Carne “sintetica”: cos’è veramente e perché fa paura?

La cosiddetta “carne sintetica” (più correttamente chiamata “carne coltivata”) ha tanto fatto parlare nelle ultime settimane a causa della legge istituita recentemente sul consumo di questi alimenti. La verità è che si tratta esattamente della stessa carne che consumiamo oggi, ciò che cambia è la modalità e l’ambiente in cui è coltivata. Infatti, è ottenuta in laboratorio da cellule staminali prelevate direttamente dagli animali vivi, invece che attraverso il classico processo di allevamento e macellazione. Vi spieghiamo più in dettaglio di cosa si tratta.

  1. Il processo di produzione
  2. Perché produrre carne coltivata?
  3. La percezione dei consumatori
  4. Conclusioni

Il processo di produzione della carne coltivata

La carne coltivata è come la carne che comunemente consumiamo, ma con la differenza che è prodotta in vitro  in laboratorio tramite il prelievo di cellule staminali da animali vivi. Le cellule staminali sono cellule in grado di specializzarsi in modo da rigenerare tessuti per qualsiasi organo appartenente ad organo specificato.

Queste cellule vengono messe in un terreno di coltura adeguato che contiene tutti i nutrienti necessari alla crescita, al differenziamento e, infine, alla loro specializzazione in tessuto muscolare, tessuto connettivo e grasso, ossia i costituenti della carne animale.
I nutrienti presenti nel terreno sono gli stessi del cibo che comunemente diamo al bestiame da allevamento, quindi: proteine, carboidrati (come il glucosio), vitamine, sali minerali (come fosforo, calcio, sodio e potassio) e acidi grassi.

La crescita di queste cellule avviene nei bioreattori, ovvero apparecchiature in grado di fornire le condizioni ideali per la crescita delle cellule, che provvedono al mantenimento di parametri adeguati alla loro crescita (tra questi vi sono pressione, ossigenazione e temperatura). I bioreattori vengono già largamente utilizzati nell’industria alimentare, ad esempio per la produzione di yogurt a partire dal latte.

Processo di produzione della carne coltivata. Fonte: ResearchGate

Perché produrre carne coltivata?

L’industria alimentare è uno dei settori che più emette inquinanti ai giorni nostri (tra cui il metano prodotto dai ruminanti). Gran parte del suo impatto si deve proprio alla produzione di carne. Al momento, circa tre quarti  dei terreni deforestati sono indirizzati all’allevamento di animali, alla produzione di mangime e al pascolo. Di questi circa il 30% della superficie terrestre è utilizzato per l’allevamento, il 33% per la coltivazione di mangime per il bestiame e il 26% per il pascolo.

L’allevamento del bestiame e la produzione di mangime a livello intensivo hanno un grande impatto sull’aria e sull’acqua destinata a uso civile. Essi sono causa di emissioni di azoto e fosforo, emissioni di ammoniaca (che causano le piogge acide) e della contaminazione dell’acqua da pesticidi. In aggiunta, negli allevamenti intensivi vengono usate enormi quantità di antibiotici e sostanze chimiche somministrati agli animali che vivono spesso in ambienti sovraffollati e malsani.

Inoltre, secondo le previsioni, la popolazione mondiale nel 2050 potrebbe crescere fino a circa 9,7 miliardi, portando ad un aumento della produzione di cibo del 70% per poter sfamare ogni individuo. Questa è una condizione sicuramente critica per il futuro.

 

La percezione dei consumatori

Uno dei più grandi ostacoli per il via libera alla produzione e distribuzione di carne coltivata è proprio la narrazione che ci sta dietro da parte dei media. Questa alternativa alla carne “normale” è da molti considerata innaturale (da qui il nome improprio di “carne sintetica“). D’altro canto però, la carne che consumiamo ad oggi, ottenuta attraverso il processo di allevamento e macellazione, è tutto tranne che naturale. Basti pensare ai motivi sopra elencati: somministrazione di antibiotici e ormoni agli animali d’allevamento, oltre che il confinamento, la crudeltà sugli animali e la selezione artificiale.

In realtà, la produzione in piastra di carne coltivata si basa su un processo naturale. Ciò che è diverso è l’ambiente in cui avviene lo sviluppo, ovvero i bioreattori, e la modalità ma rimane identica alla carne comune a livello cellulare.

La percezione dei consumatori nei riguardi della carne coltivata, secondo vari studi, cambia molto in base a culture, paesi e gruppi di persone presi in considerazione. Degli studi hanno evidenziato come i “Millennials” e la “Gen Z” siano le generazioni più propense a provare la carne coltivata.

 

Carne coltivata in commercio. Fonte: TastingTable

Conclusioni

La produzione di carne coltivata rimane un tema controverso e con molte sfaccettature da considerare. Se in alcuni paesi la produzione e distribuzione di carne coltivata è qualcosa che avviene già da tempo o a cui è stato dato il via libera (come USA e Singapore), in Italia il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge che vieta la produzione e immissione sul mercato di alimenti e mangimi “sintetici”.

L’opinione pubblica si divide sul tema, c’è chi la proverebbe e la vede come un’alternativa valida e chi invece la boccia totalmente. L’Unione Europea considera la carne sintetica come un “novel food“, dunque deve essere valutata dall’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) prima di ottenere un’eventuale approvazione. In poche parole, ci vorrà ancora molto tempo prima che la carne coltivata possa arrivare sulle nostre tavole. Nel frattempo, sarebbe ideale lasciare che gli scienziati possano valutare i reali impatti della carne coltivata su larga scala, senza precluderci la possibilità di avere una valida alternativa alla carne da allevamento.

