Taobuk 2024: un gala tra identità e arte

Anche quest’anno il Taobuk ha regalato al pubblico grandi emozioni. Tra ospiti di spessore del calibro di Marina Abramovic, Paolo Sorrentino, Ferzan Ozpetek, Alessandro Baricco e tanti altri, il festival si è incentrato quest’anno su un nuovo tema: L’Identità.

Una magica serata alla ricerca dell’Identità

L’identità al centro delle manifestazioni artistiche di questi grandi ospiti si è manifestata anche nel magico, suggestivo e spettacolare contesto della Serata di Gala del Taobuk (momento più atteso del festival), tenutosi il 22 giugno.

La serata è stata presentata dal conduttore Massimiliano Ossini e Antonella Ferrara, ideatrice del festival. Qui l’identità è stata presentata in svariate forme: dalla danza con le coreografie strepitose del gruppo Momix, ideato dal coreografo Momes Pendleton e della prima ballerina del Teatro alla Scala Nicoletta Manni, alla musica con la magnetica esibizione di Noemi.

Ogni grande artista presente han espresso il proprio concetto di identità e dove la ritrovano nel proprio mondo, aprendoci così una finestra nel loro spirito più profondo.

Coreografia svolta da una delle ballerine del corpo di ballo dei Momix
Coreografia svolta da una delle ballerine del corpo di ballo dei Momix

A tu per tu con i Giganti

Da Jon Fosse a Kasia Smutniak, da Sorrentino a Baricco, le più grandi personalità presenti al festival hanno ricevuto un prestigioso premio alla carriera e si sono raccontati, affrontando temi importanti e sotto certi aspetti delicati.

Come nel caso di Jonathan Safran Foer che ha trattato lo spinoso tema della guerra tra Israele e Palestina, oppure come Ferzan Ozpetek che ha centrato il focus sulla sua identità omosessuale e in generale su questo tema  ancora oggi fin troppo delicato. C’è stato poi chi ha mostrato per l’occasione il lato più profondo della propria identità, come ad esempio Jon Fosse, che ha raccontato la sua conversione religiosa o come Paolo Sorrentino che ha dichiarato come trova se stesso all’interno della sua filmografia, soprattutto nel suo ultimo film E’ stata la mano di Dio e in quello che uscirà prossimamente nelle sale, Parthenope.

L’apice è raggiunto con un affascinante racconto di Marina Abramovic sulla sua brillante ed eccentrica vita performativa, basata sul rapporto tra arte e corpo.

Il tutto accompagnato dalle melodie dell’orchestra sinfonica del Teatro Massimo Bellini di Catania e dal dolce ricordo di una delle personalità più importanti di questo festival, ovvero Franco di Mare.

Il Teatro Antico: il ritorno alla nostra identità

Tra i grandi artisti presenti a questa grande serata di Gala, vi è stato anche lo scrittore Alessandro Baricco, che nel presentare il suo spettacolo del 23 giugno, rappresentato proprio al Teatro Antico, tratto dagli scritti dello storiografo Tucidide, Atene contro Melo, ci ha donato a tutti una delle più grandi riflessioni sull’identità di tutta la serata, legata prettamente alle nostre origini. Egli ha infatti dichiarato che:

il Teatro Antico di Taormina continua a vivere grazie alle sue rappresentazioni e al suo pubblico. Ed è proprio lì, alle origini della nostra Storia che risiede la nostra identità collettiva.

Su queste parole il Gala giunge al suo gran finale.

Antonella Ferrara conversa con Marina Abramovic
Antonella Ferrara conversa con Marina Abramovic

Taobuk: dove emozione e cultura si sposano

Anche quest’anno il Taobuk ha immerso il suo pubblico in un vortice di grandi emozioni e di grande cultura, donando l’opportunità di camminare tra i giganti e ascoltare le parole dei maestri.

Anche stavolta l’attesissima serata di Gala ha rappresentato il punto più alto di questo festival dove l’arte e la bellezza regnano, e che non vediamo l’ora di rincontrare il prossimo anno.

 

Marco Castiglia

Rosanna Bonfiglio

 

Taobuk 2024: i protagonisti e gli eventi in programma

Anche quest’anno, torna Taobuk, emblematico festival culturale della città di Taormina.

Nato dodici anni fa dal genio creativo di Antonella Ferrara, ora presidentessa e direttrice artistica dello stesso, il Taobuk è sempre stato intima espressione del fare arte. Un luogo di incontro fra letteratura, scienza e filosofia, ma anche musica, legalità, spettacolo e tanto altro, dove il confronto è ben accolto e la libera conoscenza e divulgazione sono solidi baluardi e motivo di orgoglio.

Negli anni, il festival ha proposto una serie di topic, tramite cui coagulare l’impegno attivo di varie personalità autorevoli.

Mentre nel 2023, abbiamo visto l’evento portare avanti disparati interventi, mostre, tavole rotonde e spettacoli incentrati sulla tematica della libertà, nel 2024, Taobuk presenta: Identità.

Per capire chi siamo – e perché siamo – il passaggio fondamentale è uscire da se stessi, percorrendo quella straordinaria esperienza che è la conoscenza e accettazione dell’altro. Vivere nella consapevolezza che non c’è identità senza alterità significa contribuire a piantare il seme del rispetto reciproco e plurale. È la vera grande missione della Cultura.

riporta la sinossi del programma.

Tramite grandi pensatori, Taobuk intende quindi veicolare un importante messaggio, cruciale alla luce delle recenti – e sanguinose – vicissitudini che hanno afflitto il panorama globale negli ultimi anni: ogni identità ha diritto di esistere ed estrinsecare se stessa, senza per questo limitare la libera espressione delle altre.

L’identità è un’impronta che non cancella quelle degli altri.

Bisogna riconoscerla, accettarla, accoglierla e rispettarla. È la sola speranza che ci rimane per non fare di ogni incontro uno scontro.

Questa edizione guarda all’ identità non come “io” ma come “noi” e pertanto identità che si pone coraggiosamente in relazione con l’altro, che accetta le diversità, che privilegia la capacità di ascolto, nella consapevolezza che si può affermare e difendere la propria identità senza dover ritenere che l’altro, il diverso da noi, costituisca una minaccia.

La XIV edizione inizierà giovedì 20 giugno e proseguirà fino alla giornata del 24. Fra gli oltre duecento ospiti d’eccezione, ricordiamo personaggi del calibro di Marina Abramović, Alessandro Baricco, Luciano Fontana, Jon Fosse e Ferzan Özpetek.

