Un inno all’Amore da parte di Giuseppe Fiorello

Non un mero film storico ma una vera e propria testimonianza! – Voto UVM: 5/5

 

Sono tante le nuove perle che il mondo del cinema ci ha regalato e ci sta regalando nel corso di questo mese di aprile, tra le tante possiamo annoverare la sorprendente animazione di Super Mario Bros (qui la nostra recensione), l’avventura di stampo storico de I tre moschettieri – D’Artagnan, ma uno dei titoli più emozionanti ce lo regala senza alcun dubbio il cinema italiano con un meraviglioso Giuseppe Fiorello alla regia di Stranizza d’amuri.

Una storia vera

Uscito nelle sale il 23 marzo è tratto da una tragica storia vera e da un tremendo fatto di cronaca.

La pellicola racconta dell’amore che sboccia tra due ragazzini, Gianni Accordino (Samuele Segreto) e Nino Scalia (Gabriele Pizzurro) in una coloratissima e inebriante Sicilia dell’ ’82.

Una Sicilia che non può accettare, per motivi sacri legati all’onore e alla famiglia, che due ragazzini possano provare, l’uno per l’altro, un amore così profondo e puro, ma tuttavia i sentimenti più veri non conoscono limiti e in un atmosfera tanto folkloristica quanto pesante, i due giovani si ostinano ad andare avanti, seguendo il loro cuore, in barba a tutto il resto del loro mondo che si ostina a remargli contro, finché due spari, due secchi colpi di pistola, non mettono brutalmente la parola fine ad una semplice e meravigliosa storia d’amore così pura e delicata: la fine di due poveri ragazzi colpevoli solo di amarsi.

Nino e Gianni in una scena del film
Nino e Gianni in una scena del film. Fonte: Fenix Entertainment

Una lotta per l’amore, tra realtà e finzione

“Non è un film d’amore, è l’Amore”

Sono le parole di Giuseppe Fiorello che ha, con questo film, esordito nella sua prima esperienza alla regia. Un inizio si potrebbe dire “col botto” per l’esito schiacciante degli incassi e la risposta del pubblico che a distanza di tempo dall’uscita del film ancora riempie le sale!

L’intento è, innanzitutto, quello di riportare a galla un cupo delitto sul quale, ancora, a distanza di anni, aleggia il mistero più totale. Ma non si tratta di un delitto qualsiasi, si tratta dell’uccisione di Giorgio Agatino Giammona e di Antonio Gatalola detti “i ziti di Giarre” dai loro compaesani, trovati morti mano nella mano il 31 ottobre 1980, vale a dire il primo delitto omofobo della Storia.

Un delitto che ha fatto rumore, che ha fatto scalpore, turbando gli animi di molta gente tra cui un piccolo gruppo che il 9 dicembre di quell’anno fondò a Palermo la comunità Arcigay. La prima comunità che si sarebbe da allora battuta per i diritti LGBT è nata in Sicilia.

Luci ed ombre di una Sicilia anni ‘80

È anche di questo che Fiorello ci vuole parlare in questo film, girato interamente nelle zone della sua infanzia da Marzamemi a Pachino.

Ci vuole raccontare la sua terra, la Sicilia com’era e invitarci ad un confronto su quanto è cambiato oggi, immergendoci, dunque, in un inebriante atmosfera piena di suoni e di colori che si riflettono negli sfiniti occhi di Gianni che insieme con Nino ha avuto per un attimo l’impressione di aver finalmente trovato un posto chiamato casa, un qualcuno da chiamare famiglia e qualcosa chiamata felicità.

È un attimo, però, che dal sentire la freschezza del mare e la torbida calura del sole, arriviamo a sentire anche le malelingue della gente del bar e dei paesani, lo sdegno e lo “sfottò” di tutti coloro che un “puppu cu bullu” non lo vogliono avere e non lo vogliono vedere, etichettandolo aspramente e segnandolo in eterno come diverso da loro.

È questa l’angosciante realtà che Nino ma soprattutto Gianni si trovano costretti a vivere in quel dorato angolo di Sicilia.

Gianni mentre viene importunato in una scena del film
Gianni mentre viene importunato in una scena del film. Fonte: Fenix Entertainment

Un dramma che persiste

È qui che parte inevitabilmente un altro tema che Fiorello ha voluto mettere in luce con questo film: la denuncia alla discriminazione degli omosessuali e in generale della comunità LGBT.

È, dunque, questo un film che vuole ricordarci che nonostante il tempo trascorso, l’omofobia è un grave dramma che persiste tutt’oggi.

Forse è proprio questo lo scopo principale del film: riuscire a scuotere il pubblico così come avvenne quando nei lontani anni ’80 vennero ritrovati i corpi senza vita di questi due poveri ragazzini.

Fiorello: una garanzia di sensibilità e un film testimonianza

Ambientato nella leggendaria atmosfera dell’82 anziché, come la storia vorrebbe, nell’80, Fiorello decide di inserire questo misterioso, e quasi sconosciuto, fatto di cronaca nell’atmosfera di un grande evento invece di rilevanza internazionale in quel periodo. Si parla dei mondiali dell’82 e della vittoria dell’Italia, evento che si incastra perfettamente con gli avvenimenti del film.

Il cast ci regala figure come Fabrizia Sacchi, Enrico Roccaforte, Simona Malato e tanti altri ma soprattutto degli straordinari Samuele Segreto (già noto per il ruolo di Sebastiano in In guerra per amore di Pif nel 2016 e recentemente come concorrente ad Amici) e Gabriele Pizzurro nel ruolo dei protagonisti.

Ruolo rilevante lo detiene anche la colonna sonora con le musiche dell’intramontabile Franco Battiato (a cui è dedicato il titolo del film) che accentuano maggiormente la poesia e l’inebriante atmosfera estiva che pervade tutto il film.

Cos’altro aggiungere? Ancora una volta Giuseppe Fiorello ci dà dimostrazione della purezza del suo animo e della profonda bontà del suo cuore regalandoci quello che a tutti gli effetti possiamo considerare, non un mero film storico, ma un film testimonianza; il racconto di una storia antica e moderna al tempo stesso che ha l’intento di svegliarci e farci aprire gli occhi, per fare in modo, una volta per tutte, che mai più saremo costretti ad ascoltare storie come questa: l’amore, in ogni sua forma, non dev’essere più considerato un difetto!

 

Marco Castiglia

Famiglie arcobaleno nel mirino, vietata la trascrizione automatica dei figli all’anagrafe

Sembra iniziata la presa di posizione del Governo nei confronti delle “famiglie arcobaleno”. Una circolare ha disposto l’interruzione delle trascrizioni automatiche dei certificati di nascita esteri dei figli nati da coppie omogenitoriali. Questo è il primo provvedimento del Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che crea una netta disparità tra i figli nati tramite la gestazione per altri all’estero e i figli delle coppie eterosessuali. Per ora, le uniche che rimangono escluse dalla scelta del Governo sono quelle coppie di donne che partoriscono all’estero, per cui non esistono ancora disposizioni precise.

La decisione è stata presentata a Milano. La prefettura, su indicazione del Ministro dell’Interno, ha fatto riferimento alla legge 40 del 2004, quella sulla procreazione medicalmente assistita, consentita solo a coppie formate da persone di sesso diverso. Una legge che vieta anche la “maternità surrogata”.

