La Resistenza di Primo Levi

“A noi non più vivi, noi già per metà dementi
Nella squallida attesa del niente.”

Chi era Primo Levi?

Sono passati 33 anni dal 11 Aprile 1987, data nella quale la cultura italiana – e mondiale – perse Primo Levi, scrittore e poeta. La sua penna era rivolta soprattutto alla descrizione dell’ambiente che lo circondava.

Nato a Torino il 31 Luglio 1919, da una famiglia di origine ebraica, Levi fu appassionato al mondo non solo di scrittura ma anche di scienza: infatti, dopo essersi diplomato a Liceo Classico, si iscrive alla facoltà di Chimica nel 1937  a Torino e ottiene la laurea quattro anni più tardi, nonostante le difficoltà nel trovare un relatore a causa delle leggi razziali.

Nel 1942 si trasferisce a Milano per lavorare in una azienda farmaceutica; successivamente, insieme ad alcuni amici, si addentra nel mondo dell’antifascismo ed entra a far parte del Partito D’azione clandestino, partito fondato nel 1942 con l’obiettivo di cambiare la società italiana in modo radicale per spezzare definitamente il fascismo.

Fonte: Prospect

Un anno dopo, in seguito alla militanza fra i partigiani in Valle d’Aosta, Levi fu arrestato e deportato ad Auschwitz nel 1944. Sarà liberato solo il 27 Gennaio 1945, quando l’Armata Rossa intervenne nel campo Auschwitz III dove era stato trasferito.

Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia.”

Se questo è un uomo

Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.


Primo Levi viene deportato in un campo di concentramento in cui vive l’orrore del genocidio: testimonierà la terribile esperienza nel suo libro più famoso Se questo è un uomo, pubblicato nel 1947, due anni dopo la fine della guerra e dell’incubo.

Inizialmente il libro fu rifiutato due volte dalla stessa casa editrice, l’Einaudi, e il manoscritto fu pubblicato dalla piccola casa editrice Francesco De Silva. Levi espone come gli ebrei – ma non solo- furono trattati all’interno dei lager. Quindi l’opera si configura non soltanto come una testimonianza diretta, ma anche come importante traccia storica: l’autore non racconta solo la sua vicenda  personale, ma si concentra su tutti i condannati costretti a vivere come animali da macello.

Il racconto si svolge in prima persona e parte dalla prigionia in Italia (Dicembre 1943) per poi descrivere la deportazione in Polonia nel 1944. La narrazione avviene in modo cronologico e si svolge in 17 capitoli; la scrittura è scorrevole e limpida, per far sì che tutti possano comprendere le sue parole, ma soprattutto per far capire la verità al mondo intero. Lui stesso dichiara “il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi”.

Fonte. Alamy.it

Quindi il libro è un tomo anche di stampo moralistico oltre che storico e biografico. Ci spiega come l’essere umano può perdere la dignità solo per la volontà di un gruppo di altri esseri umani – nazisti e fascisti – di affermare la superiorità della razza pura, trasformando i “non puri” in corpi inermi. Il libro può essere comparato all’Inferno dantesco, giacché descrive come è stato possibile creare l’inferno nel mondo in cui viviamo. Se facciamo caso, sono molte le similitudini: una in particolare riguarda i soldati nazisti, i quali possono essere comparati a Caronte. Quest’ultimo accompagnava le anime all’inferno: la stessa cosa vale per gli ebrei che entravano all’interno dei campi accompagnati dai propri carnefici. Purtroppo, solo alcuni sono riusciti ad uscirne; ma, come Primo Levi, hanno potuto portare le loro testimonianze affinché un tale orrore non fosse mai dimenticato.


Pensiero

Levi con il suo lavoro ci fa comprendere i meccanismi più bui dell’essere umano, ma ci fa vedere anche la parte più limpida dell’individuo e come quest’ultima possa essere sporcata per l’affermazione di un pensiero. Ci fa comprendere come il terrore non paralizzi l’individuo, ma lo spinga ad agire per migliorare la società che lo circonda e per far conoscere la verità. Il pensiero di Levi ci impone di ricordare l’amore e la solidarietà per un mondo fatto di libertà e non dì schiavitù; il suo pensiero si può riassumere con una sola parola: resistenza.

“Tra l’uomo che si fa comprendere e colui che non si fa comprendere c’è un abisso di differenza. Il primo si salva la vita.”

Alessia Orsa

#iorestoacasa: libri e film messinesi da (ri)scoprire

In questi giorni di quarantena in cui siamo costretti a stare distanti, noi di UniVersoMe cerchiamo comunque di starvi un po’ più “vicini”. Tutti hanno dovuto riorganizzare le loro vite, le loro giornate; c’è chi guarda serie tv, chi legge, chi ancora improvvisa palestre in casa. Oggi anche noi abbiamo voluto darvi alcuni consigli e idee per impegnare il vostro tempo nel migliore dei modi.

La particolarità? Abbiamo scelto di dare risalto alle personalità messinesi contemporanee e vi proponiamo quindi libri e film di autori, registi ed attori messinesi. Scopriteli insieme a noi!

Per chi vive sulle tartarughe, Leonardo Mercadante

Nel primo libro che vogliamo consigliarvi, l’autore analizza la curiosità, la capacità di preoccuparci del prossimo, l’empatia propria dell’infanzia. Al centro della storia è appunto un bambino che riflette sul mondo dei grandi, ponendo domande e cercando continuamente risposte. “Se siamo tutti nel mondo, e ogni cosa è sopra qualcos’altro, il mondo dov’è?”.