 

Eventi che segnaliamo: 

  • Giovedì 20 giugno, ore 18.00, giardino Palazzo Duchi di Santo StefanoQuanto è arrogante questo Occidente, con protagonista Piergiorgio Odifreddi.
  • Venerdì 21 giugno, ore 10.00, Palazzo CorvajaL’eterno divenire delle identità, intervento di Roberta Scorranese.
  • Venerdì 21 giugno, ore 11.00, Palazzo CorvajaIdentità come arma geopolitica, con Viviana Mazza, David Scharia, Roger Hearing, Alessandro Sallusti e Alessandro De Pedys.
  • Sabato 22 giugno, ore 10.00, Palazzo CorvajaQuale futuro?, ospiti Massimo Sideri e Andrea Prencipe.
  • Sabato 22 giugno, ore 15.00, Palazzo CorvajaAlgoritmi e lotta di classe, Paolo Landi in dialogo con Giuseppe De Belli.
  • Domenica 23 giugno, ore 12.00, Palazzo Duchi di Santo StefanoLe infinite possibilità di essere altro, con Fernando Arambaru.

Come ogni appuntamento, il sabato, giorno 22, si terrà presso il Teatro Antico la serata di Gala e la presentazione dei vincitori dei Taobuk Award. 

 

Un’ottima occasione per gli studenti di Unime per prender parte a questo prodigioso divenire e fluire di idee.

 

 

 

Fonte: https://www.taobuk.it/wp-content/uploads/2024/06/LOW_Programma-generale_12-giu.pdf

Fino a che punto ci si spinge per essere amati? Tanizaki e la sua Croce Buddista

La Croce Buddista: il dramma di un amore distruttivo e distruttore. Voto UVM – 4/5

 

Regione del Kantō, Giappone, annus horribilis 1923. Un devastante sisma di magnitudo 7,9 della scala Richter devasta Tokyo, Yokohama e tutte le restanti prefetture della regione. Uno scrittore trentasettenne ribelle ed ex enfant prodige ormai precipitato in un’infinita spirale di dissolutezza e disagio chiamato Tanizaki Jun’ichirō (rispettando l’onomastica giapponese il cognome precede sempre il nome) si vede obbligato a rifugiarsi a Osaka, nella regione del Kansai, per provare a ricostruire la sua vita già in pezzi e ulteriormente polverizzata dal sisma. È dall’incrocio di questa tragedia col dramma di Tanizaki che La Croce Buddista prende forma come romanzo a puntate nel 1928 per poi giungere ai lettori italiani attraverso i tipi di Guanda e grazie alla brillante traduzione di Lydia Origlia nel 1999.

“Oggi sono venuta a trovarla, Maestro, con l’intenzione di narrarle ogni cosa”

Esordisce così sul punto di piangere Sonoko, protagonista dell’opera, d’innanzi al suo stimato Maestro; ha finalmente deciso di rompere il silenzio sull’incredibile storia di come la sua vita e il suo matrimonio sono andati in frantumi. Il titolo originale de La Croce Buddista è 卍 (manji) e a partire dal simbolo della croce uncinata, tristemente noto in Occidente per gli orrori del Terzo Reich ma importante nella cultura buddista in quanto simbolo di pace e armonia, Tanizaki intesse attraverso le sue quattro braccia altrettante relazioni d’amore morboso tutte riconducibili a un unico e folle centro: la seducente Mitsuko.

Scrittura in calligrafia giapponese del carattere “manji”

Una rete di bugie non ci salverà

Il fil rouge dell’intera opera è la dipendenza. Un’emozione funesta, manifestazione di un amore crudele e “intarsiato di segreti” orchestrato da Mistuko in una rete di bugie che non fa altro che auto-alimentarsi. L’infedeltà nell’opera nasce dal pettegolezzo; Sonoko è felicemente sposata con Kotaro e frequenta con regolarità e dedizione un’accademia d’arte femminile. Il quieto vivere della donna è funestato da una voce di corridoio che la vedrebbe protagonista di una relazione saffica con la giovane compagna Mitsuko. Le due non si conoscono ma sodalizzano sino a rendere il pettegolezzo realtà. La menzogna diviene lungo tutto il romanzo un elemento multiforme, e il suo confine con la verità è reso impalpabile dalla disobbediente penna di Tanizaki.

L’intreccio dell’opera è complesso, anzi complessissimo, la narrazione di Sonoko è febbricitante ma impeccabile nella cura del dettaglio; porta con sé documenti, scritti e carteggi che rendono l’intero racconto una paradossale indagine sul desiderio umano di essere amati a tutti i costi.

Tanizaki Jun’ichirō

Come l’amore può distruggerci

“Certamente si divertiva solo per vanità ad accaparrarsi l’amore che riservavo a mio marito […] lei aveva potuto indovinare il mio punto debole: benché mi chiamasse «sorella maggiore», avevo finito con l’agire come una premurosa e sottomessa sorella minore”

“Sorella maggiore”, è così che Mitsuko si riferisce a Sonoko; con un termine usato nella cultura omossessuale nipponica per indicare l’individuo dominante all’interno di una coppia. La giovane amante nascondendosi dietro la conveniente etichetta di “sorella minore” regala alla narratrice una sensazione prima d’imbarazzo e poi di lusinga che muterà in un’irrefrenabile rabbia quando la più grande menzogna di Mitsuko verrà scoperta (o forse rivelata come estremo segno di onnipotenza?).

La Croce Buddista è un romanzo notturno di un sole di mezzanotte che non teme di nascondere la verità lì dove è più che visibile. Prende per mano il lettore trascinandolo in una serie infinita d’intrighi dal tipico gusto nipponico. Le note della traduttrice, puntuali ma non prolisse, illuminano e districano i riferimenti culturali più complessi rendendo il romanzo di Tanizaki godibile ad un pubblico che va ben oltre quello degli appassionati della cultura del Sol Levante.

Giuseppe Cangemi

Si può vivere un amore distanti? La teoria di Tondelli sulle “Camere separate”

Camere separate districa il confuso intreccio che è l’amore tra Leo e Thomas in un modo che non potrà che incantare chi lo legge! Voto UVM: 5/5

 

È il 1989 quando Pier Vittorio Tondelli manda in stampa per Bompiani Camere separate, il suo ultimo romanzo e testamento spirituale. Morirà soltanto due anni più tardi, a soli 36 anni, a causa dell’AIDS.