Di fronte a questo esposto il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, si è detto rammaricato e «pronto a portare avanti questa battaglia e seguire con la massima attenzione ogni sviluppo, normativo e giudiziario di questa complessa vicenda».

Cosa significa il mancato riconoscimento all’anagrafe

Senza la registrazione all’anagrafe, il bambino non verrà riconosciuto nel nostro Paese e non avrà accesso a quei servizi essenziali come la sanità o l’istruzione. Oggi è possibile identificare come genitore solo quello biologico, mentre l’altro dovrà fare richiesta di adozione per i casi speciali. Ciò implica, inoltre, un dispendio di tempo e denaro in spese legali. Significa anche ricevere visite da parte di assistenti sociali, psicologici e colloqui con magistrati e giudici che dovranno, poi, decidere se la famiglia sia adatta o meno a crescere il proprio figlio. Mettendo, dunque, in discussione un’intera identità familiare.

Fonte: EPA/ERIK S. LESSER

Il Senato boccia anche anche la proposta UE

Ieri la Commissione Politiche Europee del Senato ha bocciato la proposta dell’Unione Europea sul riconoscimento dei diritti dei figli in tutti i Pesi dell’UE  con l’adozione di un certificato europeo di filiazione.  Ovvero una sorta di carta d’ identità che riconosce al bambino lo status di figlio in ogni Stato membro, a prescindere dalle regolamentazioni interne dello status.

Il no dell’Italia, insieme a quello probabile di Polonia e Ungheria, non permetterà a questo Certificato di entrare in vigore. Una scelta fortemente criticata fuori e dentro i social, anche da esponenti politici come Alessandro Zan:

Proteste sotto la Prefettura di Milano: «Giù le mani dai nostri figli e dalle nostre figlie»

Sabato 18 marzo, alle ore 15, tutte le associazioni e le famiglie che da anni si battono per difendere i propri diritti, si ritroveranno sotto la Prefettura di Milano, per protestare contro la decisione di sospendere la registrazione dei figli nati da coppie omosessuali.

Lo stesso Giuseppe Sala, nel suo podcast Buongiorno Milano ha definito l’accaduto come «un passo indietro evidente dal punto di vista politico e sociale» e ha detto di mettersi «nei panni di quei genitori che a Milano pensavano di poter contare su questa possibilità» . «Una città così all’avanguardia non dovrebbe fare emergere questo tipo di disuguaglianze ma, al contrario, dovrebbe cogliere ogni opportunità concreta affinché continui il cammino di riconoscimento dei diritti di tutte e tutti, divenendone protagonista», ha aggiunto.

La risposta del Comune di Trento

Nonostante l’opposizione del Governo, a Trento sembra respirare un’aria diversa. Difatti, il sindaco Ianeselli ha registrato l’atto di nascita di una bambina con due madri.

Abbiamo applicato un principio di uguaglianza e sinceramente non condivido la scelta politica del Governodi fronte a due uomini o due donne che si amano non vedo perché lo Stato non dovrebbe garantire loro pari diritti. Al di là che si condividano o meno certe scelte, i figli di queste coppie esistono e vanno tutelati.

Il messaggio sembra chiaro e il primo cittadino fa notare come lui e molti altri colleghi siano dovuti intervenire per colmare un vuoto legislativo lasciato dal Parlamento.

Non è del tutto chiaro l’esito che avrà questa decisione, di sicuro è l’ennesimo colpo basso per tutte quelle famiglie che vedono sfumare i propri diritti, in un Paese che con l’avanzare del tempo sembra fare solo passi indietro.

Serena Previti

Diritti sulla sessualità e riproduttività. In Spagna arrivano la “Ley Trans” e la legge sull’aborto

Lo scorso 16 febbraio per la Spagna è stata una “giornata storica”. Finalmente, dopo interminabili  battaglie, il Parlamento spagnolo ha approvato due importanti normative a tutela degli diritti e delle libertà, per le persone Lgbtq+ e le donne. “La Ley Trans es ley”, questa la frase pronunciata con orgoglio da Irene Montero, ministra delle Pari opportunità e rappresentate del partito spagnolo Unidos Podemos, di fronte al Congresso dei deputati a Madrid.

Autodeterminazione di genere per chi ha più di 16 anni, riforma sull’aborto e congedo mestruale retribuito per le donne: queste le normative promosse dall’attuale governo spagnolo di centrosinistra. Un grande passo in avanti per il paese, ma le critiche e le forti opposizioni non sono mancate. Vediamo nel dettaglio cosa è stato approvato e quali sono invece le direzioni intraprese da molti altri paesi.

La “Ley Trans”, per l’autodeterminazione di genere, è stata un trionfo

Con poco più di 191 voti a favore, 60 contrari e 91 astensioni, la normativa per l’uguaglianza reale ed effettiva delle persone trans e per la garanzia dei diritti delle persone Lgbtq+ è stata approvata.

La legge riconosce qualcosa di semplice, che se sei trans hai diritto ad affittare un appartamento o a divertirti in un luogo pubblico senza essere discriminato. Permetterà alle persone di non avere paura di dire chi sono!

Queste le parole della ministra Montero, che ha festeggiato avvolta nella bandiera simbolo (bianca, rosa e azzurra) della comunità, insieme ad un cospicuo gruppo di storici attivisti. Tra i tanti, Uge Sangil, donna trans e presidente della Federazione Statale Lgtbi+ spagnola, che ha scritto in un tweet:

La legge permetterà di chiedere gratuitamente, a chiunque abbia compiuto 16 anni, la modifica del proprio sesso all’anagrafe senza autorizzazioni giudiziarie o certificati medici-psicologici che attestino la disforia di genere o i due anni di trattamento ormonale in precedenza invece richiesti. Questa diritto oltremodo è estendibile ai giovani tra i 14 e i 15 anni, solo se però presentano l’approvazione di almeno un genitore. Mentre tra i 12 e i 14 anni, c’è bisogno dell’autorizzazione del giudice. La normativa proibisce oltretutto terapie di conversione e mette in atto misure contro l’omofobia nei diversi ambiti della società.

La legge non comporta nessun pericolo per i minori e non va contro le lotte dei femminismi

Ma alcuni movimenti femministi, come il Contra el Borrado de las Mujeres e il Movimiento Feminista de Madrid, non la pensano allo stesso modo di Uge Sangil. Questi ritengono che il consentire ad ogni uomo di registrarsi all’anagrafe come donna, senza nessuna prova medica di transizione, porterà a rendere la legge sulla “violenza di genere” come “carta straccia”. Il partito di estrema destra Vox, invece, ha parlato di un “allarmante” aumento dei casi di omosessualità e transessualità. La Montero sostiene che qui si tratti proprio di “Lgbtifobia”.

Riforma sull’aborto e congedo mestruale

A Madrid però non si è parlato solo di transessualità, ma anche di salute sessuale-riproduttiva e d’interruzione volontaria di gravidanza. Infatti, è stata approvata una riforma della legge sull’aborto. Grazie a quest’ultima le ragazze dai 16 anni in su avranno la possibilità di abortire, senza il necessario consenso dei genitori o dei tutori legali. Modificando quindi la misura voluta dai conservatori nel 2015, i quali davano questa opportunità solo dai 18 anni in su. La legge introduce un registro degli obiettori di coscienza ed elimina l’obbligo dei tre giorni di riflessione dal momento della decisione.