Francesca Aramnejad

 

Bibliografia:

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/alimentazione/carne-sintetica-ecco-perche-ci-serve

https://www.mdpi.com/2071-1050/15/5/4009

https://gfi.org/science/the-science-of-cultivated-meat/deep-dive-cultivated-meat-scaffolding/

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0195666323000491?via%3Dihub

https://www.cucchiaio.it/sostenibilita/cos-e-la-carne-sintetica-e-che-differenze-ci-sono-con-carne-vegetale-e-carne-stampata/

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC9931865/

https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/10408398.2022.2132206?journalCode=bfsn20

La nuova proposta di legge di Fratelli d’Italia: basta parole straniere

L’esponente di Fratelli d’Italia e attuale Vicepresidente della Camera dei deputati, Fabio Rampelli, in accordo con altri venti deputati ha presentato una proposta di legge per vietare l’uso di parole straniere negli atti e nelle intestazioni pubbliche. Rampelli aveva già presentato due proposte di legge per “costituzionalizzare” l’italiano come lingua ufficiale della Repubblica e per chiedere l’istituzione di un Consiglio superiore contro l’abuso di lingue straniere. 

Cosa ironica è che il primo a dover essere multato sarebbe proprio il Governo, in quanto la premier Giorgia Meloni ha ribattezzato il “Ministero dello Sviluppo Economico” in “Ministero delle Imprese del Made in Italy” facendo così uso di parole straniere.

Mi accorgo come tutti, anche io che sono patriota, veniamo travolti dall’uso di parole straniere quando per ciascuno di queste parole ne esisterebbero quattro-cinque diverse

Queste le parole del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la quale aveva invitato gli ambasciatori italiani a usare la loro lingua madre il più possibile.

Fonte: HuffPost Italia Foto: Angelo Arconi

Carlo Calenda si espone così:

In Francia il divieto è già regola

Il governo francese ha vietato ai dipendenti statali l’uso di termini inglesi concernenti il mondo ludico. Il Ministero della Cultura francese ha spiegato all’Agence France Presse – Agenzia di stampa francese – che il settore dei videogiochi era colmo d’inglesismi e questo avrebbe potuto causare difficoltà comunicative da parte dei non giocatori.

Il presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini non si è detto d’accordo con tale proposta

La proposta di sanzionare l’uso delle parole straniere per legge, con tanto di multa, come se si fosse passati col semaforo rosso, rischia di vanificare e marginalizzare il lavoro che noi, come Crusca, conduciamo da anni allo scopo di difendere l’italiano dagli eccessi della più grossolana esterofilia, purtroppo molto frequente. L’eccesso sanzionatorio esibito nella proposta di legge rischia di gettare nel ridicolo tutto il fronte degli amanti dell’italiano

Secondo gli ultimi dati: dal 2000 ad oggi il numero di parole inglesi confluite nella lingua italiana scritta è aumentato del 773%. Quasi 9.000 sono gli anglicismi attualmente presenti nel dizionario della Treccani su circa 800.000 parole in lingua italiana.

Fonte: Accademia della Crusca

La proposta di legge in breve

Articolo 1: “La Repubblica garantisce l’uso della lingua italiana in tutti i rapporti tra la pubblica amministrazione e il cittadino in ogni sede giurisdizionale”

Articolo 2: “Gli enti pubblici e privati sono tenuti a presentare in lingua italiana qualsiasi documentazione su territorio nazionale”

Articolo 3: “L’uso di strumenti in ogni manifestazione, conferenza o riunione pubblica organizzata nel territorio italiano è obbligatorio”

Articolo 4: “Chiunque ricopra cariche all’interno delle istituzioni italiane, della pubblica amministrazione, di società a maggioranza pubblica e di fondazioni deve avere padronanza scritta e orale della lingua italiana”

Articolo 5: “Utilizzo della lingua italiana in ogni contratto di lavoro”

Articolo 6: “Uso della lingua italiana negli istituti scolastici e nelle università pubbliche italiane in tutte le offerte formative che non sono rivolte all’apprendimento di  lingue straniere”

Articolo 7:  “Introduzione di un comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana nel territorio nazionale ed estero”

Articolo 8: “La violazione degli obblighi  comporterebbe una sanzione amministrativa di una somma da 5.000 a 100.000 euro”

Gabriella Pino

Una nuova legge in Norvegia obbliga a segnalare l’uso del fotoritocco

Il Parlamento norvegese ha votato una legge che obbliga influencer e aziende a segnalare il fotoritocco nelle immagini pubblicate sui social. L’obiettivo? Combattere la kroppspress (la pressione corporea).

Erna Solberg, primo ministro norvegese – Fonte: www.ansa.it

Le immagini come questione politica

Le immagini non sono soltanto immagini. Sarebbe un’illusione pensarlo. Le foto sui social network non riproducono semplicemente la nostra vita ma la plasmano.  Sono veicolo di un “dover essere” che esercita una certa influenza, seppur inconsciamente, anche sui più restii.

Le immagini, oggi, non sono soltanto la rappresentazione della realtà, piuttosto la stessa realtà in cui viviamo.  Riconoscere che la modalità dell’esistenza sociale è quella delle immagini, significa ammettere che quella delle foto è ormai una questione politica.

E il fatto che in Norvegia le foto siano state protagoniste di un dibattito in Parlamento è da attenzionare perché dice qualcosa di importante: le immagini hanno una tale rilevanza sociale da necessitare una seria riflessione e un’azione politica.

