Lo Spirito del Natale: questione di cuore o di cervello anche in pandemia?

Il mese di dicembre, da tutti, viene inevitabilmente associato al Natale: si inizia a percepire un’atmosfera magica, di festa, di gioia, si incontrano i familiari e gli amici e si riscoprono valori importanti quali la solidarietà, la famiglia, la bontà. Se l’atmosfera natalizia di gioia mista a nostalgia è nota, ciò che potrebbe non esserlo è la localizzazione del famoso “Spirito del Natale” nel cervello umano.

Secondo Hougaar (ricercatore in neuroscienze), Lo Spirito del Natale si è diffuso, di generazione in generazione, sotto forma di un “fenomeno” noto da un punto di vista religioso e commerciale, ma non noto da un punto di vista neuro-biologico. A tale scopo, nel 2015, il ricercatore ed i suoi collaboratori condussero uno studio a Copenaghen in cui vennero coinvolti due gruppi:

  • Il primo conteneva 10 soggetti sani residenti a Copenaghen, che festeggiavano ogni anno il Natale,
  • Il secondo 10 soggetti sani, residenti nella stessa zona, che non celebravano le tradizioni natalizie.

L’obiettivo dello studio era l’esatta localizzazione dello Spirito Del Natale a livello corticale e dei meccanismi neuro-biologici coinvolti, motivo per il quale i due gruppi furono sottoposti alla metodica diagnostica della risonanza magnetica funzionale (Functional Magnetic Resonance Imaging, fMRI) mentre osservavano una serie continua di 84 immagini, mostrate per due secondi ciascuna. La serie era strutturata in modo tale da mostrare ad ogni singolo soggetto sei immagini consecutive aventi un tema natalizio, seguite da sei immagini consecutive non aventi un tema natalizio. Ciascun soggetto, inoltre, dopo essere stato sottoposto alla fMRI, veniva sottoposto ad un questionario contente una serie di domande per indagare sulle credenze, sulle tradizioni rispettate e sulle sensazioni avvertite durante il periodo natalizio.

LO SPIRITO DEL NATALE ESISTE DAVVERO NEL CERVELLO?

Lo studio dimostrò che nel gruppo dei soggetti amanti del Natale, secondariamente all’osservazione delle immagini natalizie, si attivavano delle aree cerebrali in modo molto più significativo rispetto al gruppo dei non amanti del Natale. Grazie a questi risultati, il gruppo di Hougaar identificò un network cerebrale del Natale, che corrispondeva a diverse aree cerebrali, quali:

  • Corteccia motoria primaria;
  • Corteccia premotoria sinistra;
  • Lobo destro inferiore;
  • Lobo parietale superiore;
  • Corteccia somatosensoriale primaria.

PERCHÉ QUESTE AREE CEREBRALI SONO COSI’ IMPORTANTI?

Studi precedenti hanno associato tali aree cerebrali alla spiritualità e al riconoscimento facciale delle emozioni.
Urgesi, noto psicologo e ricercatore in neuroscienze, nel 2000 aveva già dimostrato come i lobi parietali destri e sinistri giochino un ruolo fondamentale nell’autotrascendenza, ovvero il tratto di personalità che determina la propensione individuale alla spiritualità; mentre Balconi dimostrò nel 2013 come la corteccia premotoria esplichi un ruolo chiave per esperire emozioni condivise con altri individui, mettendo in atto gli atteggiamenti altrui e riflettendo lo stato emotivo altrui. Infine, Adolphs nel 2000 dimostrò che la corteccia somatosensoriale è indispensabile non solo per il riconoscimento facciale delle emozioni, ma anche per ricavare informazioni sociali in rapporto alle espressioni e ai volti altrui.

IL NATALE E ALTRE RISPOSTE NEURO-ENDOCRINE

Il Natale, se da un lato è la festa gioiosa per eccellenza, dall’altro riflette le abitudini stressanti della società moderna: le attività pre-natalizie innescano una risposta fisiologica nell’organismo con rilascio di adrenalina e cortisolo. Il secondo, l’ormone dello stress, esercita una profonda attività sull‘ippocampo, con successivo decremento della capacità di apprendere e ricordare nuove informazioni. Tuttavia, al di là dell’aspetto prettamente materialistico che potrebbe condurre il soggetto ad eventi stressanti, il Natale è per eccellenza il simbolo della famiglia: la sensazione di “calore” associata a questi momenti è dovuta in parte all’ossitocina, definita da molti studiosi l’ormone dell’istinto materno e dei legami umani.

LA PANDEMIA CI RUBERÀ’ IL NATALE?

il Natale è ormai alle porte, anche se i festeggiamenti saranno differenti rispetto a quelli degli anni passati. Se da un lato è indispensabile evitare un aumento dei contagi, dall’altro bisogna considerare le conseguenze devastati a livello psichiatrico: l’isolamento esacerberà i disturbi di ansia e i disturbi depressivi maggiori, tanto da considerare questo periodo una vera e propria “emergenza psichiatrica“.

Come dimostrato in uno studio condotto su 402 pazienti al San Raffaele di Milano nei mesi scorsi, i pazienti con una precedente diagnosi di patologia psichiatrica sono peggiorati ed il 56% dei partecipanti allo studio ha manifestato almeno uno di questi disturbiin proporzione alla gravità dell’infiammazione durante la patologia:

  • disturbo post-traumatico da stress nel 28% dei casi;
  • depressione nel 31%;
  • ansia nel 42%;
  • insonnia nel 40%;
  • sintomatologia ossessivo-compulsiva nel 20%.

Sono state riscontrate ripercussioni psichiatriche meno gravi nei pazienti ricoverati in ospedale rispetto ai pazienti ambulatoriali. In generale, infatti, le conseguenze psichiatriche da COVID-19 possono essere causate sia dalla risposta immunitaria al virus stesso, sia da fattori di stress psicologico come l’isolamento sociale, la preoccupazione di infettare gli altri e lo stigma.

 COSA CONSIGLIANO GLI ESPERTI?

Secondo molti psichiatri, i festeggiamenti (nel limite delle norme imposte dal governo) sono un fattore prognostico positivo nel contesto della cosiddetta “ansia da pandemia”; anche la programmazione delle vacanze natalizie rappresenta un ponte tangibile tra il presente, incerto ed angosciante, ed il futuro.

