Calvino: cent’anni dalla nascita dello scrittore rampante

Il 15 ottobre di quest’anno ricorrerà il centenario dalla nascita di uno degli scrittori che maggiormente hanno fatto la storia della letteratura italiana contemporanea: si tratta di Italo Calvino. Sono tantissimi gli eventi programmati in tante città italiane per commemorare l’autore: primo fra tutti, la Zecca e il Poligrafo di Stato hanno prodotto delle monete in argento in suo onore, rappresentanti due personaggi de Il barone rampante, Cosimo e Violante.

Un tale colosso della letteratura italiana non può certamente passare inosservato: qui si ripercorrerà la vita dello scrittore e la sua crescita artistica attraverso alcuni dei suoi romanzi più noti: Il visconte dimezzato e Se una notte d’inverno un viaggiatore.

Calvino: dall’impegno politico alla crescita letteraria

Italo Calvino nasco il 15 ottobre del 1923 a Santiago de Las Vegas, a Cuba: il padre, originario di Sanremo, vi si era trasferito per questioni di lavoro. Lo scrittore stesso afferma di non avere alcun ricordo degli anni passati a Cuba: la famiglia, infatti, farà ritorno a Sanremo nel 1925. Dopo una fanciullezza trascorsa nella spensieratezza, estraneo al nascente fascismo, Calvino fa emergere dai primi anni dell’università la sua passione per il cinema e la letteratura: fa pubblicare alcune recensioni e scrive i primi racconti respinti dalle Einaudi a Torino, città dove lo scrittore proseguiva i suoi studi. Trasferitosi all’università di Firenze nel 1943, qui Calvino inizia a forgiare maggiormente le proprie idee politiche antifasciste; queste lo accompagneranno anche nel periodo successivo alla fine del secondo conflitto mondiale. Si iscrive al PCI e vi partecipa attivamente per anni.

Questi sono gli anni in cui Calvino da vita alla trilogia I nostri antenati. Si tratta di tre dei suoi romanzi più noti: Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957) ed Il cavaliere inesistente (1958). Dagli anni 60 in poi lo scrittore modifica il suo stile, abbracciando il post-modernismo: di questi anni è Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979).

Calvino muore improvvisamente il 6 settembre 1985 all’età di soli sessantun anni.

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Italo Calvino. Fonte: ilfattoquotidiano.it

Il visconte dimezzato: uno sguardo alla contemporaneità

È ai primi anni ’50, periodo della più sincera e contrastata adesione di Calvino agli ideali marxisti, che risale la sua propensione ad una scrittura leggera. Esperimento che lo scrittore abbandona dopo non pochi tentativi. Invece, negli stessi anni trova facilmente compimento il racconto comico-fantastico Il visconte dimezzato (1952), in cui il protagonista, Medardo di Terralba, viene diviso da una palla di cannone in due parti, una buona e una malvagia.

Grazie ad una costruzione narrativa basata sui contrasti e su una serie di effetti a sorpresa, Calvino ci regala una storia divertente e significativa al tempo stesso. Invece del visconte intero fa ritornare al paese un visconte a metà, quella crudele e solo dopo, tramite una narrazione perfettamente simmetrica e dal ritmo incalzante, fa scoprire al lettore l’esistenza della metà buona del visconte.

“L’importante in una cosa del genere è fare una storia che funzioni proprio come tecnica narrativa, come presa sul lettore”. (Parte dell’intervista con gli studenti di Pesaro dell’11 maggio 1983, trascritta e pubblicata in «Il gusto dei contemporanei»)

Ma la storia del visconte ha un significato allegorico molto più profondo e soprattutto molto più vicino a noi. Calvino si è da sempre fatto portavoce dei “problemi dell’ uomo contemporaneo” (dell’intellettuale in particolar modo), e del suo sentirsi “alienato” nei confronti di una società che lo faceva sentire emarginato e, dunque, incompleto.

Se una notte d’inverno un viaggiatore: un romanzo sperimentale

Con Se una notte d’inverno un viaggiatore Calvino stupisce il lettore proponendogli una trama tutt’altro che banale, accompagnata da una strutturazione del romanzo originale ed accattivante. La narrazione si svolge su due livelli: le vicende che riguardano il Lettore ed i dieci differenti incipit. Il Lettore, protagonista del romanzo di cui non si conosce l’identità, si dedica alla lettura di un libro, quando si rende conto che la trama non corrisponde al manoscritto da lui comperato: la copertina e l’interno del libro non corrispondono!

