Si può vivere un amore distanti? La teoria di Tondelli sulle “Camere separate”

Camere separate districa il confuso intreccio che è l’amore tra Leo e Thomas in un modo che non potrà che incantare chi lo legge! Voto UVM: 5/5

 

È il 1989 quando Pier Vittorio Tondelli manda in stampa per Bompiani Camere separate, il suo ultimo romanzo e testamento spirituale. Morirà soltanto due anni più tardi, a soli 36 anni, a causa dell’AIDS.

Il protagonista, Leo, è per certi versi l’alter ego dello stesso Tondelli, sebbene l’autore non abbia mai dichiaratamente parlato delle sue relazioni. Camere separate racconta di un amore tragico tra due giovani legati dal binomio amor-mors fondamentale nell’ars scribendi. Leo, uno scrittore trentenne, è alle prese con l’elaborazione del lutto di Thomas, un giovane musicista; il libro inizia con la notizia della morte del giovane amante e da lì parte per ripercorrere la storia di un amore folle diviso in tre “movimenti”.

Pier Vittorio Tondelli. Fonte: Mondadori Portfolio

Camere separate: amore a piccole dosi

Siamo di fronte a due uomini che girano il mondo e vivono il loro amore in “camere separate”, sempre lontani, incontrandosi ora qua ora là in giro per l’Europa. In particolare Leo, per quanto provi un amore bruciante per Thomas, si lascia sempre una via di scampo, vivendo giorni di passione con l’amante per poi sparire nuovamente a migliaia di chilometri di distanza.

Eppure, Jeanette Winterson nel suo Scritto sul corpo diceva “Perché è la perdita la dimensione dell’amore?” Leo è distrutto quando scopre della morte dell’amante nonostante fosse lo stesso che voleva sapere di potere fuggire da lui. Eppure, non ha più via di scelta: il giovane amante è morto.

“Abbiamo bisogno di molto tempo per accettare la brutalità del fatto di non essere più soli.”

Leo vive in una relazione, ma vive comunque una solitaria vita in questa o in quella città d’Europa. Ma per vivere ciò bisogna essere in due a volerlo… e a Thomas non andava più bene essere la parentesi di passione in mezzo a una vita di tempesta, lui aveva bisogno di un amore che fosse presenza.

Camere separate
Citazione da “Camere separate” di Pier Vittorio Tondelli

Vivere per eccessi, vivere un romanzo

“Tu mi vuoi tenere lontano per potermi scrivere. Se io vivessi con te, non scriveresti le tue lettere. E non mi potresti pensare come un personaggio della tua messinscena. […] C’è una voracità, che hai con le persone che ti vivono intorno, che mi spaventa.”

Per Leo la vita deve essere adrenalina, così da potere essere scritta e poter diventare romanzo, assumendo così un atteggiamento di smodato egoismo nei confronti del compagno, che desiderava soltanto amare ed essere riamato.

Il romanzo torna anche come citazione nella scena indie italiana grazie al gruppo Le Luci Della Centrale Elettrica, che nel brano Cara catastrofe canta “Che poi ci metteremo a tremare come la California, amore, nelle nostre camere separate/ A inchiodare le stelle/ A dichiarare guerre/ A scrivere sui muri che mi pensi raramente.” 

E quando si arriverà  alla fine della lettura di Camere separate probabilmente la domanda sarà: “ma è davvero una relazione?”. Le risposte potrebbero essere delle più diverse tra loro, ma è bello pensare che l’amore possa avere tante forme e tante modalità e che quindi il concetto di “camere separate” possa per alcuni essere assurdo e per altri la quotidianità. Credo che però il cuore della faccenda stia in una frase scritta da Tondelli nel libro:

“Nessuno può tenere distanti due persone che si appartengono”.

Camere separate è un turbine travolgente, uno zoom sulla vita di un solitario amante che fa arrabbiare il lettore e che fa parteggiare ora per l’uno ora per l’altro giovane, finendo con la vittoria dell’unica e ineluttabile morte.

Giulia Cavallaro

Perchè dopo 101 anni parliamo ancora di José Saramago?

101 anni fa, il 16 novembre 1922, nasceva José Saramago. Numerosi sono i capolavori che ha prodotto, dal celebre Cecità alla monumentale opera de Il Vangelo secondo Gesù Cristo passando però anche per opere minori che si rivelano veri e propri gioielli. Ma perché ancora lo leggiamo e perché con buona probabilità potrebbe finire tra qualche tempo nei libri di letteratura?

1998: storia di un premio Nobel

Nato in Portogallo da una famiglia umile, è costretto sin da subito a rimboccarsi le maniche per poter contribuire alla vita familiare. Scrive il suo primo romanzo nel 1947, Terra del peccato, ma ne sarà dopo poco insoddisfatto. Nonostante ciò, non si arrende e continua a scrivere, riuscendo a farsi strada anche nel mondo della critica letteraria e lavorando come traduttore.

“Con parabole, sostenute dall’immaginazione, dalla compassione e dall’ironia ci permette continuamente di conoscere realtà difficili da interpretare

Con queste parole nel 1998 viene insignito del Premio Nobel per la Letteratura. Sebbene l’autore già godesse di un discreto successo, trovò il riconoscimento internazionale solo negli anni Novanta, con la pubblicazione in primis dei suoi due capolavori, Cecità Il Vangelo secondo Gesù Cristo, ma anche di Storia dell’assedio di Lisbona (che, al contrario di come pare far intendere il titolo, non ha l’intento di fare cronaca quanto più di raccontare il meccanismo che sta dietro la scrittura).

José Saramago il 10 dicembre 1998 dopo avere ricevuto il Premio Nobel. Fonte: eremodicelestino.home.blog

Sono degne di nota anche altre opere canonicamente definibili minori: è il caso de Il racconto dell’isola sconosciuta, che con appena 43 pagine riesce a restituire delle atmosfere al confine tra realtà e tradizione favolistica. I personaggi non vengono presentati con i loro nomi, ma soltanto con il loro “ruolo” nella storia: sembra quasi che lo scrittore voglia chiedere al lettore di scegliere il proprio posto, quello che ritiene più comodo, e indossare i panni di quei personaggi di cui sta leggendo.

“Tutte le isole, anche quelle conosciute, sono sconosciute finché non vi si sbarca” (Il racconto dell’isola sconosciuta, Feltrinelli, 2015)

Saramago al tempo dei social

Chi l’avrebbe mai potuto dire che il racconto di un’epidemia di cecità bianca avrebbe potuto restituire emozioni e sensazioni quanto più attuali? Successe più o meno questo nel 2020, quando, allo scoppiare della pandemia di Covid-19, molti lettori riscoprirono romanzi come La peste scarlatta di Jack LondonLa Peste di Albert Camus o proprio Cecità di Saramago.

Pubblicato nel 1995, il romanzo parte con un evento al limite tra il realistico e l’assurdo: un automobilista fermo al semaforo non riesce a proseguire perché si accorge di essere diventato improvvisamente cieco. Un protagonista senza nome in una città senza nome soccorso da paladini senza nome in un periodo fuori dal tempo. Sebbene il racconto possa sembrare surreale, lo stile unico di Saramago – che ha un modo tutto suo di utilizzare la punteggiatura – e la storia catastrofica riescono ad attrarre ancora oggi lettori.

“La cecità stava dilagando, non come una marea repentina che tutto inondasse e spingesse avanti, ma come un’infiltrazione insidiosa di mille e uno rigagnoli inquietanti che, dopo aver inzuppato lentamente la terra, all’improvviso la sommergono completamente.” (Cecità, Feltrinelli, 2013)

Cecità, edizione speciale realizzata per il centenario dalla nascita dello scrittore.