Caterina Andaloro

Bibliografia

  • Adolphs, R., Damasio, H., Tranel, D., Cooper, G., Damasio, A.R. (2000). A role for somatosensory cortices in the visual recognition of emotion as revealed by three-dimensional lesion mapping. Journal of Neuroscience, 20 (7), 2683-2690
  • Balconi, M., Bortolotti, A. (2013). The “simulation” of the facial expression of emotions in case of short and long stimulus duration. The effect of pre-motor cortex inhibition by rTMS. Brain and Cognition, 83, 114-120.
  • Hougaard, A., Lindberg, U., Arngrim, N., Larsson, H.B.W., Olesen, J., Amin, F.M., Ashina, M., Haddock, B.T.  (2015). Evidence of a Christmas spirit network in the brain: functional MRI study. TheBMJ, 351:h6266.
  • Urgesi, C., Aglioti, S.M., Skrap, M., Fabbro, F. (2010). The spiritual brain: selective cortical lesions modulate human self-transcendence. Neuron, 65 (3), 309-319

 

Caso Regeni, la procura di Roma chiude l’inchiesta: quattro gli accusati

Giorno 10 dicembre la procura di Roma ha ufficialmente chiuso le indagini sul caso dell’omicidio Giulio Regeni, il ricercatore friulano rapito, torturato e ucciso nel 2016 in Egitto.

Quattro membri della National Security egiziana sono accusati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate.

La Storia di Regeni

È il 25 gennaio 2016, Giulio, un ragazzo di 28 anni, è ricercatore all’Università di Cambridge e si trova in Egitto per svolgere una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani. Uscirà di casa, senza mai fare ritorno.

Solo il 3 febbraio verrà ritrovato il suo corpo privo di vita, seminudo e con segni evidenti di tortura, lungo la superstrada che collega il Cairo con Alessandria. Immediatamente partono le inchieste simultanee dalla procura di Roma e dalla procura del Cairo, con vari incontri tra gli inquirenti. Immediati, però, anche i tentativi di depistaggio da parte degli investigatori egiziani. Paventate le ipotesi di omicidio passionale e persino quello dello spaccio di droga. Moventi considerati sempre inverosimili dagli investigatori italiani.

Poi, il 24 marzo, in seguito ad un conflitto a fuoco in cui persero la vita cinque presunti sospettati dell’omicidio fu rivenuta la prima traccia di una pista collegata direttamente ai servizi segreti egiziani. Infatti, nella casa di uno dei sospettati fu ritrovato il passaporto di Giulio. Oltretutto le indagini rivelarono successivamente che a portare lì il documento fosse stato un agente della National security, i servizi segreti civili egiziani.

Roma richiamò il proprio ambasciatore al Cairo, lamentando la scarsa collaborazione egiziana nelle indagini. Dopo poco più di un anno l’Italia nominò un nuovo ambasciatore e i rapporti diplomatici tra i due paesi ripresero.

La svolta decisiva si ebbe nel dicembre del 2018, quando la Procura di Roma iscrisse nel registro degli indagati il nome di cinque militari egiziani ritenuti responsabili del sequestro di Regeni. É maggio del 2019 quando un supertestimone ascolta una conversazione tra uno degli agenti responsabili del rapimento e un altro poliziotto africano. Quest’ultimo rivelerà che Regeni fu ucciso dai servizi di sicurezza egiziani perché creduto una spia inglese.

(fonte: avvenire)

Il Resoconto della Procura

Il quadro che emerge è che Regeni sia stato seviziato e torturato per un totale di nove giorni con una ferocia sconcertante. Il tutto avvenuto «in più occasioni e a distanza di più giorni», con atti disumani: “perdita permanente di più organi”, “acute sofferenze fisiche”, “numerose lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico-dorsale e degli arti inferiori”, “urti a opera di mezzi contundenti”, “meccanismi di proiezione ripetuta del corpo contro superfici rigide ed anelastiche

Fondamentali le cinque testimonianze chiave raccolte dalla procura di Roma, di cui una racconta: «Ho visto Regeni nell’ufficio 13 e c’erano anche due ufficiali e altri agenti, io conoscevo solo i due ufficiali. Entrando nell’ufficio ho notato delle catene di ferro con cui legavano le persone… Lui era mezzo nudo nella parte superiore, portava dei segni di tortura e stava blaterando parole nella sua lingua, delirava… Era sdraiato steso per terra, con il viso riverso… L’ho visto ammanettato con delle manette che lo costringevano a terra…».

Oltretutto le sevizie che hanno portato alla morte del ricercatore, scrivono i magistrati, «sono avvenute per motivi abietti e futili e abusando dei poteri, con crudeltà …».

A rischiare il processo sono il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif per il reato di sequestro di persona pluriaggravato, e nei confronti di quest’ultimo i pm ipotizzano anche il concorso in lesioni personali aggravate– essendo stato introdotto il reato di tortura solo nel luglio 2017, dopo l’omicidio- e il concorso in omicidio aggravato.

Verità per Giulio

(fonte: Il Fatto Quotidiano)

Cosa state facendo per la verità?”, il grido a rompere un silenzio sempre più assordante.

Sono gli stessi genitori di Giulio Regeni a puntare il dito contro il governo, prevalentemente verso il premier Giuseppe Conte e del ministro degli Esteri Luigi Di Maio

Mentre con il passare degli anni emergono i dettagli sull’omicidio del ricercatore e in in parallelo si assiste alla vergogna dell’ergastolo cautelare immotivato per lo studente dell’università di Bologna Patrick Zaki, i rapporti diplomatici e commerciali tra l’Italia e l’Egitto proseguono indisturbati.

Ci si aspetterebbe una presa di posizione netta che non c’è stata; silenzio italiano che ben concilia con il silenzio del resto dell’Unione europea, culla di diritti umani e democrazia. Il motivo è abbastanza semplice: l’Egitto è un grande partner commerciale. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel non ha fatto cenno ai diritti umani nella sua recente visita al Cairo, il presidente del Parlamento europeo David Sassoli ha rilasciato invece dichiarazioni in proposito senza che però fossero seguite da misure concrete, mentre i leader dei principali paesi europei continuano a fare affari e a intrattenere, tranquillamente, relazioni amichevoli con il regime di Al-Sis.

L’ultimo episodio è stato il conferimento della Legion d’onore, da parte del premier francese Emmanuel Macron al presidente egiziano a Parigi.  Ci sarebbero gli estremi per un incidente diplomatico con l’Italia, grande partner francese costretta ad assistere a tutto questo nelle stesse ore in cui vengono diffuse le notizie sulle sevizie a Giulio Regeni.

Mentre l’Italia e l’Europa puntano il dito contro l’Ungheria di Viktor Orban, invocando il rispetto dello stato di diritto come presupposto per l’erogazione dei finanziamenti comunitari, dall’altro lato della medaglia spiccano l’indifferenza e l’omertà rispetto a ciò che succede oltre i propri confini continentali, anteponendo gli interessi commerciali ai diritti umani.

Manuel De Vita

Covid-19: primo cane positivo in Italia, infettato dai padroni. Nessun pericolo di contagio

Anche gli animali sono suscettibili al Covid-19?