Questa è solo la prima delle varie peripezie che porteranno il Lettore, successivamente insieme a Ludmilla, la lettrice, a iniziare ben dieci libri differenti, senza riuscire a concluderne nessuno. Ogni capitolo permette ai lettori di iniziare, insieme al Lettore, tanti romanzi diversi, tante storie lasciate poi in sospeso. La struttura, per quanto possa sembrare frustrante (ogni storia ha bisogno del suo gran finale!), mantiene salda l’attenzione del suo pubblico, permettendogli anche di immedesimarsi alla perfezione nella figura del Lettore.

Il linguaggio utilizzato è molto semplice e scorrevole: questo, insieme alla particolarità dell’intreccio narrativo, rende possibile una lettura molto rapida del romanzo, di base già abbastanza breve.

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Graphic Design: “Cent’anni di Italo Calvino”. Fonte: radiocittafujiko.it

Eccessivamente e per sempre, Italo Calvino!

È molto vasta la produzione lasciataci dallo scrittore, e altrettanto vasto è il polverone che la critica letteraria ha innalzato su di lui, soprattutto negli ultimi anni. Da molti accusato di rendere la letteratura eccessivamente intellettualistica e astratta, da altri ritenuto già un “cult” nella storia della letteratura italiana contemporanea poiché capace, come pochi, di attraversare e di interpretare acutamente fasi culturali diverse: dal neorealismo al postmoderno.

Ma una cosa è certa: nessuno potrà mai scordare Calvino dopo aver letto una sua opera. Qualunque essa sia. Dal Visconte dimezzato a Se una notte d’inverno un viaggiatore, senza scordare le cinque Lezioni (di vita) americane, Calvino era capace di arrivare a tutti con estrema leggerezza e “semplicità”. E a tutti noi ha lasciato un’importantissima eredità culturale.

 

Ilaria Denaro
Domenico Leonello

Altri libertini: il romanzo ad episodi di Tondelli

Tondelli, visionario della letteratura contemporanea, per primo ha saputo raccontare il disagio giovanile. – Voto UVM: 5/5

È claustrofobico il contesto sociale e culturale che fa da scenario alle vite dei libertini descritti nell’opera prima di Pier Vittorio Tondelli.

Altri libertini è una raccolta di sei racconti o come direbbe l’autore, un vero e proprio romanzo ad episodi. Pubblicato nel 1980 fu dapprima sequestrato per oscenità e poi assolto dal tribunale, venendo giudicato dalla critica odierna come una delle opere migliori dell’ultimissimo decennio.

Ehi, ma ce l’hai, l’hai portata la mia “via di fuga”?

Siamo negli anni delle ribellioni giovanili alle impostazioni del “tardo capitalismo” e in un contesto del genere, governato dal rischio e dall’incertezza, se non hai vie di fuga devi essere in grado di crearle.

E il metodo prediletto dagli anti-eroi tondelliani è la droga: l’unica possibilità di evasione, capace di dilatare l’ormai “squallida” realtà.

“La droga prende bene e subito e comincia dalle gambe e poi sale sale e prende lo stomaco che ti senti come dopo un pranzo di famiglia e poi la testa e finalmente sballi e allora son tutte rose e fiori, davvero, no problem no cry”. (Senso contrario)

Quello descritto dal protagonista del “terzo episodio” del romanzo è un esempio di come il trip prodotto dalla droga, riesca a distorcere gli umori e la reale visione del mondo.

Ma è comunque il viaggio ad essere il vero protagonista di questo “film su carta”: è fuori casa che si realizza l’idillio tondelliano. In particolar modo l’Europa del Nord è la meta più ambita dai nostri personaggi.

“Scopriamo tutt’insieme la birra, il sesso, les trous”. (Viaggio)

Storie di un “verismo allucinato”

Tondelli con questo viaggio ha uno scopo ben preciso, quello di filmare gli altri. E non dimentica proprio nessuno: hippy, lesbiche, filosofi ed eroinomani, femministe, depressi, angosciati, nostalgici, dipendenti, studenti e figli. La sua intenzione è quella di raccontare le loro vite, i loro amori, le loro lacrime ed i loro sorrisi.

“E questi caromio, saranno i personaggi e le figure del nuovo cinema mio, il Rail Cinema, il DRUNK, very-drunk, CINEMA, ok?”. (Autoban)

E nel farlo cerca di immedesimarsi nella loro vita, un po’ come Verga ed altri esponenti del verismo fecero in passato.