Fonte: Edizioni Smasher

Ma nel mondo degli adulti non sembra esserci molto spazio per il protagonista e le sue risposte lo portano in un mondo parallelo fantastico. Qui, attraverso metafore e fantasia viene affrontato quello che è in fondo il processo a cui va incontro l’umanità intera: un’umanità che si pone delle domande, si affida a sacerdoti e scienziati e alle loro verità. “[…]Spesso la fiducia è un salto nel buio. Ma dove si trova allora il confine tra pensiero libero e fiducia nell’altro, tra sano individualismo ed egoismo? E quando la fiducia nell’altro diventa invece un delegare le proprie responsabilità per non occuparsene più?”.

Storia di un bambino qualunque dunque, con le sue domande quantomeno attuali, ma anche la storia di tutte le altre persone che vivono in questo pianeta, la mia, la tua, una storia di fiducia e di potere, di autonomia e libertà.

L’autore ha inoltre proposto un’iniziativa: ha deciso di regalare 7 copie del libro a chiunque donasse una quota agli ospedali messinesi per l’emergenza del Coronavirus, sottolineando quanto sia importante cercare tutti di fare il possibile nel nostro piccolo.

Risa, Michele Ainis

In questo periodo di riflessione forzata, Risa sembra fare al caso nostro. E’ un racconto breve, a tratti autobiografico, dal quale il lettore (in particolare il lettore messinese) sarà magneticamente attratto.

Centrale è il tema del viaggio del protagonista Diego, di ritorno a Messina dopo tanti anni passati a dirigere il suo ufficio giudiziario in Pianura Padana. Tornato in città, si troverà dinnanzi un luogo sconosciuto, irreversibilmente cambiato, come cambiati erano i ricordi della gente che lo abitava.

Tramite la lente dei suoi personaggi, l’autore racconterà con espressioni oniriche ed immagini surreali i misteri di Risa, che altro non è che “Messina rigirata all’incontrario; la Messina che c’era e che non c’è più”. Un non luogo, capace di ingoiare persone, interi palazzi e persino i più cari ricordi.

Un libro, o meglio, un’immersione in apnea e ad occhi aperti, per scrutare i misteri di una città annegata nella mente dei suoi abitanti. Una breve lettura, che dura giusto il tempo di riaffiorare in superficie.

Due amici, Spiro Scimone e Franco Sframeli (2002)

Per gli appassionati di teatro, questa pellicola non sarà una sorpresa: Franco Sframeli e Spiro Scimone sono infatti due grandi del palcoscenico messinese, che nel lontano 2002 si sono messi in proprio anche nel mondo del cinema, ottenendo applausi e premi alla Mostra del Cinema di Venezia.

Locandina del film – Fonte: trovacinema.it

Questo particolarissimo film racconta la storia di due siciliani emigrati al nord, in una città qualunque con un grande fabbrica. Nunzio è un operaio dal carattere semplice e ingenuo, che soffre di una fastidiosa e persistente tosse causata dalle polveri industriali. Pino invece è un killer solitario, scostante e chiuso in sé stesso.

Da questo strano duo di personaggi origina un’opera teatraleggiante, dall’atmosfera surreale e dai dialoghi (in dialetto messinese) che tanto ricordano il teatro di Beckett.

Insomma, una chicca che forse in pochi conoscevate, ma da recuperare subito.

La risalita di Colapesce, Giuseppe Staiti

Chiudiamo con due vecchie conoscenze della nostra rubrica. Abbiamo visto come, soprattutto in questo momento, abbiamo bisogno di un po’ di evasione dalla realtà. E il libro del giovane scrittore messinese, già intervistato da noi durante la presentazione, si inserisce perfettamente in questo articolo: tra mito e modernità, Giuseppe dà una nuova chiave di lettura della tradizione.

Se già vi abbiamo suggerito il libro, non possiamo che rinnovare l’invito, anche a chi aveva perso la prima puntata.

«Pupara sono» Per la poesia di Jolanda Insana, Giuseppe Lo Castro e Gianfranco Ferraro

Può mancare un libro di poesie nella nostra lista di consigli?

Ovviamente no, a maggior ragione se della nostra Jolanda e se contiene tantissimo altro materiale inedito, disegni e saggi. Poco tempo fa vi raccontavamo come fossimo venuti a conoscenza dell’eclettica poetessa messinese.

Giulia Greco – Libreria Colapesce, Messina 2020

Siamo certi che Jolanda non si sarebbe fatta prendere dallo sconforto in questi tempi difficili, ma ci avrebbe regalato qualche brano o qualche poesia tragica, ma allo stesso tempo carica di speranza.

Facciamoci coraggio a vicenda, anche se a distanza e nelle nostre case: e, perché no, in compagnia di un buon libro o di un buon film tutti al messinese!

Emanuele Chiara, Cristina Lucà, Salvatore Nucera

 

Diario di una fuorisede superstar 10° parte

Il secondo semestre passò veloce, senza nessun evento esilarante. Aveva chiuso con Nico, o meglio, lui aveva chiuso con lei. Senza nemmeno una spiegazione esaustiva, senza neppure una lite decisa, delle domande, delle risposte, aveva semplicemente deciso di tagliarla fuori dalla sua vita. E ci era riuscito. Lei aveva resistito un po’ a non contattarlo, dopo aver superato gli esami e lo stress della sessione invernale, si decise a bussargli a casa.