Il mondo dagli occhi di Saramago

José Saramago crea i suoi protagonisti con un gioco di luci e ombre che porta il lettore a non patteggiare nè per una parte nè per l’altra, bensì a osservare semplicemente il dramma esistenziale della vita. In un’intervista del 2001 per Rainews dichiara:

“Credo che sebbene qualche volta nei miei romanzi ci sia la preoccupazione di vedere, rendersi conto, osservare, in fondo, sebbene a volte ci sia una relazione diretta con la vista, c’è sempre un aspetto oggettivo. Quando dico “vedere” intendo “comprendere”, ma per comprendere non basta vedere, è solo un mezzo. Quando mi chiedono perchè scrivo, oggi mi limito a dire che lo faccio per comprendere” (Intervista di Luciano Minerva per Rainews, marzo 2001)

Lo continuiamo ancora a leggere dopo decenni per la grandezza delle sue opere e per la trasversalità delle sue storie. Ed è nella stessa intervista sopracitata che Saramago parla della sete di conoscenza, che prescinde da qualsiasi tipo di sovrastruttura sociale. Come disse lui stesso riferendosi al nonno, “l’uomo più saggio ch’io abbia mai conosciuto non era in grado né di leggere né di scrivere”.

Giulia Cavallaro

Lucio Piccolo, il poeta dell’ancestrale

 Nel vasto panorama letterario italiano, sono tantissime le figure di letterati che sfuggono al canone o che, per considerazione della critica, rientrano nella definizione di “poeti minori”

Tra questi, troviamo Lucio Piccolo, poeta, esoterista e musicologo italiano.  

Biografia

Lucio Piccolo nacque il 27 ottobre 1901 a Palermo, ultimo dei tre figli del barone Giuseppe Piccolo di Calanovella e della duchessa Teresa Mastrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò (di antica discendenza principesca, risalente ai Normanni), imparentati con l’alta nobiltà siciliana

Il poeta trascorse la sua giovinezza a Palermo, dove frequentò il liceo classico, dimostrando una grande curiosità e una straordinaria capacità di apprendimento. In seguito, non andrà all’università, approfondendo da autodidatta le conoscenze linguistiche, di musica, poesia, filosofia ed esoterismo, insieme ai fratelli Casimiro e Giovanna.

«Pertugi, sgabuzzini, ambienti / nascosti tra le quinte / dove monomania / di specchi in ombra / accolse i sedimenti / d’epoche smorte, di fasi sbiadite / che il riflusso dei giorni in un torpore / lasciò fuori del sole»

(“Gioco a nascondere”, in Gioco a nascondere, Canti barocchi e altre liriche, Mondadori, Milano, 1960).

 

Due eventi inaspettati, quale la morte del padre avvenuta nel 1928 e la grave crisi economica del ’29, scombussolarono la famiglia Piccolo, che fu costretta a vendere la villa a Palermo per trasferirsi a Capo d’Orlando, in una villa di campagna (che attualmente ospita la casa-museo di Villa Piccolo). 

«Il palazzo di Capo d’Orlando più che una casa sembrava una favola campata in aria. Onde marine, nubi, folate di vento, gabbiani, corvi, gatti neri, spiriti, anime di crociati, anime in pena e santi vagabondi stanchi di paradosi dividevano con il nostro poeta quella solitudine dorata»

(Gonzalo Alvarez Garcia, Le zie di Leonardo, Scheiwiller, Milano, 1985).

 

Lucio Piccolo e Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Importante per la crescita culturale del giovane Lucio, fu il rapporto con il cugino primo di parte materna e futuro fortunato autore de Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Tra i due vi sarà un sodalizio che durerà tutta la vita. Sulla natura del loro rapporto, basta leggere le parole rilasciate dallo stesso Lucio Piccolo nell’intervista a Ronsisvalle:

«C’era fra di noi una sorta di gara, a chi fosse più abile scopritore di interessanti novità. Ricordo che fu così a proposito del grande poeta Yeats, il grande poeta d’Irlanda che fui io il primo a leggerlo prima ancora di Lampedusa […] E così ci siamo accaparrati tutta la letteratura contemporanea europea, tedesca, francese. Ricordo anzi che fu proprio Lampedusa a introdurre a Palermo, nella Palermo colta, Rilke […] Poi passarono Joyce, Proust. Di Proust mi ricordo che una volta mi disse “Sai, c’è uno scrittore francese il quale per fare due passi da lì a qui ci impiega dieci pagine”. La prima immagine che io ho avuto di Proust è stata questa».

Lucio Piccolo e Giuseppe Tomasi di Lampedusa su una panca nella stradella di accesso a Villa Piccolo, Capo d’Orlando. Fonte: wikimedia.org

La consacrazione letteraria

Nel 1954, Lucio Piccolo, alla soglia dei 53 anni, pubblica una silloge di 9 liriche che invia ad Eugenio Montale, il quale rimane colpito dalla perfezione stilistica dei versi, al punto da presentare Piccolo nel prestigioso convegno letterario di San Pellegrino Terme

Al convegno, accompagnato dal cugino principe Lampedusa, Lucio diventa centro dell’attenzione di tutti, passando da sconosciuto barone siciliano a famoso poeta consacrato da Montale e dagli altri “marescialli di Francia”, così definiti da Tomasi.  

«Quella coppia stranissima di titolati siciliani, goffi e un po’ traballanti, suscitò immediatamente la curiosità di ognuno: quasi un’apparizione carnevalesca di piena estate, un intermezzo in costume con due personaggi di fine secolo in cerca di autore».

 

Il Piccolo, ottenuto il successo della critica, pubblica nel 1956 i Canti Barocchi, editi da Mondadori; successivamente, nel 1960, Gioco a Nascondere. In seguito pubblicherà altre due raccolte, Plumelia (1966) e l’opera in prosa poetica Le Esequie della Luna

Lucio Piccolo muore improvvisamente il 26 maggio 1969, lasciando diverse opere inedite, tra cui una composizione musicale del Magnificat, d’ispirazione wagneriana, ancora oggi inedita. 

 

Lucio Piccolo
Lucio Piccolo a Villa Piccolo. Fonte: fondazionepiccolo.it

La poetica

Nella poetica di Piccolo s’intrecciano cristianità, paganesimo e religioni orientali, al punto da creare il contatto con un’altra realtà.  Nella stesura dei versi che riempivano il bianco delle pagine, avveniva un trasferimento ancestrale, si passava da una percezione del reale al mondo surreale, solamente attraverso l’unicità di quell’atto creativo attuato da Lucio. 

«Scrivevo versi come altri passeggia o sta alla finestra: era un fatto naturale».

Nelle liriche di Lucio Piccolo, caratteristiche sono la musicalità, il fine gioco letterario delle assonanze e delle dissonanze, oltre il frequente uso degli interrogativi che l’uomo si pone. Come, ad esempio, le domande poste davanti alle ombre fisiche e concrete, ricavate dal gioco di luci, così come quelle ombre provenienti dall’ignoto, espletate in Gioco a nascondere: 

«Hai visto come al varcare la soglia / il lume ch’era nella mano manca / mentre l’altra fa schermo, ha dato uno svampo / leggero dal vetro s’è spento. / Tardo il passo né fu colpo di vento, / forse ha soffiato qualcuno, un volto / subito svaporato nell’aria? […] Ma non c’è nessuno / e sai che non bisogna tentare / il buio: rimemora, ha nostalgie, imprevisti, / l’ombra e le ombre, meglio pregare / a quest’ora, quel che gioco / sembra di giorno fa vero / di notte la notte che sogna – […] I morti / non hanno cifre per i nostri tesori, / singulti hanno in noi, / veglie / di fiamme basse, aneliti, / d’angoscia verso un nodo di vita / incompreso, e a volte una sera / che scende dall’alto a candori infiniti»

Questo esempio, esplicita i poli cardine dell’indagine metafisica di Lucio Piccolo, racchiusa nei suoi versi: da una parte l’esteriorità attraverso la natura ammaliatrice e seduttrice, dall’altra l’interiorità, la coscienza che si materializza attraverso i richiami simbolici. 

 

«Ci sono uomini che in determinate epoche arrivano alla perfezione, sciogliendosi dall’ambiente in cui vivono e dalle cose del loro tempo, assumendo coscienza della fine e salvandosene nel distacco, nella superiorità, nell’autosufficienza. E in questo senso, Piccolo partecipa di una tale perfezione, nella sua vita come nella sua poesia»

(Leonardo Sciascia, “Le soledades di Lucio Piccolo”in La corda pazza, Einaudi, Torino, 1976).