 

La ministra delle Pari opportunità Irene Montero
La ministra delle Pari opportunità Irene Montero, Fonte: ELLE

All’interno della stessa legge è stato introdotto un ulteriore incentivo, che fa della Spagna il primo paese europeo ad averlo concesso. Il congedo retribuito alle donne per il ciclo mestruale invalidante, insieme alla distribuzione di forniture gratuite di prodotti per l’igiene femminile nelle scuole, nei carceri e nei centri per le donne. Il congedo prevede un permesso retribuito di tre giorni al mese, bisognerà semplicemente presentare un certificato medico. Sarà lo Stato a farsi carico dei giorni di malattia. Come dichiara la ministra Montero “il cammino non finisce qui”.

Ma a che punto sono gli stessi diritti nel mondo?

In Europa sono ancora pochi i paesi che consentono l’autodeterminazione di genere. La Danimarca è stato il primo paese europeo a concederlo nel 2014. La Scozia ha abbassato l’età minima dai 18 anni ai 16, per poter chiedere il cambiamento legale. Riforme simili le possiamo riscontrare in Finlandia, Belgio, Portogallo, Norvegia e Svizzera. Non molto possiamo invece dire per tali diritti in Italia, che per il cambio di genere prevede attualmente la rettificazione chirurgica.

Sul versante extra-europeo la situazione non è migliore. Secondo quanto riporta il The Washington Post ,in Arkansas (Stato al sud degli Stati Uniti) è stato imposto un divieto che blocca le cure di genere per i minori, il denominato Malpractice Bill. Quest’ultimo pone ai medici il divieto di fornire terapie ormonali di conferma di genere o bloccanti della pubertà a chiunque sotto i 18 anni. Nessun intervento chirurgico può essere effettuato nello stesso Stato. Dalle parole del senatore repubblicano Gary Stubblefield:

L’idea che gli adolescenti, per non parlare dei bambini piccoli, siano in grado di prendere decisioni così sconvolgenti è assurda. Una società che permette loro di fare questo, è una società profondamente rotta.

In materia di congedo mestruale, nel mondo ci sono aziende e istituzioni che lo permettono, ma sono pochi i paesi che lo riconoscono istituzionalmente. Tra questi è previsto in Scozia, in Corea del Sud, a Taiwan o in Zambia (dove le donne non mandano nemmeno un preavviso o un certificato medico). In Italia, nonostante il dibattito sia aperto dal 2016 siamo ancora indietro, solo l’Università di Padova distribuisce gratuitamente prodotti per l’igiene femminile. Mentre per l’aborto sono oggi circa 24 i paesi che ancora lo vietano del tutto, soprattutto nelle aree del continente Africano. Secondo i dati del Guttmacher Institute nel mondo si stimano all’incirca 25 milioni di aborti clandestini, che purtroppo provocano la morte di molte donne ogni anno.

Parlare in tema di salute sessuale, riproduttività, uguaglianza di genere non è semplice. Le disparità sono molte ancora oggi ed evidenti. Di certo il mondo sta cambiando e continuerà a farlo. Ci saranno attivisti che lotteranno, oppositori che protesteranno. Sarebbe però significativo che in tutto questo nessuno venga mai privato della propri diritti di libertà e dignità.

Marta Ferrato

Disclosure: la storia della transessualità nei media

Un documentario appassionante che offre una prospettiva molto dettagliata sulla transessualità nei media. – Voto UVM: 5/5

 

Il mondo è cambiato parecchio negli ultimi decenni. Questioni come l’identità di genere, l’orientamento sessuale o i diritti delle minoranze sono entrate a viva forza nel dibattito collettivo.
In questo contesto, una manifestazione come il Pride Month rappresenta un’opportunità: non solo per celebrare i progressi in ambito civile acquisiti dalla comunità LGBTQ+ nel suo complesso, ma anche e soprattutto per diffondere consapevolezza su quelle minoranze poco conosciute o ancora fortemente stigmatizzate persino dallo stesso movimento LGBT+, in primis quella transgender.
Disclosure, un docufilm diretto da Sam Feder e distribuito da Netflix il 19 giugno 2020, si propone di fare proprio questo.

La locandina del documentario. Fonte: Netflix

Vecchi stereotipi duri a morire

La narrazione procede tramite l’alternanza tra spezzoni di film e serie tv e le considerazioni delle personalità transgender più eminenti del cinema e della serialità televisiva. I partecipanti vengono coinvolti in un dibattito sulla rappresentazione della transessualità nei mass-media, che si rivela problematica fin dagli esordi del cinema americano.

Nel 1914 il regista D.W.Griffith nel suo film Giuditta di Betulia (1914) – uno dei primi ad aver impiegato l’invenzione del taglio per far progredire la narrazione – inserì un personaggio trans o di genere non binario: l’eunuco evirato, infatti, in quanto figura “tagliata”, richiamava alla mente l’idea del taglio cinematografico.
Un espediente che, a causa del vestiario del personaggio, associato per stereotipo alla femminilità, diede origine alla percezione collettiva dei transessuali come uomini travestiti da donne che si prestavano al crossdressing solo per essere scherniti da un pubblico, piuttosto che come esseri umani con una specifica identità di genere. Ma questa, purtroppo, non è l’unica immagine ingannevole contro cui i trans hanno dovuto lottare. Psycho, pellicola cult di Alfred Hitchcock del 1960, diede vita ad un’altra narrativa fuorviante che associava la transessualità alla psicopatia; un’interpretazione ripresa ed ampiamente alimentata da altri film usciti nei decenni successivi.
Racconta la scrittrice ed attrice transgender Jen Richards in proposito:

Mancava poco alla mia transizione e avevo trovato il coraggio di dirlo a una collega. Lei mi guardò e mi chiese: – Come Buffalo Bill? –

Perché l’unica figura di riferimento trans presente nella mente dell’amica era Jame Gumb, l’antagonista principale de Il silenzio degli innocenti (1991), soprannominato Buffalo Bill: un serial killer psicopatico che uccideva le donne per scuoiarle ed indossare la loro pelle.

Buffalo Bill ne Il silenzio degli innocenti. Fonte: rollingstone.com

Come se non bastasse, un’altra convinzione perpetratasi fin oltre i primi anni duemila ha contribuito a far ritrarre i personaggi trans femminili come sole prostitute. E’ il caso di Sex and the City, andata in onda dal 1998 al 2004. Infatti, negli spezzoni di questa serie tv inseriti nel documentario, viene veicolato il messaggio che si prostituiscano per seguire una moda e divertirsi. Un immaginario ripreso anche da altri prodotti televisivi, senza che abbiano mai menzionato il vero drammatico motivo dietro questa realtà: le donne trans, discriminate in quanto tali, in media hanno una probabilità molto più bassa di trovare lavoro rispetto agli altri individui della società, quindi molte di loro si danno alla prostituzione per sopravvivere.