Tondelli
Copertina “Altri libertini” di Pier Vittorio Tondelli. Casa editrice: Feltrinelli

Una ribelle umiliazione del corpo

Bisogna però evidenziare il fatto che Tondelli percepiva il corpo come un involucro, cosparso di vergognosa individuazione.

“Non ero proprio complessato ma terribilmente disturbato di avere un corpo”. (Pier Vittorio Tondelli)

E in tutta la raccolta ma ancora di più in Senso contrario, troviamo il tentativo da parte dell’autore di “fondere i corpi”, come ulteriore via di fuga dalla realtà.

In Altri libertini i personaggi vanno per tutto il tempo alla ricerca di loro stessi, utilizzando il loro corpo come un mero strumento: l’uso e il consumo del proprio corpo è una forma di conoscenza.

E lo fanno assumendo alcol e sostanze ma anche dando sfogo ai loro istinti sessuali. Tutti atti di violenza nei confronti di un io che a quanto pare non basta alla vita e che loro evidenziano disprezzando se stessi.

Tondelli: precursore di un espressionismo pop

Evidente è il richiamo che l’autore postmoderno fa alle altre arti, e in particolar modo non passa inosservato l’uso di esclamazioni onomatopeiche da fumetto.

Quindi non c’è da stupirsi se durante la lettura, ad un certo punto, iniziano a capitarci davanti scritte come: WoooWwww, aaaggghhh, BUUUUM!, scrash scrash; che pur non commentando l’azione ne diventano parte integrante.

Ma Tondelli, ideatore così di un espressionismo pop, lascia spazio anche ad un linguaggio più spinto. Così, proprio le bestemmie e il linguaggio grezzo dei protagonisti, diventano lo schiaffo più potente nei confronti di quella letteratura e quella poetica “elitaria” sconosciuta ai suoi libertini.

 

Domenico Leonello

Il ritorno di Gerber nel nuovo romanzo di Donato Carrisi

Una lettura brillante e coinvolgente, dall’attrazione magnetica che ci proietta in un mondo pieno di lati oscuri e spirali di luce, alla costante ricerca della via giusta da seguire. Voto UvM: 5/5

 

Donato Carrisi ritorna nelle librerie italiane con il terzo volume del ciclo di Pietro Gerber La casa delle luci, edito da Longanesi per la collana La Gaja Scienza.

Sequel de La casa delle voci (2019, Longanesi) e La casa senza ricordi (2021, Longanesi), lo psicologo infantile Pietro Gerber, da cui proviene il nome della serie di romanzi, dovrà fare i conti con l’ennesimo mistero che si cela attorno alla figura di una bambina. Anzi, di due bambini.

Dall’esordio alle vette delle classifiche

Donato Carrisi, nato a Martina Franca (TA) il 25 marzo 1973, viene considerato il Maestro del Thriller su carta stampata.

Laureatosi in giurisprudenza con una tesi su Luigi Chiatti, ne è seguita poi la specializzazione in criminologia e scienza del comportamento. Non solo scrittore di romanzi ma anche sceneggiatore, drammaturgo, regista di serie tv e film d’autore, e collaboratore per il Corriere della Sera.

In televisione, coadiuva in numerose serie televisive marchiate Rai come Casa famiglia ed Era mio fratello, invece per Taodue di Mediaset in Squadra Antimafia – Palermo Oggi e Nassiryia – Per non dimenticare.

Dal romanzo d’esordio il suggeritore (2009, Longanesi) vince il premio bancarella 2009 e, successivamente, con l’edizione in francese le Chuchoteur, il Prix Livre de Poche 2011 e il Prix SNCF du polar 2011. Le sue opere thriller forse più famose,  La ragazza nella nebbia (2015, Longanesi), L’uomo del labirinto (2017, Longanesi) e Io sono l’abisso (2020, Longanesi), hanno trovato una trasposizione cinematografica di cui lo stesso Carrisi ne è stato regista.

Donato Carrisi
Donato Carrisi (al centro) presenta il suo nuovo romanzo “La casa delle luci” a Radio Deejay, con Nicola Savino (a sinistra) e Linus (a destra). Fonte: deejay.it

Cosa cela Gerber?

Pietro Gerber, protagonista della saga “Il Ciclo di Pietro Gerber”, è uno psicologo infantile, specializzato nell’ipnosi di bambini per aiutarli a superare dei traumi causati da eventi drammatici. Infatti, proprio per questa sua caratteristica, viene soprannominato “l’addormentatore di bambini”.