 

Gaetano Aspa

Fonti:

www.fondazionepiccolo.it 

http://www.flaneri.com/2013/01/12/lucio_piccolo_poeta_tra_le_ombre/

 

Edoardo Giacomo Boner: il cantore del Bosforo d’Italia

Continuiamo l’approfondimento sugli “Scrittori dei due Mari”, dopo avervi raccontato della puitissa  Maria Costa, oggi scriviamo di uno degli autori più importanti della città di Messina, Edoardo Giacomo Boner. 

Gli inizi

Edoardo Giacomo Boner nacque a Messina nel 1864, da padre svizzero e madre italiana. Già durante l’adolescenza mostrò una grande predilezione per la letteratura italiana, ma anche per quella tedesca, della quale negli anni sarebbe divenuto profondo conoscitore. Finiti gli studi letterari sia in Italia che in Germania, divenne insegnante di tedesco all’istituto tecnico “Carlo Gemmellaro” di Catania e poi , dal 1893, lettore di lingua e letteratura tedesca all’Università di Messina. Nello stesso periodo insegno letteratura italiana presso il Liceo classico Maurolico

Successivamente fece tappa a Roma, dove divenne docente di letteratura tedesca all’università.

Facciata del Rettorato dell’Università degli Studi di Messina. Fonte: Archivio UvM

Un instancabile intellettuale

Boner non fu solo insegnante, ma fu un importante traduttore, poeta, e letterato. Tra le sue opere si ricorda Sui miti delle acque, una raccolta di racconti sui miti che il letterato rivisita, affrontando la tematica lontana da schemi idealistici e veristi. La prima edizione risale al 1895. Mentre è del 1896 un’altra opera dell’autore; I Saggi di letterature straniere, che spaziano fra tanti argomenti. Dal pessimismo nel romanzo russo, passando per lo studio del Natale e del Capo d’Anno nella letteratura nordica, per analizzare infine l’influenza italica nella letteratura tedesca. Insomma, l’autore qui non si lasciò sfuggire nulla.

Copertina Sui miti delle acque, di G.Boner2

L’amicizia con Rapisardi

Come accennato, Boner ha insegnato anche a Catania. Egli era noto fra i più importanti intellettuali italiani, tra i quali spicca in particolare G.Pascoli , che lo stimava moltissimo. Lo stesso Pirandello dedicò a Boner le sue Elegie renane. Ma tra le sue amicizie migliori vi era quella con il poeta e traduttore Mario Rapisardi, nato e deceduto a Catania. I due intellettuali spesso si scambiavano lettere, dove si aggiornavano costantemente sulla loro quotidianità. Boner però morì prima, a causa di un tragico terremoto, mentre Rapisardi morì nel 1912.

L’ultima raccolta

L’ultima opera del poeta è Le Siciliane, una raccolta di versi, probabilmente in omaggio alla Sicilia. La prima edizione è del 1900, ma nel corso del tempo è stata più volte rivista, fino ad arrivare alle recenti edizioni del 2018 e del 2019. Dopo quest’opera non ce ne furono altre, anche perché il poeta morì nel 1908, a seguito del terremoto che colpì le città di Messina e Reggio Calabria.

 

Lapide funebre di Boner nel cimitero monumentale di Messina. Fonte: Messinatoday1

La morte tra mito e realtà

Il poeta morì nel 1908, a seguito del devastante terremoto. Il suo corpo fu ritrovato solo diciotto mesi dopo e il luogo del ritrovamento è oggi noto come Via Edoardo Boner. Interessanti le circostanze e le modalità del suo ritrovamento. Ad indicare il luogo dove giaceva il corpo del poeta fu una bambina che affermò di aver fatto un sogno, nel quale era il poeta stesso a dirle dove si trovava il proprio corpo. E così l’intellettuale fu ritrovato e oggi  sepolto al cimitero monumentale di Messina. Vi è anche un piccolo monumento a lui dedicato, sul quale è scolpita anche la figura simbolica della bambina.

 

Roberto Fortugno

Fonti:

Edoardo Giacomo Boner – Luciano Zagari – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 11 (1969)

Treccani : https://www.treccani.it/enciclopedia/edoardo-giacomo-boner_%28Dizionario-Biografico%29/

1 – L’immagine della lapide funebre di E.G.Boner è stata presa da: https://www.messinatoday.it/attualita/gran-camposanto-monumenti-curiosita-intervista-principato.html

2 – Edoardo Giacomo Boner, Sui miti delle acque, La Coda di Paglia, ed. 2017.

 

The Pale Blue Eye – I delitti di West Point

Un film thriller che non convince mai del tutto, configurandosi ormai ai piatti standard Netflix – Voto UVM: 3/5

 

Anno nuovo uscite nuove! Il catalogo Netflix si arricchisce di una nuova pellicola uscita nelle sale americane e disponibile in streaming dal 6 gennaio di quest’anno.

Stiamo parlando della tanto attesa pellicola The Pale Blue Eye – I delitti di West Point, diretta da Scott Cooper e adattamento dell’omonimo romanzo del 2003 scritto da Louis Bayard. Un cast stellare e un co-protagonista davvero gigantesco, ma basterà tutto questo a rendere questo film eccezionale? Scopriamolo insieme!

The Plot

Il film ha come protagonista il detective August Landor (interpretato dallo straordinario Christian Bale), un uomo dal carattere schivo e misterioso, ma dalle grandi abilità che lo portano ad essere scelto dagli alti ranghi dell’accademia militare di West Point, nel 1830, per risolvere uno strano delitto. Spinto dal suo talento e da metodi al di fuori dall’ordinario, si muove alla ricerca della verità, scontrandosi però con la scarsa collaborazione della stessa accademia.

In suo aiuto arriva un giovane quanto brillante cadetto Edgar Allan Poe (Harry Melling) che si rivela un preziosissimo compagno di indagini, dimostrando lo stesso tormento interiore e uno spiccato amore per gli enigmi quasi al suo pari.

Gli omicidi continuano e s’intrecciano, il mistero va via via infittendosi, portando lo spettatore ad arrovellarsi il cervello per indovinare il colpevole e soprattutto, cosa spinga l’omicida a commettere tali delitti. Il duo comincia quindi un’intricata caccia all’assassino, portandoli ad affrontare insieme i propri drammi personali e la perenne sensazione di essere costantemente emarginati da tutto e tutti.

                             

(Trailer italiano di The Pale Blue Eye – I Delitti di West Point)

Edgar Allan Poe può bastare a salvare tutto?

Il film si presenta con l’intenzione di essere un giallo intellettuale (a tratti ci riesce pure) dai toni noir, con ambientazioni gotiche e dai tratti più psicologici che visivi.

Il primo, alla base di tutto, è un grande e grosso, oserei dire gigantesco problema.

Ovviamente, il problema, è lo stesso Edgar Allan Poe (ormai infilato ovunque a caso, basti vedere la recente serie Mercoledì): la presenza del leggendario scrittore, porta a scemare ogni tensione sul suo destino, sgonfiando, e di non di poco, il potenziale lato thriller della vicenda che, come ogni film degno di questo genere, dovrebbe portare lo spettatore a viverlo tra stati di tensione, angoscia e paranoia. L’effetto finale della presenza del personaggio di Poe riduce la pellicola a mero giochino intellettuale, all’interpretazione degli indizi attraverso lunghi e barbosissimi dialoghi tra lui e Landor.

Il secondo problema è presentato dall’intreccio narrativo scialbo e meccanico (molto lontano dai film d’eccellenza come La vera storia di Jack Lo Squartatore – From Hell del 2001 diretto dai fratelli Hughes), che non concede nemmeno il tempo per approfondire emotivamente altri personaggi oltre i due protagonisti che, anche loro, restano come appena sommersi nelle profondità della psiche.