Primi significativi cambiamenti

Per fortuna, col passare del tempo, l’approccio alla rappresentazione delle persone transessuali sta lentamente cambiando.
Nella seconda decade degli anni duemila si assiste ai primi veri tentativi di normalizzare la loro presenza sugli schermi televisivi: succede in Sense8, uscita tra il 2015 ed il 2018, dove lo sviluppo del personaggio transgender Nomi Marks e la sua relazione romantica con Amanita Caplan prescindono dalla sua identità di genere. O, ancora, con Pose, ambientata nella New York tra gli anni ottanta e novanta ed uscita in America per FX dal 2018 al 2021.

“Pose” è diversa, perché racconta storie incentrate su donne trans nere su una rete televisiva commerciale
(Laverne Cox)

La presenza di questa serie tv, ideata da Ryan Murphy e scritta e diretta da persone trans, è fondamentale: non solo consente al pubblico transessuale di sentirsi, finalmente, preso sul serio e parte di una comunità unita; ma permette anche a chi non ne fa parte di comprendere meglio la Ballroom Culture, una subcultura statunitense che rappresenta un pezzo di storia molto significativo, sia per il movimento transgender che per il resto della comunità LGBTQ+.

La locandina della prima stagione di Pose. Fonte: silmarien.it (blog di Irene Podestà)

Perché guardarlo?

Durante tutto il percorso narrativo del documentario le emozioni di attori, produttori e sceneggiatori sono palpabili. Lo spettatore si immedesima nella loro frustrazione, nel dolore per aver subito anni ed anni di politiche discriminanti e narrative colpevolizzanti; le stesse che, con ogni probabilità, aveva interiorizzato anche Cloe Bianco, l’insegnante transgender morta suicida appena qualche giorno fa. Un fatto di cronaca che dimostra chiaramente la necessità di continuare a proporre storie con modelli di riferimento eterogenei e positivi. Una corretta rappresentazione, infatti, non è che uno strumento per raggiungere un fine più grande: migliorare le condizioni di vita di tutte quelle persone trans che conducono esistenze normali fuori dallo schermo ed assicurare loro il supporto di quanti le circondano.

Rita Gaia Asti

Ungheria: 17 Paesi della Ue contro la legge anti Lgbt+. Ecco le dichiarazioni

A seguito del discusso caso dell’illuminazione dello stadio di Monaco, 17 paesi dell’Unione Europea hanno stipulato un documento contro l’Ungheria e le sue politiche a sfavore della comunità Lgbt+.

Ungheria contro la legge Lgbt+ –Fonte:iodonna.it

Il 22 giugno i rappresentanti degli Stati membri dell’Ue hanno disapprovato la nuova legge ungherese che vieta di affrontare temi legati all’omosessualità in ambienti pubblici frequentati dai minori. Questi hanno perciò chiesto alla Commissione di agire contro l’Ungheria portandola in Corte di Giustizia per le misure adottate. La norma criticata anche dall’Italia è stata definita come “un’evidente forma di discriminazione”.

L’origine della disapprovazione

La disposizione rientra in una procedura disciplinare intrapresa nell’ambito dell’articolo 7 del Trattato di Lisbona, circa 3 anni fa. Esso permette di punire chiunque violi l’articolo 2 volto a tutelare il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto e dei diritti umani. Risulta perciò applicabile contro il Primo Ministro ungherese Viktor Orbàn che durante il suo mandato autoritario ha fortemente limitato lo stato di diritto, che è uno dei valori fondamentali su cui si basa l’Unione Europea.

I Paesi Ue firmano una dichiarazione di denuncia –Fonte:repubblica.it

Martedì scorso è così sopraggiunta la firma contro la legge anti Lgbt+ da Paesi come Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lettonia, Lituania, Spagna, Svezia, Austria, Cipro e Grecia. Il Portogallo non appone la firma per ragioni istituzionali, poiché è la Nazione detentrice della presidenza di turno, ma rende nota la sua posizione di appoggiare la censura contro l’Ungheria. Nonostante i primi tentennamenti dell’Italia, data dall’attesa di “chiarimenti” dall’Ungheria, si è aggiunta in un secondo momento agli altri Stati firmatari. Nella dichiarazione si esprime

“profonda preoccupazione per l’adozione da parte del Parlamento ungherese di emendamenti che discriminano le persone Lgbtq+ e violano il diritto alla libertà di espressione con il pretesto di proteggere i bambini.”

La legge ungherese

La norma presentata da Fidesz, partito di Orbàn, ha come focus quello di contrastare la pedofilia, equiparandola all’omosessualità e al cambio di genere. Gli emendamenti invece contengono una verità diversa, nel testo si legge

“Al fine di garantire la protezione dei diritti dei bambini, la pornografia e i contenuti che raffigurano la sessualità fine a se stessa o che promuovono la deviazione dall’identità di genere, il cambiamento di genere e l’omosessualità non devono essere messi a disposizione delle persone di età inferiore ai diciotto anni.”

Ungheria, il Parlamento cambia la Costituzione –Fonte:repubblica.it

I provvedimenti discussi, sono stati approvati dal legislativo ungherese la scorsa settimana con 157 voti a favore, raccogliendo la condanna immediata di diverse organizzazioni per la violazione dei diritti Lgbt+, tra cui Amnestry International.

Nel documento si precisa che le lezioni di educazione sessuale “non dovrebbero essere finalizzate a promuovere la segregazione di genere, il cambiamento di genere o l’omosessualità”. Si censurano così libri e film che facciano riferimento a costumi sessuali diversi dall’eterosessualità ai giovani e ai bambini, includendo titoli come “Il diario di Bridget Jones”, “Harry Potter” e “Billy Elliot”. La normativa limita anche le pubblicità che mostrano persone omosessuali o transgender come facenti parte della società normale.

La politica discriminatoria di Orbàn

Nonostante le posizioni retrograde e discriminatorie attuate già nella politica di azione di Orbàn, come il blocco all’unione omosessuale e all’adozione alle coppie dello stesso sesso, in molti sostengono che la norma discussa contenga dentro se un principio di svolta. Le proteste di migliaia di persone radunatesi davanti alla sede dal Parlamento a Budapest, perciò non sono valse all’eliminazione del provvedimento legislativo.

Ungheria, le coppie omosessuali non possono adottare figli –Fonte:rollingstone.it

Le dichiarazioni rilasciate dalla ministra della Giustizia ungherese, Judit Varga, appoggiano le misure disposte nel documento, sostenendo che serviranno principalmente alla protezione dei diritti dei bambini, senza che vengano lesi i diritti di alcun membro della società. Risulta chiaro il fine volto a vietare la “propaganda” gay.

La risposta da Bruxelles

Lo scontro frontale tra Budapest e Bruxelles, si attua in guerra aperta con le istituzioni europee e con gli Stati membri. Lo strappo interno all’Unione è divenuto talmente incisivo da imporre una modifica all’agenda dei lavori dei Capi di Stato e di Governo, durante le giornate del 24 e 25 del mese corrente.

Si preannuncia un tavolo rovente che vede da un lato chi difende i Paesi dell’est e dall’altro chi li condanna. Tale situazione pone la Commissione tra due fuochi sotto l’occhio vigile del Parlamento europeo, pronto a deferire i provvedimenti da attuare alla Corte di Giustizia dell’Unione.