Ha trentatré anni e lavora a Firenze nel Tribunale dei minori, considerato dai suoi colleghi come il migliore nel suo campo.

Questa volta dovrà occuparsi del caso della piccola Eva, una bambina agorafobica di dieci anni, che vive in una grande casa in collina con la governante e una ragazza finlandese au pair, Maja Salo. Dei genitori nessuna traccia: il padre ha abbandonato la famiglia anni prima e la madre viaggia in giro per il mondo, comunicando con la figlia tramite sms.

Sarà proprio Maja a chiedere aiuto all’ipnotista Pietro Gerber. La bambina, che preferisce stare a casa rinchiusa senza voler vedere nessuno, sembra non essere più sola. A farle compagnia c’è un presunto amico immaginario senza nome e senza volto. Non è però solo un amico immaginario e potrebbe portare la piccola in pericolo.

Pietro, al fronte di una reputazione quasi allo sbaraglio, accetta il confronto con Eva. O meglio, con il suo amico immaginario.

Ma ciò che si troverà davanti va oltre il pensiero umano: la voce del ragazzino che comunica attraverso Eva non gli è indifferente. E, soprattutto, quella voce conosce Pietro. Conosce il suo passato e sembra possedere una verità rimasta celata troppo a lungo su qualcosa che è avvenuto in una calda estate di quando lui era ancora bambino.

Perché sentiva una specie di desiderio segreto dentro la pancia. E voleva sapere cosa si prova a sfidare Dio. Ma ora so che a Dio non importa se i bambini muoiono. E il signore con gli occhiali voleva provare almeno una volta a sentirsi come si sente Dio, prima di diventare vecchio e di morire… Perché la sua vita non gli piace, la sua vita è tutta una bugia.

Fronteggiando l’ignoto

Con i primi due romanzi della serie, il personaggio di Pietro Gerber è riuscito a farsi conoscere: un protagonista all’apparenza tutto d’un pezzo, disteso nel suo ruolo da psicologo infantile e fermo nella sua logica pungente. Ma addentrandosi nella narrazione, le fragilità tendono a scoprirsi piano piano, ponendosi in bilico tra il suo passato avvolto nell’oscurità e il presente incerto delle sue basi d’appoggio.

Gli interrogativi sono molti, tanti, e non tutti hanno la propria risposta esaustiva. Carrisi lascia sospeso il racconto, dove al di là si trova un’atmosfera cupa, coerente con l’ambientazione. Non è una novità e neanche una fatalità che gli elementi paranormali, le paure della mente e dell’immaginario, le presenze oscure, fanno un po’ leva e anche da protagoniste, nel turbinio di emozioni che lo stesso Gerber, ma anche chi intraprende il viaggio con lui, si trova ad affrontare a pieni polmoni.

La lettura è lenta ma scorrevole, razionale ed oggettiva nella descrizione, tutti i punti sono ben trattati e non lascia nulla al caso. Anche i pensieri espressi dai personaggi hanno un che di razionale, quasi a non volersi scomporre troppo, per non doversi aprire e temere un improvviso out of character.

Una nota di merito, come spiega lo stesso Carrisi nelle note dell’autore alla fine del romanzo, si deve fare sulle pratiche ipnotiche presenti nella storia, che sono effettivamente quelle utilizzate nelle terapie, così come gli effetti prodotti. Lo studio meticoloso di Carrisi, forte del contributo di professionisti qualificati e certificati, come cita nei ringraziamenti finali, non si ferma solo sugli effetti scientifici ma frantuma la “quarta parete cinematografica”, piazzando davanti ai nostri occhi un testo ricco di potere metaforico racchiuso nelle parole e nei frammenti di ignoto che, via via, si incastonano uno con l’altro, dando vita alla storia de La casa delle luci.

 

Victoria Calvo

Banana Yoshimoto ci racconta un legame indissolubile ne “Le strane storie di Fukiage”

 

Banana Yoshimoto ha lo strano potere di trasformare ogni suo racconto in un viaggio intimo,  con un linguaggio semplice ma mai banale che ti lascia quel velo di dolce malinconia– Voto UVM: 4/5

 

La scrittrice giapponese Mahoko Yoshimoto, in arte Banana Yoshimoto, ritorna nello scenario letterario italiano con il nuovo romanzo Le strane storie di Fukiage, pubblicato questo mese da Feltrinelli per la collana I Narratori.