August Landor (Christian Bale e Edgar Allan Poe (Harry Melling) in una scena del film. Distribuzione: Netflix

Tra regista atipico e cast stellare

Il film vede il ritorno di una coppia scoppiettante Scott Cooper e Christian Bale, che già avevano lavorato insieme con il western Hostiles e il thriller Il Fuoco della vendetta.

Cooper è uno dei registi più atipici del panorama moderno, da sempre interessato a parlarci della lotta dell’individuo contro sé stesso, in una produzione dominata dalla sensazione di isolamento, del tutto scevra da ogni ottimismo ma soprattutto una visione della società come dittatura della ferocia e della prepotenza.

Christian Bale si dimostra uno degli attori più versatili, passando nella sua lunga carriera da personaggi dalla personalità e dalla psiche turbata (come in American Psyco e L’uomo senza sonno) a diventare l’eroe di cui Gotham ha bisogno (la trilogia di Batman di C. Nolan). Anche in questo film nulla da dire, con Bale si va sul sicuro.

Vera rivelazione è Harry Melling (il cugino Dudley di Harry Potter per capirci) che dà il volto a Edgar Allan Poe e lo fa bene, incarnando gli albori dell’inquietudine che saranno il motore della produzione di Poe.

Il resto del cast è ricchissimo e soprattutto affollato, con gente del calibro di Gillian AndersonCharlotte Gainsbourg o Toby Jones che devono sgomitare per farsi notare.

Spettacolare è la fotografia di Masanobu Takayanagi, ben curata dal punto di vista estetico attraverso una rievocazione storica di un certo spessore, ma anche elegante e forte, che tende a valorizzare l’intima regia di Cooper.

Conclusioni

Più che di un thriller vero e proprio, The Pale Blue Eye – I delitti di West Point, si presenta come un divertissement quasi letterario, che a tratti funziona e a tratti no. Stupefacente la fotografia, l’interpretazione magistrale degli attori, nonostante questo, il  film possiede tutti i difetti di un film fatto per le piattaforme.

Lodevole l’idea di voler omaggiare uno dei più grandi scrittori della storia come Edgar Allan Poe, ma allo stesso tempo bisogna fare i conti con la grandezza dell’omaggiato in questione e non ridurlo all’ennesimo “investigatore del mistero” come ultimamente piace a Netflix.

 

Gaetano Aspa

Grazia Deledda: la donna che scalò l’Olimpo della letteratura

Innumerevoli sono i nomi e i volti di uomini e donne che hanno fatto dell’Italia un esempio nel panorama della letteratura mondiale, tanti da non riuscire ad elencarli tutti.

Oggi più che mai spicca un nome insolito, il ricordo dei 150 anni dalla nascita di una donna: Grazia Deledda.

La Deledda, scrittrice di origini sarde, fu la prima donna italiana a salire sulla cima dell’Olimpo sacro della letteratura con il premio Nobel assegnatole nel 1926.

La scrittrice Grazia Deledda. Fonte: parchiletterari.com

La vita di una donna rivoluzionaria

Grazia Deledda nacque nel cuore della Sardegna rurale, nella piccola cittadina di Nuoro il 28 settembre 1871, in una famiglia agiata. Il padre, Giovanni Antonio Deledda era un noto imprenditore interessato alla poesia, egli stesso componeva versi in sardo; fu anche fondatore di una tipografia. La madre, Francesca Cambosu, era una donna di rigidissimi costumi, dedita alla casa, perfetta rappresentazione della chiusa mentalità patriarcale nuorese, che successivamente porterà la stessa Grazia a ribellarsi a tali dettami culturali. Formatasi in maniera privata sotto la guida del professore Pietro Ganga, proseguì i suoi studi completamente da autodidatta.

Importante per la formazione dei primi anni della sua carriera da scrittrice di Grazia, fu l’amicizia con lo scrittore e storico sassarese Enrico Costa, che per primo ne comprese il talento. Successivamente coltivò per lungo tempo uno scambio epistolare con lo scrittore calabrese Giovanni De Nava, che vantava il talento della giovane scrittrice, relazione che sfociò successivamente in missive amorose e che terminò bruscamente con l’allontanamento da parte del poeta reggino.

Nel 1899 si trasferì a Cagliari, dove conobbe Palmiro Madesani, funzionario del Ministero delle Finanze, lavoro che successivamente lasciò per dedicarsi all’attività di agente letterario della scrittrice, ormai divenuta sua moglie. La coppia si traferì a Roma l’anno successivo, conducendo una vita appartata. Ebbero due figli: Franz e Sardus.

Nel 1903, dopo una serie di pubblicazioni minori, arrivò per Grazia la consacrazione come scrittrice attraverso la pubblicazione del romanzo Elias Portolu, il primo di una serie di fortunati romanzi e opere teatrali: Cenere (1904), L’edera (1908), Sino al confine (1910), Colombi e sparvieri (1912), Canne al vento (1913), L’incendio nell’oliveto (1918), Il Dio dei venti (1922).

Le opere della Deledda furono apprezzate da tanti illustri letterati, tra cui Giovanni Verga. Fu riconosciuta e stimata anche all’estero: David H. Lawrence scrisse la prefazione in inglese della traduzione de La Madre, ed ella stessa fu traduttrice (è sua la traduzione italiana di Eugénie Grandet di Honoré de Balzac).

Il Nobel per la letteratura e la fine di una vita

Arriva il 10 dicembre 1926: nella cornice della magnifica Stoccolma, Grazia Deledda viene insignita del più alto riconoscimento letterario, il Premio Nobel, così motivato dalla prestigiosa giuria:

“Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano.”

Divenne così la prima e unica donna italiana e la seconda nel mondo, a raggiungere la vetta dell’Olimpo della letteratura.

Grazia Deledda riceve a Stoccolma il prestigioso premio Nobel. Fonte: eco di Pavia

Dieci anni dopo il premio arrivò per Grazia la fine della sua vita: si spense il 15 agosto 1936 così come aveva sempre vissuto, con l’odore di rivoluzione e sempre pronta a rompere ogni schema.

 Tre grandi capolavori di Grazia Deledda

1) Canne al vento (1913)

“L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante.”

(Blaise Pascal, Pensieri)

Il romanzo capolavoro della scrittrice sarda affronta senza filtri tematiche dal sapore dolce-amaro: all’amore e all’onore vengono contrapposte la fragilità umana e la povertà, il ricordo della consapevolezza di un destino già segnato e impossibile da cambiare.

Riprendendo diversi spunti filosofici-letterari già trattati, la Deledda abbina sapientemente la metafora dell’uomo paragonato alla canna di Blaise Pascal, adattandolo perfettamente al protagonista, un eroe semplice quasi primitivo, sul modello del pastore errante leopardiano.

2) Elias Portolu (1903)

Amor, ch’a nullo amato amar perdona

(Dante, La Divina Commedia, Inferno, canto V)

Un romanzo dai tratti “lussuriosi”, in pieno stile dantesco: la Deledda racconta, con sapiente maestria, il ritratto dell’amore impossibile e tormentato tra due cognati attraverso il loro conflitto interiore per non cedere alla passione e quindi al peccato.

3) Cenere (1904)

   Possibile che non si possa vivere senza far male agli innocenti?

(Grazia Deledda,  La chiesa della solitudine)

Il romanzo narra la storia di una madre – o meglio – l’assenza di una madre persa dietro alla passione per un uomo e di un figlio abbandonato, cresciuto dalla matrigna benevola.

La trama percorre tutta la vita del protagonista, tra aspirazioni personali e il decadimento di un paese fino al suicidio, l’unica soluzione che pone fine alle sofferenze del protagonista e alla ricerca ossessiva della madre.

La scrittrice in un’illustrazione di Gef Sanna. Fonte: lanuovasardegna.it

 

La Deledda dovette affrontare un lungo percorso per poter dare spazio alle sue aspirazioni più profonde, alla voce interiore che la chiamava a dedicare la propria esistenza alla scrittura, soprattutto contro la società di Nuoro in cui l’unico destino delle donne non poteva oltrepassare il limite di «figli e casa, casa e figli». Grazia reagì, rivelando da protagonista la crisi epocale del mondo patriarcale (e pastorale), incapace di contenere le istanze delle nuove generazioni. Seguì una strada esemplare, facendo emergere le contraddizioni di una società in declino, senza tradirne la radice identitaria profonda che la contraddistinse.