Il protagonista, Leo, è per certi versi l’alter ego dello stesso Tondelli, sebbene l’autore non abbia mai dichiaratamente parlato delle sue relazioni. Camere separate racconta di un amore tragico tra due giovani legati dal binomio amor-mors fondamentale nell’ars scribendi. Leo, uno scrittore trentenne, è alle prese con l’elaborazione del lutto di Thomas, un giovane musicista; il libro inizia con la notizia della morte del giovane amante e da lì parte per ripercorrere la storia di un amore folle diviso in tre “movimenti”.

Pier Vittorio Tondelli. Fonte: Mondadori Portfolio

Camere separate: amore a piccole dosi

Siamo di fronte a due uomini che girano il mondo e vivono il loro amore in “camere separate”, sempre lontani, incontrandosi ora qua ora là in giro per l’Europa. In particolare Leo, per quanto provi un amore bruciante per Thomas, si lascia sempre una via di scampo, vivendo giorni di passione con l’amante per poi sparire nuovamente a migliaia di chilometri di distanza.

Eppure, Jeanette Winterson nel suo Scritto sul corpo diceva “Perché è la perdita la dimensione dell’amore?” Leo è distrutto quando scopre della morte dell’amante nonostante fosse lo stesso che voleva sapere di potere fuggire da lui. Eppure, non ha più via di scelta: il giovane amante è morto.

“Abbiamo bisogno di molto tempo per accettare la brutalità del fatto di non essere più soli.”

Leo vive in una relazione, ma vive comunque una solitaria vita in questa o in quella città d’Europa. Ma per vivere ciò bisogna essere in due a volerlo… e a Thomas non andava più bene essere la parentesi di passione in mezzo a una vita di tempesta, lui aveva bisogno di un amore che fosse presenza.

Camere separate
Citazione da “Camere separate” di Pier Vittorio Tondelli

Vivere per eccessi, vivere un romanzo

“Tu mi vuoi tenere lontano per potermi scrivere. Se io vivessi con te, non scriveresti le tue lettere. E non mi potresti pensare come un personaggio della tua messinscena. […] C’è una voracità, che hai con le persone che ti vivono intorno, che mi spaventa.”

Per Leo la vita deve essere adrenalina, così da potere essere scritta e poter diventare romanzo, assumendo così un atteggiamento di smodato egoismo nei confronti del compagno, che desiderava soltanto amare ed essere riamato.

Il romanzo torna anche come citazione nella scena indie italiana grazie al gruppo Le Luci Della Centrale Elettrica, che nel brano Cara catastrofe canta “Che poi ci metteremo a tremare come la California, amore, nelle nostre camere separate/ A inchiodare le stelle/ A dichiarare guerre/ A scrivere sui muri che mi pensi raramente.” 

E quando si arriverà  alla fine della lettura di Camere separate probabilmente la domanda sarà: “ma è davvero una relazione?”. Le risposte potrebbero essere delle più diverse tra loro, ma è bello pensare che l’amore possa avere tante forme e tante modalità e che quindi il concetto di “camere separate” possa per alcuni essere assurdo e per altri la quotidianità. Credo che però il cuore della faccenda stia in una frase scritta da Tondelli nel libro:

“Nessuno può tenere distanti due persone che si appartengono”.

Camere separate è un turbine travolgente, uno zoom sulla vita di un solitario amante che fa arrabbiare il lettore e che fa parteggiare ora per l’uno ora per l’altro giovane, finendo con la vittoria dell’unica e ineluttabile morte.

Giulia Cavallaro

Perchè dopo 101 anni parliamo ancora di José Saramago?

101 anni fa, il 16 novembre 1922, nasceva José Saramago. Numerosi sono i capolavori che ha prodotto, dal celebre Cecità alla monumentale opera de Il Vangelo secondo Gesù Cristo passando però anche per opere minori che si rivelano veri e propri gioielli. Ma perché ancora lo leggiamo e perché con buona probabilità potrebbe finire tra qualche tempo nei libri di letteratura?

1998: storia di un premio Nobel

Nato in Portogallo da una famiglia umile, è costretto sin da subito a rimboccarsi le maniche per poter contribuire alla vita familiare. Scrive il suo primo romanzo nel 1947, Terra del peccato, ma ne sarà dopo poco insoddisfatto. Nonostante ciò, non si arrende e continua a scrivere, riuscendo a farsi strada anche nel mondo della critica letteraria e lavorando come traduttore.

“Con parabole, sostenute dall’immaginazione, dalla compassione e dall’ironia ci permette continuamente di conoscere realtà difficili da interpretare

Con queste parole nel 1998 viene insignito del Premio Nobel per la Letteratura. Sebbene l’autore già godesse di un discreto successo, trovò il riconoscimento internazionale solo negli anni Novanta, con la pubblicazione in primis dei suoi due capolavori, Cecità Il Vangelo secondo Gesù Cristo, ma anche di Storia dell’assedio di Lisbona (che, al contrario di come pare far intendere il titolo, non ha l’intento di fare cronaca quanto più di raccontare il meccanismo che sta dietro la scrittura).

José Saramago il 10 dicembre 1998 dopo avere ricevuto il Premio Nobel. Fonte: eremodicelestino.home.blog

Sono degne di nota anche altre opere canonicamente definibili minori: è il caso de Il racconto dell’isola sconosciuta, che con appena 43 pagine riesce a restituire delle atmosfere al confine tra realtà e tradizione favolistica. I personaggi non vengono presentati con i loro nomi, ma soltanto con il loro “ruolo” nella storia: sembra quasi che lo scrittore voglia chiedere al lettore di scegliere il proprio posto, quello che ritiene più comodo, e indossare i panni di quei personaggi di cui sta leggendo.

“Tutte le isole, anche quelle conosciute, sono sconosciute finché non vi si sbarca” (Il racconto dell’isola sconosciuta, Feltrinelli, 2015)

Saramago al tempo dei social

Chi l’avrebbe mai potuto dire che il racconto di un’epidemia di cecità bianca avrebbe potuto restituire emozioni e sensazioni quanto più attuali? Successe più o meno questo nel 2020, quando, allo scoppiare della pandemia di Covid-19, molti lettori riscoprirono romanzi come La peste scarlatta di Jack LondonLa Peste di Albert Camus o proprio Cecità di Saramago.

