Dallas Buyers Club: quando l’amicizia vince sui pregiudizi

Un film che spiega il dramma dell’Aids tra autenticità e amicizia– Voto UVM: 5/5

 

Gli anni ’80 li conosciamo grazie a film come Flashdance, Stand By Me, Karate Kid e tanti altri che ci hanno fatto sognare e desiderare di vivere in quell’epoca fatta di capigliature voluminose, palette fluo, e sale giochi che si riempivano di bambini e ragazzi dopo il suono della campanella.

I mitici anni ’80, però, avevano un’altra faccia: quella dei pregiudizi e delle “malelingue”. Per il mondo si diffondeva per la prima volta la malattia dell’Aids, e con essa false credenze alimentate dall’ignoranza, tra chi pensava che fosse un virus che potevano contrarre solo gli  omosessuali e chi aveva paura di stringere anche solo la mano di un sieropositivo.

Dallas Buyers Club è un film uscito nel 2013 diretto da Jean-Marc Vallée, che vede come attori protagonisti i due premi Oscar Matthew McConaughey  e Jared Leto, che, grazie alle loro interpretazioni in questa pellicola, si sono portati a casa rispettivamente l’ambita statuetta di “miglior attore protagonista” e  quella di “miglior attore non protagonista”.

Qui i due attori racconteranno la vera storia del cowboy Ron Woodroof, malato di AIDS, costretto a curarsi da solo per via dei costi esorbitanti dei farmaci.

Fonte: Truth Entertainment, Focus Features, Good Films

L’amicizia che sfida i pregiudizi

Tra il 1985 e il 1986, nel sud del Texas si svolge la vicenda di un cowboy di nome Ron Woodroof (Matthew McConaughey), che conduce una vita allo sbaraglio tra droga, alcool e sesso non protetto. Infatti per via della sua incoscienza, (o della mancanza di conoscenza), contrae il virus dell’HIV e successivamente si ammala d’AIDS. Durante quegli anni, i malati di AIDS erano considerati dei veri e propri appestati, anche per la scarsità di informazioni che giravano attorno a questo nuovo virus. La sanità negli Stati Uniti – come sappiamo – è accessibile solo per coloro che hanno una buona assicurazione, perciò il cowboy deciderà di contrabbandare farmaci non approvati in Texas, per curarsi da solo, ma anche per aiutare le persone con la sua stessa malattia. Dopo poco tempo aprirà  il “Dallas Buyers Club” , sfidando l’opposizione della Food and Drug Administration.

“Avvocato, voglio un’ordinanza restrittiva contro il Governo e la FDA.”

Ron, all’inizio pensa che la diagnosi sia sbagliata: essendo omofobo, crede che l’AIDS sia una malattia che contagi solo i gay. Col passare del tempo, però, i suoi sintomi peggiorano: Ron finalmente accetterà  la sua malattia, ma perderà il proprio lavoro e tutti i suoi amici, giacché quest’ultimi pensano che sia gay.

Durante una delle proprie visite in ospedale, Ron conoscerà Rayon (Jared Leto), una transgender tossicodipendente e sieropositiva.

A sinistra Rayon ( Jared Leto) a destra Ron ( Matthew McConaughey) in una scena del film. Fonte: Truth Entertainment, Focus Features, Good Films

Rayon è un uomo, che ha sempre desiderato nascere in un corpo femminile, ma a causa della sua vita difficile non ha mai potuto cambiare il proprio sesso e così si sente imprigionato dentro un corpo che non riconosce.

Rayon: Signore, quando ci incontreremo voglio essere molto bella. Fosse l’ultima cosa che faccio. Sarò un bellissimo angelo.”

Nonostante all’inizio tra i due non corra buon sangue, per via dell’omofobia che condiziona il protagonista, da lì in poi nascerà un’amicizia senza confini, pura e vera. Col tempo Ron vedrà in Rayon l’unica vera amica che abbia mai avuto, la sola che gli è rimasta vicina mentre tutti gli avevano voltato le spalle. Assieme affronteranno l’atroce sofferenza dell’Aids, abbattendo i pregiudizi e aiutando le persone malate e abbandonate dal proprio Paese.

La forza dei legami umani

Matthew McConaughey e Jared Leto al momento sono tra gli attori più bravi in circolazione e, grazie al loro talento, riescono a dare dignità ai propri  personaggi, rendendoli unici, storici. Come hanno fatto con Ron e Rayon, due soggetti non facili da interpretare. Come fanno due attori a colpire così profondamente nell’anima rendendo il telespettatore partecipe del dolore dei due protagonisti?

Ci mostrano le sofferenze e la crudeltà dietro cui si nasconde l’ignoranza con un realismo che parla di dolori e di gioie, che trasmette il messaggio che, per quanto possa essere difficile una situazione, se hai qualcuno accanto a te sembrerà meno dolorosa. Questa è la meravigliosa forza intrinseca degli sforzi  umani, che si riaccende quando meno te l’aspetti, restituendo valore a ciò in cui non credevi più.