Gaetano Aspa

Alla (ri)scoperta delle scuole superiori di Messina: Basile e Bisazza

In attesa del rientro a scuola dopo le vacanze di Pasqua, torna la nostra rubrica dedicata agli istituti superiori messinesi. Oggi parleremo dei personaggi a cui sono intitolate le due scuole del quartiere Annunziata: il Liceo Artistico “E. Basile” e l’Istituto Superiore Statale “F. Bisazza”.

Liceo Artistico “E. Basile”

Isituito nel 1956 come sezione staccata dell’ Istituto Statale d’Arte di Palermo, dopo essere stato ospitato per anni nei locali del Real Convitto “Dante Alighieri”, attualmente il liceo si trova nel quartiere Annunziata  in via U. Fiore e fa parte dell’ ’I.I.S. “La Farina – Basile”, in seguito all’accorpamento con lo storico liceo classico – di cui abbiamo parlato precedentemente in un nostro articolo -. Nel 1982 è intitolato ad Ernesto Basile, autorevole esponente del liberty siciliano.

Facciata del Liceo “E. Basile” – Fonte: messinaweb.Eu

Nato a Palermo il 31 gennaio 1857, studia presso l’università del capoluogo sotto la guida del padre, professore di Architettura.

Successivamente al conseguimento della laurea si dedica allo studio dei monumenti architettonici siciliani, in particolare, di epoca normanna e rinascimentale contribuendo con il padre alla stesura del volume “Curvatura delle linee dell’architettura antica “ ( Palermo 1884). Grazie a questo lavoro, Basile, si educa ad uno storicismo che se pur acriticamente accolto, sarà la caratteristica preponderante delle sue prime esperienze.

Nel 1890 ottiene la cattedra che era stata del padre e sette anni dopo viene nominato anche direttore della Reale accademia di belle arti di Palermo.

Nel 1981 gli viene commissionata la realizzazione degli edifici per L’esposizione nazionale di Palermo. I disegni ottengono immediatamente un grande successo grazie alla perfetta aderenza del suo linguaggio all’ambiente sociale e culturale siciliano.

Ernesto Basile – fonte: comune.palermo.it

Nel 1898 costruisce le ville Paternò ed Igea a Palermo, che segnano un’importante svolta artistica per il Basile: all’impostazione ancora arabo-normanna si unisce una rigorosa semplificazione formale e una libertà volumetrica del tutto innovativa. Il problema di Basile era quello di inserire il linguaggio liberty all’interno di una società, quella siciliana, che ne aveva ignorato premesse e sviluppi.

L’inserimento di elementi decorativi floreali, tipici del’ 400 siciliano, si spiega con il tentativo di trovare una giustificazione al nuovo linguaggio, fondandolo su una tradizione storica e fortemente legata al territorio. Tipico a tal riguardo il palazzo di Montecitorio  in Roma che sancisce definitivamente la scissione delle esperienza del Basile in architettura ” minore ” e ” maggiore”.

Le successive opere sono fortemente caratterizzate da questa contraddizione stilistica; tra le tante  ricordiamo il municipio di Reggio Calabria, ma anche la Cassa di Risparmio di Messina.

L’ultima opera del Basile è la chiesa di S. Rosalia in Palermo, iniziata nel 1928 e non ancora terminata nel 1932, anno della morte dell’eclettico architetto siciliano.

Istituto Superiore Statale “F. Bisazza”

L’altro istituto del quartiere Annunziata è uno dei più recenti della città di Messina ed incoropora vari licei: il Liceo Scientifico (con le vari sperimentazioni), il Liceo Linguistico, il Liceo dell Scienze Umane e – dal prossimo anno scolastico – il Liceo Musicale. La scuola è intitolata al poeta e letterato Felice Bisazza.

L’Istituto “F.Bisazza” – fonte: messinaora.it

Nato a Messina il 29 gennaio 1809, Felice Bisazza frequenta il Regio Collegio Carolino di Messina, riservato ai figli delle famiglie messinesi più nobili e, appena quindicenne inizia, da autodidatta, gli studi letterari.

Bisazza acquisisce la fama a livello nazionale attraverso la collaborazione – sia prosa che in versi – con numerosi giornali, prima cittadini e poi regionali.

Nel 1831 pubblica la sua prima raccolta di saggi e di liriche originali, i Saggi poetici; nel 1833 redige Il Discorso sul Romanticismo, molto importante dal punto di vista storico, più che stilistico, poiché provoca fermento nell’ambiente culturale dell’Isola, che non ha accolto favorevolmente il romanticismo. Infatti, Bisazza è uno dei pochi – e impavidi – romantici siciliani e spesso deve difendersi dagli attacchi di altri letterati.

Nel 1835 si reca a Napoli per collaborare con importanti testate della città partenopea, ma, dopo quasi un anno, lascia la città per delle allusioni sul dispotismo borbonico e sulla situazione della patria.

L’anno successivo decide, dedicando l’edizione napoletana della Morte di Abele (1836) a Re Ferdinando II, di ritrarsi da qualsiasi manifestazione di liberalismo, per potersi dedicare completamente – e senza ostacoli – all’insegnamento e agli studi; così, dopo il biennio rivoluzionario siciliano del 1848, ottiene la cattedra di lingua e letteratura italiana presso l’Università di Messina.

Nel 1858, presso l’Ateneo Peloritano pronuncia un discorso Della letteratura poetica, sotto il doppio aspetto della rappresentazione e della purificazione, da cui si evince il suo moderato romanticismo religioso e moralistico.

Dopo la costituzione del Regno d’Italia, Bisazza omaggia le vicende dell’unificazione – auspicata sin dalla giovinezza – e suoi protagonisti. Nel 1865 partecipa alle celebrazioni dedicate al sommo poeta Dante.

Felice Bisazza muore a Messina il 30 agosto 1867. Nel 1872 il municipio di Messina colloca le sue ossa nel cimitero monumentale, accanto alle tombe degli amici La Farina e Natoli.

Felice Bisazza e il timbro postale a lui dedicato – Fonte: sikilynews.it

Alla prossima!

Concludiamo dandovi appuntamento al prossimo articolo, in cui conosceremo la storia del personaggio a cui è intitolato un importante istituto situato a Provinciale: il Liceo “E. Ainis“.

 

Emanuele Paleologo, Mario Antonio Spiritosanto

Fonti:

treccani.it/enciclopedia/felice-bisazza

treccani.it/enciclopedia/ernesto-basile

iislafarinabasile.edu.it/basile

liceobisazza.edu.it

Femminismo sui social o nella letteratura: la risposta a Jane Austen

Come ogni 8 Marzo che si rispetti, le città e i social si riempiono di mimose.

L’8 Marzo è quella “festa” in cui tutte (e tutti) diventano femministe e si urla a gran voce «viva le donne!», «auguri a tutte noi!» o – per meglio dire – spesso si condivide soltanto una storia o un post ad hoc. Questo può essere definito femminismo? Può realmente creare un movimento per quei diritti che ancora mancano? Ciò che vediamo sui social è femminismo o mero esibizionismo?

Ma un’altra domanda sorge spontanea: è giusto chiamarla “festa”? No. L’8 marzo non è propriamente una festa, ma una ricorrenza per ricordare i diritti per cui le donne hanno combattuto e le lotte che hanno affrontato.

Ultimamente nel web e sui social si è sviluppato un “finto” femminismo che va a schiacciare l’uomo e la donna stessa. Ma che vuol dire essere davvero femministe?  E chi lo è stato in passato? Sono tanti e troppi i nomi, ma una delle femministe più influenti e conosciute è Jane Austen.

Jane Austen: ritratto di una femminista

Non so cosa significhi amare la gente a metà, non è nella mia natura. I miei affetti sono sempre eccessivi.