La kroppspress

A muovere i politici norvegesi è stata la tematica della “kroppspress”, la pressione corporea, cioè il senso di inadeguatezza e la bassa autostima  di fronte agli standard di bellezza proposti dalle foto sui social network che, talvolta, possono sfociare in gravi disturbi psicologici.  “La pressione del corpo è sempre presente, spesso impercettibile, ed è difficile da combattere”, ha affermato il ministero in una nota.

Nel mirino le foto ritoccate che diffondono ideali di bellezza irreali e irraggiungibili.  L’obiettivo, ha spiegato il ministro della famiglia del Paese scandinavo, è fare in modo che bambini e giovani

«si accettino per come sono, perché le foto ritoccate producono un’immagine distorta del corpo».

La legge e la reazione degli influencer

La legge, approvata lo scorso 2 giugno e che entrerà in vigore dall’estate del 2022, obbliga aziende e influencer a segnalare le immagini con corpi ritoccati da filtri, app e programmi grafici tramite un apposito logo fornito dal ministero della Famiglia. La nuova normativa riguarderà qualsiasi alterazione che influisca sull’aspetto delle dimensioni del corpo, della forma o del colore della pelle, compreso anche l’uso di semplici filtri di Instagram. Ogni modifica dovrà essere resa esplicita. Le violazioni della legge saranno punite con multe salatissime.

Nonostante possa rappresentare un limite all’attività degli influencer, è stata accolta con largo favore dal mondo degli influencer norvegesi, per esempio da Janka Polliani e Kristin Gjelsvik, due tra le più seguite in Norvegia. Non solo. Alcuni influencer, attraverso i media locali, hanno chiesto di estendere i controlli alle immagini in generale.

Janka Polliani – Fonte: www.vixen.no
Kristin Gjelsvik – Fonte: www.kk.no

La bassa autostima è una male sociale

Non è una norma di facile applicazione; necessita di un ulteriore dibattito per superare alcune difficoltà e rispondere agli interrogativi che essa pone: le regolazioni dell’illuminazione o della saturazione nelle foto saranno considerate violazioni? Come rendere il controllo concretamente operativo? Sarà sempre facile capire se una foto è stata ritoccata?

Tuttavia, si tratta di una legge rivoluzionaria non solo perché, come già detto, fa delle immagini una questione politica ma anche perché diffonde una consapevolezza nuova: la bassa autostima, nella società delle immagini, non è un problema individuale, è piuttosto un male sociale che rischia di compromettere la qualità della vita e, in quanto tale, deve essere affrontato collettivamente attraverso azioni politiche.

Influencer contro la perfezione ideale

Sulla stessa questione, in febbraio, si era già pronunciata l’ASA, advertising standard authority, che gestitsce l’industria pubblicitaria nel Regno Unito, vietando l’uso, nelle pubblicità sui social media, di filtri che esagerano l’effetto dei prodotti. Da quel momento è diventato obbligatorio per le influencer in UK dichiarare quando utilizzano un filtro beauty per promuovere skincare e cosmetici in generale, pena l’esclusione dai social media.

L’azione dell’ASA rispondeva  alla campagna #filterdrop, lanciata da Sasha Pallari, attivista beauty, make-up artist e modella di 29 anni che già dal 2019 ha smesso di usare filtri mostrando la sua pelle al naturale e che nel 2020 ha coniato l’hashtag #filterdrop postando un video di se stessa senza filtri e invitando i suoi followers a fare lo stesso.

Dal profilo instagram dell’influencer Sasha Pallari

In Italia ClioMakeUp si è pronunciata sul pericolo dell’uso dei filtri soprattutto per i più giovani. In un post dello scorso 13 aprile che la ritraeva al naturale ha scritto:

“Mai come oggi con i social il paragone diventa così facile e può portare a delle ossessioni o forme di depressione. A volte la leggerezza con la quale si usano i filtri per migliorarsi il viso, e anche in generale la vita, mi fa paura”.

Di recente, a farsi paladine della bellezza al naturale sono state anche l’attrice Matilda De Angelis e l’influencer Aurora Ramazzotti che sui social non hanno nascosto la loro acne.

Matilda De Angelis al naturale su instagram – Fonte: www.tg24.sky.it

 

 

 

 

Chiara Vita

Intervista ad Angela Bottari: l’ex deputata messinese che contribuì a cambiare l’Italia

Qualche giorno fa, abbiamo avuto l’onore, da redazione di cultura locale, di discutere delle tematiche delle quali si è occupata l‘ex deputata messinese Angela Maria Bottari, tra il 1976 e il 1987, nelle fila del Partito Comunista. Piuttosto che descrivere la sua biografia, abbiamo preferito parlare direttamente con Angela, che è stata disponibilissima a rispondere a tutte le nostre domande e curiosità. Ne è venuto fuori un dibattito che ha toccato tutti i punti salienti della sua esperienza parlamentare: dalla rivoluzionaria legge sulla violenza sessuale, alle battaglie per i diritti delle donne e dei minori, fino all’introduzione del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Vi riportiamo i tantissimi spunti di riflessione che questa grande personalità messinese ci ha offerto nel corso della nostra chiacchierata via web.

Angela Maria Bottari, deputata dal 1976 al 1987 – Fonte: legislature.camera.it

Mario: Tra i tanti suoi contributi quello più celebre riguarda il reato di violenza sessuale. Abbiamo notato un cambio di passo decisivo a cavallo tra VII-VIII legislatura e IX, con la scelta rivoluzionaria di includere il reato di violenza sessuale nel titolo che punisce i delitti contro la persona. Quali sono state le motivazioni che hanno portato a questa scelta?

