Meglio soffrire che mettere in un ripostiglio il cuore, Susanna Cascini.

Quando una storia finisce è inevitabile sentirsi un varco dentro, i ricordi scavano nel presente e nel passato alla ricerca di una colpa, di un segnale, ci sforziamo di mettere tutto in una scatola immaginaria e di posarla via, la verità è che ci sentiremo meglio soltanto soffrendo.
È proprio questo che ho capito già dal titolo. Triste verità.

«Non era una sprovveduta, aveva già lasciato qualcuno ed era già stata lasciata a sua volta, quindi sapeva come funzionava e conosceva le regole: non chiamarlo, non cercarlo, non seguirlo (!), non inviargli messaggi, bloccarlo su ogni social network, non giocarsi la dignità. Conosceva le regole, ma le stavano strette, perché stavolta, in quella storia, ci aveva creduto talmente tanto da sentirsi quasi adatta a un futuro felice.»

La trama è molto semplice: si tratta di un amore andato a male, ormai finito da un pezzo, quando, un giorno, Tommaso la guarda mentre è seduta a leggere e lei lo prega di non piangere, e nell’aria galleggia la consapevolezza che ora è davvero finita. Anna cade in una profonda depressione, il mondo intero si schianta su di lei. Comincia a scrivere un diario di monologhi contando i giorni dalla fine, dalla separazione.

«E sembrava, dalla velocità con cui era sparito, che non avesse mai realmente avuto l’intenzione di restare, come se fin dall’inizio avesse saputo che prima o poi se ne sarebbe andato, come se fosse sempre stato di passaggio.»

Nella prima parte Anna deve fare i conti con i ricordi, con il dover andare avanti mentre spera che lui ritorni dicendo che era tutto uno scherzo. Però i giorni passano e nulla cambia, Tommaso è lontano e Anna comincia a chiedersi se il problema fosse lei con il suo modi essere.

Un libro che, tra una pagina e l’altra, fa pensare “è così che mi sento adesso”,che ti spinge a reagire con forza, a imparare, insieme ad Anna, a sanare le ultime ferite e fare a meno di lui. È facile immedesimarsi tra le righe di Susanna Cascini, tra le fragilità che fanno un po’ parte di tutti. La paura di non essere stati abbastanza, perfetti, o entrambe le cose. Semplicemente non essere. Non a tutti è concesso di tornare indietro per recuperare la storia quando l’amore finisce.

«Non è scritto da nessuna parte che qualcosa, solo perché è tanto bello, debba durare per sempre. Finisce tutto, finiscono anche le cose belle. L’importante è che ci siano state. Diamo per scontato che d’amore ce ne sia per tutti, ma non è così. L’amore è un miracolo. L’amore, quando arriva, non ci può dire quanto resterà. Siamo noi che pensiamo che sia “fino all’infinito e oltre” o “fino all’eternità”, ma l’amore, in realtà, come viene poi se ne va.»

Consigliato a chi, prima o poi, si troverà a guardarsi dentro per capire cosa è accaduto, a chi continua a provarci nonostante l’immensa paura di non farcela.

Serena Votano

 

D’amore si muore ma io no.

La quantità di caso che ci vuole per esistere è abbastanza incredibile; è una roba che uno è meglio che non ci pensi troppo che se no si rischia di impazzire o quantomeno gli vengono le vertigini e casca per terra.”

Ed è proprio con questa frase che inizio a parlarvi di lui, Guido Catalano, forse lo conoscerete, è l’ultimo poeta vivente, come lui stesso ama descriversi. Le storie che racconta funzionano perché sono in grado di unire l’alto e il basso, arricchite da una punta di sarcasmo e da emozioni in grado di lasciarti di stucco. 

Forse questo autunno invernale dentro la mia testa è dovuto al fatto che mi sento solo come un cane: “Ma tu quando ti senti solo, com’è ‘sta cosa? Che tipo di solitudine provi? Perché voi cani vi usano sempre per questi modi di dire stupidi?

D’amore si muore ma io no” racconta il mondo di Giacomo, poeta torinese che, tra amori impagliati e amicizie a base di pizza e serie tv (come tutti noi, forse), disavventure lavorative e il sogno di poter vivere di sola poesia. Durante un viaggio aereo verso Roma, incontra Agata, aracnologa, ed è subito colpo di fulmine.

Giacomo capisce che si tratta dell’amore della sua vita ma conosce il potere che questa cosa ha: di renderti felice e un attimo dopo infelice. È un rischio disposto a correre?

Se c’è una cosa che mi piace son le ragazze che mi fanno le domande. È così pieno di gente che parla e così raro trovare gente che abbia voglia di ascoltare e di domandarti.