Lui quel pomeriggio non c’era e i suoi coinquilini, a cui era stato detto di riferirgli il passaggio di Penny lì, non aveva compiuto il compito. Questo lei si ostinava a credere. Ma era molto probabile che lui lo avesse saputo e avesse deciso di ignorare la cosa. Con Oscar si vedeva raramente, e lui si era dimostrato una seccatura sotto innumerevoli punti di vista; era come quella frase sui social “eri meglio come ipotesi”, ogni volta che la leggeva, sorrideva pensando a lui. L’unica cosa ben riuscita di tutto l’anno erano gli esami dati, ne era fiera; i voti alti che aveva preso la incoraggiarono, nel secondo semestre, a studiare di più e con più costanza. Arrivò, perfino, a passare interi weekend a casa sui libri.

La primavera la scoprì così, triste e delusa dalle conoscenze fatte, nascondendo la sua noia e il suo dissenso attraverso un’attenta e scrupolosa preparazione della sessione estiva. I suoi genitori erano molto fieri dei suoi voti, le sue coinquiline erano preoccupate della sua tristezza. Si era chiusa in sé stessa senza neppure accorgersene.

Ilaria Piscioneri

Diario di una fuorisede superstar 7° parte

Il palazzo era vecchio, risaliva con ogni probabilità agli anni ’40. Aveva uno di quei tipici cortili interni, su cui si affacciano decine di balconi striminziti e malandati. Stendere i vestiti era quasi impossibile e il più delle volte questi cascavano a pian terreno, sporcandosi a tal punto che sarebbero stati più puliti se non lavati del tutto.

La sessione d’esami era iniziata, Penny stava in balcone a fumare, una pausa caffè per risvegliare i neuroni dopo 8 ore di studio. Stava preparando tre esami, o almeno ci provava. Il campanello, le sue coinquiline pigre, Nico alla porta.

-Fammi un caffè, sono distrutto-

-Ne è rimasto nella moca-

Nico tolse il chiodo nero e rimase con la felpa, era di un blu scuro con un logo arancione, gli faceva risaltare le spalle larghe.

-Come va lo studio?- chiese lui.

Lei aspirò l’ultima boccata di fumo e chiuse le ante con un gran botto.

-Così le rompi- disse lui ridacchiando.

-No, son vecchie. Devo fare così altrimenti non si chiudono del tutto. Comunque, sta andando male, malissimo…come la mia vita– lei lo disse con un sorriso amaro in bocca, non era ben chiaro se stesse scherzando o se ci fosse una parte di verità in quella risposta.

-Beh, stai con il tipo che ti piace da sempre, è già un buon motivo per essere felici-

-Noi non stiamo insieme, cioè ci vediamo… ma di rado. Il più delle volte lo cerco io-

-Ah- borbottò Nico.

Ci fu una manciata di secondi di silenzio. A lei parve doversi giustificare.

-Insomma, lui è interessante, oltre che stupendo, cioè esteticamente parlando ma.. è come se ci fosse solo lui. Non vede nient’altro e non gli interessa. A me piace stare con lui, ma quando torno a casa non ci penso. Lui per la sua strada, io per la mia-

-Ti squilla il telefono- Nico glielo porse non senza prima osservare da chi veniva la chiamata.

Gli occhi di Penny si illuminarono, era Oscar. Rispose con un tono allegro, vispo ed eccitato. Iniziò a camminare per tutta la cucina e poi lungo il corridoio. Era una bugiarda, probabilmente però non ne era ancora consapevole. Nico sapeva che lei impazziva per quel ragazzo, lo sapevano le sue coinquiline e ormai anche qualche suo collega, era soltanto lei ad esserne all’oscuro. Quantomeno per adesso.

 

Ilaria Piscioneri

Il vincitore del premio ANCI-storia 2018, il prof. Andrea Micciché, presenta il suo libro sull’autonomia siciliana

Martedì 4 giugno 2019. Ore 17.00. Aula Cannizzaro dell’Università di Messina. Presentazione del libro del prof. Andrea Miccichè – Università “Kore di Enna” – intitolato “La Sicilia e gli anni Cinquanta. Il decennio dell’autonomia”.

Durante l’incontro, hanno discusso con l’autore il Prorettore agli Affari generali, prof. Luigi Chiara ed i proff. Santi Fedele e Giuseppe Barone.

All’interno del testo viene raccontata la nascita, nel secondo dopoguerra, dell’autonomia siciliana quale espressione e strumento per la concreta realizzazione delle storiche aspirazioni allo sviluppo economico e industriale dell’Isola. Una visione contrapposta alla frequente rappresentazione dell’autonomia siciliana come un pesante fardello, un ostacolo allo sviluppo isolano, un emblema delle inefficienze, dell’assistenzialismo, delle corruttele del nostro Paese.  

L’autonomia siciliana fu il risultato del peculiare processo di transizione alla democrazia cominciato nell’isola già all’indomani dello sbarco degli Alleati. Un processo condizionato dalla difficile ricostituzione di un’autorità statuale, dalla miseria diffusa, dalle devastazioni della guerra, da un ordine pubblico minato dal banditismo e dalla mafia. Un contesto in cui sembrò attecchire un movimento separatista espressione di una parte del notabilato, della borghesia siciliana delle professioni e di una gioventù urbana e radicalizzata, unite da un sicilianismo pseudo-nazionalista e anti-centralista che attribuiva al Nord i mali e l’arretratezza dell’isola.