Non sono mancate le pressioni del Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, rivolte alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, sottoscrivendo in una lettera la necessità di reazione da parte della Commissione nei tempi segnati dai trattati.

Von der Leyen –Fonte:ilfattoquotidiano.it

Ancor prima delle sollecitazioni ricevute, Ursula von der Leyen ha pubblicamente bollato l’iniziativa legislativa ungherese considerandola come una “vergogna”.

“Va contro la dignità umana, l’uguaglianza e i diritti umani. Siamo pronti ad usare tutti i poteri per garantire che i diritti di tutti i cittadini dell’UE siano garantiti, chiunque siano e dovunque vivano all’interno dell’Unione Europea.”

La risposta dell’Ungheria

Non sono mancate le accuse dell’Ungheria riguardo il processo politico applicato dalla Ue per rivendicare le legittimità giuridico e valoriale, nonostante questa agisca richiamando la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Si rifà in particolare all’articolo volto alla tutela della libertà di fondare istituti di istruzione nel rispetto dei principi democratici e il diritto dei genitori di assicurare l’educazione e l’insegnamento dei propri figli in conformità con le proprie convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche, in conformità con le leggi nazionali che disciplinano l’esercizio di tale libertà e giusto.

Al vertice del Consiglio Europeo, il Presidente Charles Michel ha deciso di inserire il tema che ha riscosso un “polverone mediatico”, in modo da poter ottenere un faccia a faccia con Orbàn che con il suo comunicato di Governo ha come obiettivo quello di tenere sotto scacco l’Unione.

Legge contro i diritti Lgbt* -Fonte:euractiv.it

Nel trambusto dei mass media, la capitale dell’Ue ha deciso di colorarsi di arcobaleno. Il Parlamento europeo ha issato, presso gli edifici istituzionali, le bandiere simbolo della comunità Lgbt, invitando le sedi di rappresentanza nelle 27 capitali di fare lo stesso, per far fronte in modo unanime alla tutela di diritti fondamentali dell’uomo.

Giovanna Sgarlata

La Chiesa Cattolica ha chiesto all’Italia di non approvare il Ddl Zan

Il Vaticano ha chiesto all’Italia di non approvare il Ddl Zan. Da sempre contraria al disegno di legge contro l’omotransfobia, La Chiesa Cattolica ha deciso di passare dai semplici ammonimenti e prese di posizione ai canali ufficiali. Con la “nota verbale”, recapitata all’ambasciata italiana presso la Santa Sede lo scorso 17 giugno, la Chiesa interviene pubblicamente nell’iter di approvazione di una legge italiana per la prima volta nella storia repubblicana.

fonte: Il Fatto Quotidiano

La nota verbale

Sulla questione Ddl Zan già la Cei (Conferenza episcopale italiana) si era espressa ufficialmente. Nel giugno del 2020 aveva affermato l’inutilità della legge data l’esistenza di «già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio». Un mese e mezzo fa il presidente Gualtiero Bassetti ha affermato come «una legge che intende combattere la discriminazione non può e non deve perseguire l’obiettivo con l’intolleranza». Più duro il vescovo di Ventimiglia-Sanremo Antonio Suetta che non si è trattenuto dal definire il disegno di legge come «un attacco teologico ai pilastri della dottrina cattolica». Posizioni forti, e non prive di successive critiche, ma pur sempre legittime.

Monsignor Gallagher, fonte: Pieriodico Daily

La “nota verbale” è stata consegnata giovedì scorso dal Segretario per i rapporti con gli Stati, monsignor Paul Richard Gallagher, nelle mani del primo consigliere dell’ambasciata italiana presso la Santa Sede e sita in palazzo Borromeo in Roma. Si tratta di una comunicazione formale, scritta in terza persona e non recante alcuna firma, al cui interno sono espresse le preoccupazioni della Chiesa in merito alla possibile approvazione del disegno di legge. La nota è stata immediatamente girata al Gabinetto del Ministero degli Esteri del ministro Luigi Di Maio e all’Ufficio Relazioni con la Farnesina.

Mai prima di oggi la Chiesa Cattolica aveva adoperato i canali diplomatici a sua disposizione, previsti all’interno dei Patti Lateranensi del ’29 e dagli Accordi di Villa Madama dell’84.

Le preoccupazioni della Chiesa Cattolica

«Alcuni contenuti attuali della proposta legislativa in esame presso il Senato riducono la libertà garantita alla Chiesa Cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato». Il primo comma assicura alla Chiesa “libertà di organizzazione, di pubblico esercizio di culto, di esercizio del magistero e del ministero episcopale”, mentre il terzo comma garantisce “ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.

Diritti e garanzie che verrebbero lesi da una possibile approvazione del testo di legge. Ad esempio la libertà di organizzazione verrebbe lesa per via dall’assenza di forme di esenzione per le scuole private, e quindi anche quelle cattoliche, dalla partecipazione o l’obbligo di organizzazione di eventi inerenti la costituenda Giornata Mondiale contro l’omotransfobia. O ancora, e non di poco conto, la libertà di pensiero dei cattolici potrebbe essere minata, secondo la Santa Sede, da eventuali condotte discriminatorie e dal rischio di eventuali ripercussioni giudiziarie. Ripercussioni, queste ultime, che potrebbero ricadere anche sui ministri di culto. La dottrina e la propaganda cattolica sono da sempre contrarie all’equiparazione sul medesimo piano della dignità delle coppie omosessuali rispetto alla famiglia tradizionale poiché nel “disegno divino” lo scopo dell’unione è unicamente quella della procreazione. Il timore è che le eventuali posizioni esplicitamente omofobe di alcuni sacerdoti rese pubblicamente potrebbero essere perseguite come un reato.

Cosa dice il Ddl Zan

Il Ddl Zan, intitolato «Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità», è già stato approvato alla Camera il 4 novembre scorso e attualmente si trova sotto esame in commissione Giustizia al Senato. Il testo si compone di 10 articoli ed estende l’applicazione dei reati d’odio per discriminazione razziale, etnica o religiosa a forme di discriminazione contro omosessuali, donne e disabili. La pena prevista è della reclusione fino a 18 mesi o una multa fino a 6000 euro nei confronti di chi istiga o commette atti di discriminazione. Nel caso in cui invece si istigassero o commettessero atti di violenza, o si partecipasse a organizzazioni che incitano a discriminazione e violenza, la pena sarebbe da 6 mesi a 4 anni.

