G7 2021: ecco di cosa si è parlato durante il vertice dei 7 in Cornovaglia

Si è conclusa domenica sera, a Carbis Bay, in Cornovaglia (Regno Unito), la riunione del G7, l’organismo che riunisce ogni anno i leader dei 7 maggiori Stati economicamente avanzati del mondo: Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Germania, Francia e Italia, più una delegazione dell’Unione Europea.

G7 in Cornovaglia. Fonte: Il Post

Il vertice, cominciato venerdì 11 giugno, si è concluso con un comunicato finale nel quale figurano – tra i principali temi trattati – il contrasto all’espansionismo del regime cinese, e qualche generico impegno relativo alla pandemia e al cambiamento climatico.

Parte significativa del dibattito è stata poi monopolizzata dalle discussioni tra il primo ministro britannico Boris Johnson e i leader dei Paesi dell’Unione Europea su Brexit. Ciononostante, i partecipanti all’incontro hanno cercato di trasmettere l’immagine di un’atmosfera cordiale e di un ritorno alla normalità, dopo i conflittuali e turbolenti rapporti che avevano in precedenza caratterizzato la presidenza Trump.

La dura condanna alla Cina

La questione dei rapporti con la Cina è stato sicuramente l’argomento più discusso durante il vertice: i sette big si sono allineati sulle posizioni di condanna al lavoro forzato e al mancato rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali della minoranza etnica degli uiguri nella regione dello Xinjang, oltre alla richiesta di autonomia di Hong Kong e Taiwan.

La sfida a Pechino è stata capeggiata dal presidente americano Biden, il quale è riuscito a convincere gli altri leader della necessità di attuazione di una politica più dura e aggressiva nei confronti del Dragone cinese.

Ancor prima dell’uscita del comunicato finale dell’incontro, gli Stati Uniti hanno pertanto annunciato di aver trovato un piano di ‘’competizione strategica’’ con la Cina, che prevede un ampio programma di investimenti in infrastrutture nei Paesi a basso e medio reddito «dall’America Latina ai Caraibi all’Africa all’Indo-Pacifico» (definizione usata per indicare le nazioni tra Asia meridionale e Oceania, che hanno interessi comuni nel contrastare la Cina).

Il piano alternativo alla Via della Seta

Il piano del G7 rappresenta un’evidente risposta all’influenza della Nuova via della Seta cinese (detta anche Belt and Road Initiative, BRI), un progetto di investimenti infrastrutturali in Asia, Africa ed Europa annunciato dal presidente Xi Jinping nel 2013, con l’obiettivo di guadagnare influenza economica e prestigio politico in moltissimi paesi più poveri.

Fonte: Avvenire

Il piano, denominato Build Back Better World (B3W) in un chiaro rimando al piano infrastrutturale statunitense ‘’Build Back Better’’, prevede di mobilitare centinaia di miliardi di dollari di investimenti pubblici e privati nella costruzione delle infrastrutture in quegli stessi Paesi, al fine di creare partnership strategiche stabili e durature. In particolare, l’iniziativa concentrerà i propri progetti su «cambiamento climatico, salute, tecnologia digitale, uguaglianza di genere».

Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha annunciato che l’Italia – l’unico paese occidentale ad aver siglato il patto nel 2019 – «valuterà con attenzione» l’accordo sulla Via della Seta.

Qualche ora dopo la pubblicazione del comunicato finale, l’ambasciata cinese nel Regno Unito ha respinto le accuse sostenendo che il comunicato contenga «bugie, voci non confermate e accuse infondate», e accusando i paesi del G7 di «interferire negli affari interni della Cina».

Gli impegni del G7 in tema di pandemia

Nelle fasi iniziali del G7 si è parlato molto anche di un piano per il contrasto alla pandemia per «fare in modo che la devastazione provocata dal coronavirus non si ripeta mai più».

All’interno del piano i leader hanno annunciato l’impegno ad accelerare le fasi di sviluppo e di produzione di vaccini, di terapie e di test diagnostici in caso di una nuova pandemia. L’obiettivo prefissato sarebbe quello di riuscire ad avere terapie efficaci, un sistema di test diagnostici e vaccini pronti ad essere esportati su scala globale entro 100 giorni dopo la dichiarazione di pandemia da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), motivo per cui il G7 ha parlato di «missione dei 100 giorni».

Fonte: Avvenire

Oltre ad avere richiesto un’inchiesta da parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità sull’origine del Covid in Cina, i potenti della Terra si sono anche impegnati a donare nel complesso un miliardo di dosi vaccinali contro il Covid ai Paesi in via di sviluppo. Si tratta comunque di una piccola parte degli 11 miliardi di dosi che a detta dell’OMS sarebbero necessari per raggiungere una percentuale del 70% della popolazione mondiale vaccinata.

Cambiamento climatico e tasse

Altri due temi di cui i leader hanno parlato durante il vertice sono stati il cambiamento climatico e l’imposizione di una tassa del 15% sui profitti delle multinazionali, che ha rappresentato un compromesso più concreto già raggiunto e annunciato nei giorni scorsi.
Sul tema dell’ambiente la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha anticipato la conclusione dei lavori su Twitter:

“I partner del G7 stanno firmando un importante impegno congiunto per l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050 (come ultimo termine) e per mantenere alla portata l’aumento della temperatura di 1,5 gradi. Faremo tutto il possibile per attenerci all’1,5“.

Nel comunicato finale del G7 si leggerà poi la seguente promessa:

“Ci impegniamo ad accelerare la transizione dalle vendite di auto nuove diesel per promuovere veicoli a zero emissioni”.