Anche dopo la caduta del fascismo, in un momento particolarmente delicato, con la Sicilia a rappresentare il primo fronte di guerra europeo, le pulsioni indipendentiste si fecero sentire e individuarono nei Savoia e in Mussolini i “nemici” del popolo siciliano. In questa fase, l’assenza di alternative concrete alla situazione vigente favorì il coagulo di un vasto consenso intorno al movimento indipendentista.

In un primo momento il separatismo non incontrò particolari contrasti e riuscì a consolidare il sostegno presso il popolo e ad avanzare concrete istanze rivendicative. Le cose cambiarono nel febbraio 1944, quando le aspirazioni del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia (MIS) dovettero fare i conti con la nuova amministrazione italiana. Iniziò una nuova fase di tensioni che provocò il radicalizzarsi delle posizioni indipendentiste. Nacquero l’Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia (EVIS), la Gioventù Rivoluzionaria per l’Indipendenza della Sicilia (GRIS) e sempre più si fece sentire la presenza e l’azione delle famiglie mafiose. Una serie successiva di operazioni militari, tra Gennaio e Aprile 1946, ridimensionarono di molto le possibilità di questo variegato fronte, e parallelamente vennero avviate trattative segrete tra i separatisti e lo Stato che condussero alla concessione dell’autonomia. Il movimento, per essere riconosciuto, dovette accettare il compromesso dell’autonomia e rinunciare alle pretese separatiste.

Ad attribuire legittimità all’autonomia e alla classe politica regionale furono comunque le concrete realizzazioni in termini di opere pubbliche e di provvedimenti legislativi in materie come l’agricoltura, le risorse energetiche, il credito e l’industria. L’autonomismo siciliano fu insomma il motore della politica isolana in questa prima fase della storia repubblicana.

Il libro è un lavoro che indaga un momento fondamentale della storia italiana e siciliana della dialettica centro-periferica.

 

Gabriella Parasiliti Collazzo

 

Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, a Messina con l’obiettivo di raccontare l’immigrazione in Europa

Si è tenuta nella giornata di ieri presso il Salone degli Specchi al Palazzo dei Leoni di Messina la presentazione del nuovo libro di Pietro Bartolo, “Le stelle di Lampedusa“. Durante l’incontro sono state mostrate molte immagini di speranza come quella che segue, ma anche molte altre foto che descrivono la crudeltà e la sofferenza che caratterizzano la tragedia dei migranti.

Pietro Bartolo, fonte: TPI

Pietro Bartolo è responsabile da trent’anni della prima accoglienza ai migranti nell’isola di Lampedusa, periodo in cui ha curato moltissimi naufraghi e ispezionato migliaia di cadaveri, diventando noto come “il medico del mare”. Autore, nel 2016, del libro tradotto in molteplici lingue “Lacrime di sale“, edito da Mondadori, che racconta su carta quella che è stata definita la più grande emergenza umanitaria del nostro tempo. Interprete nel film “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi che ha portato sul grande schermo la tragedia dell’immigrazione, vissuta in prima persona dagli abitanti di Lampedusa. Recentemente secondo eletto al Parlamento europeo nella circoscrizione insulare con oltre 135mila preferenze, di cui 115mila ottenute soltanto in Sicilia.

Il nuovo europarlamentare, in una giornata comunque programmata prima ancora che si definissero le candidature per le elezioni europee, ha incontrato nel corso della mattinata i ragazzi dell’istituto nautico “Caio Duilio”, del liceo “La Farina”, dell’istituto “Mazzini” e del Collegio Sant’Ignazio. L’incontro si inquadra in un progetto che punta alla sensibilizzazione dei giovani, che, come dichiarato dallo stesso Bartolo nel corso dell’incontro pomeridiano aperto a tutti, si ha l’intenzione di estendere quanto più possibile in Europa.

Nel pomeriggio l’evento è stato introdotto dal contributo di Davide Dinicola, diplomato al nautico di Messina, che ha raccontato di cosa lo ha spinto ad abbandonare lo yacht di Briatore per imbarcarsi, come primo ufficiale, nella nave Mare Jonio, che dallo scorso Ottobre naviga nel Mediterraneo per un’attività di monitoraggio, testimonianza e denuncia della drammatica situazione che coinvolge i migranti.

Successivamente l’intervento di Bartolo è stato un susseguirsi di immagini e storie, la storia di persone: non cose – come ribadisce il medico – persone che hanno delle sensibilità, hanno delle ambizioni, hanno delle speranze e hanno anche dei sogni, perché anche se sono neri hanno dei sogni, come noi.

Immagini di persone come le donne che raggiungono l’isola – se la raggiungono – con ustioni su ogni parte del corpo. Ustioni che non dipendono dal calore, ma ustioni chimiche, causate dalla miscela di acqua e di benzina che si accumula sulla superficie della barca e che, come dichiara l’autore, nel 90% dei casi causano la morte di queste donne, in quella che il medico chiama la malattia del gommone. Perché solo le donne? Perché gli uomini si dispongono sui bordi dell’imbarcazione, per proteggere gli anziani e le donne, più deboli, dal mare e dal freddo, come in una famiglia. Ultimamente molti si spaventano di salire su questi gommoni fatiscenti, sanno che possono morire da un momento all’altro. Allora gli scafisti per costringerli cosa fanno? Gli sparano, tanto sono neri, non hanno neanche lo status di esseri umani quindi lo possono fare“. Da qui l’immagine di un ragazzo che è andato verso questo destino, ma ha finto di essere morto, è stato caricato sulla barca ed è arrivato sull’isola, vivo.