Pubblicato nel 1995, il romanzo parte con un evento al limite tra il realistico e l’assurdo: un automobilista fermo al semaforo non riesce a proseguire perché si accorge di essere diventato improvvisamente cieco. Un protagonista senza nome in una città senza nome soccorso da paladini senza nome in un periodo fuori dal tempo. Sebbene il racconto possa sembrare surreale, lo stile unico di Saramago – che ha un modo tutto suo di utilizzare la punteggiatura – e la storia catastrofica riescono ad attrarre ancora oggi lettori.

“La cecità stava dilagando, non come una marea repentina che tutto inondasse e spingesse avanti, ma come un’infiltrazione insidiosa di mille e uno rigagnoli inquietanti che, dopo aver inzuppato lentamente la terra, all’improvviso la sommergono completamente.” (Cecità, Feltrinelli, 2013)

Cecità, edizione speciale realizzata per il centenario dalla nascita dello scrittore.

Il mondo dagli occhi di Saramago

José Saramago crea i suoi protagonisti con un gioco di luci e ombre che porta il lettore a non patteggiare nè per una parte nè per l’altra, bensì a osservare semplicemente il dramma esistenziale della vita. In un’intervista del 2001 per Rainews dichiara:

“Credo che sebbene qualche volta nei miei romanzi ci sia la preoccupazione di vedere, rendersi conto, osservare, in fondo, sebbene a volte ci sia una relazione diretta con la vista, c’è sempre un aspetto oggettivo. Quando dico “vedere” intendo “comprendere”, ma per comprendere non basta vedere, è solo un mezzo. Quando mi chiedono perchè scrivo, oggi mi limito a dire che lo faccio per comprendere” (Intervista di Luciano Minerva per Rainews, marzo 2001)

Lo continuiamo ancora a leggere dopo decenni per la grandezza delle sue opere e per la trasversalità delle sue storie. Ed è nella stessa intervista sopracitata che Saramago parla della sete di conoscenza, che prescinde da qualsiasi tipo di sovrastruttura sociale. Come disse lui stesso riferendosi al nonno, “l’uomo più saggio ch’io abbia mai conosciuto non era in grado né di leggere né di scrivere”.

Giulia Cavallaro

Lucio Piccolo, il poeta dell’ancestrale

 Nel vasto panorama letterario italiano, sono tantissime le figure di letterati che sfuggono al canone o che, per considerazione della critica, rientrano nella definizione di “poeti minori”

Tra questi, troviamo Lucio Piccolo, poeta, esoterista e musicologo italiano.  

Biografia

Lucio Piccolo nacque il 27 ottobre 1901 a Palermo, ultimo dei tre figli del barone Giuseppe Piccolo di Calanovella e della duchessa Teresa Mastrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò (di antica discendenza principesca, risalente ai Normanni), imparentati con l’alta nobiltà siciliana

Il poeta trascorse la sua giovinezza a Palermo, dove frequentò il liceo classico, dimostrando una grande curiosità e una straordinaria capacità di apprendimento. In seguito, non andrà all’università, approfondendo da autodidatta le conoscenze linguistiche, di musica, poesia, filosofia ed esoterismo, insieme ai fratelli Casimiro e Giovanna.

«Pertugi, sgabuzzini, ambienti / nascosti tra le quinte / dove monomania / di specchi in ombra / accolse i sedimenti / d’epoche smorte, di fasi sbiadite / che il riflusso dei giorni in un torpore / lasciò fuori del sole»

(“Gioco a nascondere”, in Gioco a nascondere, Canti barocchi e altre liriche, Mondadori, Milano, 1960).

 

Due eventi inaspettati, quale la morte del padre avvenuta nel 1928 e la grave crisi economica del ’29, scombussolarono la famiglia Piccolo, che fu costretta a vendere la villa a Palermo per trasferirsi a Capo d’Orlando, in una villa di campagna (che attualmente ospita la casa-museo di Villa Piccolo). 

«Il palazzo di Capo d’Orlando più che una casa sembrava una favola campata in aria. Onde marine, nubi, folate di vento, gabbiani, corvi, gatti neri, spiriti, anime di crociati, anime in pena e santi vagabondi stanchi di paradosi dividevano con il nostro poeta quella solitudine dorata»

(Gonzalo Alvarez Garcia, Le zie di Leonardo, Scheiwiller, Milano, 1985).

 

Lucio Piccolo e Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Importante per la crescita culturale del giovane Lucio, fu il rapporto con il cugino primo di parte materna e futuro fortunato autore de Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Tra i due vi sarà un sodalizio che durerà tutta la vita. Sulla natura del loro rapporto, basta leggere le parole rilasciate dallo stesso Lucio Piccolo nell’intervista a Ronsisvalle:

«C’era fra di noi una sorta di gara, a chi fosse più abile scopritore di interessanti novità. Ricordo che fu così a proposito del grande poeta Yeats, il grande poeta d’Irlanda che fui io il primo a leggerlo prima ancora di Lampedusa […] E così ci siamo accaparrati tutta la letteratura contemporanea europea, tedesca, francese. Ricordo anzi che fu proprio Lampedusa a introdurre a Palermo, nella Palermo colta, Rilke […] Poi passarono Joyce, Proust. Di Proust mi ricordo che una volta mi disse “Sai, c’è uno scrittore francese il quale per fare due passi da lì a qui ci impiega dieci pagine”. La prima immagine che io ho avuto di Proust è stata questa».

Lucio Piccolo e Giuseppe Tomasi di Lampedusa su una panca nella stradella di accesso a Villa Piccolo, Capo d’Orlando. Fonte: wikimedia.org

La consacrazione letteraria

Nel 1954, Lucio Piccolo, alla soglia dei 53 anni, pubblica una silloge di 9 liriche che invia ad Eugenio Montale, il quale rimane colpito dalla perfezione stilistica dei versi, al punto da presentare Piccolo nel prestigioso convegno letterario di San Pellegrino Terme

Al convegno, accompagnato dal cugino principe Lampedusa, Lucio diventa centro dell’attenzione di tutti, passando da sconosciuto barone siciliano a famoso poeta consacrato da Montale e dagli altri “marescialli di Francia”, così definiti da Tomasi.  

«Quella coppia stranissima di titolati siciliani, goffi e un po’ traballanti, suscitò immediatamente la curiosità di ognuno: quasi un’apparizione carnevalesca di piena estate, un intermezzo in costume con due personaggi di fine secolo in cerca di autore».