   Ritratto di Jane Austen. Fonte: Marieclaire

Essere femministe tra ‘700 e ‘800 non era semplice:  essere donna a quei tempi voleva dire essere ” una donna di casa”,  “una donna nata per essere moglie e madre”, ” una donna che deve lavare e cucire”, e tante altre definizioni stereotipate. Essere donna significava essere ciò che vuole e pretende la società.

Cosa rende una  “donna” tale? Non credo che ci sia un’unica risposta, ma molteplici, perché si è ciò che è solo quando si è liberi di sentirsi bene con sé stessi: solo allora si può diventare “qualcuno”.

Ma – tornando a noi – stavamo parlando di Jane Austen, scrittrice femminista vissuta a cavallo tra ‘700 e ‘800. Jane Austen con il suo lavoro è riuscita a rompere la patina delle etichette, trasformando l’impensabile in normalità. Le eroine dei suoi romanzi sono semplici ragazze che vogliono affermare la propria identità in un mondo costruito su misura per il genere maschile, un mondo in cui essere donna equivale a trovare marito, una società in cui solo diventando moglie si diventava “Donna”.

La Austen con la sua impronta è riuscita togliere il velo del finto perbenismo e ne ha tessuto un altro, allungato poi da altre donne con battaglie e piccoli segni di protesta. È riuscita a costruirsi la propria strada senza affiancarsi a un uomo: rifiutò infatti il matrimonio per dedicarsi totalmente alla scrittura. Il suo essere nubile è un segno di protesta che sembra urlare: “non ho bisogno di un uomo che mi mantenga, il mio essere e il mio modo di fare  costruiscono ciò che sono, la mia identità”.

Curioso sapere che la Austen non firmò mai col suo nome i propri libri, ma utilizzo l’appellativo “The Lady”: come mai? Non si conosce la verità: forse la scrittrice non voleva dare troppo nell’occhio o forse voleva semplicemente urlare la propria protesta senza troppi meriti ed elogi.

Orgoglio e pregiudizio (1813)

 L’immaginazione di una donna corre sempre: dall’ammirazione passa all’amore, dall’amore al matrimonio, tutto in un istante.

Copertina del libro. Fonte: libraccio.it              

Orgoglio e pregiudizio è uno dei libri più famosi della scrittrice. I protagonisti sono Elizabeth (pregiudizio) e lo scapolo Mister Darcy (orgoglio), due giovani ragazzi dotati di originalità, giacché ragionano con la propria testa, rinnegando il pensiero tradizionale e seguendo la loro propria identità in un mondo in cui non sei tu a decidere chi devi essere.

Elizabeth fa parte della famiglia Bennet ed è la seconda di cinque figlie, si è sempre sentita fuori luogo perché a differenza delle altre sorelle e della madre la frivolezza non fa parte di lei. Il padre, Mr Bennet, nutre una preferenza verso la nostra eroina, proprio per il suo essere “la pecora nera” della famiglia.

Nei pressi di casa loro, si trasferisce un giovane scapolo, Mr Bingley, accompagnato da Mr Darcy, e la madre di Elizabeth, col suo animo di donna frivola, vede un opportunità per le sue figlie: un marito per “sistemarle”.

La famiglia Bennet farà conoscenza dei nuovi vicini e durante un ballo Elizabeth noterà Mr Darcy, ma quest’ultimo mostrerà indifferenza scatenando sentimenti di antipatia in Elizabeth. Da quel ballo, la vita della protagonista cambierà: scoprirà di nutrire un interesse verso Mr Darcy e nascerà una delle storie d’amore più belle della letteratura mondiale.

Mai aveva sentito così chiaramente di poterlo amare, come ora che tutto l’amore era vano.

Ma cosa ha reso così importante Orgoglio e pregiudizio nel panorama femminista? L’opera è riuscita a scavare nell’animo di un’eroina anticonformista ma non esibizionista, forte e indipendente, che ha saputo imporre sé stessa e il suo modello di vita semplicemente con la razionalità delle proprie scelte, senza per questo rinunciare all’amore. A testimonianza di come il femminismo “reale”- quello di Jane Austen e di tante altre sue colleghe scrittrici – continuerà a gridare dai loro libri fino a quando ogni singola donna non sarà considerata veramente uguale all’uomo.

Alessia Orsa

L’OSPE, il precursore delle moderne coworking?

Come avrete intuito dal titolo, questo articolo non si vuole limitare a raccontare una parentesi della storia messinese. Ci sono infatti delle pillole di conoscenza che andrebbero rinfrescate per fornire spunti di riflessione, guardando al presente ed al futuro della città dello Stretto.

La nascita dell’OSPE

Una di queste pillole riguarda la storia dell’OSPE, una piccola libreria del centro messinese esistita tra gli anni ’50 e gli anni ’80. Quel luogo, nella sua semplicità, è stato testimone del passaggio di numerosi artisti e scrittori, attratti da un ignoto centro gravitazionale che rendeva quelle quattro mura un luogo sicuro in cui dare libero sfogo alla creatività.

La libreria, sita in origine in via Tommaso Cannizzaro n.100, prendeva il nome dall’acronimo O.S.P.E., Organizzazione Siciliana Propaganda Editoriale (un’agenzia di distribuzione di giornali operante nel ventennio fascista). L’agenzia fu rilevata e trasformata da Antonio Saitta, gentiluomo d’altri tempi, libraio e poeta messinese. Intorno a lui sono nati numerosi movimenti ed iniziative culturali, come la galleria del Fondaco e l’Accademia della Scocca.

L’OSPE, liberatosi dell’acronimo, pochi anni dopo trovò la sua collocazione definitiva a Piazza Cairoli, in posizione attigua all’attuale Bar Santoro.

Gli accademici della Scocca. Fonte: Villaroel G., Messina anni 50′

La galleria del Fondaco

Il Fondaco è stato un punto di ritrovo in cui pittori emergenti e di ogni età potevano mostrare i propri quadri, i quali venivano tenuti esposti nel retrobottega dell’OSPE, frequentato dai curiosi che volessero immergervisi, ma anche dagli affezionati amici del libraio Saitta. Tra questi, in particolare il Professor Salvatore Pugliatti era stimato con affetto dai molti artisti e poeti di passaggio a Messina, che non mancavano di fare tappa all’OSPE.

Lo ricorda lo stesso Salvatore Quasimodo nella sua lirica Vento a Tindari : “Tindari mite ti so / fra larghi colli pensile sull’acque […]/ E la brigata che lieve m’accompagna / s’allontana nell’aria […]/ Soave amico (ecco Pugliatti, n.d.r.) mi desta“.

Nell’attività del Fondaco si annoverano anche numerosi premi, come la Tavolozza d’Oro, riconosciuto ad artisti siciliani che non avessero esposto in altre mostre nazionali.

Salvatore Quasimodo fotografato dentro l’OSPE. Fonte: D’Arrigo C., Antonio Saitta, OSPE: la scocca della cultura.

L’Accademia della Scocca

La libreria dell’OSPE non fu solo un luogo d’incontro tra intellettuali ed artisti, bensì un’occasione per stringere nuovi legami, vere e proprie amicizie per la vita. È così che tra una poesia ed un quadro, tra uno scaffale impolverato e la contabilità del negozio, nacque nel piano interrato dell’OSPE, un vero e proprio convivium, in cui gli assidui frequentatori della libreria si recavano per banchettare, ma anche per organizzare le iniziative future, viaggi di gruppo, in un’atmosfera di totale leggerezza e fraternità.

È in quest’ambiente che nacque una vera e propria “accademia”. Una scocca di amici, come si sarebbero definiti di lì a poco, tanto bastava a far rivivere lo spirito goliardico che animava quegli anni. Ai membri dell’accademia (tra i quali comparivano Vann’Antò, Pugliatti, Quasimodo, Saitta e molti altri) venivano conferite delle onorificenze ad personam con i quali i commensali si appellavano con scherno (come Gran Collare dell’Ordine dei Fichi d’India, Cavaliere dell’Abbacchio, Cigno della Scocca, Cocca della Scocca e così via).