Da alcuni studi di analisi biomolecolare e genomica condotti dall’Università della California a Davis, è stato reso noto che animali di diversi ordini e specie sono esposti al rischio di essere infettati dal nuovo SARS-CoV-2.

Questo perché in oltre 410 specie di vertebrati è presente il recettore ACE2 (Angiotensin Converting Enzyme 2). Esso permette al virus di legarsi alle cellule dell’epitelio polmonare, il quale consente di proteggere da stress, infezioni e infiammazione i polmoni.

Da tale ricerca risulterebbe confermata l’alta suscettibilità del gatto e in misura minore del cane.

La bassa suscettibilità nel cane e la sua carica virale

Cinque beagle sono stati inoculati con il virus per via nasale e alloggiati con due beagle non inoculati. I tamponi orofaringei e rettali di ciascun cane sono stati raccolti e studiati. L’RNA virale è stato rilevato solo nei tamponi rettali di due cani inoculati col virus, ma non in organi o tessuti. Inoltre, il virus non è stato trasmesso a nessun esemplare trattato. Questi risultati indicano che i cani hanno una bassa suscettibilità alla SARS-CoV-2 e scarsa carica virale.

Nonostante la rilevazione di tali dati, ci sono noti casi di cani infetti. Il primo si è verificato a Wuhan nel dicembre 2019. Ad inizio giugno è stato diagnosticato un caso in un pastore tedesco a New York, dal NVSL (National Veterinary Services Laboratories) degli USA. E, ancora, è stata confermata la presenza di due cani a Hong Kong e uno in Belgio.

E’ stato dimostrato mediante PCR con trascrizione inversa, sierologia, sequenziamento del genoma virale e isolamento del virus che ben 2 cani su 15 sono infetti (ricerche condotte a Wuhan). Gli esemplari in questione sono provenienti da famiglie con membri positivi.

Il caso italiano: il barboncino di Bitonto

Pochi giorni fa un caso analogo è stato rilevato a Bitonto (BA) dal Professor Nicola Decaro, Professore ordinario di malattie infettive degli animali presso l’Università di Bari e componente dell’Executive Board Del College Europeo di Microbiologia Veterinaria.

Un esemplare femmina di barboncino di un anno e mezzo è risultato positivo al Covid-19 con una carica virale bassa.

I padroni sono risultati positivi al test e sintomatici. E’ stata loro premura inviare i tamponi all’Università di Bari per eseguire gli accertamenti in accordo alle norme di legge.

Il primo tampone positivo sul cane risale al 5 novembre e l’esito è stato riconfermato dai successivi test molecolari. Gli animali non sono un pericolo per la nostra salute, piuttosto i padroni hanno trasmesso la malattia al loro animale.

Il Professor Decaro fin dalla prima ondata dell’epidemia si è occupato dello studio dell’andamento del virus negli animali d’affezione. Ad oggi erano stati accertati in Italia, soprattutto in Lombardia, casi di cani positivi al test sierologico. Il dato è interessante perché prova che gli animali in questione avevano contratto il virus in passato e sviluppato gli anticorpi.

 

A cosa vengono sottoposti i nostri amici a quattro zampe?

Il veterinario ASL sottopone l’animale al tampone, ripetendolo dopo 7 e 14 giorni successivi. I campioni vengono poi inviati all’IZS competente per territorio. In caso di positività, il tampone viene ripetuto fino a negativizzazione. E’ importante precisare che l’animale non viene allontanato dal nucleo familiare e , in ogni caso, non potrà essere sottoposto ad eutanasia.

Lo studio virologico prevede un prelievo di sangue o raccolta delle feci dell’animale nel caso in cui non sia trattabile. Il sangue viene trattato senza anticoagulate per il test sierologico. Inoltre l’animale può essere sottoposto al tampone nasale, faringeo e rettale. In caso di decesso dell’animale, è necessario allertare i Servizi Veterinari per l’invio delle carcasse alla sede dell’ IZS per  effettuare indagini post mortem. Questi segnalano all’ ASL, alla Regione e al Ministero della Salute tutti gli eventuali casi di positività.

Gestione degli animali da compagnia

Se il detentore di un animale d’affezione risulta positivo al covid-19, dovrà segnalare la presenza di animali domestici ai servizi sanitari dell’ASL.

  • In caso di infezione da COVID-19 in un nucleo familiare è raccomandato che gli animali restino presso la famiglia. La persona infetta deve evitare il contatto ravvicinato con l’animale.
    Se non fosse possibile detenere l’animale, esso potrà essere preso in custodia da terzi, i quali non dovranno avere contatti con il padrone dell’animale.
  • Se in un nucleo familiare una o più persone sono sottoposte a ricovero per COVID-19, l’animale verrà affidato a terzi disposti ad accudirlo presso il proprio domicilio o in quello originario preventivamente sanificato.

E’ bene puntualizzare che l’epidemia da SARS-CoV-2 è alimentata unicamente dalla trasmissione del virus tra individui umani o mediante il contatto con oggetti contaminati, senza alcun coinvolgimento di animali. Pertanto non abbandoniamo i nostri fidati amici, piuttosto preserviamo la loro salute.

Francesca Umina

Bibliografia

https://www.lescienze.it/news/2020/08/27/news/animali_rischio_covid-19_coronavirus-4785236/

https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/sars-cov-2-differenze-genere-possibilimeccanismi

Infezione da Sars-Cov-2 negli animali: incidenza e trasmissione

https://bari.repubblica.it/cronaca/2020/11/11/news/cane_positivo_covid_puglia273938357/

https://www.izsvenezie.it/wp-content/uploads/2020/04/ministero-salute-linee-guida-pets-covid19.pdf

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32408337/

https://science.sciencemag.org/content/368/6494/1016.long

 

 

 

 

 

Visoni e Covid: allarme allevamenti in Italia. La LAV lancia una petizione per la chiusura

fonte: ilmattino.it
Fonte: ilmattino.it

La Lav acronimo di Lega Anti Vivisezione, è un’associazione animalista italiana, scesa in campo negli ultimi giorni mostrando attraverso dei video alcune violazioni delle norme sanitarie in due allevamenti in Lombardia di visoni. Video che non lasciano spazio a interpretazione, centinaia di visoni rinchiusi in gabbie metalliche, al buio e privati di qualsiasi assistenza.

Strage di visoni in Danimarca

La Danimarca nelle ultime settimane è stata la carnefice dell’uccisione di oltre 1 milione e mezzo di visoni. Il paese noto produttore di pellicce a livello mondiale, di fronte alla sensibilità dei visoni al Sars Cov 2 ha ordinato l’abbattimento non solo degli animali contagiati ma di tutti quelli allevati nelle circostanze. Il destino brutale di questi animali, uccisi per via della loro pelliccia, risulta ancora più a rischio dal momento in cui vengono considerati un pericolo per la società , poiché portatori di coronavirus.