 

Il Piccolo, ottenuto il successo della critica, pubblica nel 1956 i Canti Barocchi, editi da Mondadori; successivamente, nel 1960, Gioco a Nascondere. In seguito pubblicherà altre due raccolte, Plumelia (1966) e l’opera in prosa poetica Le Esequie della Luna

Lucio Piccolo muore improvvisamente il 26 maggio 1969, lasciando diverse opere inedite, tra cui una composizione musicale del Magnificat, d’ispirazione wagneriana, ancora oggi inedita. 

 

Lucio Piccolo
Lucio Piccolo a Villa Piccolo. Fonte: fondazionepiccolo.it

La poetica

Nella poetica di Piccolo s’intrecciano cristianità, paganesimo e religioni orientali, al punto da creare il contatto con un’altra realtà.  Nella stesura dei versi che riempivano il bianco delle pagine, avveniva un trasferimento ancestrale, si passava da una percezione del reale al mondo surreale, solamente attraverso l’unicità di quell’atto creativo attuato da Lucio. 

«Scrivevo versi come altri passeggia o sta alla finestra: era un fatto naturale».

Nelle liriche di Lucio Piccolo, caratteristiche sono la musicalità, il fine gioco letterario delle assonanze e delle dissonanze, oltre il frequente uso degli interrogativi che l’uomo si pone. Come, ad esempio, le domande poste davanti alle ombre fisiche e concrete, ricavate dal gioco di luci, così come quelle ombre provenienti dall’ignoto, espletate in Gioco a nascondere: 

«Hai visto come al varcare la soglia / il lume ch’era nella mano manca / mentre l’altra fa schermo, ha dato uno svampo / leggero dal vetro s’è spento. / Tardo il passo né fu colpo di vento, / forse ha soffiato qualcuno, un volto / subito svaporato nell’aria? […] Ma non c’è nessuno / e sai che non bisogna tentare / il buio: rimemora, ha nostalgie, imprevisti, / l’ombra e le ombre, meglio pregare / a quest’ora, quel che gioco / sembra di giorno fa vero / di notte la notte che sogna – […] I morti / non hanno cifre per i nostri tesori, / singulti hanno in noi, / veglie / di fiamme basse, aneliti, / d’angoscia verso un nodo di vita / incompreso, e a volte una sera / che scende dall’alto a candori infiniti»

Questo esempio, esplicita i poli cardine dell’indagine metafisica di Lucio Piccolo, racchiusa nei suoi versi: da una parte l’esteriorità attraverso la natura ammaliatrice e seduttrice, dall’altra l’interiorità, la coscienza che si materializza attraverso i richiami simbolici. 

 

«Ci sono uomini che in determinate epoche arrivano alla perfezione, sciogliendosi dall’ambiente in cui vivono e dalle cose del loro tempo, assumendo coscienza della fine e salvandosene nel distacco, nella superiorità, nell’autosufficienza. E in questo senso, Piccolo partecipa di una tale perfezione, nella sua vita come nella sua poesia»

(Leonardo Sciascia, “Le soledades di Lucio Piccolo”in La corda pazza, Einaudi, Torino, 1976).

 

Gaetano Aspa

Fonti:

www.fondazionepiccolo.it 

http://www.flaneri.com/2013/01/12/lucio_piccolo_poeta_tra_le_ombre/

 

Edoardo Giacomo Boner: il cantore del Bosforo d’Italia

Continuiamo l’approfondimento sugli “Scrittori dei due Mari”, dopo avervi raccontato della puitissa  Maria Costa, oggi scriviamo di uno degli autori più importanti della città di Messina, Edoardo Giacomo Boner. 

Gli inizi

Edoardo Giacomo Boner nacque a Messina nel 1864, da padre svizzero e madre italiana. Già durante l’adolescenza mostrò una grande predilezione per la letteratura italiana, ma anche per quella tedesca, della quale negli anni sarebbe divenuto profondo conoscitore. Finiti gli studi letterari sia in Italia che in Germania, divenne insegnante di tedesco all’istituto tecnico “Carlo Gemmellaro” di Catania e poi , dal 1893, lettore di lingua e letteratura tedesca all’Università di Messina. Nello stesso periodo insegno letteratura italiana presso il Liceo classico Maurolico

Successivamente fece tappa a Roma, dove divenne docente di letteratura tedesca all’università.

Facciata del Rettorato dell’Università degli Studi di Messina. Fonte: Archivio UvM

Un instancabile intellettuale

Boner non fu solo insegnante, ma fu un importante traduttore, poeta, e letterato. Tra le sue opere si ricorda Sui miti delle acque, una raccolta di racconti sui miti che il letterato rivisita, affrontando la tematica lontana da schemi idealistici e veristi. La prima edizione risale al 1895. Mentre è del 1896 un’altra opera dell’autore; I Saggi di letterature straniere, che spaziano fra tanti argomenti. Dal pessimismo nel romanzo russo, passando per lo studio del Natale e del Capo d’Anno nella letteratura nordica, per analizzare infine l’influenza italica nella letteratura tedesca. Insomma, l’autore qui non si lasciò sfuggire nulla.

Copertina Sui miti delle acque, di G.Boner2

L’amicizia con Rapisardi

Come accennato, Boner ha insegnato anche a Catania. Egli era noto fra i più importanti intellettuali italiani, tra i quali spicca in particolare G.Pascoli , che lo stimava moltissimo. Lo stesso Pirandello dedicò a Boner le sue Elegie renane. Ma tra le sue amicizie migliori vi era quella con il poeta e traduttore Mario Rapisardi, nato e deceduto a Catania. I due intellettuali spesso si scambiavano lettere, dove si aggiornavano costantemente sulla loro quotidianità. Boner però morì prima, a causa di un tragico terremoto, mentre Rapisardi morì nel 1912.

L’ultima raccolta

L’ultima opera del poeta è Le Siciliane, una raccolta di versi, probabilmente in omaggio alla Sicilia. La prima edizione è del 1900, ma nel corso del tempo è stata più volte rivista, fino ad arrivare alle recenti edizioni del 2018 e del 2019. Dopo quest’opera non ce ne furono altre, anche perché il poeta morì nel 1908, a seguito del terremoto che colpì le città di Messina e Reggio Calabria.