Vi dico subito: sarei stata convinta fin dal primo momento di presentare una proposta di legge che già trasferiva nei delitti contro la persona la violenza sessuale, eliminandola dal titolo riguardante la morale pubblica e il buon costume. Ma nel mio partito si riteneva che un cambiamento di rottura portasse all’irrigidimento della Democrazia Cristiana, allora partito di maggioranza. Avevano ragione, tant’è che la legge si bloccò. Ma la proposta di legge era ormai delineata e non mi potevo tirare indietro: c’era stato un movimento di donne, di operatori del diritto, perché questa era una legge che – seppur non approvata – faceva sì che il Paese modificasse la percezione della violenza sulle donne. Le leggi o nascono da un forte dibattito all’interno del Paese oppure sono elemento di cambiamento della società, questa fece entrambe le cose. Quando nel 1983, da relatrice, capii che la proposta di legge non sarebbe passata con questa modifica radicale, mi dimisi e bloccai l’iter della legge, della quale io stessa fui prima firmataria.

Emanuele: Confrontando la sua proposta con la legge in materia analoga del ’96, attualmente in vigore, ci è sembrato che i due testi coincidano in moltissimi punti: anche se, come ha raccontato, i tempi non erano maturi per questo cambiamento, quest’ultimo si è comunque realizzato diversi anni dopo ed il suo contributo è stato determinante.

La legge approvata nel ’96 è molto simile all’ultimo progetto di legge della quale fui presentatrice. Tutta la mia battaglia verteva intorno all’unificazione dei reati, cioè la congiunzione carnale (il cosiddetto “stupro violento”) e gli atti di libidine violenti (quegli atti sessuali in cui non avviene il congiungimento carnale) in un unico reato, ossia quello di violenza sessuale. In verità, nella legge del ’96 c’è un punto che non considero positivo: questa introduce un elemento che ci fa ricascare in quel dualismo, perché afferma che la pena è diminuita quando il reato è di lieve entità. Nella violenza sessuale non ci può essere un reato di maggiore entità o di lieve entità; era questo che ci aveva spinto ad unificare i due reati. L’aver introdotto una gradualità nella violenza sessuale è stato un piccolo passo indietro e ad oggi scopriamo che nelle aule di tribunale fornisce alibi ai difensori dei violentatori. Insomma, questo passaggio “fa rientrare dalla finestra quello che abbiamo buttato via dalla porta”.

Volantino di un movimento delle donne sulla violenza sessuale (anni ’80) – Fonte: herstory.it

 

Cristina: Lei ha collaborato alla stesura di altre leggi, in particolare quelle riguardanti l’emancipazione femminile. Qual è stato l’atteggiamento delle altre deputate? C’è stata una collaborazione trasversale?

Ci sono state delle leggi, come la legge per l’interruzione di gravidanza, in cui l’impegno è stato corale, da parte di uomini e di donne. La legge sull’aborto è stata denominata “sull’interruzione di gravidanza e per la tutela della maternità” per non urtare la sensibilità di un Paese come il nostro abbastanza complesso. Questa legge ha coinvolto non solo la commissione giustizia di cui facevo parte (l’aborto, per chi lo praticava e per chi lo subiva, prima era punito dal codice penale) ma anche la commissione sanità, per ovvi motivi, e la commissione affari costituzionali, poiché riguardava il grande dibattito – sul quale ci confrontiamo ancora oggi – su quando comincia la vita. Ma vorrei porre alla vostra attenzione una contraddizione: la legge sull’aborto è una legge che avrebbe dovuto avere più difficoltà nell’essere approvata rispetto a quella sulla violenza sessuale. Però, paradossalmente, venne approvata (anche se poi fu sottoposta a referendum) in tempi più rapidi: probabilmente perché affermava una pratica largamente diffusa ed accettata, che coinvolgeva un ingente numero di donne. Questo lo dico come elemento di riflessione: evidentemente ci sono leggi che vengono considerate più destabilizzanti di altre in quanto alterano rapporti di potere consolidati tra uomo e donna, come appunto quella sulla violenza sessuale.

Camera dei Deputati (anni ’80) – Fonte: storia.camera.it

E: Mi piacerebbe parlare anche della legge Rognoni-La Torre del 1982, che introdusse la fattispecie di reato di associazione a delinquere di stampo mafioso (articolo 416 bis del codice penale). Qual è la proposta di legge della quale è più orgogliosa? Potrebbe essere proprio questa?

Mi fai una domanda molto complicata. Di questa legge non solo sono stata firmataria, ma sono stata anche nel comitato ristretto che se ne è occupato. La legge Rognoni-La Torre fu approvata dopo l’uccisione dell’on. Pio La Torre, grande protagonista della stessa. Se dovessi dire – da siciliana – sul terreno emozionale quale ho apprezzato di più, la legge Rognoni-La Torre mi coinvolge molto per il lavoro che feci nel comitato ristretto, per gli effetti positivi che poi ha avuto nel Paese per combattere la criminalità organizzata e perché per essa Pio La Torre aveva sacrificato la sua vita.