Studio Paesi Bassi

Seppur ancora non ci sia una corrispondenza certa tra i visoni, possibili trasmettitori del virus e le persone (possibili contagiati), uno studio condotto nei Paesi Bassi ha trovato una correlazione tra visoni e persone; almeno due persone di quattro allevamenti di visoni nel paese hanno contratto il virus dagli animali. Secondo questi studi, dunque, il passaggio del virus potrebbe essere avvenuto da uomo ad animale, e non viceversa. Cosi come gli animali possono trasmettere infezioni all’uomo (zoonosi), possiamo assistere anche al processo inverso, la trasmissione di malattie infettive dagli uomini ad altre specie viventi: zoonosi inversa. E’ il caso della Danimarca, dove sono stati abbattuti milioni di visoni a causa dell’identificazione di un nuovo ceppo di covid-19 dovuto ad una probabile mutazione del virus durante questi passaggi.
La mutazione del virus è quello che si teme di più: ricordiamo essere già avvenuta diversificando il virus cinese da quello europeo, dove quest’ultimo risulta essere molto più contagioso. Un’ennesima mutazione potrebbe portare il vaccino ad essere inefficace, laddove ad esempio, venisse a modificarsi proprio la proteina spike.

Le pessime condizioni degli allevamenti

Fonte: adnkronos.com
Fonte: adnkronos.com

I video pubblicati dalla Lav mostrano le condizioni dei visoni in due allevamenti in Lombardia. Rinchiusi in gabbie molto piccole metalliche (privati delle possibilità di scavare, arrampicarsi e nuotare), costretti a stare tra i loro escrementi, privati delle cure mediche necessarie (animali con ferite che urlano e animali morti lasciati nelle gabbie insieme a quelli ancora vivi). Non solo, i video mostrano come gli operatori del caso che dovrebbero accudirli, non indossino mascherina, guanti, occhiali di protezione, tutte violazioni delle norme di biosicurezza finalizzate a evitare la trasmissione del coronavirus provenienti da questi allevamenti. Inoltre la Lav tiene a precisare che i video diffusi siano stati registrati in uno degli allevamenti dove lo scorso agosto ci sono stati i primi casi documentati in Italia di visoni positivi al Covid-19.  In Italia in tutto ci sono 8 allevamenti di visoni: 3 in Lombardia, 2 in Veneto, 2 in Emilia Romagna, 1 in Abbruzzo.

Petizione Lav

Le associazioni animaliste si battono da anni per la chiusura degli allevamenti di visoni rimasti. La Lav ha lanciato una petizione per fare pressione sul governo, nel rispetto dei diritti dei milioni di visoni che vengono sterminati per la loro pelliccia. Peta, organizzazione no profit a sostegno dei diritti animali ha ribadito:

«Gli allevamenti di animali da pelliccia sono terreno fertile per la diffusione di pandemie. Proprio come gli allevamenti di visoni in Danimarca, Olanda, Spagna e Stati Uniti – che sono stati soggetti a focolai – gli allevamenti in Italia sono gremiti di animali malati, stressati e sofferenti che vivono in condizioni antigeniche, facilitando pertanto la diffusione della malattia. Invitiamo ancora una volta l’Italia a seguire le orme di tanti Paesi europei e chiudere tutti gli allevamenti».

Al momento la preoccupazione maggiore che proviene da questi animali, non riguarda la tutela della loro vita, ma il ruolo di serbatoio di virus che possono svolgere infettando l’uomo. Il virus trova terreno fertile in questi allevamenti a causa degli spazi estremamente limitati e delle condizioni di igiene pessime, con la possibilità come detto sopra di replicarsi e subire mutazioni. La possibile mutazione del virus, potrebbe comportare cambi di proprietà e di conseguenza una maggiore capacità infettiva ( più mortale). Sorge un nuovo interrogativo a proposito del mutamento del virus nei visoni:” è possibile che le mutazioni nei visoni abbiamo effetto sull’interazione tra virus e uomo, permettendo al virus di sfuggire agli anticorpi monoclonali utilizzati per difendersi da questo? La risposta al riguardo non è ancora chiara. Stiamo assistendo all’adattamento del virus in diverse specie (processo darwiniano), con la creazione di diverse mutazioni, però siamo ancora lontani dal dichiarare inefficaci vaccini o anticorpi monoclonali.

Eleonora Genovese

Accesso alle cure al tempo del coronavirus: qual è la situazione mondiale dei vari sistemi sanitari

Il presidente Trump dopo il ricovero - Fonte Repubblica.it
Il presidente Trump dopo il ricovero – Fonte Repubblica.it

La notizia di alcune settimane fa riguardante la positività del Presidente USA Donald Trump al Covid-19, oltre a creare sgomento e preoccupazione in vista delle elezioni, ha fatto pensare come tutti – senza distinzione di ceto, genere o etnia – siamo uguali davanti alla malattia.

Sfortunatamente, ad oggi non possiamo dire di godere della stessa uguaglianza in merito alle medicine ed alle prestazioni sanitarie. Il tema dell’accesso alle cure e della difficoltà nel poter godere in tempi ragionevoli delle terapie necessarie è una sfida costante di tutti governi, acuitasi ulteriormente durante l’emergenza pandemica.

Ma in che modo i diversi Stati si sono organizzati per gestire questa esigenza? Quali pratiche possono essere considerate virtuose e sostenibili?

Da un confronto di vari paesi effettuato dal Guardian nel 2016, è emerso che gli elementi necessari per un servizio sanitario efficiente sono:
– Un sistema sanitario non sempre completamente “gratuito”, ma calibrato in base al reddito del paziente;
– Un investimento pubblico costante nel tempo e ben distribuito sul territorio;
– Un personale sanitario e strutture proporzionati alla popolazione.

Tenendo conto della grandezza spaziale e demografica, ogni Paese necessita di interventi diversi per colmare lacune ed esigenze differenti. Per dare un’idea del fenomeno, potremmo confrontare tre paesi molto diversi come gli USA, l’Italia e la Germania. Ogni uno di essi ha seguito percorsi alternativi per tendere al medesimo risultato: garantire a tutti i cittadini l’accesso alle cure.

Gli USA, il paese il cui presidente consigliò in piena pandemia di bere disinfettante (salvo poi smentire, dicendo che si trattava di una banale provocazione) eccellono per l’altissimo livello delle strutture ospedaliere, probabilmente tra le migliori al mondo. Di contro, il prezzo per le terapie rimane particolarmente alto e nonostante l’Obamacare (riforma volta ad ampliare, ma non ad estendere in modo universale la copertura sanitaria) gli USA restano un paese in cui la principale forma di assistenza sanitaria è in mano alle assicurazioni private.