Il deputato Alessandro Zan (Partito Democratico), fonte: Open

La reazione alla nota breve

In risposta alle preoccupazioni palesate dalla Santa Sede i promotori e le promotrici della legge hanno ribadito, per l’ennesima volta, come non vi sia alcuna messa in discussione della libertà di espressione. La lettera della legge non impedisce la costituzione o il mantenimento di una qualsiasi associazione che faccia campagna contro l’equiparazione dei diritti delle coppie dello stesso sesso. Ciò che si vuole impedire attraverso la criminalizzazione è, piuttosto, che venga linciata una coppia non eterosessuale in quanto, semplicemente, non eterosessuale.

fonte: Today

La nota, il cui contenuto inizia ad ricevere sostegni dalle aree più a destra e integraliste, cattoliche e non, ancora non è stata posta all’attenzione del premier Draghi né, tanto meno, del Parlamento. Sarà interessante scoprire come verrà risolta la questione essendo impossibile, come si palese in queste ore sui social dai numerosi commenti, il semplice richiamo alla laicità dello stato e alla non interferenza negli affari interni italiani. Lo Stato e la Chiesa Cattolica, che piaccia o meno, sono due realtà che condividono non solo una dimensione territoriale comune ma anche e soprattutto un sostrato storico e culturale suggellato nell’art.7 della Costituzione e rafforzatosi nelle dinamiche elettorali e politiche della storia pre e post repubblicana. L’unica via sarà dunque quella si rifarsi agli strumenti previsti all’interno dei trattati e l’articolo 14 del Concordato potrebbe essere lo strumento adeguato. In esso si stabilisce che «se in avvenire sorgessero difficoltà di interpretazione o di applicazione delle disposizioni precedenti, la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un’amichevole soluzione ad una Commissione paritetica da loro nominata». Soluzione amichevole sul cui esito si spera nessuno rischi la pelle.

Filippo Giletto

Ohana significa famiglia

Ohana significa famiglia e famiglia vuol dire che nessuno viene abbandonato o dimenticato.” 

La citazione, tratta dal cartone Disney “Lilo & Stitch”, rimanda all’idea di famiglia secondo la cultura hawaiana. Con il termine ohana si intende la famiglia non solo in senso lato (legame di sangue), ma anche come rapporto adottivo o intenzionale che unisce le persone amiche in funzione dell’affetto e dei valori di cooperazione, condivisione e rispetto. Significa prendersi cura gli uni degli altri scegliendosi e accettandosi reciprocamente così per come si è.

Questa concezione sta alla base della tradizione dei nativi hawaiani, ma in fondo la si potrebbe estendere anche ad altre culture, che ne condividono il valore. Ad esempio, spostandosi di continente, la famiglia è molto sentita e vissuta anche in Italia, e rappresenta un elemento fondante della cultura e della società. È emblematico e interessante pensare, ad esempio, che in una delle attività di formazione che l’associazione Intercultura (onlus che si occupa di scambi interculturali) organizza per i ragazzi in partenza all’estero, la maggior parte di questi ultimi, nel dover stilare la loro scala dei valori, tenda a posizionare tra i primi proprio quello della famiglia, attribuendovi importanza primaria.

Tornando al concetto di ohana: le parole del personaggio di Lilo potrebbero essere tornate in mente facilmente mentre la scorsa settimana ci si imbatteva negli aggiornamenti quotidiani dei tg in merito al XIII congresso mondiale delle famiglie (World Congress of Families) che si è svolto dal 29 al 31 marzo a Verona. Tra i relatori spiccano personalità più o meno note del panorama politico nazionale e internazionale. Cos’è la famiglia per una parte di Italia hanno tentato di spiegarcelo loro, argomentando delle tesi a supporto di teorie pro vita che contemplano l’esistenza di un solo modello di famiglia riconosciuto come unicamente valido poiché costituito dalle figure genitoriali di madre e padre. Ecco perché, leggendo e ascoltando queste parole, se ne possono pensare di altre diametralmente opposte, come quelle di Lilo, che se interpretate con un principio di inclusione, alludono a una realtà dove nessuna tipologia di famiglia, seppur non tradizionale, viene dimenticata o non celebrata. Una famiglia per essere definita tale deve rispondere a poche ma essenziali condizioni: il sentirsi a casa e l’amore disinteressato e incondizionato. Quali altri canoni dovrebbe rispettare una famiglia ideale? Quali criteri determinano un modello di famiglia migliore rispetto a un altro? Quali dovrebbero essere i tratti distintivi che costituiscono una famiglia cosiddetta “normale” e naturale? Le altre sono anormali? Altre forme d’amore e altri modi d’amare sono impensabili?

Laddove c’è amore, c’è famiglia: ed è proprio questo lo slogan proiettato nelle facciate di alcuni monumenti a Verona, in occasione di una manifestazione di protesta avanzata da All out, movimento globale che lotta a favore dei diritti LGBT+, a cui hanno aderito anche altri enti ed associazioni che sposano la stessa mission. L’intento era quello di trasmettere, attraverso l’azione non violenta, il seguente messaggio: “è l’amore che fa una famiglia e tutte le famiglie contano!”. Questa insurrezione non deve essere confusa e fraintesa con una pretesa di voler imporre a tutti i costi idee opposte a quelle portate avanti dal congresso, ma è dettata dal principio della libertà di espressione di posizioni diverse su alcuni temi. Così come al congresso delle famiglie si dibatteranno alcune opinioni, allo stesso modo si deve poter esercitare il diritto di controbattere, ribellandosi a una determinata corrente di pensiero.

Željka Markić, fondatrice e presidente di “Per conto della famiglia” (U ime obitelji) in Croazia, uno degli ospiti del congresso, ha dichiarato: “Preferirei dare mio figlio all’orfanotrofio, piuttosto che in adozione a una coppia dello stesso sesso.”Un pensiero del genere vorrebbe negare dunque a un bambino la felicità e l’armonia di cui avrebbe bisogno in assenza dei genitori biologici, in funzione di quella distorta idea secondo cui i bambini che crescono con genitori dello stesso sesso non abbiano come riferimento un modello educativo solido e stabile, ma deviato. Sempre secondo questa visione, altre conseguenze sarebbero lo stato di isolamento e di discriminazione che il bambino potrebbe subire, sottoposto ai giudizi di chi lo considererà diverso e lo additerà come “fuori dal comune”. È davvero con questi presupposti che ci si vuole rivolgere e approcciare alle nostre comunità? Le esigenze della società si sono evolute e le società stesse hanno imparato ad accettare tipi nuovi di relazioni, le cosiddette unioni civili. Anche la politica e le leggi dovrebbero adattarsi ai cambiamenti sociali, aggiornando il codice civile, introducendo e promulgando nuove leggi a favore dei diritti di tutti, che una volta approvate ed entrate in vigore, garantiscano più equità sociale. Sono stati già fatti molti passi avanti (la legge Cirinnà che dal 2016 riconosce le unioni civili), ma ancora tante altre proposte devono essere oggetto di confronto per nuovi disegni di legge.

©FernandoCorinto, Parco Don Blasco – Marzo 2019

Altro argomento controverso oggetto di pregiudizi e disinformazione è la questione dell’utero in affitto e della maternità surrogata. Agli occhi dei famigerati e fantomatici garanti della vita ospiti del congresso, questi metodi ridurrebbero la volontà di coppie dello stesso sesso di avere figli a un mercato e a una forma di business che mercificherebbe la donna in quanto oggetto utile alla procreazione, in cambio di denaro. Questa pratica effettivamente viene eseguita in alcune parti del mondo ed è una realtà da molti denunciata. Ma occorre ricordare che in Italia non è consentita, e che dopo aver constatato questo dato, è necessario avviare e supportare una corretta campagna informativa, specificando che non si tratta delle uniche opzioni per una coppia gay di avere figli. Esiste la possibilità di ricorrere a tecniche lecite e legali di procreazione assistita.