Pio La Torre, deputato dal 1972 al 30 aprile 1982, giorno del suo assassinio ad opera di Cosa Nostra – Fonte: remocontro.it

Poichè dal mio gruppo parlamentare mi è stato richiesto di occuparmi dei diritti delle donne, però, è chiaro che tutti i progetti di legge inerenti mi hanno coinvolta maggiormente. La legge sulla violenza sessuale si intreccia con la mia vita, anche se è state approvata quando ormai non ero più in Parlamento. Molte parlamentari si impegnarono raggiungendo un’unità d’intenti tra schieramenti politici completamente opposti. Ricordo che nel 1996, dopo l’approvazione della legge, mi chiamarono, e il venerdì di Repubblica ci dedicò una copertina: a me che ero considerata la “mamma della legge”, e alle on. Finocchiaro e Mussolini, protagoniste dell’approvazione. Tre donne raffigurate con le mani incrociate: rimarrà un ricordo indelebile. Però, anche altre due leggi furono importanti per me. La prima è quella sulle transessuali, che consentiva il cambiamento di sesso. Mi rese molto felice che una minoranza potesse avere il diritto di ritrovare anche nel corpo la propria identità. Sono stata protagonista anche della riforma della legge sulle adozioni dei minori, che trovai rivoluzionaria: ci fu un vero e proprio ribaltamento della prospettiva legislativa. Si passò dal desiderio di coloro che non avevano figli di diventare genitori, a mettere al centro il bambino e il suo diritto di avere una famiglia. Devo dire che ci sono state delle leggi (sulla tutela delle donne lavoratrici, tutela della maternità, legge di parità) che hanno avuto un iter più facile, perché evidentemente toccavano temi che tutte le donne presenti in parlamento, al di là del loro modo di pensare e schieramento politico, ritenevano giusti. Talvolta su questi temi invece abbiamo dovuto fare battaglie nei confronti dei colleghi uomini, perché dire che si hanno gli stessi diritti e doveri nel lavoro spesso fa venir meno qualche privilegio.

Tina Anselmi, storica figura della Democrazia Cristina, fu un chiaro esempio di come anche forze politiche diverse possono lottare per interessi comuni. Fonte: La Stampa.
Tina Anselmi, storica figura della Democrazia Cristiana, fu un chiaro esempio di come anche forze politiche diverse possono lottare per interessi comuni – Fonte: La Stampa

 

Salvatore: Da recenti statistiche, l’Italia risulta essere un Paese in cui la donna viene concepita ancora come una figura ancorata al passato. Mentre in altri paesi europei oggi la situazione appare sensibilmente diversa. Secondo lei quali sono i fattori che portano l’Italia a rimanere ancora un paese conservatore sulle questioni di genere? E quali sono le modifiche culturali e politiche delle quali necessitiamo?

Indagine riportata dal Corriere della Sera – Fonte: Ipsos indagine per il Laboratorio Futuro

 

Ritengo che 50 anni fa un’indagine di questa natura avrebbe fatto emergere un’arretratezza maggiore. I paesi del nord Europa hanno sviluppato una positiva politica di genere anche in virtù di una cosa: le norme antidiscriminatorie (nessun sesso in quei paesi poteva superare il 60% nelle istituzioni) che hanno dato risultati eclatanti. Queste norme hanno salvaguardato le donne e consentito che potessero mostrare – nell’esercizio effettivo del potere decisionale – tutte le proprie capacità, come avevano fatto gli uomini. Andando oltre questo primo dato, io di solito dico una frase: spesso le donne sono le nemiche delle donne. Non considerare le norme antidiscriminatorie una risorsa per arrivare a una democrazia effettiva in Italia è un errore gravissimo da parte loro, in quanto impedisce di cambiare gli stereotipi della società. Quando saremo al 50% nei luoghi in cui si esercita il potere, allora potremo dire che non abbiamo più bisogno delle norme antidiscriminatorie; fino a quel momento dobbiamo non solo volerle ma favorirle. Inoltre, spesso si sviluppa tra donne un atteggiamento ostile nei confronti di quelle che conquistano posizioni di leadership, quando invece bisognerebbe fare rete unendosi. Andiamo all’ultimo punto: l’Italia è un paese cresciuto in una cultura cattolica, non sempre avanzata. Sì, la Chiesa ha sempre parlato della dignità della donna, del rispetto che l’uomo deve darle, in quanto madre e come perno della vita familiare. Oggi non è più così nella Chiesa: si afferma una visione della donna più dinamica ed aderente alla realtà, anche grazie al Papa attuale, che sulle donne dice cose notevolissime che dovremmo, credenti e non credenti, ascoltare. La religione, anche quando non praticata, nella formazione ha delle conseguenze.

Tuttavia, credo che la più grande rivoluzione del ‘900 sia la rivoluzione femminile perché ha portato a una modifica reale della percezione della vita e del mondo. La mia generazione pensava che eravamo arrivate, che avevamo conquistato tutto; e ci siamo sedute. Oggi le nuove generazioni devono comprendere che non bisogna mai sedersi, ma essere vigili e continuare. Nessuna conquista avviene una volta per tutte, la devi sempre difendere: e al primo campanello d’allarme devi reagire, perché altrimenti ci sarà l’involuzione.

M: In un momento come questo, soprattutto tra i giovani, è diffuso un sentimento di sfiducia nei confronti della politica. Secondo lei come sarebbe possibile rivalorizzare questa nobile ed indispensabile arte?