Per contro, l’Italia offre una copertura nazionale gratuita e a basso costo. Tuttavia, spesso ciò comporta ritardi, soprattutto in alcune regioni del paese che mancano di personale e strutture. Le assicurazioni private non sono molto diffuse proprio per la vasta copertura sanitaria fornita dallo Stato. Il Servizio Sanitario Nazionale si sostiene dunque sulla tassazione generale, non esattamente un grande affare se si tiene conto del fatto che l’Italia conta ogni anno circa 211 miliardi di euro di evasione (ISTAT).

Infine, la Germania può essere considerata una via di mezzo tra un sistema altamente privatizzato (USA) ed uno generalmente sostenuto alla spesa pubblica (Italia). La Germania – classificato 5° nell’Health Care System Performance Rankings – è il paese che più ha investito in Europa in ambito sanitario. L’85% della popolazione stipula un’assicurazione tramite associazioni non profit, dai costi molto bassi (15% dello stipendio). Le visite specialistiche sono coperte, le medicine sono pagate a parte, ma mantengono dei prezzi bassi.

Fonte vivienna.it

C’è da dire che molti paesi (l’Italia in particolare) sono andati incontro ad una serie di tagli alla sanità dopo la crisi finanziaria del 2008, aggravata dalla persistente regressione economica, che ha ricevuto un ulteriore spinta causata dal Covid-19. Oltre a questo, si assiste oggi a livello globale al c.d. doppio carico della modernità, ossia l’insorgere di nuove malattie pericolose anche per i paesi avanzati, insieme (ecco il secondo carico) alle sempre più frequenti patologie croniche collegate all’allungamento della vita di molti individui che vivono in condizioni di disabilità, necessitando assistenza continua.

Riportando il focus sull’Italia, è da tenere in considerazione il fatto che la gestione sanitaria è sempre stato un continuo braccio di ferro tra esigenze di cura e bilancio pubblico, tra Stato centrale e Regioni. Questo aspetto può essere risolto con una ponderazione sotto la triplice lente finanziaria, sanitaria e giuridica al fine di assicurare non solo l’accesso alle cure a tutti i cittadini senza discriminazioni economiche, ma anche senza discriminazioni territoriali. È in tal senso che in Italia oggi è precluso alle Regioni stabilire presupposti e criteri di erogazione di un medicinale ospedaliero quando questi criteri sono già stati stilati dallo Stato (al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza c.d. LEA).

In questo complicato contesto, la volontà politica funge da ago della bilancia: essendo numerose le strade percorribili, un occhio andrebbe gettato sul contesto ambientale, economico e sociale in cui l’autorità statale si trova ad operare. Di certo grandi territori comportano un impegno maggiore in termini di redistribuzione delle risorse, al fine di un miglior perseguimento degli obiettivi prefissati: da qui, una più stringente cooperazione aiuterebbe (e non poco).

Per usare le parole della Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, solo costruendo “a stronger European Health Union” si potranno affrontare le sfide prospettate dalla modernità. Di certo il rapporto salute – costi ha un minimo comun denominatore: “healthier we are, less we pay“, più investiamo in salute (globalmente intesa), anche prevenendo numerose malattie con stili di vita ed un ambiente più salutari, meno dovremo pagare in futuro.

In conclusione, sebbene i vari Stati percorrano strade diverse, il loro fine resta il medesimo: garantire l’accesso alla salute senza discriminazioni. L’importante è capire che queste “strade” coinvolgono una serie trasversale di operazioni, che solo in parte riguardano direttamente le spese sanitarie (pubbliche o private) e che richiedono – oggi più che mai – politiche ed interventi comuni che mirino a garantire una vera equità sociale nel lungo periodo.

Salvatore Nucera       

Fonti:
Di Rosa G., Diritto alle cure e allocazione delle risorse nell’emergenza pandemica, in SUPPLEMENTO NGCC, n.3, 2020 Consiglio di Stato, Sez. III, 29 settembre 2017, n. 4546, con commento di Tubertini C., L’assistenza farmaceutica fra tutela della salute e governo della spesa sanitaria, in Giornale di diritto amministrativo n-1, 2018

Medaglia d’oro alla memoria di Willy Monteiro e Don Malgesini, esempi di coraggio

E’ successo ieri 7 ottobre 2020: il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato, su proposta del Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, il decreto con il quale la Repubblica Italiana conferisce la medaglia d’oro alla memoria di Willy Monteiro Duarte e di Don Roberto Malgesini per il loro sacrificio e per l’esempio di coraggio offerto in merito alle tragedie che li hanno colpiti.

(fonte: adkronos.com)

 

Medaglia al Valor Civile per Willy

“Con eccezionale slancio altruistico e straordinaria determinazione, dando prova di spiccata sensibilità e di attenzione ai bisogni del prossimo, interveniva in difesa di un amico in difficoltà, cercando di favorire la soluzione pacifica di un’accesa discussione.”

Si legge nel comunicato della Presidenza della Repubblica, disponibile per la lettura sul sito ufficiale Quirinale.it, riguardo alla vicenda di Willy Monteiro Duarte. Lo studente di 21 anni è stato infatti ucciso lo scorso 6 settembre nei pressi di Colleferro (Roma) mentre tentava di sedare una rissa in cui era stato coinvolto l’amico. Fatale il suo incontro coi fratelli Bianchi e Mario Pincarelli, principali responsabili dell’avvenimento, che su di lui si sono avventati fino ad ucciderlo.

Il Presidente della Repubblica ha così voluto onorare la sua memoria conferendogli una Medaglia d’oro al Valor Civile per essersi prodigato ad aiutare l’amico in difficoltà.

I fratelli Marco e Gabriele Bianchi assieme a Mario Pincarelli si trovano al momento nel carcere di Rebibbia di Roma, così come disposto dal gip del Tribunale di Velletri Giuseppe Boccarrato, in attesa della sentenza che valuti le sorti dell’accusa aggravata di omicidio volontario. Di recente sono stati trasferiti nel braccio G9 (definito ‘Braccio degli infami’), che ospita rei di pedofilia e di violenza sulle donne, in seguito ad alcuni episodi di violenza di cui si sono resi protagonisti nei confronti di un detenuto di nazionalità marocchina.

 

(Willy Monteiro Duarte ritratto in una foto coi compagni di classe – fonte: cronacaonline.it)

Medaglia al merito civile per Don Roberto

Il comunicato prosegue con l’esegesi delle ragioni che hanno spinto il Presidente a conferire la Medaglia d’oro al Merito civile a Don Roberto Malgesini, ucciso lo scorso 15 settembre davanti la chiesa di San Rocco (Como) da uno dei bisognosi che era solito aiutare:

“Con generosa e instancabile abnegazione si è sempre prodigato, quale autentico interprete dei valori di solidarietà umana, nella cura degli ultimi e delle loro fragilità, offrendo amorevole accoglienza e incessante sostegno.”

