tuoi versi, nonostante la tenebra. In un tramonto della luna tu descrivi una delle tue albe più belle, proprio perché desiderio di luce in una notte di tenebra, e quella luce che torna è meta e ragione per il viandante, perché la bellezza non ha ragione, ma dà ragione”

Ormai viviamo in un’epoca in cui non basta avere un sogno, ma avere tutto pronto ancor prima di iniziare, quando invece a Leopardi è bastato vedere una primavera per capire cosa ci sta a fare al mondo!

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Nel 1817 aveva soli 19 anni, quando mandò una lettera a Pietro Giordani, uno degli intellettuali più famosi dell’epoca, il quali gli consigliò di dedicarsi alla prosa per vent’anni prima di passare alla poesia (e menomale che Leopardi, dal canto suo, non gli diede ascolto).

Ma qui non si vuole parlare unicamente di Leopardi ma anche degli adolescenti, i quali non hanno semplicemente domande, essi sono domande, come scrive D’Avenia, eppure non si può consegnare una risposta facile, così come insegna Leopardi è importante abbracciare la terra dei forse, accettare la vita sia con i successi che con i fallimenti, con tutte le vittorie e con tutte le sconfitte.

Non trovavo soluzioni perché non ce n’erano, ma tu, Giacomo, mi hai fatto capire che la soluzione è dentro la vita stessa e non fuori di essa: aprirsi al dolore e abitarlo, come una delle stanze del nostro cuore”.

Consigliato a chi è affamato di vita e di infinito, a chi lotta per le proprie aspirazioni e a chi è alla ricerca di un compagno in questo viaggio esistenziale.

Dalle inquietudini dell’adolescenza, si passa attraverso le prove della maturità, per poi finalmente credere in sé stessi, imparando che essere fragili non è una debolezza ma un punto fermo in un’epoca che ci vuole perfetti .

Serena Votano