Innanzitutto la politica negli anni non ha sempre dato buona prova di sé creando una disaffezione dei giovani nei suoi confronti. È cambiato il contesto nel quale tanti giovani, hanno lottato in passato: tante generazioni si sono formate nelle battaglie internazionali; anche adesso accadono altri fatti drammatici (ad esempio in Medio Oriente), però negli anni la politica ha trascurato spesso queste tematiche, così come ha avuto disattenzione verso la scuola che è invece fondamentale nel rapporto società-giovani. Si è affermata una società consumistica, con poca attenzione all’ambientalismo, tema che solo recentemente è tornato a galla. Abbiamo educato giovani generazioni male, in qualche modo perché ci siamo diseducati anche noi. La politica dovrebbe recuperare nuovamente il proprio ruolo: contribuire a far crescere la società e dare buon esempio. Voglio lanciare un messaggio: credo che bisognerebbe andare verso un’alleanza tra giovani generazioni, periodo momentaneo della vita, e il genere,le donne, caratteristica permanente. Sarebbe opportuno che la condizione di difficoltà affrontata dalle donne – ricollegabile a tutte le questioni di genere – fosse affrontata dalle nuove generazioni, un’alleanza tra queste due realtà conseguirebbe ottimi risultati. Certo, i tempi sono cambiati. Ma i protagonisti non possiamo essere noi, dobbiamo fare qualche passo indietro e far venir fuori il potenziale dei giovani, perché solo così cambieremo la società. Mi viene in mente l’inizio della mia esperienza: ricordo che quando mossi i primi passi in politica, da studentessa universitaria, capii che noi studenti avevamo grandi potenzialità se stavamo uniti. Quando fui eletta parlamentare (1976) ci fu un’ondata di giovani donne (passammo al 16%) in un parlamento maschile, un elemento di rottura. Ma il primo anno non fu affatto facile: ho dovuto studiare il doppio degli altri, avevo studiato lettere e feci parte della commissione giustizia per occuparmi di diritti. Non so come i deputati oggi facciano il loro lavoro, ma posso dire che per me è stata un’esperienza pesante. Alla terza legislatura, quando ho ritenuto di avere completato la mia esperienza, ho chiesto di non fare più la parlamentare perché ormai lo sapevo fare, quindi potevo passare a fare altro. Ricordate: se non si studia si diventa praticoni della politica, non politici.

Manifestazione del movimento studentesco (Messina 1968) – Fonte: stampalibera.it

 

E: Quello che vedo spesso è che l’essere eletti come parlamentari viene visto come un punto di arrivo, non come un punto di inizio e di studio, tutto il contrario di quello che – giustamente – ha sottolineato.

Bisogna domandarsi sempre perché si fa politica: fai politica perché ti piace, ma anche perché vuoi contribuire a modificare in meglio le condizioni di vita delle persone. Non puoi fare politica pensando che tutto inizi con te e finisca con te: puoi avere le tue soddisfazioni, ma sapendo che le tue ambizioni devono comunque collocarsi in una cornice molto più ampia, devono coincidere con interessi generali, non solo con i tuoi. Concludo con una nota sull’associazionismo: è questa la nuova forma di fare politica, avvicina i giovani ad essa.

E:Abbiamo notato che nelle task force (nazionali e regionali) solo il 20% è composto da donne; nel comitato tecnico-scientifico ci sono solo uomini. Cosa ne pensa?

Non è concepibile che nel mondo della ricerca le figure femminili – sebbene siano anche particolarmente presenti e preparate – vengono escluse sempre – o quasi – dai ruoli veramente importanti. Lo ritengo inconcepibile prima di tutto per la scienza, in secondo luogo per la democrazia e infine per una parità di diritti e di doveri. Persino delle scoperte delle donne parlano quasi ed esclusivamente gli uomini. Io credo che questi non siano fatti meramente formali: la forma è sostanza.

Concludo con una riflessione sulla scuola: abbiamo un personale docente non motivato, sottopagato, bisogna riqualificarlo e rimotivarlo. Sapete cosa mi auguro? Che essere stati chiusi in casa per tanto tempo, ci abbia dato modo di riflettere, per poter costruire una società migliore, ridisegnando i rapporti economici ed interpersonali: questa pandemia sta facendo venire fuori tutte le diseguaglianze. Ci sarà chi metterà forse per settimane di seguito la stessa mascherina chirurgica e chi ne avrà di tutti i tipi, chi può sostenere la didattica online e chi non ha nemmeno un computer in casa. Se cogliamo l’occasione che fa emergere queste contraddizioni per cambiare questo mondo – se dovessimo riuscire a cambiarlo – forse saremo tutti più felici.

Emanuele Chiara, Cristina Lucà, Salvatore Nucera, Mario Antonio Spiritosanto

Immagine di copertina: LetteraEmme

Coronarovirus: cosa può fare il Governo nel caso di un’epidemia

Le recenti notizie circa la scoperta di nuovi casi di individui portatori di sintomi ricollegabili al virus “2019-nCoV” anche al di fuori della Cina, luogo di origine del ceppo, sono state per la comunità internazionale un campanello di allarme e, soprattutto, fonte di allarmismo e disinformazione.
La possibilità di un’epidemia globale è divenuta col passare dei giorni oggetto di approfondimento e discussione e la recente riunione di emergenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità svoltasi giorno 22 gennaio a Ginevra, ha confermato che, sebbene la quasi totalità dei contagi e dei decessi si siano verificati in Cina, la minaccia globale rappresenta uno scenario tutt’altro che improbabile.

Al fine di contenere la minaccia sanitaria, la Cina ha istituito tre zone di quarantena e la Russia ha confermato che fino al 7 febbraio saranno terrà chiusi ben nove valichi di frontiera.
A livello nazionale le nostre autorità hanno reagito con cautala alle notizie dei primi giorni provenienti dall’Asia: il Ministero della Salute ha disposto l’affissione nell’Aeroporto di Roma Capitale di alcuni cartelli di sensibilizzazione rivolti ai viaggiatori provenienti da/diretti verso la città cinese di Wuhan. I voli provenienti dalla Cina sono stati dirottati presso gli aeroporti di Milano Malpensa e Roma Fiumicino e sono stati inoltre previsti screening accessori, corsie di sicurezza e controlli per i passeggeri che possono essere entrati in contatto con i luoghi sottoposti al contagio.

Gli italiani residenti a Wuhan sono stati rimpatriati e trascorreranno due settimane in isolamento, con misure preventive ad altissima sicurezza: non potranno avere nessun contatto con l’esterno, saranno visitati giornalmente da personale medico attrezzato con maschere e tute di sicurezza, tutti i rifiuti, compresi il cibo avanzato, saranno trattati come rifiuti di tipo speciale.