Immagini di persone come quella della donna che stava per partorire, ma non c’era il tempo per raggiungere l’ambulatorio o l’ospedale a Palermo (perché i medici di Lampedusa garantiscono le cure solo in un poliambulatorio, tra l’altro senza neanche una sala parto). Allora la legatura del cordone ombelicale venne fatta con un laccio di scarpe, e la donna non si lamentò neanche per un attimo. Al momento del taglio uscì il “sangue, rosso, come il nostro“. Storie e immagini come quelle della donna che partorì in nave e si strappò una ciocca di capelli per legare il cordone.

Immagini di persone, uomini, bambini e donne, come quelle che il medico trovò ammassate nella stiva di una nave – sembrava di camminare su dei cuscini morte per asfissia, chiuse lì dentro.

Pietro Bartolo parla anche dell’incidente avvenuto nel 2013 che costò la vita a 368 migranti, mostra l’immagine delle bare che sembravano non finire, molte delle quali bianche. Ci ricorda che in realtà erano 367 barepoiché in quei sacchi c’era anche una donna che aveva appena partorito, con il suo bambino ancora legato a lei dal cordone ombelicale: decidemmo che fosse più giusto stessero insieme“.

Ma ci sono anche le cose belle. Come la storia della ragazza che era stata data per morta, ma di cui il medico percepì il polso, e allora di corsa in ambulatorio per massaggiarla, per fare l’adrenalina, e così il cuore ripartì. La ragazza è tornata a distanza di molti anni nella stessa isola a ritrovare chi la salvò. Storie come quelle della bambina di 4 anni che non mangiò i biscotti e li sbriciolò per darli alla madre, che non accettò in regalo un orsacchiotto perché ormai era già grande. Storie come quelle delle migliaia di persone salvate da morte certa grazie all’intervento di chi non si è mai arreso e non vuole arrendersi neanche di fronte alle possibili multe di 5000€ previste dal decreto Sicurezza bis – ma quei pescatori, a costo di pagare mutui di 80 anni, non verrebbero mai meno al loro dovere umanitario.

L’incontro si chiude tra gli applausi e la commozione generale, tra le urla che dicono “viva i lampedusani”, con i presenti consci di aver sentito storie e visto immagini che difficilmente verrebbero mostrate altrove. Un’esperienza che sicuramente porta a riflettere, al di là di ogni orientamento politico.

Antonino Micari

Diario di una fuorisede superstar, 3° parte

Era trascorso un mese dal suo trasferimento in città.

Si era ormai abituata ai ritmi universitari, frenetici e disordinati.
Aveva compilato tutti i moduli necessari, il tesserino della mensa, ogni tipo di abbonamento fattibile, ai trasporti, ai musei, al cinema, sua grande e irrinunciabile passione.

Dopo quella prima settimana di feste, hangover e confusione totale, aveva rimesso a posto i pezzi della sua vita.
Aveva ordinato la stanza, che ora, dopo quattro settimane, riusciva a identificare come “sua”.

Eccetto le uscite serali nel weekend con le coinquiline, non faceva alcunché di esagerato.
Le sue giornate si ripetevano identiche, come un rullino che continua a girare anche dopo che il nastro è finito.
Sveglia alle sette, colazione rapidissima, autobus, tram, ultimo autobus e lezioni, martorianti, fino alle sei del pomeriggio.
L’ora a mensa era la sua unica distrazione, seppur passata ad osservare l’ambiente attorno a lei e il comportamento dei suo coetanei, dei quali si autoproclamava “studiosa incallita”

In fin dei conti, cominciava a sentire una certa malinconia, solitudine.
Le ragazze che abitavano con lei erano sì, simpatiche, ma non era ancora in grado di definirle “amiche”.
I colleghi del suo corso erano per lei, anonimi, dei veri e propri estranei.
Ricordava appena due o tre nomi, soprattutto dei ragazzi; quelli, in effetti, che facevano più casino nelle pause tra una lezione e l’altra.

Era un venerdì mattina, lei ripercorreva tutto il mese trascorso.
Non era tornata a casa neppure una volta fino a quel momento, ma si era decisa a comprare il biglietto per quel pomeriggio.
Voleva testare la sua resistenza, o più che altro la sua capacità di essere indipendente; 30 giorni, ne era soddisfatta. Sua madre invece completamente entusiasta. Stava già organizzando il pranzo domenicale, con tanto di doppio primo e parenti di secondo grado.

Penelope aspettava l’autobus, l’orologio segnava le 12.
Aveva deciso di non pranzare alla mensa, ma di partire direttamente.
< Hemingway è fantastico > una voce dietro di lei la ridestò e il libro, che aveva poggiato sulle gambe, capitolò sui gradini della fermata.
Il ragazzo prese posto, con decisione, accanto a lei.
< Nico, piacere> disse lui con un tono indecifrabile, beffardo, quasi si stesse prendendo gioco di lei.
< Penelope > sussurrò lei, velocemente.

Lui recuperò il romanzo e lo sfogliò come fosse suo.
< Anche a me piace sottolineare le frasi più belle, brava> disse. Glielo restituì e si accese una sigaretta.
< Già, lo faccio da quando ero piccola> iniziò Penny < Ma, senti, frequentiamo lo stesso corso per caso? >. Lei non si spiegava tutta la sicurezza del ragazzo e, dato il suo essere smemorata, aveva supposto che potevano esser colleghi.