Mi chiedo, alle volte, dove vadano a finire tutte le parole dette, dato che sono così poco ascoltate. Tanto parlare, poco ascoltare. Dove vanno a finire? Lo sapete voi?Probabilmente c’è una sorta di Purgatorio di parole, di pensieri, di frasi che sono state dette e che nessuno ha veramente sentito. “

La storia è attraversata e si mescola a discorsi semi-seri con la madre ultracorpo (secondo lui posseduta da un alieno) che non dorme mai, con Tonio Cartonio del Fantabosco, la cassiera troppo magra del supermercato sotto casa, con il collega del lavoro per cui usi solo un decimo del tuo cervello, con il sesso e la posta del Colon tenuta online e con il bulgaro Todor e i suoi proverbi.

C’è tanta poesia anche nei dialoghi, cercando il più possibile di ritrarre aspetti di una vita quotidiana in cui il lettore inevitabilmente si ritrova. Così come in ogni storia d’amore sorgono varie incomprensioni, incertezze, è inevitabile che arrivino, quando ci si mette a nudo davanti a un’altra persona.

Abbiamo tutti le stesse paure, le stesse avversità, finiamo per essere i muri di noi stessi, eppure continuiamo a sognare quell’amore così forte da levarci il sonno la notte.

Uno di quei libri-guida per ritrovare il piacere di lasciarci andare al sentimento senza scadere nel diabete o nella tragedia, una storia ordinaria, ironica a suo modo. Come sempre, il reading non rende quanto un libro, consiglio vivamente di ascoltare le sue poesie per capire in prima persona l’effetto che lasciano. Ricordo che scoprii Guido Catalano per una poesia intitolata “Ma meno male che ti amo” e di seguito un commento (non dirò di chi, anche perché non lo ricordo) “sconsiglio vivamente di leggere questo libro, a meno che non siate provvisti di un amore in corso” e dopo aver letto questo romanzo e varie poesie mi sento di consigliare Guido non solo a chi ha “un amore in corso” ma anche a chi se lo è lasciato scappare, a chi vive di disavventure e non nasconde di essere stato, almeno una volta nella vita, imbranato, buffo e incompreso. Non il solito libro ma qualcosa di diverso nelle giuste dosi.

Son quelle cose che ti capitano quando ti piace una. Quando ti piace un sacco una e ti sembra di piacerle. Quando ti sembra che tutto collimi, ti sembra che ci sia una specie di incastro miracoloso, che si rasenti la perfezione, che parlare con lei sia semplice e che le battute si incastrino quasi come ci fosse dietro uno sceneggiatore, uno scrittore che fa dire e fare e speriamo baciare i due, che tutto è giusto al momento giusto che sembra impossibile ma non lo è.

Son quei momenti che lo spazio e il tempo mutano e le leggi fisiche se ne vanno a zonzo e se adesso si mettesse a piovere io manco me ne accorgerei, sono ancorato ai suoi occhi con i miei di occhi, se la terra fosse scossa dal terremoto, non ne avrei coscienza, quantomeno fino al sesto grado della Scala Mercalli, se ci fosse un’invasione di extraterrestri incazzati, qui, proprio qui nel cielo di Collegno, io non mi accorgerei di nulla”.

Serena Votano

La bellezza invisibile della città

Vi capita mai di girovagare per la libreria alla ricerca di un libro da leggere? E ancora, vi capita mai di non sapere proprio decidere tra due libri?

Non vi dirò quel era la seconda scelta ma sicuramente la prima scelta è stata “Le città invisibili” di Italo Calvino. Ciò che mi convinse fu la “fine del romanzo”, lo scrivo tra virgolette poiché effettivamente leggendolo non c’è una fine univoca ma si vedono finali dappertutto, diceva più o meno così:

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

Una serie di città reali e città immaginarie raccontate da Marco Polo, frutto dei suoi viaggi e della sua immaginazione, che ogni sera appagano la curiosità dell’Imperatore dei Tartari Kublai Khan. Il dialogo tra questi due si suddivide in 9 capitoli con un’ulteriore divisione interna: 55 città con nomi di donne, suddivise in 11 categorie (dalla città della memoria alle città nascoste). Al suo interno si susseguono evocazioni di luoghi leggendari, contraddizioni umane, follia, le vie dell’immaginazione si intrecciano con quelle della realtà, il lettore vedrà queste città sorgere davanti ai suoi occhi.

Viaggi per rivivere il tuo passato?- era a questo punto la domanda del Kan, che poteva anche essere formulata così: Viaggi per ritrovare il tuo futuro? E la risposta di Marco:- L’altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà

Calvino non fa che spingere l’individuo a guardarsi intorno, riflettere sulle persone vicine e far capire che, piuttosto che legarsi passivamente alle persone potenti in maniera uguale, l’individuo deve scegliere con attenzioni chi avere accanto e sapergli dedicare tempo e spazio. E forse prendersi cura di questi ultimi.

Consigliato a chi è alla ricerca di un posto per sé, una città su misura per tutti coloro che hanno il desiderio di scappare dal passato e lasciare che un nuovo futuro prenda piede. Sarà fantastico scoprire come il passato lasciato alle spalle può essere il presente di qualcun altro.

Serena Votano