Mentre ricercatori e scienziati portano avanti nei rispettivi ambiti studi e ricerche per eviscerare l’esatta natura e pericolosità del Coronavirus, è innegabile che in una società interconnessa come quella dei nostri giorni gli Stati e le Organizzazioni internazionali siano chiamate a collaborare per garantire la salute e la sicurezza dei cittadini.
Il problema, di conseguenza, deve essere affrontato secondo un modello a doppio binario: su un livello locale mediante l’azione degli Stati, attori principali ed enti esponenziali degli interessi dei relativi abitanti, nonché dotati degli strumenti maggiormente efficaci per intervenire in maniera diretta, e su un piano transnazionale nelle assemblee e nei comitati di quelle Agenzie e Organismi internazionali dove vengono disegnati piani di intervento comune.

Quali strumenti ha a disposizione il nostro Stato per affrontare un’eventuale minaccia sanitaria?

La tutela della salute dei cittadini rientra tra i doveri che lo Stato Italiano è tenuto a perseguire entro i limiti del rispetto del principio di autodeterminazione dell’individuo: la libertà personale è inviolabile e nessuno può infatti essere sottoposto a trattamenti sanitari contro la propria volontà a meno che questi non siano previsti espressamente dalla legge, esempio classico sono i vaccini i quali, sebbene oggetto di dibattito tra la comunità scientifica e politica hanno contribuito sensibilmente al miglioramento della qualità della vita nello scorso secolo.
Possiamo dunque vedere come tale limite non sia invalicabile e può essere ragionevolmente superato nel momento in cui si persegue un interesse della collettività.
Nella sventurata ipotesi in cui un’epidemia dovesse minacciare la salvaguardia della popolazione, lo Stato potrebbe legittimamente prevedere l’istituzione di zone di quarantena al fine di contenere il pericolo di diffusione o di contagio, sacrificando dunque una libertà fondamentale del cittadino qual è quella del libero spostamento sul territorio nazionale.

Altre misure adottabili da parte dello Stato sono la previsione di controlli sanitari obbligatori, agevolazioni nella somministrazione di farmaci e requisizione di merci sospette o pericolose dal mercato con relative sanzioni patrimoniali nei confronti di coloro i quali dovessero astenersi dal collaborare.

Per potere intervenire immediatamente nell’attuazione delle misure di sicurezza necessarie la Costituzione riconosce in capo al Governo il diritto di emanare, in casi di necessità e d’urgenza, dei decreti legge, aggirando le lungaggini del dibattito parlamentare.

Lo strumento del Decreto legge venne adoperato per la prima volta proprio in occasione del Terremoto di Messina del 1908 per dichiarare lo stato d’emergenza.

L’Italia e la comunità internazionale.

L’Italia è per sua storica vocazione aperta alla collaborazione e al dialogo con altri attori internazionale. Diversi trattati internazionali, firmati dal nostro Parlamento, vincolano il nostro Paese a partecipare attivamente nel processo di formazione di una volontà da parte della comunità internazionale. In uno scenario di emergenza sanitaria internazionale le Nazioni Unite (il cui trattato a oggi è ratificato da 193 paesi su 196 riconosciuti sovrani) e altre agenzie internazionali, quali per esempio l’Organizzazione Mondiale della Sanità o il World Food Programme, agirebbero però col grande limite del “principio di non ingerenza negli affari interni”, presente all’interno dello stesso Statuto delle Nazioni Unite e che vieta di interferire nei procedimenti decisori dei singoli Stati.

Essi avrebbero innanzitutto il compito di sensibilizzare l’opinione pubblica, attirando l’attenzione degli Stati e invitarli a politicizzare le questioni richiedenti un pronto intervento facendo leva su disegni di politica comune ragionevoli approvati in seno alle Agenzie dai rappresentanti degli stessi Stati.

Non ci resta dunque che sperare che tutti, autorità, medici e scienziati, adempiano ai propri doveri con senso di responsabilità e collaborazione.

Filippo Giletto

La parola all’ AIFVS : perchè “vittime e imputati” noi non ne vogliamo

Troppo sangue, troppi morti, troppi titoloni sui giornali che non servono a nulla. Le ultime notizie di cronaca portano nuovamente alla luce il problema della sicurezza stradale: problema forse troppe volte sottovalutato dall’atteggiamento ambiguo delle Istituzioni e, ovviamente, dall’incoscienza umana. Di chi sia la colpa a noi poco importa, ma ci siamo chiesti come ci si debba sentire a essere”vittima della strada”, poco tutelato, inadeguatamente risarcito e soprattutto, perennemente incerto sul fatto che la giustizia prima o poi farà il suo corso. Per tentare un analisi, anche in questo momento cosi difficile, abbiamo incontrato la signora Giuseppa Cassaniti Mastrojeni, presidente dall’AIFVS (Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada) che ha accettato di scambiare quattro chiacchiere con noi di UniVersoMe.

1. La vicenda di Lorena ci invita ancora una volta a riflettere su chi come lei è stata vittima dell’incoscienza altrui. Lei che opinione si è fatta?

Mi lasci dire innanzitutto che questi sono comportamenti irresponsabili, tenuti addirittura da un appartenente alle Forze dell’Ordine e che a maggior ragione vanno considerati come gravissimi e inescusabili. Toccherà al magistrato applicare la legge in maniera adeguata, tenendo conto della nuova legge in vigore (Legge 23 Marzo 2016 n. 41), in base alla quale bisognerebbe verificare quanto era il tasso alcolico nel sangue. Per l’AIFVS questo episodio si configura certamente come omicidio stradale: è vero che la ragazza è arrivata in ospedale con lesioni gravissime, ma è anche vero che queste lesioni si sono rivelate irreversibili e hanno portato alla morte. Questa è la realtà, non tergiversiamo con le parole: quel che è successo è un atto criminale, un crimine stradale.