<No. Andavamo al Liceo insieme, non ricordi? Io frequentavo la B. Ti ho chiesto anche di uscire una volta> mormorò lui sorridendo, mostrando una dentatura perfetta.

Penelope lo guardò meglio, per qualche secondo.
L’autobus era arrivato.
< Sì, certo. Ora ricordo. Nicolò, eri rappresentante d’istituto! >.
Le prese la borsa e la sistemò, insieme alla propria, nell’autobus.
Tornarono a casa chiacchierando per tutto il tempo.

                                            Ilaria Piscioneri

Karma City: forse, il sogno di un luogo ideale è soltanto un’illusione…

Giovedì 18 aprile 2019. Messina. Viale Giuseppe Garibaldi, 56. La Gilda dei Narratori.  Massimo Bisotti ha presentato il suo nuovo romanzo: Karma City. L’autore romano ha cambiato anche editore, seguendo il suo editor, Carlo Carabba, che nei mesi scorsi ha lasciato Mondadori per HarperCollins Italia: infatti il romanzo esce per la divisione italiana della casa editrice americana.

Bisotti, autore molto popolare sui social e con un buon seguito di lettrici e lettori, ha esordito nel mondo letterario nel 2010 con Foto/grammi dell’anima – Libere [im]perfezioni, un insieme di racconti fiabeschi che finiscono sempre con una morale. Ha iniziato a scrivere perché le parole rimarginassero le ferite e si chiudessero in cicatrici, ma prima di diventare famoso, grazie al romanzo La luna blu – Il percorso inverso dei sogni, che ha venduto più di venti mila copie, si promuoveva da solo pubblicando i suoi scritti su Facebook.

Ma veniamo alla trama di Karma city: uno straordinario romanzo capace di raccontare il mondo di oggi e quanto di unico è nascosto nelle profondità del cuore umano.

Otto personaggi, tra i venticinque e i quarant’anni, ognuno di loro con una sua storia particolare. Ma tutti e otto accomunati da un unico fattore: sono insoddisfatti della loro vita. Ed è per questo che accettano la proposta, offertagli da uno psicologo conosciuto online, di abbandonare la loro esistenza quotidiana e trasferirsi su un’isola che sembra offrire loro la possibilità di ripartire da zero. Un luogo bellissimo e appartato, lontano dalla confusione del mondo, in cui si può decidere se lavorare o vivere di rendita, in riva al mare ma con luoghi che riportano l’anima in contatto con la sua parte più vera. Passano i mesi e si creano legami, amori, amicizie profonde. Ma brividi e dinamiche scuotono il gruppo che si è venuto a formare. Forse, il sogno di un luogo ideale è soltanto un’illusione…

Non vi resta che leggerlo.

Gabriella Parasiliti Collazzo

Daniela Bonanzinga “Io ormai sono una realtà un po’ rara”

Fonte: La Scatola Lilla, ©2015

Martedì 16 Aprile intervisto Daniela Bonanzinga, nonché libraia più rinomata in città, attiva nel promuovere la lettura fra i giovani con il progetto “La libreria incontra la scuola”. E’ quasi ora di pranzo e spero che il mio stomaco non cominci a brontolare proprio adesso. Guardo l’ingresso della Libreria Bonanzinga con un misto di suggestione e adrenalina, ed entro. Il locale è quasi vuoto, dato l’orario. La proprietaria ci saluta e finisce un discorso con alcune clienti. Aspettandola, mi aggiro fra le mensole, pochi libri sono rimasti; il trasloco dei locali è in atto. Lei termina il suo da fare e invita me e la mia collega fotografa a salire per l’intervista. Ha una stretta di mano veloce ma incisiva, ricorda quasi quella di un uomo. Io ne resto affascinata. Prendiamo posto; Daniela si accomoda come una vera e propria padrona di casa, poggiando un braccio con il gomito sull’altra sedia. Io la scruto, per un secondo, e penso quel tipico, timido e puerile “Voglio essere come lei da grande”. Poi, do il via alla mia incalzante serie di domande.

Allora, ha iniziato a lavorare a diciotto anni, ho letto, affiancando i suoi genitori. Ha mai avuto dubbi, anche il minimo dubbio, che potesse non essere la sua strada?

Tantissimi. Le certezze si costruiscono sui dubbi, miliardi di dubbi. Anche perché a diciotto anni una persona si deve ancora formare e la sua vita deve ancora svolgersi. Quindi sì, ho avuto tantissimi dubbi, fin dalle prime battute.

Lavorare, per così tanti anni, nel mondo dei libri in cosa l’ha umanamente migliorata?

Mi ha migliorata a livello umano perché sicuramente i libri hanno aperto la mia mente e il mio spirito al percorso della ricerca esistenziale, personale e lavorativa. Quindi sicuramente il libro come oggetto nella sua varietà, profondità, nella sua declinazione ha fatto sviluppare in me l’anima della ricercatrice. E non esiste differenza, chi ricerca, ricerca in tutti i campi.

E in cosa, invece, l’ha stressata magari a tal punto da dire “potevo fare un lavoro statale, un lavoro diverso”?