 

Lapide funebre di Boner nel cimitero monumentale di Messina. Fonte: Messinatoday1

La morte tra mito e realtà

Il poeta morì nel 1908, a seguito del devastante terremoto. Il suo corpo fu ritrovato solo diciotto mesi dopo e il luogo del ritrovamento è oggi noto come Via Edoardo Boner. Interessanti le circostanze e le modalità del suo ritrovamento. Ad indicare il luogo dove giaceva il corpo del poeta fu una bambina che affermò di aver fatto un sogno, nel quale era il poeta stesso a dirle dove si trovava il proprio corpo. E così l’intellettuale fu ritrovato e oggi  sepolto al cimitero monumentale di Messina. Vi è anche un piccolo monumento a lui dedicato, sul quale è scolpita anche la figura simbolica della bambina.

 

Roberto Fortugno

Fonti:

Edoardo Giacomo Boner – Luciano Zagari – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 11 (1969)

Treccani : https://www.treccani.it/enciclopedia/edoardo-giacomo-boner_%28Dizionario-Biografico%29/

1 – L’immagine della lapide funebre di E.G.Boner è stata presa da: https://www.messinatoday.it/attualita/gran-camposanto-monumenti-curiosita-intervista-principato.html

2 – Edoardo Giacomo Boner, Sui miti delle acque, La Coda di Paglia, ed. 2017.

 

The Pale Blue Eye – I delitti di West Point

Un film thriller che non convince mai del tutto, configurandosi ormai ai piatti standard Netflix – Voto UVM: 3/5

 

Anno nuovo uscite nuove! Il catalogo Netflix si arricchisce di una nuova pellicola uscita nelle sale americane e disponibile in streaming dal 6 gennaio di quest’anno.

Stiamo parlando della tanto attesa pellicola The Pale Blue Eye – I delitti di West Point, diretta da Scott Cooper e adattamento dell’omonimo romanzo del 2003 scritto da Louis Bayard. Un cast stellare e un co-protagonista davvero gigantesco, ma basterà tutto questo a rendere questo film eccezionale? Scopriamolo insieme!

The Plot

Il film ha come protagonista il detective August Landor (interpretato dallo straordinario Christian Bale), un uomo dal carattere schivo e misterioso, ma dalle grandi abilità che lo portano ad essere scelto dagli alti ranghi dell’accademia militare di West Point, nel 1830, per risolvere uno strano delitto. Spinto dal suo talento e da metodi al di fuori dall’ordinario, si muove alla ricerca della verità, scontrandosi però con la scarsa collaborazione della stessa accademia.

In suo aiuto arriva un giovane quanto brillante cadetto Edgar Allan Poe (Harry Melling) che si rivela un preziosissimo compagno di indagini, dimostrando lo stesso tormento interiore e uno spiccato amore per gli enigmi quasi al suo pari.

Gli omicidi continuano e s’intrecciano, il mistero va via via infittendosi, portando lo spettatore ad arrovellarsi il cervello per indovinare il colpevole e soprattutto, cosa spinga l’omicida a commettere tali delitti. Il duo comincia quindi un’intricata caccia all’assassino, portandoli ad affrontare insieme i propri drammi personali e la perenne sensazione di essere costantemente emarginati da tutto e tutti.

                             

(Trailer italiano di The Pale Blue Eye – I Delitti di West Point)

Edgar Allan Poe può bastare a salvare tutto?

Il film si presenta con l’intenzione di essere un giallo intellettuale (a tratti ci riesce pure) dai toni noir, con ambientazioni gotiche e dai tratti più psicologici che visivi.

Il primo, alla base di tutto, è un grande e grosso, oserei dire gigantesco problema.

Ovviamente, il problema, è lo stesso Edgar Allan Poe (ormai infilato ovunque a caso, basti vedere la recente serie Mercoledì): la presenza del leggendario scrittore, porta a scemare ogni tensione sul suo destino, sgonfiando, e di non di poco, il potenziale lato thriller della vicenda che, come ogni film degno di questo genere, dovrebbe portare lo spettatore a viverlo tra stati di tensione, angoscia e paranoia. L’effetto finale della presenza del personaggio di Poe riduce la pellicola a mero giochino intellettuale, all’interpretazione degli indizi attraverso lunghi e barbosissimi dialoghi tra lui e Landor.

Il secondo problema è presentato dall’intreccio narrativo scialbo e meccanico (molto lontano dai film d’eccellenza come La vera storia di Jack Lo Squartatore – From Hell del 2001 diretto dai fratelli Hughes), che non concede nemmeno il tempo per approfondire emotivamente altri personaggi oltre i due protagonisti che, anche loro, restano come appena sommersi nelle profondità della psiche.

August Landor (Christian Bale e Edgar Allan Poe (Harry Melling) in una scena del film. Distribuzione: Netflix

Tra regista atipico e cast stellare

Il film vede il ritorno di una coppia scoppiettante Scott Cooper e Christian Bale, che già avevano lavorato insieme con il western Hostiles e il thriller Il Fuoco della vendetta.

Cooper è uno dei registi più atipici del panorama moderno, da sempre interessato a parlarci della lotta dell’individuo contro sé stesso, in una produzione dominata dalla sensazione di isolamento, del tutto scevra da ogni ottimismo ma soprattutto una visione della società come dittatura della ferocia e della prepotenza.

Christian Bale si dimostra uno degli attori più versatili, passando nella sua lunga carriera da personaggi dalla personalità e dalla psiche turbata (come in American Psyco e L’uomo senza sonno) a diventare l’eroe di cui Gotham ha bisogno (la trilogia di Batman di C. Nolan). Anche in questo film nulla da dire, con Bale si va sul sicuro.

Vera rivelazione è Harry Melling (il cugino Dudley di Harry Potter per capirci) che dà il volto a Edgar Allan Poe e lo fa bene, incarnando gli albori dell’inquietudine che saranno il motore della produzione di Poe.

Il resto del cast è ricchissimo e soprattutto affollato, con gente del calibro di Gillian AndersonCharlotte Gainsbourg o Toby Jones che devono sgomitare per farsi notare.

Spettacolare è la fotografia di Masanobu Takayanagi, ben curata dal punto di vista estetico attraverso una rievocazione storica di un certo spessore, ma anche elegante e forte, che tende a valorizzare l’intima regia di Cooper.

Conclusioni

Più che di un thriller vero e proprio, The Pale Blue Eye – I delitti di West Point, si presenta come un divertissement quasi letterario, che a tratti funziona e a tratti no. Stupefacente la fotografia, l’interpretazione magistrale degli attori, nonostante questo, il  film possiede tutti i difetti di un film fatto per le piattaforme.