Sul fronte della tematica della donna, il congresso si è espresso in modo altrettanto retrogrado e maschilista: la donna viene ancora una volta relegata al ruolo di moglie e madre, come fosse una macchina deputata esclusivamente alla riproduzione, senza diritto di occupazione e ambizioni di carriera. È frustrante quanto vero dover riportare il seguente dato, che emerge da statistiche e da testimonianze che corrispondo al vero: è ormai risaputo che l’Italia rientra tra i paesi le cui prospettive professionali per una donna sono ridotte, con salari più bassi rispetto agli uomini, unitamente all’amarezza di una mentalità diffusa che vede le figure manageriali e di potere come prerogativa dell’uomo. Per non vanificare anni di lotte per l’emancipazione, bisogna intraprendere politiche a favore delle pari opportunità e investire su un tipo di formazione che dia una svolta a quell’approccio machista che ad esempio ha indotto Sergio Vessicchio, cronista calcistico attualmente sospeso dall’ordine dei giornalisti, a rivolgere in diretta da una web tv di Agropoli, commenti sessisti e offese nei confronti di una donna che arbitrava ad una partita. Ha cercato poi di difendersi goffamente, definendo i suoi commenti solo come “dei modi per evitare la promiscuità.” Ai suoi occhi, le donne devono arbitrare le donne, e gli uomini devono arbitrare gli uomini, ignorando il fatto che se si procederà sempre seguendo tali parametri di esclusione, si accentueranno i divari di genere e non si combatterà mai l’idea che le donne siano considerate inferiori, o peggio, non esperte tanto quanto gli uomini riguardo a uno sport in prevalenza maschile.

È evidente come ci sia un’emergenza seria che merita la priorità rispetto agli investimenti sulla maternità. Innanzitutto, se proprio si vuole agire efficacemente, si dovrebbero adottare e applicare politiche di investimento sugli asili nido, promesse puntualmente da ogni legislatura e mai realmente messe in atto. Ad oggi è un problema rilevante per tutte quelle famiglie e tutte quelle mamme che, trovandosi in difficoltà a causa della mancanza di sussidi e luoghi sufficienti in cui poter portare i figli durante la loro assenza, trovano inconciliabile maternità e lavoro. Perché inoltre non ci si concentra su politiche concrete mirate a creare posti di lavoro? Il lavoro nobilita l’uomo, e l’uomo, per creare un nucleo familiare sereno, deve prima poter essere messo nelle condizioni di avere una dignità economica per poterne assicurare il sostentamento. Una donna non ha voglia di essere madre se prima non le viene riconosciuto a pieno il suo status sociale di persona, con uguali diritti di un uomo, senza distinzioni di genere. Una donna per sentirsi appagata e realizzata non è costretta necessariamente a diventare madre, e deve poter avere la libertà di scegliere attraverso la contraccezione, che nonostante abbia diminuito il tasso di natalità da un lato, dall’altro ha limitato e prevenuto molte gravidanze indesiderate, e quindi aborti.

A tal proposito, veniamo al discorso sull’aborto, altro aspetto che il congresso delle famiglie lamenta e condanna. Sorge spontaneo chiedersi se, nei loro ragionamenti, i relatori tengano in considerazione tutte le ragioni che possono portare a un aborto. Per citarne qualcuno: i concepimenti frutto di stupri e violenze o di rapporti non consenzienti; i casi di gravidanza rischiosa per il feto e/o per la madre; l’impossibilità economica di mantenere il feto quando nascerà e diventerà bambino. Abortire non è mai una scelta semplice, per nessuno, ma c’è una legge che lo permette, e regredire non è proficuo. Inoltre, esiste già l’assistenza adeguata che non lascia soli chi desidera portare avanti la gravidanza fino al parto e poi far adottare il bambino. Questa soluzione alternativa all’aborto è il parto in anonimato. Credere di aver costituito un governo politico da appena un anno e poter illudersi di apportare riforme che esistono già è molto inutile, oltre che una pericolosa manipolazione all’insegna del pressappochismo e del buonismo che vorrebbe solo accaparrarsi il consenso della massa.

LGBT+, madri e padri single, e le donne sono le categorie coinvolte nei dibattiti del congresso tenutosi una settimana fa a Verona. Sono nel mirino perché considerate minoranze e gruppi deboli, e che per questo motivo secondo il punto di vista dei partecipanti all’evento, non dovrebbero essere tutelati e godere degli stessi diritti di tutti. Come in ogni fase della storia, in questo momento è toccato a loro diventare i capri espiatori, accusati di essere tra i colpevoli del depauperamento della popolazione. Questa convinzione infondata cela un motivo ben più profondo: rappresenta un comodo deterrente che servirebbe a non ammettere un susseguirsi di sbagli di strategie e logiche politiche, su cui ricadono le principali responsabilità di cali demografici e crisi economica.

Il motto del congresso nonché titolo del manuale di presentazione del programma è “Wind of Change”, cioè “Vento del cambiamento”. È inevitabile il paragone con la celebre canzone degli Scorpions, che cantavano sulle note di “Wind of Change” come simbolo di resistenza e speranza contro la guerra. Non sembra esserci comunanza di intenti nel messaggio che l’organizzazione internazionale delle famiglie (IOC), organizzatrice del congresso mondiale delle famiglie, intende trasmettere e di cui si fa portavoce. Sicuramente non incita esplicitamente alla guerra, ma diffonde idee che sottostanno a un pensiero intollerante e chiuso. E si sa che fenomeni come i totalitarismi, prima di diventare tali, sono partiti in origine da politiche apparentemente accettabili che poi sono sfociate in crimini contro l’umanità e nel secondo conflitto mondiale. Da un’ideologia all’istigazione all’odio il passo è breve. 

Perché Verona e non qualche altro luogo in cui ambientare il congresso? Nel sito ufficiale dell’evento si spiega che Verona è stata scelta “per onorare i suoi cittadini e i loro continui sforzi e azioni in difesa dei valori della vita e della famiglia a livello sociale e politico”. Verona è conosciuta nel mondo per la sua storia e per il suo patrimonio artistico e culturale. Romeo e Giulietta e l’Arena ad esempio sono solo due tra quei simboli che rimarranno sempre predominanti. Non sarà di certo il congresso a rendere la città più speciale. Torniamo a dare il giusto peso e senso alle cose. Per fortuna che c’è la bellezza della cultura e dell’arte a salvare il mondo.

Giusy Boccalatte

Sense8: il finale di serie soddisfa le aspettative?

Questo è la vita. Paura, rabbia, desiderio, amore. Smettere di provare emozioni o smettere di volerne provare è come morire. 

Quando il 1° Giugno 2017 Netflix annunciò la cancellazione definitiva di questa serie, fu un duro colpo; soprattutto perchè il 5 Maggio dello stesso anno, la piattaforma aveva pubblicato la seconda stagione.
Le proteste e la successiva mobilitazione dei fan, hanno portato all’annuncio della stessa Netflix, in data 29 Giugno 2017, dell’intenzione di realizzare un episodio conclusivo, che è stato pubblicato l’8 Giugno 2018.