Don Roberto era infatti conosciuto ed amato dagli abitanti del comune lombardo per gli aiuti che prestava ai più deboli della comunità, in particolare senzatetto e migranti. Il Prete degli ultimi, così veniva chiamato, perché capace di riconoscere negli occhi dei più deboli il volto di Dio.

Ad ucciderlo, un senzatetto di nazionalità tunisina affetto da problemi psichici. Secondo una prima ricostruzione, il movente dell’omicidio risiederebbe nel tentativo nascosto del parroco di rimpatriare l’uomo traendolo in trappola coi propri aiuti. Proprio in ragione di tal movente, poi ritrattato, è stato richiesto per l’imputato il parere di uno psichiatra.

E mentre la Presidenza della Repubblica decide di conferire la medaglia d’oro alla memoria del parroco, la città per cui ha servito fino alla morte, Como, gli ha invece negato la massima onorificenza dell’Abbondino d’oro.

(fonte: ilgiorno.it)

 

Il riconoscimento dopo la tragedia

Alla base del riconoscimento starebbe l’estremo sacrificio di due persone divenute modelli illustri per la comunità italiana. Willy viene infatti definito nel decreto come un esempio “per le giovani generazioni, di generosità, altruismo, coraggio e non comune senso civico”;

Malgesini, invece, lo si descrive come esempio “di uno straordinario messaggio di fratellanza e di un eccezionale impegno cristiano al servizio della Chiesa e della società civile”.

Due tragedie senza dubbio inaspettate e sentite, frutto di profonde falle nella società, da cui è dovere civico di ogni cittadino trarre esempio ed insegnamento affinché la loro memoria non vada sprecata.

 

Valeria Bonaccorso

Caso Vannini: con la sentenza d’Appello bis arriva la giustizia

(Flavia Scalambretti / AGF – Marco Vannini. fonte: agi.it)

Si assiste ad un nuovo risvolto per l’enigmatico ‘Caso Vannini’ a cinque anni dalla morte. E’ giunta ieri, 30 settembre 2020, la condanna, avvenuta per opera della Corte d’Assise d’Appello, a 14 anni per Antonio Ciontoli, ex sottufficiale della Marina Militare, per omicidio volontario con dolo eventuale e a 9 anni e 4 mesi per la moglie Maria Pezzillo e i figli Martina e Federico per concorso anomalo in omicidio volontario.

“Non c’è una condanna giusta, però dev’esserci un messaggio di giustizia”.

Queste le parole della madre Marina Conte pronunciate appena prima del processo d’Appello. Si tratta di un evento che fa presagire, forse, la fine di una triste storia della cronaca italiana. Tuttavia, i genitori di Marco non abbassano la guardia: ad aspettarli, il processo di Cassazione che deciderà definitivamente le sorti della vicenda.

Cosa accadde la notte tra il 17 e il 18 maggio 2015

Marco Vannini, 20 anni si trovava nella villetta di Ladispoli (Roma) della fidanzata Martina quando venne raggiunto da un colpo d’arma da fuoco che gli trapassò il braccio bloccandosi nella schiena e provocando un’emorragia interna, avvenimento che risultò fatale solamente ore dopo. A spararlo, il padre della fidanzata Antonio Ciontoli. Secondo la versione di quest’ultimo, Marco si era dimostrato interessato alle armi che il soggetto aveva recuperato in bagno, ove si trovavano appunto la vittima con la fidanzata. Per errore sarebbe poi partito un colpo che, secondo l’imputato, avrebbe ferito Vannini al braccio.

La prima chiamata ai soccorsi avvenne una ventina di minuti dopo da parte di Federico Ciontoli e venne interrotta dalla madre Maria, solo per essere ripresa ancora una ventina di minuti dopo. Nel frattempo, la famiglia si adoperava ad estrarre il bossolo del proiettile dalla ferita e ripulire la scena del delitto con Marco ancora in vita ed agonizzante. Le sue urla verranno percepite ancora per un’ora. Sopraggiungerà infine l’elisoccorso per trasportare il ferito al Policlinico Gemelli: nulla da fare, Vannini muore alle ore 3 del 18 maggio.

(Marco Vannini con la famiglia Ciontoli – fonte: thesocialpost.it)

L’iter processuale

La sentenza di primo grado del 14 aprile 2018 aveva condannato Antonio Ciontoli a 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale e la famiglia (esclusa Viola, fidanzata del fratello Federico presente quella sera ed assolta) a 3 anni per omicidio colposo. La volontarietà dell’omicidio sarebbe dipesa dall’omissione dei soccorsi e dal tentativo di ritardarne l’intervento, con la coscienza di causare la morte del ragazzo. La sentenza venne poi revisionata in grado d’Appello, ove i giudici dichiararono l’omicidio come colposo e ridussero la pena a 5 anni per il principale imputato. Tra le proteste della famiglia e dei manifestanti, la Cassazione decise di annullare la sentenza d’Appello il 7 febbraio 2020 ed ordinò un nuovo giudizio.

Si giunge così all’Appello bis, davanti alla Corte d’Assise, che ripristina l’originale condanna per Ciontoli e stabilisce una pena di 9 anni e 4 mesi per la famiglia con l’aggiunta del concorso anomalo, così come richiesto dal procuratore generale Vincenzo Saveriano durante la requisitoria del 16 settembre scorso. Si aspetta, infine, il giudizio di Cassazione.

(Marco coi genitori Valerio e Marina – fonte: thesocialpost.it)

Le parole degli avvocati

La settimana precedente al processo d’Appello Bis, l’avvocato difensore di Ciontoli, Andrea Miroli, ha indicato le richieste della famiglia come un tentativo di vendetta, “Ciontoli deve essere condannato per quanto ha fatto come richiede la giustizia”, ha aggiunto.

La risposta di Franco Coppi, difensore della famiglia Vannini, è giunta immediata: “Nessuna vendetta, non sappiamo che farcene del denaro. Per la difesa staremmo a speculare sul cadavere di Marco, per fare soldi sta scritto nell’intervento dell’avvocato Miroli che saremmo qui per vendetta. Strana lezione che viene da chi ha svuotato i conti, chi ha mentito fino alla morte di Marco, ha mentito ai familiari, ai soccorritori, strana lezione per chi ha tentato di corrompere il medico del pronto soccorso, inducendolo a commettere un reato”.

Il giudizio si è poi chiuso con la richiesta di perdono da parte di Antonio Ciontoli, non accordato dalla madre della vittima Marina che ha affermato che il perdono dovrebbe chiederlo a sé stesso.

“La giustizia esiste e non dovete mai demordere, dovete sempre lottare.”