Lodevole l’idea di voler omaggiare uno dei più grandi scrittori della storia come Edgar Allan Poe, ma allo stesso tempo bisogna fare i conti con la grandezza dell’omaggiato in questione e non ridurlo all’ennesimo “investigatore del mistero” come ultimamente piace a Netflix.

 

Gaetano Aspa

Grazia Deledda: la donna che scalò l’Olimpo della letteratura

Innumerevoli sono i nomi e i volti di uomini e donne che hanno fatto dell’Italia un esempio nel panorama della letteratura mondiale, tanti da non riuscire ad elencarli tutti.

Oggi più che mai spicca un nome insolito, il ricordo dei 150 anni dalla nascita di una donna: Grazia Deledda.

La Deledda, scrittrice di origini sarde, fu la prima donna italiana a salire sulla cima dell’Olimpo sacro della letteratura con il premio Nobel assegnatole nel 1926.

La scrittrice Grazia Deledda. Fonte: parchiletterari.com

La vita di una donna rivoluzionaria

Grazia Deledda nacque nel cuore della Sardegna rurale, nella piccola cittadina di Nuoro il 28 settembre 1871, in una famiglia agiata. Il padre, Giovanni Antonio Deledda era un noto imprenditore interessato alla poesia, egli stesso componeva versi in sardo; fu anche fondatore di una tipografia. La madre, Francesca Cambosu, era una donna di rigidissimi costumi, dedita alla casa, perfetta rappresentazione della chiusa mentalità patriarcale nuorese, che successivamente porterà la stessa Grazia a ribellarsi a tali dettami culturali. Formatasi in maniera privata sotto la guida del professore Pietro Ganga, proseguì i suoi studi completamente da autodidatta.

Importante per la formazione dei primi anni della sua carriera da scrittrice di Grazia, fu l’amicizia con lo scrittore e storico sassarese Enrico Costa, che per primo ne comprese il talento. Successivamente coltivò per lungo tempo uno scambio epistolare con lo scrittore calabrese Giovanni De Nava, che vantava il talento della giovane scrittrice, relazione che sfociò successivamente in missive amorose e che terminò bruscamente con l’allontanamento da parte del poeta reggino.

Nel 1899 si trasferì a Cagliari, dove conobbe Palmiro Madesani, funzionario del Ministero delle Finanze, lavoro che successivamente lasciò per dedicarsi all’attività di agente letterario della scrittrice, ormai divenuta sua moglie. La coppia si traferì a Roma l’anno successivo, conducendo una vita appartata. Ebbero due figli: Franz e Sardus.

Nel 1903, dopo una serie di pubblicazioni minori, arrivò per Grazia la consacrazione come scrittrice attraverso la pubblicazione del romanzo Elias Portolu, il primo di una serie di fortunati romanzi e opere teatrali: Cenere (1904), L’edera (1908), Sino al confine (1910), Colombi e sparvieri (1912), Canne al vento (1913), L’incendio nell’oliveto (1918), Il Dio dei venti (1922).

Le opere della Deledda furono apprezzate da tanti illustri letterati, tra cui Giovanni Verga. Fu riconosciuta e stimata anche all’estero: David H. Lawrence scrisse la prefazione in inglese della traduzione de La Madre, ed ella stessa fu traduttrice (è sua la traduzione italiana di Eugénie Grandet di Honoré de Balzac).

Il Nobel per la letteratura e la fine di una vita

Arriva il 10 dicembre 1926: nella cornice della magnifica Stoccolma, Grazia Deledda viene insignita del più alto riconoscimento letterario, il Premio Nobel, così motivato dalla prestigiosa giuria:

“Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano.”

Divenne così la prima e unica donna italiana e la seconda nel mondo, a raggiungere la vetta dell’Olimpo della letteratura.

Grazia Deledda riceve a Stoccolma il prestigioso premio Nobel. Fonte: eco di Pavia

Dieci anni dopo il premio arrivò per Grazia la fine della sua vita: si spense il 15 agosto 1936 così come aveva sempre vissuto, con l’odore di rivoluzione e sempre pronta a rompere ogni schema.

 Tre grandi capolavori di Grazia Deledda

1) Canne al vento (1913)

“L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante.”

(Blaise Pascal, Pensieri)

Il romanzo capolavoro della scrittrice sarda affronta senza filtri tematiche dal sapore dolce-amaro: all’amore e all’onore vengono contrapposte la fragilità umana e la povertà, il ricordo della consapevolezza di un destino già segnato e impossibile da cambiare.

Riprendendo diversi spunti filosofici-letterari già trattati, la Deledda abbina sapientemente la metafora dell’uomo paragonato alla canna di Blaise Pascal, adattandolo perfettamente al protagonista, un eroe semplice quasi primitivo, sul modello del pastore errante leopardiano.

2) Elias Portolu (1903)

Amor, ch’a nullo amato amar perdona

(Dante, La Divina Commedia, Inferno, canto V)

Un romanzo dai tratti “lussuriosi”, in pieno stile dantesco: la Deledda racconta, con sapiente maestria, il ritratto dell’amore impossibile e tormentato tra due cognati attraverso il loro conflitto interiore per non cedere alla passione e quindi al peccato.

3) Cenere (1904)

   Possibile che non si possa vivere senza far male agli innocenti?

(Grazia Deledda,  La chiesa della solitudine)

Il romanzo narra la storia di una madre – o meglio – l’assenza di una madre persa dietro alla passione per un uomo e di un figlio abbandonato, cresciuto dalla matrigna benevola.

La trama percorre tutta la vita del protagonista, tra aspirazioni personali e il decadimento di un paese fino al suicidio, l’unica soluzione che pone fine alle sofferenze del protagonista e alla ricerca ossessiva della madre.

La scrittrice in un’illustrazione di Gef Sanna. Fonte: lanuovasardegna.it

 

La Deledda dovette affrontare un lungo percorso per poter dare spazio alle sue aspirazioni più profonde, alla voce interiore che la chiamava a dedicare la propria esistenza alla scrittura, soprattutto contro la società di Nuoro in cui l’unico destino delle donne non poteva oltrepassare il limite di «figli e casa, casa e figli». Grazia reagì, rivelando da protagonista la crisi epocale del mondo patriarcale (e pastorale), incapace di contenere le istanze delle nuove generazioni. Seguì una strada esemplare, facendo emergere le contraddizioni di una società in declino, senza tradirne la radice identitaria profonda che la contraddistinse.