Che cosa mi ha stressata di più? Certamente la crisi, micidiale, che ha colpito l’economia, il comparto dei libri e della comunicazione tutta legata alla carta stampata. E’ iniziata la ricerca del cliente perché tutte le attività commerciali, legate anche alla cultura, sono aziende, non dimentichiamolo; vivono di bilanci, profitti,  ricavi, perdite. Questo è l’aspetto che maggiormente mi ha stressata anche perché io ho una formazione umanistica, sono laureata in lettere moderne. Tutti i miei studi sono stati orientati alla comunicazione. Io ho la visione umanistica del numero, per dirla ridendo, cioè tutto ciò che è gestione, numeri, finanza mi ha stressata molto nella mia carriera e mi continua a stressare. ( risate)

Ilaria: e lo farà a questo punto. (risate)

 

©SofiaCampagna, Ilaria intervista la dott.ssa Bonanzinga- Libreria Bonanzinga, Messina 16 Aprile 2019.

Sarebbe errato dire che vede il mestiere del libraio più come una missione che come un lavoro?

Allora, generalmente chi vede le attività come missioni opera nell’ambito del no-profit; invece io tengo sempre a bada i numeri, perché io non sono, come hai detto tu, un’impiegata statale. Di questo lavoro devo vivere, ho una famiglia e, come ho sempre detto, mio padre mi ha donato un’azienda, non 500 milioni sul conto corrente. Mi ha donato un’azienda con le sue problematicità. Si può dire, invece, che io ho una visione sociale del mio mestiere, cioè, che per me è molto importante far leggere quante più persone è possibile, motivo per il quale mi sono dedicata al mondo della scuola, dei ragazzi, da sempre. Che questo poi abbia una ricaduta di tipo commerciale è certamente secondario, la cosa più importante è far aumentare questi numeri della lettura, far leggere uno a chi legge zero, non tanto far leggere due a chi legge uno perché quello è già più facile. Ma la cosa più bella, ripeto, è far leggere uno a chi legge zero.

Cosa suggerisce a chi, piccolo o adulto, è restio a leggere? Purtroppo sono tanti, i numeri parlano.

Oggi è una domanda da 1 milione di dollari. Dunque, ci sono alcuni piccoli punti. Oggi la lettura è in competizione con un mondo molto accelerato e molto complesso che è quello della nuova comunicazione, dei social e della rete. Oggi la battaglia è serrata, la comunicazione tra ragazzi è diversa, i nuovi media sono molto aggressivi e i tempi dedicati ai social sono tanti. Ma io penso che una generazione che non legge potrebbe veramente esitare in un disastro cosmico e continuo quindi a fare, nel mio passaggio terreno, quello che sono chiamata a fare: creare per ragazzi occasioni di incontri alti, con personaggi importanti, con persone che qualcosa restituiscono. E continuare a scommettere che i ragazzi oggi, anche se in modo diverso, a loro volta restituiscono qualcosa. La lettura è una restituzione d’affetto, la lettura può cambiare la vita, la lettura ha dei sensi; bisogna insegnare ai ragazzi quali sono questi sensi.

Qual è la più grande soddisfazione personale e se sta per dire il Premio Mauri del 2010 ne scelga una seconda.

La più grande soddisfazione è certamente La libreria incontra la scuola, 150 scrittori e 400000 occasioni di lettura. Se tu mi chiedi in 40 anni di attività qual è stata la cosa più bella? La libreria incontra la scuola. Qual è la cosa che ripeteresti senza ombra di dubbio? La libreria incontra la scuola. Qual è stata la scommessa che hai vinto? La libreria incontra la scuola. Non ho mai trovato un progetto che potesse distrarre la mia attenzione dalla La libreria incontra la scuola. Il Premio Mauri è consequenziale a questa, senza questa, non c’è manco il premio. (risate). Questo lavoro nel mio territorio spesso diventa un po’ invisibile perché, avendo creato un format così vincente, è stato imitato da tutti e spesso si tende a dimenticare chi l’ha inventato. Io ne ho registrato il marchio, però siccome poi tutto funziona per personalismi, è stato molto semplice per i miei colleghi appropriarsi di questa invenzione ed era anche impensabile che non accadesse, se no non sarei stata docente alla scuola per librai e non l’avrei insegnato agli altri librai d’Italia. Chiaramente, nel mio territorio l’osservazione e l’imitazione sono state fisiologiche. Quello che è bello è che ogni tanto qualcuno si ricordi che questa cosa l’ho inventata io. E ogni tanto vedo che stenta ad arrivare questo riconoscimento, ho deciso di darmelo da sola, ma non ti dico come perché lo vedrete in questa nuova avventura di questa nuova location. Così, avrò messo un punto visibile, anche se gli altri non lo ricordano, me lo ricordo da sola.

 

©SofiaCampagna, Ilaria intervista la dott.ssa Bonanzinga – Libreria Bonanzinga, Messina 16 Aprile 2019

 

Chi è lo scrittore o la scrittrice che le ha lasciato un ricordo di impatto, un ricordo così commovente che le ha fatto pensare “ecco perché amo il mio lavoro!”.

Veramente posso dirti che ci sono tante, tante esperienze, di ogni ordine e grado, legate anche a grandissimi nomi della letteratura contemporanea. Una su tutte, l’esperienza fatta quest’anno col professore Galimberti, l’uomo più che lo studioso. Ma fare una classifica è molto difficile.

E qual è il consiglio, per chi come lei, ha il sogno di aprire una libreria indipendente?

