Reda rispetta il ramadan, i compagni posticipano la cena di fine anno

Siamo a Torino, precisamente al Tabisca di piazza Vittorio, quando la tavolata della 3A  del “liceo scientifico Albert Einstein” l’altra sera  si è seduta alle 22 spaccate.

“Lo hanno fatto per me, perché sono musulmano e rispetto il digiuno per il ramadan. Non è stata una mia richiesta, ma ho apprezzato davvero il gesto dei miei amici”.

Spiega Reda Herradi, nato in Italia da genitori marocchini.

Non sapevo niente dell’iniziativa degli studenti ma non mi stupisce, questo è il clima che c’è tra i ragazzi di ogni cultura e religione nella  nostra scuola“, spiega il dirigente scolastico Marco Chiauzza. Per i ragazzi avere come compagno di banco uno studente musulmano o una ragazza straniera è la quotidianità e nessuno lo nota. Tra di loro sono semplicemente compagni.

L’intera classe ha deciso di rimandare la cena alla fine del tramonto in modo che Reda potesse partecipare pienamente e interrompere il digiuno nel rispetto della sua religione. Tra tante notizie di mancata integrazione e perfino di razzismo, ne emerge una che almeno libera dalla cattiveria e dal marcio che ci circonda.

Non c’è niente di strano–  dice Irene Arancio, una compagna di classe- Volevamo esserci tutti e abbiamo fatto in modo che fosse così, tanto alle 20 o alle 22 non cambia niente, se sei in piazza Vittorio con tanti locali a disposizione“.

La storia, anticipata dal quotidiano La Repubblica, è stata raccontata anche da un genitore su Facebook. “I nostri ragazzi ci hanno chiesto di poter tornare più tardi del previsto, così da poter cenare. – continua – In una scuola di Barriera di Milano (quartiere torinese dove si trova l’istituto), un luogo eterogeneo e multietnico, un gruppo di adolescenti ci ha insegnato cos’è la vera integrazione“.

Serena Votano

Repubblica “giornale dell’orfano”: quando l’informazione diventa trash

Uomini e donne, Grande fratello, Temptation Island, Pomeriggio Cinque, Riccanza… con l’avvento del nuovo millennio, l’industria mediale italiana (e non solo) ci ha abituato alla fruizione di un tipo di messaggio che non ha bisogno di fronzoli e orpelli per essere compreso. Un messaggio diretto e semplice che riflette un gusto scadente, volgare, di infima qualità. Trash, insomma. Il palinsesto televisivo italiano si è arricchito di questo punto di riferimento verso il basso, riscuotendo anche un modico successo che, negli anni, ha raggiunto vette assurde, imponendosi come perno centrale dell’agenda setting giornaliera. (Per i non addetti ai lavori, per agenda setting si intende la selezione e gerarchizzazione di temi al centro del dibattito pubblico, imposte dalla stampa. In pillole, i media non ci dicono “come” pensare, ma “a cosa“).

Ma cosa succede quando il trash invade il mondo del giornalismo? La comunicazione giornalistico-politica è oggi migrata nell’infotainment, un meccanismo che coniuga informazione e intrattenimento, assai diffusa presso i talk-show. La mediatizzazione della politica ha prodotto effetti come: spettacolarizzazione e drammatizzazione della politica; frammentazione del dibattito pubblico e politico; personalizzazione dell’attore politico.

Tutto questo preambolo per introdurre una vicenda che ha recentemente scosso l’opinione pubblica italiana, facendo del giornalismo un calderone di – scusate il termine – minchiate e idiozie. Il 7 giugno scorso, in diretta su Skytg24, Paolo Becchi, professore di Filosofia del Diritto, noto al grande pubblico per apparizioni come opinionista in numerosi salotti televisivi, durante un dibattito con il giornalista Daniele Bellasio ha esordito con: “Repubblica? Il giornale dell’orfano“. Il riferimento, fuori luogo e decisamente inappropriato, è alla prematura scomparsa del commissario Luigi Calabresi -padre dell’attuale direttore della testata, Mario Calabresi-  ucciso nel ’72 da una squadriglia di terroristi di estrema sinistra.

La vicenda esplode immediatamente in studio e sui social generando il caos. Bellasio, caporedattore degli esteri del quotidiano romano, prima di abbandonare lo studio chiede le dovute scuse:

Spero di aver sentito male. Chiedo al conduttore di rivedere in un secondo momento come è stato definito il giornale per il quale lavoro e nel caso di scusarsi, mi rifiuto di rispondere all’ospite perché penso purtroppo di aver capito bene.

Scuse non ancora pervenute. E anzi Becchi rincalza:

Ma non ci penso nemmeno! Ho detto la verità!

Immediato l’intervento della produzione che si dissocia da queste “orribili parole” attraverso un primo tweet di Sarah Varetto, direttrice di Skytg24, a cui segue quello del conduttore Renato Coen


La vicenda procede a colpi di tweet, con la risposta del diretto interessato Mario Calabresi


Un’offesa gratuita volta ad incidere, a fare male, a colpire nel segno. All’origine di tanta cattiveria si presume la presenza di un divario ideologico assai profondo che frappone le due parti. Da un lato Becchi, un tempo molto vicino al M5S e definito dalla stampa “l’ideologo del movimento” e il loro costituzionalista di riferimento (anche se poi – pare – si sia allontanato dai pentastellati per avvicinarsi ai leghisti); dall’altro un quotidiano come Repubblica, apertamente di sinistra, che, ultimamente, sembra stia conducendo una vera e propria campagna anti governo gialloverde (o gialloblu).

Quanto accaduto è segnale di un giornalismo portato allo stremo, privato della sua originaria finalità: la chiarezza dell’informazione. Segnale di un giornalismo spento, sfinito; un giornalismo spazzatura che chiede aiuto per provare a ripescare quel poco di chiaro e pulito che resta.

 

Elisa Iacovo