La fine dell’OSPE (?)

Come il Sole d’estate, di cui si desidera rimandare il tramonto, così la felice esperienza dell’OSPE dovette pian piano volgere al termine. La scomparsa di alcuni compagni della Scocca, in particolare del Prof. Pugliatti, determinò il venir meno di quella magica atmosfera che si veniva a creare nel retrobottega della libreria. Il poeta libraio Antonino Saitta, ormai anziano, era riuscito a costruire un ambiente culturale e di confronto che difficilmente sarebbe sopravvissuto senza qualcuno che ne rifondesse la linfa vitale.

Eppure, da quella piccola bottega di Piazza Cairoli, sommersa dai corsi di gestione, l’essenza dell’OSPE ha lasciato i confini materiali della libreria per trascendere in qualcosa di più ampio, nel pieno spirito del suo fondatore. Se infatti la libreria non esiste più (i locali sono stati acquistati dal vicino bar), a permanere è una forte voglia di rivalsa e di rilancio. In un mondo che oggi va ad una velocità ben diversa da quegli anni, la cultura non è più qualcosa di elitario, ma è libera di spostarsi dai confini del passato grazie alle moderne tecnologie ed ai nuovi lavori, sempre più trasversali e creativi.

Una moderna coworking in cui i content creator si trovano per lavorare, studiare o prendere una piccola pausa.- Fonte: www.sharedspace.work

La voglia di mettersi in gioco, incontrandosi e creando nuovi legami, sono tutti aspetti che erano incarnati dalle sagge menti che vollero creare – dopo il buio del secondo dopoguerra – un mondo migliore di quello che si lasciavano alle spalle. Questo spirito si spiega bene con la parola inglese serendipity, che indica “l’occasione di fare felici scoperte per puro caso” e anche “il trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un’altra”.

Forse la vecchia libreria dell’OSPE oggi non esiste più, se non nei ricordi di chi ha avuto la fortuna di viverla ormai tanti anni fa. Tuttavia, quel luogo di fortunato incontro continua a rivivere tutte le volte in cui persone così diverse avranno modo d’incontrarsi, dialogare, in qualche modo unendosi in una sinfonia di scienze e di arti, dettata dalla seducente imprevedibilità del caso.

 

Salvatore Nucera

Fonti:

D’Arrigo C., Antonio Saitta. OSPE: la scocca della cultura, 2016, Messina. 

Grasso S., La libreria inghiottita dal bar, in Corriere della Sera, 21.12.1988

 

Festival Internazionale del Libro Taobuk: stage, campus e tirocini per studenti Unime

Sono state presentate in diretta Facebook, sulla pagina ufficiale dell’Ateneo peloritano, le iniziative della X edizione del Festival Internazionale del libro Taobuk per gli studenti Unime.

All’incontro, dopo i saluti del Rettore, prof. Salvatore Cuzzocrea e del Prorettore ai Servizi agli studenti, prof.ssa Roberta Salomone, è intervenuto anche il Direttore esecutivo Taobuk, dott. Alfio Bonaccorso. Nel corso della diretta, introdotta e moderata dal prof. Francesco Pira, Delegato alla Comunicazione, sono state illustrate le attività del campus e degli stage nelle quali saranno coinvolti gli studenti che decideranno di partecipare. Le collaborazioni col Festival  ogni anno si rivelano un efficace laboratorio per ragazzi con diversi background universitari ma con la medesima voglia di cimentarsi con un grande evento culturale internazionale.

Partecipare al festival come volontario significa:

  • Collaborare con la direzione artistica in un’attività di Stage;
  • Dare il proprio contributo alle attività del Campus;
  • Partecipare agli incontri di Taobuk Lab;

Stage

Gli studenti Unime avranno l’opportunità di effettuare stage formativi nell’ambito del Festival letterario internazionale di Taormina. Tali Stage prevedono un rapporto di collaborazione con la Direzione artistica, che provvederà ad assegnare ad ognuno dei selezionati un ruolo in base alle mansioni richieste e nel rispetto delle inclinazioni e delle preferenze di ciascuno. I ruoli proposti sono:

  • Segreteria Organizzativa (ad. es., Ufficio del Cerimoniale, affiancamento alla Direzione artistica);
  • Responsabili di progetto (ad. es., Taormina Design Promenade, Taormina Cult, Mostre antologiche personali);
  • Supporto alle attività dell’Ufficio Stampa;
  • Social Media Menagement;
Fonte: taobuk.it

Campus

L’Associazione attiverà un Campus, considerato l’officina culturale e creativa del Festival, un’occasione di confronto e crescita condivisa.
Le attività del campus sono svariate, partecipare è il modo per poter entrare nel vivo dell’organizzazione dell’evento. I ruoli da ricoprire sono:

  • Taobuk infopoint;
  • Taobuk assistenza eventi;
  • Taobuk squadre mobili;
  • Taobuk supporto logistica ed allestimenti;
  • Taobuk Family: attività per bambini;
  • Accompagnamento autori;
  • Photobuk: fotografi del festival;
  • Taobuk operatori video;
  • Taobuk free-lance;

Taobuk infopoint

Lungo i percorsi del Festival saranno disposti più punti-info, abilitati a dare informazioni sul calendario e sugli eventi connessi a Taobuk.
I punti informativi saranno gestiti da volontari dotati di una grande predisposizione ai contatti umani, un carattere dinamico e versatile, una dedizione al proprio lavoro sin dall’acquisizione delle informazioni di base apprese dal regolamento e dal calendario del Festival e una capacità pratica nel gestire il punto-info affidato.
In genere l’impegno comincia con incontri formativi, una settimana prima dell’inizio del festival, utili per fare pratica, in vista della settimana di impegno durante la manifestazione, in cui le mansioni di ciascuno dovranno essere ben chiare.
È fondamentale essere affidabili nel rispetto dei turni assegnati e predisposti al contatto col pubblico e alle potenziali situazioni da fronteggiare.
Chi si dedica alle informazioni telefoniche, deve essere altrettanto cordiale e disponibile nel contatto telefonico.

Taobuk assistenza eventi

Scegliere di svolgere il servizio eventi a Taobuk significa lavorare a servizio ed in sintonia con gli altri. I volontari, infatti, lavorano in squadra, perché a Taobuk il lavoro di squadra è il primo ingrediente per l’ottima riuscita di ogni incontro ed appuntamento.
Ogni squadra diviene responsabile di un luogo del Festival. Il volontario lavora insieme alle squadre volanti, alla logistica, alla segreteria, ma soprattutto con gli autori e con il pubblico.
Dovrete occuparvi dell’ingresso e dell’uscita delle persone, dell’assistenza al pubblico ed agli autori, anche in caso di emergenze, come pioggia e variazioni di luoghi ed orari, dell’organizzazione della fase degli autografi, della gestione dei microfoni per gli interventi.

Taobuk Squadre Mobili

I volontari delle squadre mobili non sono vincolati a un luogo o a uno specifico servizio ma devono essere reperibili e a completa disposizione degli organizzatori per varie mansioni, come spostare scatole portare sui vari luoghi cose utili al festival aiuto nell’allestimento e nella gestione degli eventi distribuzione programmi e locandine festival prima e durante il Festival.

Taobuk supporto logistica ed allestimenti

Il gruppo di supporto alla logistica e agli allestimenti assiste le squadre di lavoro nell’allestimento dei luoghi di Taobuk, con i materiali necessari allo svolgimento dell’evento (sedie, palchi, striscioni, e banner).
Si inizia circa una settimana prima dell’inaugurazione del Festival e si finisce qualche giorno dopo la fine del festival.

fonte: taobuk.it

Taobuk Family : attività per bambini

Il vostro compito principale sarà di intrattenere i più piccoli, guidati da un animatore esperto, nelle varie attività proposte: dipingere, colorare, tagliare, incollare, suonare.
I bambini dovranno essere guidati nelle varie attività promosse dall’artista ma anche accompagnati al bagno e seguiti in tutte le loro necessità. Finito il laboratorio, al volontario è richiesto di prestare il suo aiuto nel riordinare e ripulire gli ambienti.