Chi è Banana Yoshimoto

La scrittrice di Tokyo, figlia di uno dei più importanti poeti e critici letterari giapponesi degli anni Sessanta, trova la sua fama in Italia nel 1991 con la traduzione dell’opera Kitchen, edito da Feltrinelli. Da qui, la si vede spesso tra gli autori di Best Sellers grazie a romanzi di un certo spessore introspettivo come NP (1992, Feltrinelli), Le sorelle Donguri (2010, Feltrinelli), Il dolce domani (2020, Feltrinelli).

La storia delle gemelle di Fukiage

Il nuovo romanzo è ambientato a Fukiage, città natale delle due sorelle gemelle eterozigote, Kodachi e Mimi. Seppur simili d’aspetto, caratterialmente sono l’una l’opposto dell’altra, la prima più pacata ed elegante nei modi di fare, la seconda più impulsiva.

Ma un tragico evento segna per sempre la loro vita: a causa di un incidente stradale, il padre muore e la madre entra in uno stato di coma dal quale non si vuole svegliare. 

 “Le strane storie di Fukiage”. copertina. (romanzo di Banana Yoshimoto, 2022, Feltrinelli editore). Fonte: feltrinellieditore.it

Kodachi e Mimi vengono così affidate ancora giovani ad una coppia di presunti parenti della madre, proprietari di un piccolo negozietto artigianale nella stessa Fukiage. Ma l‘accoglienza ricevuta non è delle migliori: la moglie Masami le tratta da sconosciute, quasi infastidita dalla loro presenza in casa.

La voglia di libertà, di cambiare aria, porta le sorelle alla decisione di trasferirsi lontane da casa, a Tokyo, prendendo in affitto un piccolo appartamento accanto all’università che iniziano a frequentare. Il loro unico desiderio è quello di rimanere unite, nonostante le condizioni in cui riversa la madre, che le trascinano in un loop infinito di tristezza e sensi di colpa. 

La vita trascorre tranquilla e questo per Mimi è una vera e propria benedizione, ma non può mai immaginare che l’uscita serale di una qualunque giornata autunnale sarà l’ultima volta in cui vedrà Kodachi. Di lei rimane solo un biglietto che lo zio Kodama trova in casa, dopo aver passato la sera precedente in compagnia della moglie e della nipote. 

Kodachi sembra aver scoperto qualcosa sul coma della madre, ed è molto decisa a rivelarne la verità.

«Sapevo bene che non c’è niente che gli esseri umani temano quanto il riaffiorare di un desiderio cui avevano già rinunciato»

Un viaggio nell’io interiore tra realtà e immaginazione: lo stile unico di Yoshimoto

A differenza di quanto si possa pensare, la narrazione si apre già con la scomparsa della sorella di Mimi, che ci lascia così in sospeso su un filo sottile, in pieno limbo. Cosa sia successo prima lo scopriremo più avanti, in un ritmo incalzante di eventi che si susseguono su una linea temporale ideale. La lettura è scorrevole e molto leggera, con molti flashback che la protagonista rivive in prima persona, lasciandosi travolgere dal sapore amaro del passato.

I riferimenti al folklore giapponese ci portano direttamente nel Paese del Sol Levante, facendoci respirare i profumi avvolgenti dell’antica cultura tradizionale. Impossibile non proiettarsi accanto alla stessa Mimi, che ci tiene per mano durante tutto il suo cammino, fatto di curve pericolose e di salite senza fine: la rappresentazione della crescita personale a cui si fa fronte nel viaggio chiamato “vita”.

Con elementi magici e di fantasia, lo stile di scrittura è quello tipico di Banana Yoshimoto: il linguaggio semplice ma diretto, che ti scava dentro, che mette a nudo le tue debolezze e ti costringe a fare i conti con la realtà circostante. Ma è uno stile anche leggero, senza essere superficiale, in grado di trascinarti all’interno della trama e tenerti incollato per tutto il tempo alle pagine del libro. È un racconto intimo e personale, quasi liberatorio, accarezza l’anima e fa dubitare delle proprie sicurezze.

Narra di sofferenza, di rinascita, del terrore della perdita e dell’amore stesso, di sentimenti contrastanti: li posa davanti ai tuoi occhi come candide fotografie e li esprime con la delicatezza di chi non vuol fare rumore ma sembra volerti segnare dentro.

Per chi vuole intraprendere un viaggio introspettivo, alla ricerca di domande e di risposte, Le strane storie di Fukiage di Banana Yoshimoto è il biglietto di sola andata.

Victoria Calvo