Gaetano Aspa

Alla (ri)scoperta delle scuole superiori di Messina: Basile e Bisazza

In attesa del rientro a scuola dopo le vacanze di Pasqua, torna la nostra rubrica dedicata agli istituti superiori messinesi. Oggi parleremo dei personaggi a cui sono intitolate le due scuole del quartiere Annunziata: il Liceo Artistico “E. Basile” e l’Istituto Superiore Statale “F. Bisazza”.

Liceo Artistico “E. Basile”

Isituito nel 1956 come sezione staccata dell’ Istituto Statale d’Arte di Palermo, dopo essere stato ospitato per anni nei locali del Real Convitto “Dante Alighieri”, attualmente il liceo si trova nel quartiere Annunziata  in via U. Fiore e fa parte dell’ ’I.I.S. “La Farina – Basile”, in seguito all’accorpamento con lo storico liceo classico – di cui abbiamo parlato precedentemente in un nostro articolo -. Nel 1982 è intitolato ad Ernesto Basile, autorevole esponente del liberty siciliano.

Facciata del Liceo “E. Basile” – Fonte: messinaweb.Eu

Nato a Palermo il 31 gennaio 1857, studia presso l’università del capoluogo sotto la guida del padre, professore di Architettura.

Successivamente al conseguimento della laurea si dedica allo studio dei monumenti architettonici siciliani, in particolare, di epoca normanna e rinascimentale contribuendo con il padre alla stesura del volume “Curvatura delle linee dell’architettura antica “ ( Palermo 1884). Grazie a questo lavoro, Basile, si educa ad uno storicismo che se pur acriticamente accolto, sarà la caratteristica preponderante delle sue prime esperienze.

Nel 1890 ottiene la cattedra che era stata del padre e sette anni dopo viene nominato anche direttore della Reale accademia di belle arti di Palermo.

Nel 1981 gli viene commissionata la realizzazione degli edifici per L’esposizione nazionale di Palermo. I disegni ottengono immediatamente un grande successo grazie alla perfetta aderenza del suo linguaggio all’ambiente sociale e culturale siciliano.

Ernesto Basile – fonte: comune.palermo.it

Nel 1898 costruisce le ville Paternò ed Igea a Palermo, che segnano un’importante svolta artistica per il Basile: all’impostazione ancora arabo-normanna si unisce una rigorosa semplificazione formale e una libertà volumetrica del tutto innovativa. Il problema di Basile era quello di inserire il linguaggio liberty all’interno di una società, quella siciliana, che ne aveva ignorato premesse e sviluppi.

L’inserimento di elementi decorativi floreali, tipici del’ 400 siciliano, si spiega con il tentativo di trovare una giustificazione al nuovo linguaggio, fondandolo su una tradizione storica e fortemente legata al territorio. Tipico a tal riguardo il palazzo di Montecitorio  in Roma che sancisce definitivamente la scissione delle esperienza del Basile in architettura ” minore ” e ” maggiore”.

Le successive opere sono fortemente caratterizzate da questa contraddizione stilistica; tra le tante  ricordiamo il municipio di Reggio Calabria, ma anche la Cassa di Risparmio di Messina.

L’ultima opera del Basile è la chiesa di S. Rosalia in Palermo, iniziata nel 1928 e non ancora terminata nel 1932, anno della morte dell’eclettico architetto siciliano.

Istituto Superiore Statale “F. Bisazza”

L’altro istituto del quartiere Annunziata è uno dei più recenti della città di Messina ed incoropora vari licei: il Liceo Scientifico (con le vari sperimentazioni), il Liceo Linguistico, il Liceo dell Scienze Umane e – dal prossimo anno scolastico – il Liceo Musicale. La scuola è intitolata al poeta e letterato Felice Bisazza.

L’Istituto “F.Bisazza” – fonte: messinaora.it

Nato a Messina il 29 gennaio 1809, Felice Bisazza frequenta il Regio Collegio Carolino di Messina, riservato ai figli delle famiglie messinesi più nobili e, appena quindicenne inizia, da autodidatta, gli studi letterari.

Bisazza acquisisce la fama a livello nazionale attraverso la collaborazione – sia prosa che in versi – con numerosi giornali, prima cittadini e poi regionali.

Nel 1831 pubblica la sua prima raccolta di saggi e di liriche originali, i Saggi poetici; nel 1833 redige Il Discorso sul Romanticismo, molto importante dal punto di vista storico, più che stilistico, poiché provoca fermento nell’ambiente culturale dell’Isola, che non ha accolto favorevolmente il romanticismo. Infatti, Bisazza è uno dei pochi – e impavidi – romantici siciliani e spesso deve difendersi dagli attacchi di altri letterati.

Nel 1835 si reca a Napoli per collaborare con importanti testate della città partenopea, ma, dopo quasi un anno, lascia la città per delle allusioni sul dispotismo borbonico e sulla situazione della patria.

L’anno successivo decide, dedicando l’edizione napoletana della Morte di Abele (1836) a Re Ferdinando II, di ritrarsi da qualsiasi manifestazione di liberalismo, per potersi dedicare completamente – e senza ostacoli – all’insegnamento e agli studi; così, dopo il biennio rivoluzionario siciliano del 1848, ottiene la cattedra di lingua e letteratura italiana presso l’Università di Messina.

Nel 1858, presso l’Ateneo Peloritano pronuncia un discorso Della letteratura poetica, sotto il doppio aspetto della rappresentazione e della purificazione, da cui si evince il suo moderato romanticismo religioso e moralistico.

Dopo la costituzione del Regno d’Italia, Bisazza omaggia le vicende dell’unificazione – auspicata sin dalla giovinezza – e suoi protagonisti. Nel 1865 partecipa alle celebrazioni dedicate al sommo poeta Dante.

Felice Bisazza muore a Messina il 30 agosto 1867. Nel 1872 il municipio di Messina colloca le sue ossa nel cimitero monumentale, accanto alle tombe degli amici La Farina e Natoli.

Felice Bisazza e il timbro postale a lui dedicato – Fonte: sikilynews.it

Alla prossima!

Concludiamo dandovi appuntamento al prossimo articolo, in cui conosceremo la storia del personaggio a cui è intitolato un importante istituto situato a Provinciale: il Liceo “E. Ainis“.

 

Emanuele Paleologo, Mario Antonio Spiritosanto

Fonti:

treccani.it/enciclopedia/felice-bisazza

treccani.it/enciclopedia/ernesto-basile

iislafarinabasile.edu.it/basile

liceobisazza.edu.it