Accompagnamento autori

Il servizio di accompagnamento consiste in quattro funzioni principali:

  • accompagnamento degli autisti che conducono gli autori stranieri da e per l’aeroporto di Catania, intrattenendoli durante il viaggio e rispondendo alle loro domande sul festival;
  • accompagnamento dell’autore dall’hotel al luogo dell’evento;
  • assistenza in caso di semplici problemi di comunicazione;
  • accoglienza e benvenuto all’autore nel momento in cui arriva in hotel.

Photobuk: fotografi del festival

All’aspirante volontario fotografo di Taobuk serve una buona macchina fotografica digitale, il relativo cavalletto, una conoscenza di base dei programmi informatici per la scelta e archiviazione delle proprie foto in cartelle, una disponibilità di tempo durante i giorni del festival. Non si accettano persone che non offrano la propria disponibilità per almeno due giorni interi (mattino, pomeriggio, sera). Il volontario fotografo deve avere dimestichezza con l’uso di Instagram, Facebook e Twitter. Gli aspiranti fotografi, oltre alla compilazione del form presente in questa pagina, devono inviare al seguente indirizzo comunicazione@taobuk.it una scheda tecnica relativa alla macchina fotografica e una breve autopresentazione, specificando eventuali precedenti esperienze.

Taobuk operatori video

I video-reporter Taobuk necessitano di una telecamera digitale propria e di un cavalletto. La loro funzione è di essere degli inviati sugli eventi ma non solo; pronti a cogliere ogni dettaglio delle giornate del Festival, vanno alla ricerca di particolari curiosi, inquadrature strane, situazioni particolari, per catturare l’atmosfera frizzante di Taobuk.
È richiesta la partecipazione a tutto il periodo del Festival. Gli aspiranti videoreporter, oltre alla compilazione del form presente in questa pagina, devono inviare al seguente indirizzo comunicazione@taobuk.it una scheda tecnica relativa alla telecamera digitale e una breve autopresentazione, specificando eventuali precedenti esperienze.

Taobuk free-lance

Il volontario free-lance, detto anche inviato, affianca la redazione testi e ha come mansione principale quella di seguire dal vivo gli eventi che gli vengono assegnati per poi scriverne nel minor tempo possibile una sintetica cronaca che verrà pubblicata in tempo reale sul sito internet e sui canali social del Festival. Nel caso si abbiano particolari conoscenze su un determinato scrittore o romanzo sarà possibile stendere un approfondimento.

fonte: Facebook TAOBUK Taormina book festival

Taobuk Lab

Un’ulteriore possibilità per vivere il Festival come uno straordinario laboratorio culturale a cielo aperto è riservata agli studenti delle Università di Messina e Catania e agli studenti delle scuole superiori, grazie a Taobuk Lab, che nasce da una collaborazione con le Università, gli Istituti di Scuola Superiore e le diverse associazioni culturali operanti sul territorio. I protagonisti saranno gli studenti che avranno l’opportunità di confrontarsi non solo con grandi autori del panorama internazionale, giovani autori e grandi personalità della cultura e delle arti in genere, ma anche di poter beneficiare di incontri informali e workshop che avranno luogo nel corso delle giornate di Taobuk in alcuni tra i luoghi più suggestivi di Taormina. La partecipazione ad almeno il 60% degli incontri Taobuk Lab in programma, darà diritto a CFU validi come “Altre attività formative” o Crediti Scolastici validi per la maturità.
Per richiedere informazioni relative all’accredito Taobuk Lab bisogna contattare la direzione organizzativa tramite email all’indirizzo: taobuklab@gmail.com oppure tramite la pagina Facebook ufficiale : www.facebook.com/taobuklab.

Per poter accedere alle selezioni i volontari dovranno registrarsi attraverso un form disponibile online sul sito del Festival entro e non oltre il 25 settembre. Nei giorni a seguire, colloqui one-to-one tenuti dall’organizzazione di Taobuk completeranno la selezione in base alle figure richieste, valorizzando le inclinazioni di ciascuno.

Da quest’anno, inoltre, il Festival provvederà alla copertura delle spese di ospitalità per gli studenti universitari che seguiranno gli eventi Taobuk.

Fonte: taobuk.it

Ogni anno Taobuk sceglie un tema, attorno al quale prende forma il calendario di incontri, con il concorso di autorevoli scrittori, pensatori ed artisti, in un serrato fluire di idee, novità. Quest’anno, decima edizione del Festival, Taobuk svolge un ragionamento intorno al tema dell’entusiasmo: risorsa imprescindibile dell’uomo.

Al centro della kermesse la letteratura, attraverso il punto di vista di scrittori internazionali. Il cartellone di Taobuk, tuttavia, si impreziosisce anche di mostre, spettacoli teatrali, pièce di danza e retrospettive cinematografiche, in suggestive location.

Taobuk promuove inoltre al suo interno assieme al Think Tank VISION una sezione tematica di due giorni, che si svolgerà a Taormina e a Messina il 2 e 3 ottobre, dal titolo “L’Europa in un mondo post-pandemico”: trenta tra intellettuali, politici, giornalisti e storici portatori di una propria visione si ritroveranno a discutere le strategie per costruire una ‘nuova’ Unione. Gli interventi si avvarranno del coordinamento scientifico di Francesco Grillo, economista, fondatore e direttore del think-tank Vision, di Bill Emmott, saggista ed ex direttore del quotidiano inglese “The Economist”, e di Stefania Giannini, vicedirettrice UNESCO Italia.

Durante tutta la durata del festival (dal 1 al 5 ottobre) sarà possibile visitare due mostre di artisti contemporanei: Giuseppe Patané e Basso Carnassa. Revelations, mostra dell’artista catanese Giuseppe Patané, nata come evoluzione di un percorso di riflessione iniziato durante il periodo del lockdown: una serie di opere che sono un vero e proprio inno al Creato, alla natura, agli animali, a un universo ancestrale e primitivo raccontato con il solo utilizzo delle mani. All’arte pittorica e ‘materica’ farà da complemento la fotografia con Ritratti Eloquenti, 40 fotografie della vasta collezione di Basso Cannarsa, “il fotografo degli scrittori”. Da Primo Levi a Margaret Atwood, da Federico Fellini ad Arundhati Roy, da José Saramago a Natalia Ginzburg. Un allestimento, in collaborazione con Dedica Festival, che dà libero accesso al visitatore alla dimensione più intima dei soggetti ritratti, posti in dialogo con citazioni tratte dalle proprie opere o interviste.

Nella serata di gala del 3 ottobre, presso la cornice unica del Teatro Antico di Taormina, saranno consegnati i Taobuk Awards. I personaggi premiati saranno: la scrittrice Svetlana Aleksievic, vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura nel 2015; lo scrittore Mario Vargas Llosa, Premio Nobel per la Letteratura nel 2010; lo scrittore Giorgio Montefoschi, Premio Strega nel 1994; e ancora al regista, produttore e sceneggiatore Pupi Avati, vincitore di tre David di Donatello e di un Nastro d’Argento; al cantautore, musicista e produttore Brunori Sas vincitore, tra gli altri, del Premio Tenco e di un Nastro d’Argento per la miglior colonna sonora; e al violoncellista Mario Brunello, eccellenza della musica italiana esibitosi nelle maggiori sale da concerto del mondo, diretto da nomi quali Claudio Abbado, Carlo Maria Giulini, Riccardo Muti e Zubin Mehta.

Parteciperanno al gala anche Davide Dato, Primo Ballerino dell’Opera di Vienna, e la compagnia Les Italiens de l’Opera, rappresentata dai ballerini Alessio Carbone, fondatore della compagnia nonché Étoile dell’Opéra di Parigi, Andrea Sarri e Letizia Galloni.

Per maggiori info visitate il profilo Facebook TAOBUK Taormina book festival  o il sito  taobuk.it

Cristina Geraci