L’abbraccio fraterno tra Rayon e Ron. Fonte: Truth Entertainment, Focus Features, Good Films

Alessia Orsa

House Of Gucci: tra superbia e cliché

 

Un film che aveva tutte le carte in regola per diventare cult, ma si perde nella banalità dei clichè – Voto UVM: 2/5

 

“Era un nome dal suono così dolce, così seducente, sinonimo di ricchezza, di stile, di potere. Ma il loro nome era anche una maledizione”

 

“Nel nome del padre, del figlio e della famiglia Gucci”. È questa la frase che racchiude la nuova pellicola di Ridley Scott, che racconta gli ultimi anni di gloria della sfortunata famiglia Gucci.

Chi non conosce il famoso marchio Gucci? Chi non ha mai sognato di avere nel cassetto l’iconica cintura? O di avvolgere al collo il foulard flora, indossato dalle grandi dive del cinema, che ci hanno fatto sognare con la loro eleganza e bellezza?

Adam Driver, Lady Gaga e Al Pacino in una scena del film

House of Gucci è un film diretto e scritto da Ridley Scott, che ripercorre gli antefatti dell’omicidio di Maurizio Gucci ( un affascinante Adam Driver), uno dei casi di cronaca nera più famosi al mondo avvenuto nel 1995, commesso per rabbia e superbia da Patrizia Reggiani, ex moglie di Gucci, interpretata dall’artista Lady Gaga. L’uomo fu ucciso davanti agli uffici della Maison Gucci da due sicari, pagati dalla stessa Reggiani, condannata poi a 27 anni di reclusione, ma scontati a 18 per buona condotta.

Il film è tratto dal libro The House Of Gucci: A Sensational Story of Murder, Madness, Glamour and Greed, scritto da Sarah Gay Forden ,e si apre con l’incontro dei due innamorati, belli e pieni di vita. Già dai loro primi sguardi si nota una passione alla Romeo e Giulietta, con l’unica differenza che il bel giovane si stava innamorando della propria assassina. Sarà proprio Rodolfo Gucci ( Jeremy Irons) a mettere in guardia il figlio Maurizio, facendogli notare che la donna è innamorata solo del suo cognome.

A sinistro Lady Gaga e Adam Driver. A destra Patrizia Reggiani e Maurizio Gucci proprio matrimonio nel 1972. Fonte: Ossona.it

Possiamo notare come la pellicola già dalle prime scene non abbia niente di originale: impazzano soprattutto i soliti cliché con cui noi italiani veniamo dipinti nel resto del mondo. Basti osservare come i personaggi gesticolino troppo e di come il doppiaggio originale – ma anche quello italiano – presenti un accenno di accento mafioso.

In particolare Aldo Gucci (interpretato da un grande Al Pacino, che sembra però rimasto nei panni di Micheal Corleone), l’unico che ci teneva a salvare il marchio, viene dipinto come un boss. Dall’altre parte troviamo suo figlio, Paolo Gucci ( Jared Leto) uno “sfortunato erede” privo di gusto per la moda, sebbene cresciuto dentro la maison Gucci. La tipica “pecora nera” della famiglia che tutti disprezzano perché troppo “audace” – nonostante essere audaci sia il primo comandamento nel mondo della moda come negli affari.

Paolo sarà raggirato dai suoi stessi familiari che riponevano tutti speranza in Maurizio, futuro direttore di Gucci, ingenuo e manipolato dalla consorte, un’arrampicatrice sociale piuttosto sempliciotta, capace di confondere un Klimt con un Picasso, ma, in compenso, donna con un “forte senso degli affari”.

Sarà proprio Patrizia infatti a manovrare abilmente il marito, facendolo diventare unico erede, eliminando dall’azienda di famiglia gli altri membri con astuzia, mossa da un’avidità che i costumi Gucci – indossati da Lady Gaga – sembrano esaltare.

Lady Gaga e Adam Driver in una scena del film

Per quanto la pellicola vanti attori stellari, tra i migliori di Hollywood (Al Pacino e Jeremy Irons sono icone del grande schermo), il film perde di credibilità, ricade nel banale. Ridley Scott sembra dimenticare che la famiglia Gucci era toscana e della bella Firenze, città in cui, grazie alla propria arte, aveva dato il via alla costruzione di un impero della moda, e non una tipica famiglia “rozza” che sembrerebbe uscita direttamente da Gomorra.

Altro errore è stato definire il film un “giallo”, quando quest’ultimo lascia in genere lo spettatore col fiato sospeso fino agli ultimi minuti, mentre qui – per ovvie ragioni – gli assassini sono noti e vengono già mostrati prima dell’atto e la scena dell’uccisione descritta senza veli di mistero. Ma nei gialli non si scopre il colpevole all’ultimo? Seguendone le tracce e gli indizi disseminati sulla scena del crimine? Forse sarebbe stato più giusto parlare di “noir” in questo caso.

Direttamente dal set di House of Gucci, Adam Driver e Lady Gaga in uno degli scatti più pubblicizzati dell’intero film. Fonte: ElleDecor

Nonostante queste pecche, la pellicola è piacevole da guardare, non annoia e si salva in calcio d’angolo, ma soprattutto per i nomi degli attori e l’enorme pubblicità che ha preceduto l’arrivo nei cinema.

House of Gucci è in definitiva un film in cui si erano riposte grandi aspettative, ma che si è andato a perdere dentro un bicchier d’acqua tra cliché e stereotipi vari. Ridley Scott, tuttavia, non ha perso il suo smalto nel rendere due ore e mezza di pellicola scorrevoli e coinvolgenti.

Alessia Orsa