E’ l’ultima dichiarazione rilasciata da Marina Conte, tra le lacrime di commozione, all’uscita dal processo.

 

Valeria Bonaccorso

 

Sistema EPI: arriva una piattaforma unificata di pagamenti per l’Europa

Negli ultimi giorni l’acronimo EPI o PEPSI ha dominato la scena europea. Il sistema unificato di pagamento europeo, definito appunto EPI – European Payments Initiative o PEPSI – PanEuropean Payment System Initiative, è un progetto proposto dalla Commissione UE e dalla BCE e promosso da 16 banche continentali di cinque Paesi, ovvero Francia, Germania, Spagna, Belgio e Paesi Bassi per creare una nuova piattaforma unificata di pagamenti. Tra le banche che hanno dato il sì al sistema spiccano gruppi bancari di rilievo, tra cui BNP Paribas, BBVA, Crédit Agricole, Deutsche Bank, Societé Générale, Unicredit (solo con la controllata tedesca), e molte altre. L’EPI entro il 2022 farà quasi sicuramente concorrenza a Visa, Mastercard, Google Pay, Alipay, Paypal, e altri sistemi di pagamento ampiamente diffusi.

Tra i nomi non figura l’Intesa Sanpaolo, l’UBI Banca e il Banco BPM, seduti inizialmente al tavolo dei lavori ma poi intenzionati ad allontanarsi dal progetto. Tra le motivazioni, soprattutto per Intesa Sanpaolo, non è ben vista la prevalenza di un’impostazione obsoleta di pagamento e l’influenza quasi soffocante della Germania. Si vorrebbe preferire, invece, il modello italiano del Pagobancomat (che consente effettuare operazioni di pagamento presso tutti gli esercizi commerciali convenzionati), non voluto però per il progetto EPI. Inoltre, il sistema EPI era stato inizialmente ideato con una struttura per fare bonifici istantanei in grado di superare il sistema di carte di credito (con uno schema c.d. Sct Inst) , ma ha poi incluso un progetto di carta collegato a Mastercard, quindi quasi del tutto lontano da una matrice totalmente europea.

La BCE, comunque, si mostra con un grande sorriso dopo la notizia, affermando che l’obiettivo dell’EPI sia:

offrire una soluzione di pagamento digitale che possa essere utilizzata ovunque in Europa, […] e che sostituisca il panorama ancora frammentato che esiste attualmente”.

Il Covid-19 ha, infatti, accentuato la necessità di concretizzare l’idea.

Posto in essere come soluzione di pagamento paneuropea unificata, tra i servizi offerti fornirebbe carte di pagamento per consumatori e commercianti in tutta Europa, un portafoglio digitale (wallet) – che permette ad un individuo attraverso l’uso di dispositivi elettronici come computer o smartphone di eseguire transazioni online o in un negozio fisico -, bonifici istantanei e invio e ricezione di pagamenti tramite messaggi.

Si potrebbe pensare addirittura di arrivare a coprire il 60% di pagamenti elettronici in Europa, seppur siano previsioni fin troppo ottimistiche.

E’ un sistema del tutto nuovo?

No, già nel 2011 le banche all’interno dell’UE avevano pensato a un sistema simile, chiamato Monnet. Fu abbandonato nel tempo a causa dei contrasti politici.

Quale sarà la reazione dell’Italia?

Sembrerebbe un sistema che possa accelerare un processo di costruzione di una visione unica in Europa dal punto di vista finanziario. L’Italia si troverebbe coinvolta nel sistema una volta approvato e reso operativo tra tutti i Paesi membri.

Già dal 1 luglio la nostra penisola ha visto alcune modifiche nel sistema di pagamenti bancari, vietando a chiunque nel territorio di pagare in contanti per una somma superiore a 2000 euro. Provvedimento sicuramente utile per incentivare pagamenti con carte e bancomat, potrebbe garantire in futuro anche alle piccole imprese degli incentivi per pagamenti digitali. Prima di questo provvedimento il tetto massimo di pagamento in contanti era 3000 euro, adesso quindi inferiore, ma potrebbe scendere fino ad un massimo di 1000 euro dal 1° gennaio 2022.

Saranno questi provvedimenti a garantire una circolazione rapida e sicura di ricchezza nel sistema europeo? L’Europa e l’Italia si troveranno pronti a privilegiare questi nuovi sistemi di pagamento? A queste domande, ad oggi, è difficile rispondere, seppur l’obiettivo comune degli Stati membri sia orientato al progresso anche in campo economico-finanziario e questi strumenti potrebbero costituire una valida risposta.

Contenuto realizzato in collaborazione con Starting Finance Club Messina

Rossana Arcano

La Banca Centrale Europea, la “mamma” delle banche d’Europa

Spesso i media parlano di politica fiscale e politica monetaria, di emissione di moneta, di finanziamento del deficit, e così via. Sapevate che il Governo non può stampare moneta? E sapevate che, in quanto membri dell’UE, il sistema monetario italiano è tutelato e vigilato da un organismo sovranazionale, chiamato Banca Centrale Europea? Vediamolo insieme.

E’ necessario fare innanzitutto una chiara distinzione tra le due forme di politica citate:

  • La politica fiscale è attuata dal Governo, e comprende interventi tramite la spesa pubblica, i trasferimenti (=a favore di famiglie e imprese per scopi sociali o produttivi, es. contributi sociali, assegni familiari, pensioni, incentivi alla produzione) e il prelievo fiscale (=imposte);
  • La politica monetaria è attuata dalla Banca Centrale, in Europa dalla Banca Centrale Europea, ed è attuata tramite l’offerta monetaria (=banalmente, lo stock di moneta inserito nel sistema economico) e il tasso d’interesse.

Cos’è la BCE?

La Banca Centrale Europea, abbreviato BCE, è la banca centrale adottata dai 19 Stati membri dell’Unione Europea che hanno aderito all’euro come moneta comune. 

La Banca Centrale Europea e le banche centrali nazionali, insieme, costituiscono l’Eurosistema, il sistema di banche centrali dell’area euro. 

Qual è l’obiettivo della BCE?

Facendo riferimento all’articolo 105 del trattato di Maastricht, che nel 1992 sancì in modo ufficiale la nascita dell’UE, dopo i primi passi mossi fin dal 1951, il principale obiettivo dell’Eurosistema è mantenere la stabilità dei prezzi, ossia salvaguardare il valore dell’euro. Infatti, l’art. 105 recita:

L’obiettivo principale del SEBC (Sistema Europeo delle Banche Centrali) è il mantenimento della stabilità dei prezzi.

La BCE è libera di svolgere le proprie funzioni?