L’Irlanda del Nord e la ‘’guerra delle salsicce’’

Una parte consistente della copertura mediatica del G7 è stata occupata dalle discussioni tra Boris Johnson e i leader dei paesi dell’Unione Europea, in uno scontro definito dai media come ‘’guerra delle salsicce’’.

Il principale problema ha riguardato il divieto – a partire dall’1 luglio e sulla base degli accordi Brexit – di esportazione alle aziende della Gran Bretagna di carichi di carne refrigerata verso l’Irlanda del Nord, unica parte del Regno Unito rimasta nel mercato comune europeo.
L’entrata in vigore di tale divieto era già ben nota ai tempi della firma degli accordi su Brexit, ma Johnson minaccia adesso di sospendere la parte degli accordi che riguarda l’Irlanda del Nord, ricevendo così minacce di sanzioni in risposta dagli europei.

La prossima edizione del G7 è prevista per l’estate del 2022 in Germania, e si tratterà molto probabilmente del primo importante impegno internazionale della persona che succederà ad Angela Merkel nell’incarico di cancelliere tedesco.

Gaia Cautela

Le dimissioni di Dominic Cummings: chi è l’ormai ex braccio destro di Boris Johnson

Dominic Cummings, amico e braccio destro di Boris Johnson, si è dimesso dal suo incarico di principale consigliere del premier britannico. Le immagini e i video di Cummings, con una grossa scatola di cartone, abbandonare il numero 10 di Downing Street hanno trovato eco sui principali quotidiani di oltremanica. Ma perché tutta questa attenzione intorno a una figura sconosciuta ai più in Italia e in Europa?

fonte: rte.ie

Chi è Dominic Cumming ?

Nato a Durham e laureatosi in Storia presso l’Università di Oxford ha lavorato successivamente in Russia prima di tornare nel Regno Unito. Qui è riuscito a canalizzare intorno a se le attenzioni e i favori di quella parte euroscettica del Partito Conservatore britannico. Si devono a lui alcuni tra gli slogan pro leave di maggiore successo quali Take back control, o la fake news secondo cui grazie alla Brexit il Regno Unito avrebbe risparmiato 350 milioni di sterline la settimana. È stato inoltra tra i primi oltremanica ad adoperare in maniera aggressiva e convincente i social network. Si vantò di aver speso nel 2015, quando diresse il comitato elettorale che avrebbe dovuto convincere i britannici a votare per uscire dall’Unione Europea, circa il 98 per cento del budget per campagne pubblicitarie online dirette agli abitanti di quelle aree maggiormente colpite dalla globalizzazione oppure quelli estremamente diffidenti verso il primo ministro di allora, David Cameron.

 

Consigliere di Boris Johnson

Con l’insediamento di Boris Johnson al numero 10 di Downing Street viene nominato dal premier britannico suo Chief Advisor (capo consigliere). Dal suo nuovo ufficio Cummings è rimasto una figura di riferimento per la macchina propagandistica della destra conservatrice. Di posizioni apertamente populiste, ha spesso rivendicato con orgoglio la sua non appartenenza (formale) ad alcun partito. Si è inoltre pronunciato a sfavore dell’apparato burocratico-amministrativo britannico divenuto, a suo dire, eccessivamente complicato e in mano a troppi “politici di professione”. Da qui alcune tra le sue proposte più stravaganti come quella di assumere “gente bizzarra, artisti, persone che non sono mai andate all’università e hanno lottato per venire fuori da un postaccio”.

fonte: ClemRutter

Personalità e scandali

Definito dai molti come un moderno Rasputin all’interno dello staff del premier, è stato spesso descritto come un bullo che ha imposto una cultura aggressiva e della paura, non solo tra i collaboratori ma anche tra gli stessi componenti del governo. I modi di fare eccentrici e la propensione agli scandali hanno aiutato a creare intorno alla sua persona un alone di curiosità e attenzioni che hanno toccato aspetti esterni a quelli della politica. Intorno alla sua figura, per esempio, è stato girato un film da HBO in cui è stato interpretato da Benedict Cumberbatch. Non ha mancato inoltre di mettere in imbarazzo lo stesso Boris Johnson, da ultimo con il suo viaggio dai genitori a quasi 500 km da Londra quando aveva ancora sintomi di Covid-19 violando le norme del lockdown.

Le dimissioni

Un addio che arriva all’indomani delle dimissioni imposte al direttore della Comunicazione del governo, Lee Cain, fedelissimo di Cummings. Le dimissioni avranno effetto immediato, scartata dunque la possibilità che Cummings mantenesse la sua posizione fino alla fine dell’anno. Il sospetto è che la volontà sia quella di allontanare figure controverse e ottenere un ammorbidimento da parte di Bruxelles nel negoziato con Londra. La crisi economica e gli effetti del Covid che imperversano sul Regno Unito non permettono un No Deal i cui effetti potrebbero essere potenzialmente catastrofici.

 

Cummings e la destra europea: cosa ci insegna

La politica e la propaganda di Cummings sono state focalizzate fino ad ora intorno alla promessa di riprendere il controllo dei confini, la nostalgia per una presunta epoca d’oro e un atteggiamento ostinatamente euroscettico. Ma come con lui è possibile rintracciare tali elementi anche nella retorica e nelle proposte di molti dei partiti europei populisti e di estrema destra: il Rassemblement National di Marine Le Pen, la Lega di Matteo Salvini o l’Alternative für Deutschland. L’ampio uso di bugie e scorrettezze, i discorsi e gli slogan che mirano più alla pancia dell’elettorato che alla testa degli stessi ed, infine, un uso aggressivo dei social network. L’allontanamento di Cummings e di figure simili non può che rappresentare un segnale positivo e incoraggiante. Che si inizi a capire che le sfide che ci attendono non si affrontino con slogan e fake news ma con dialogo e politica ?

Filippo Giletto