Per chi non avesse idea di cosa stiamo parlando, citiamo la descrizione di trama che fa Wikipedia:

Otto sconosciuti da diverse parti del mondo sviluppano improvvisamente una reciproca connessione telepatica. Appartenenti a diverse culture, religioni e orientamenti sessuali, scoprono quindi di essere dei sensate, persone con un avanzato livello di empatia che hanno sviluppato una profonda connessione psichica con un ristretto gruppo di loro simili. Mentre cercano di scoprire, disorientati, il significato delle loro percezioni extrasensoriali e iniziano a interagire a distanza tra di loro, un uomo di nome Jonas si offre di aiutarli. Allo stesso tempo un’altra enigmatica figura, Whispers, sfrutta la loro stessa abilità per dar loro la caccia.”

Se pensiamo che le ideatrici sono le sorelle Wachowski, che da fratelli hanno tirato fuori una trilogia come Matrix, che ha avuto un forte impatto culturale a livello mondiale, non possiamo definire Sense8 una serie fantascientifica.
C’è prima di tutto un’idea molto interessante di fondo, la connessione tra persone in diverse parti del mondo che non è semplice telepatia, ma qualcosa di molto più profondo.
I temi affrontati sono importanti, si parla di discriminazione, razziale, sessuale, religiosa, di ceto, si parla di paura, di odio, di passione, sesso, ipocrisia e affrontando tutti questi temi saltando da un genere all’altro, come durante la serie si salta da una parte del mondo all’altra.
Ci si ritrova a ridere e il secondo dopo piangere, esaltarsi e soffrire.
Non è una serie banale, forse non è per tutti, ma tutti dovrebbero vederla probabilmente.
Ammetto che all’inizio non è facile da “digerire”, ma l’apparente “lentezza” serve a “imboccarti” i concetti e a capire meglio i personaggi. Il ritmo diventa sempre più incalzante e vuoi sapere come va a finire il tutto.

E qui torniamo alla nostra domanda iniziale: La puntata conclusiva è stata soddisfacente? La risposta è Nì. Indubbiamente lo svolgimento dei fatti, come le Wachowski le avevano concepite all’origine, non doveva risolversi in un lungometraggio. Troppe le trame da concludere, le spiegazioni mancanti, le verità nascoste. Eppure hanno dato una fine decorosa a questo intenso percorso. Certo, si nota la necessità di “dover chiudere in fretta”, ma questo non ha tolto spazio a scene d’azione, momenti divertenti, piccanti, thriller. Per alcuni sarà sembrata una fine “a tarallucci e vino” o troppo “amore libero”, ma alla fine i fan volevano questo e si vede che è stato fatto tutto con amore, per i fan che hanno creduto in questa serie, che si sono emozionati e volevano vedere qualcosa di positivo.

Questa serie alla fine parla di amore, un amore che va oltre le distanze geografiche, oltre gli schemi tradizionali, per chi è troppo “bacchettone” può anche dar fastidio una serie così e magari spegne alla prima scena di bacio tra persone dello stesso sesso. Io dico peggio per loro, perché Sense8 non è solo questo e solo guardandola si può capire (a prescindere dalla scena finale che può piacere o meno, ma alla fine la maggior parte dei fan quello volevano, furbacchioni 😉 )

Alla fine, saremo tutti giudicati per il coraggio del nostro cuore.

 

Saveria Serena Foti

Gay Pride, il cielo è arcobaleno sopra Milano

Si conclude oggi a Milano la Week Pride, la 10 giorni di eventi, concerti, mostre e spettacoli che si è conclusa con la parata finale del 30 giugno scorso, all’insegna della libertà e della rivendicazione dei diritti per la comunità Lgbt. L’hashtag di quest’anno è #civilimanonabbastanza.

Per una settimana, dal 22 giugno all’1 luglio, Milano si è addobbata a festa. L’onda arcobaleno invade il capoluogo lomabardo. #Civilimanonabbastanza è il tema della Milano Pride 2018 perché, come sottolinea Fabio Pellegatta, presidente Associazione Arcigay Milano:

Milano ha raggiunto tanti traguardi ma c’è ancora tanto da fare, è un percorso di crescita culturale. Con queste politiche che cercano di farci arretrare in una dimensione culturale lontana dai tempi che stiamo vivendo, dobbiamo ancora di più scendere in piazza. Non sono i ministri che dicono cosa è diritto, ma le nostre vite

L’evento, giunto alla sua sesta edizione, raccoglie migliaia di uomini, donne, bambini, etero, gay transessuali, bisex e non per unirsi alla giornata mondiale dell’orgoglio gay, celebrata in tutto il globo, che mantiene in vita la memoria dei moti di Stonewall del 1969. La storia narra che la sera del 28 giugno 1969 allo Stonewall Inn – un locale di New York ancora oggi esistente e frequentato per la maggior parte da omosessuali e transessuali – la polizia irruppe iniziando a perquisire e portar via i clienti. Il fine della retata era quello di verificare che tutti gli avventori avessero almeno 4 capi gender coerenti, ovvero che rispecchiassero il sesso di nascita. Chi non rientrava nei canoni veniva pestato, violato e abusato dagli agenti.

Quella sera però, i clienti del club, dopo anni di discriminazioni e violenze, “SI SONO ROTTI IL CAZZO – scrive Antonio Andrea Pinna (influencer) sul suo profilo Facebook. E nonostante tacchi a spillo, parrucche sintetiche e boa di piume, hanno risposto alla violenza autorizzata della polizia con altrettanta violenza. VINCENDO però. I poliziotti scapparono a gambe levate e con molte ossa rotte. Fu una RIVOLUZIONE. Esattamente un anno dopo fu organizzato il primo Gay Pride a New York. Durante questa marcia i partecipanti scesero in strada mettendosi addosso tutto ciò che non avrebbero mai potuto indossare pubblicamente prima. Per le travestite e per le transessuali fu forse la prima volta in cui videro la luce del sole sentendosi libere di essere se stesse. Lo slogan era ‘Say it clear, say it loud. Gay is good, gay is proud’ (Dillo in modo chiaro, e urlalo. Essere gay è giusto, essere gay è motivo d’orgoglio)” 

La situazione trova sfogo anche sul versante politico. Vincenzo Spadafora, sottosegretario alle Pari Opportunità, partecipa al Pompei Pride in rappresentanza dell’esecutivo gialloblu dichiarando:

Sono qui per testimoniare il mio sostegno e quello del governo. So che in una parte del governo non c’è la stessa sensibilità ma l’Italia non tornerà indietro, non si perderanno i diritti conquistati

Una risposta, seppur indiretta, che arriva settimane dopo le dichiarazioni del ministro Fontana per cui “le famiglie arcobaleno secondo la Legge non esistono” e quelle del neo ministro dell’interno e vicepresidente del consiglio che, in occasione di un comizio a Brindisi, dice:

Farò tutto quello che è legalmente, umanamente e civilmente possibile fare perché la mamma continui a chiamarsi mamma e il papà continui a chiamarsi papà

#Civilimanonabbastanza, per ricordarci che l’Italia, che millanta di essere uno dei Paesi più importanti e influenti del pianeta, non ha ancora capito come si sta al mondo. Che per stare al mondo bisogna essere umani, non essere uguali.

Elisa Iacovo