Ci sono tante nuove realtà ed è forse una cosa che bisognerebbe chiedere a questa nuova generazione. Io ormai sono una realtà un po’ rara, cioè sono una libreria indipendente, storica, con 50 anni all’attivo che ha svoltato. Le nuove generazioni hanno davanti schemi diversi, confronti diversi, assente la storicità, alcuni elementi che per me sono stati fondanti.  Io potrei dare delle risposte che sono poco rincuoranti e invece credo che ognuno debba perseguire i propri sogni. Perché è facile creare una libreria senza uno storico di riferimento, perché tu ti concentri su quei consumi, indici di lettura. I dolori vengono quando questi indici vengono confrontati con 10 anni fa. Non voglio rispondere a chi ha un sogno nel cassetto; lo persegua! Studi, si faccia delle scuole, ce ne sono tante, si sperimenti. E’ una cosa molto faticosa, questo lo posso dire a chiare lettere.

Quest’anno la libreria compirà 50 anni; è stato proprio per celebrare questa occasione che ha deciso di spostare i locali della libreria?

Non è stato per questa occasione, se vogliamo è stato il contrario. Festeggeremo i 50 anni nella nuova libreria. Io ho deciso di spostare la libreria per vivere meglio e per fare, a 57 anni, dopo essere stata vicina, da tutti i punti di vista, alla mia famiglia,  un mio progetto. Mi sono detta “te lo meriti”, uno spazio mio progettato sulle mie nuove esigenze, sui  miei sogni. Lo spazio è tutto, come una casa. Quindi dopo 40 anni di militanza in uno spazio progettato da altri, ho sentito l’esigenza di concludere tutto ciò che mi resta, lavorativamente parlando, in uno spazio progettato da me, sul presente.

 

©SofiaCampagna, Ilaria intervista la dott.ssa Bonanzinga – Libreria Bonanzinga, Messina 16 Aprile 2019

 

Infatti, cosa si  aspetta per questa nuova libreria? Per questa nuova avventura?

Mi aspetto di potere trasformare la mia libreria in un luogo dove gli aspetti della virtualità, cioè gli aspetti della rete, possano unirsi agli aspetti della realtà. Io mi aspetto un luogo dove le persone, entrando, mi stringano la mano e mi dicano “noi siamo amici su Facebook” e trovino un luogo fisico in cui poter scambiare sguardi, emozioni, esperienze.

Ci fa qualche spoiler sul 27? Ci saranno delle sorprese?

Te lo posso già anticipare. Sarà un pomeriggio d’autore perché si susseguiranno Cristina Cassar Scalia, Barbara Bellomo, Guglielmo Pispisa e Mario Falcone; converseranno tutto il pomeriggio, alternandosi nelle varie fasce orarie. Non ci saranno nastri da tagliare, ci sarà un bicchiere per brindare e la città che decide di partecipare.

E sicuramente parteciperà; io la ringrazio molto per il suo tempo.

 

 

 

                                                                                                                        Ilaria Piscioneri

La scrittrice Giorgia Spurio presenta: “Gli occhi degli orologi”

Martedì 16 aprile 2019. Ore 17:00. Messina. Alla Libreria Dedalus – via Camiciotti, di Roberto Cavallaro, è avvenuta la presentazione del romanzo premiato al salone del libro di Torino “Gli occhi degli orologi” di Giorgia Spurio. L’incontro organizzato in collaborazione con le ACLI – Associazioni Cristiane Lavoratori Italiane, GA – Giovani delle Acli e AAS – Acli Arte e Spettacolo- ha visto la partecipazione della stessa autrice Giorgia Spurio.

Il romanzo edito da Il Camaleonte Edizioni è un capolavoro della narrativa dove flashback commoventi e pensieri su temi attuali creano l’intreccio di una storia in bilico tra istanti poetici, desolazione e speranza. “Gli occhi degli orologi” è un’opera narrativa futuristica, ambientata nel 2048, dopo le Nuove Crociate contro il terrorismo e l’immigrazione, gli Orologi sono divenuti il Dio del tempo e lo strumento di controllo dei Governi.

Gli occhi ricordano la vista, un senso, mi piaceva donarlo ad un elemento inanimato come l’orologio, in quanto immagino un futuro senza specie animali e siccome, comunque, avremo bisogno della natura, ci mancherà, percepiremo la sua assenza, li inseriremo nella tecnologia.

In questo mondo post-apocalittico le persone sono diventate degli automi. Gli episodi, esplicitati con estrema durezza, sono dominati da atmosfere lente e progressive. Un libro che rischia di essere profetico. Come la stessa autrice ha dichiarato nel corso della presentazione.  L’opera è intrisa di riferimenti a Victor Hugo, Calvino, Dostoevskij, D’Annunzio, Pirandello ma è dal 1984 di Orwell che prende spunto per ricavarne il titolo e non solo. Un romanzo che, data la struttura stilistica, ricorda i romanzi di formazione ottocenteschi, Giorgia fa questa scelta volutamente e consapevolmente per coinvolgere maggiormente il lettore. Un libro che narra una storia nella storia, un romanzo distopico che parla di mondo devastato dalla Grande Guerra e di una generazione con poche speranze e alla deriva. Un testo che offre continui spunti di riflessione sull’attuale essere delle cose e sulle relazioni familiari.

Durante l’incontro, dopo i saluti del titolare, sono intervenuti: Ivan Azzara, coordinatore GA Messina, Selene Schirru, presidente AAS Messina, Mariachiara Villari, vice coordinatrice GA Messina, e Antonio Gallo, presidente provinciale ACLI Messina.

Il romanzo è disponibile in tutte le librerie d’Italia e su Amazon.

Gabriella Parasiliti Collazzo