La BCE è un’istituzione politicamente indipendente, e con ciò si concilia il raggiungimento dell’obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi. Nel caso vi sia una dipendenza politica da parte della banca centrale, più precisamente una “dominanza fiscale” sulla politica monetaria, i governi potrebbero ricorrere al finanziamento monetario del disavanzo (= combattere il disavanzo di bilancio – uscite > entrate – con l’emissione di nuova moneta) con maggiore frequenza e questo potrebbe causare un alto livello d’inflazione. 

L’indipendenza politica è sancita dall’articolo 104 del trattato di Maastricht e dall’articolo 7 dello statuto del SEBC.  

Riportando l’art. 104:

È vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della BCE…alle amministrazioni statali […] o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della BCE o delle Banche centrali nazionali.

Nessun governo o ente pubblico può, quindi, influenzare la BCE o le Banche Centrali Nazionali che fanno parte dell’Eurosistema e convincerle a modificare il proprio comportamento in modo da favorirle nell’attuazione della politica monetaria. 

Ad ogni modo, l’indipendenza per la BCE comporta anche degli oneri (=costi), in termini di necessità di trasparenza e in riferimento anche all’enorme peso delle responsabilità delle proprie azioni e strategie.

Cos’è il SEBC?

Il Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) è composto dal governatore della BCE e dai governatori delle banche centrali di tutti i paesi membri dell’UE. L’Eurosistema, invece, è parte del Sistema Europeo delle Banche Centrali, poiché è formato dal governatore della BCE e dai governatori delle Banche Centrali dei paesi che hanno adottato l’euro come moneta legale (attualmente 19 paesi).

Nonostante il SEBC sia un sistema più ampio, l’Eurosistema è quello fondamentale e importante ai fini della politica monetaria.

Per raggiungere l’obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi, l’Eurosistema formula le proprie decisioni di politica monetaria su due approcci analitici complementari detti “due pilastri”: l’analisi monetaria e l’analisi economica.

L’implementazione delle decisioni relativa alla politica monetaria avviene attraverso gli strumenti di cui si avvale l’eurosistema. Questi strumenti sono:

  • operazioni di mercato aperto  (=acquisto/vendita titoli di Stato);
  • operazioni su iniziativa della controparte (standing facilities) (finalizzate a iniettare o assorbire liquidità nel mercato monetario);
  • riserva obbligatoria (percentuale dei depositi bancari per legge tenuta sotto forma di contanti o di attività facilmente liquidabili).

 

Quali sono gli organi direttivi della BCE?

Gli organi decisionali della BCE sono il Consiglio direttivo, il Comitato esecutivo e il Consiglio Generale. Nel dettaglio:

  • Il Consiglio direttivo stabilisce la politica monetaria dell’Eurozona e fissa i tassi d’interesse applicabili ai prestiti erogati alle varie banche;
  • il Comitato esecutivo attua la politica monetaria, gestisce affari, riunioni del Consiglio direttivo ed esercita i poteri delegati da questi ultimi;
  • il Consiglio generale ha funzioni consultive e di coordinamento e preparatorie per un eventuale allargamento dell’Eurozona.

Vi è poi il Presidente della BCE, che rappresenta la banca nelle riunioni interne ed internazionali. Attualmente, ricopre la carica Christine Lagarde prendendo il posto dal 1° novembre 2019 di Mario Draghi. Lagarde era precedentemente ministra dell’Economia, dell’Industria e dell’Impiego in Francia, poi direttrice del Fondo monetario internazionale.

La BCE è quindi la madre delle banche nazionali appartenenti all’Eurozona, che vigila sul loro operato e fornisce gli strumenti finanziari con le opportune cautele e misure di regolamentazione. La moneta non si distribuisce senza un chiaro criterio, ma questo è un’altra analisi che spiegheremo presto.

 

Contenuto realizzato in collaborazione con Starting Finance Club Messina

Marco Amato

Rossana Arcano

Repubblica e la guerra contro i pirati del giornalismo: la Procura di Bari chiude 19 canali Telegram

Ha avuto inizio già qualche settimana fa la guerra tra Repubblica e gli svariati canali pirata di Telegram. E la prima manche sembra proprio essersela aggiudicata il quotidiano più diffuso in Italia con l’ordine di sequestro da parte della Procura di Bari di 19 canali Telegram, colpevoli di diffondere gratuitamente quotidiani, periodici e libri gratuitamente.

E’ stato Repubblica stesso ad allertare circa questi nodi di pirateria presenti sull’app di messaggistica pubblicando un’inchiesta il 15 Aprile scorso contro i social che diffondono copie di molti giornali a pagamento clonate e rese virali nei sistemi di canali di Telegram. 

Da qui la Procura di Bari ha avviato un’indagine che ha portato la chiusura dei canali incriminati anche se, come riporta Repubblica, i gestori sono ancora da identificare. A questi ultimi si contestano una serie di reati in materia di violazione del copyright.

Tra i più gravi, il reato di riciclaggio che Telegram , conferma la Procura di Bari, sembra non aver mai voluto contrastare collaborando all’indentificazione e spegnimento dei canali pirata aperti sulla sua piattaforma.

"Canali pirata ,sequestrati 19 canali dalla procura di Bari "Al contrario di essersi sempre spesa per “far perdere le tracce dell’origine illecita” l’app avrebbe compiuto una vera e propria operazione di “ripulitura”, assimilabile – secondo recente Cassazione – a quella che viene operata per il denaro provento di illeciti o per le opere d’arte rubate. (fonte Repubblica.it)

E’ questa è una delle tante risposte che ha espresso il quotidiano ,cioè quello di abbattere il “nemico” con un impedimento di entrata al server iniziale del canale .

La lotta è appena iniziata, perché come ha espresso Repubblica sono stati copiati non solo quotidiani  ma anche giornali mensili o settimanali e ed eBook a pagamento.

Un’ inchiesta per mettere al tappeto tutta la pirateria che sta “giocando alle loro spalle”. Sono tantissimi gli utenti – almeno mezzo milione – che navigano all’interno di questi canali per prendere informazioni, in modo gratuito e non curante delle svariate conseguenze .

La stima delle perdite subite dell’imprese editoriali è allarmante –scrive la Fieg- In un’ ipotesi altamente conservativa ,si parla di 670mila euro al giorno ,circa 250 milioni di euro all’anno . Un dato che dovrebbe indurre l’autorità di garanzia del settore ad intervenire senza ulteriori indugi , con fermezza con provvedimenti anche esemplari

La dichiarazione della Fieg parla chiaro: non possono andare avanti tutti coloro che spalmano notizie nei vari canali Talegram o Whastapp tramite Pdf.

Bisogna fermare tutto prima che sia troppo tardi perchè ciò rischia di mettere in pericolo un settore – quello dell’editoria – già economicamente indebolito dall’abitudine dei lettori a sostituire l’informazione giornalistica con l’informazione online gratuita.

Dalila De Benedetto