2. L’AIFVS è stata, dalla sua fondazione, un punto di riferimento per tutti coloro che hanno perso qualcuno o sono state vittime della strada. Come giudica l’attività fin qui svolta?

Io sono Socio fondatore e lo sono diventata in conseguenza dell’uccisione di mia figlia Valeria, investita in Via Filippo Bianchi, da una macchina che andava a 130 km/h, in una zona dove il limite è 30. Ancora oggi ritengo che la giustizia non mi abbia tutelato, non abbia tutelato mia figlia e non punito nella maniera più giusta chi l’ha uccisa. In tutti questi anni abbiamo cercato di prevenire incidenti stradali come questi, fornire assistenza legale alle vittime e alle loro famiglie. Nel 1998 io ho fondato il primo Comitato e poi due anni dopo ci siamo costituiti come associazione. Fin dall’inizio quel che è stato presente ai nostri occhi è la sottovalutazione, da parte della giustizia, dell’omicidio stradale. Nel 2001 abbiamo fatto una proposta di legge, per chiedere che l’autore di simili atti, responsabile di quel comportamento che nella maggior parte dei casi ha “sradicato” un diritto appartenente ad altri, sia sanzionato in quanto “comportamento colposo”. Ci siamo però trovati di fronte sempre un atteggiamento molto scialbo da parte delle autorità e di questo mi rammarico molto.

3. Secondo lei lo Stato ha qualcosa da farsi perdonare?

E’ il motivo per il quale ci siamo costituiti come associazione. Lo Stato non è disposto al cambiamento, alla prevenzione, a costruire un serio sistema di sicurezza per gli automobilisti. Si tutelano sempre i poteri dei forti e mai quelli dei deboli: le faccio un esempio: la tendenza per quanto riguarda i risarcimenti in materia di sicurezza stradale è sempre quella di abbassare il livello,per fare anche un favore alle compagnie assicurative, e in questo modo di fatto si distorce l’episodio, lo si trasforma in qualcosa che ha poca importanza. Nessun governo fino a questo momento ha cambiato marcia: da Berlusconi a Renzi non è cambiato assolutamente niente. Se lo Stato non fa nulla dobbiamo pensarci noi, mobilitandoci, incoraggiando proposte e idee per cambiare questa situazione. Lo Stato e le associazioni devono collaborare: ognuno ha una funzione fondamentale nella società, quella di rappresentarla nel modo giusto.

4. E’ utile concentrare l’attenzione sul nuovo reato di “omicidio stradale “ (Articolo 589-bis del Codice Penale). Qual è il suo giudizio come presidente dell’AIFVS?

Dobbiamo aspettare ancora. La legge è stata approvata a Marzo. E’ importante verificare “come” questa legge verrà applicata, le sue definizioni giurisprudenziali insomma. La mia paura è che si vada sempre al ribasso con l’interpretazione. Ci sono valori importanti della quale bisogna sempre tenere conto: il diritto alla vita, alla salute, alla giustizia. I giudici devono seguire questa linea: approcciarsi ad un problema cosi grave non è uno scherzo, è una grossa responsabilità. L’omicidio stradale è un comportamento che integra una grave trasgressione, e come tale va trattata. Cosi la persona che ha commesso questo reato sentirà davvero il peso del suo sbaglio del suo errore. E’ un meccanismo semplice, basta avere il coraggio di attivarlo.

5. Le cito un dato presidente: secondo il Road Safety Performance Index Report in Europa nel 2015 ci sono stati 26.300 decessi a causa di incidenti stradali, + 1,3% rispetto all’anno precedente. Come giudica questo dato?

Io conosco anche il dato italiano: siamo a +1,3%, in linea con la media europea ma comunque preoccupante. Ribadisco il concetto: non c’è un impostazione corretta del problema. Che cosa bisogna fare in questi casi? Bisogna prevenire: noi non vogliamo un incidenti, non vogliamo vittime e imputati. Noi dobbiamo operare secondo l’obiettivo che si è posto il Parlamento Europeo nel 2011: “la visione zero”, la salvaguardia del diritto alla vita, della sicurezza di ogni persona. Ma cosa è prioritario oggi per il nostro governo? Le indicazioni in tal senso dovrebbero provenire dal centro. Senza di esse come si può anche solo concepire un progetto di salvaguardia per la sicurezza stradale? L’obiettivo europeo del resto è semplice: abbassare del 50% gli incidenti stradali entro il 2020. Ma sembra, da questi dati, che stiamo facendo passi indietro.

6. In conclusione c’è un messaggio che possiamo dare agli studenti, un monito dopo quest’ultima tragedia che ha colpito la nostra città?

Bisogna reagire, bisogna mobilitarsi affinchè la morte di Lorena non rimanga un episodio come tanti, come la morte di mia figlia. Si potrebbe pure pensare ad una manifestazione per ricordare questa ragazza. E’ vostro dovere mettervi in gioco e far sentire la vostra voce: non rassegnatevi a lottare per ciò che ritenete giusto. La vostra vita è preziosa come lo era quella di chi è morto sull’asfalto. Quel che mi auguro che proprio da voi parta la voce della giustizia, una giustizia seria e onesta, che valuti gli errori per quel che sono e assicuri la giusta pena a chi , per far valere un suo diritto, lo ha tolto ad un altra persona.

 

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