Corte Suprema messicana: il consumo di marijuana sarà depenalizzato

Lunedì 28 giugno la Corte Suprema messicana ha ufficialmente depenalizzato il consumo di marijuana a scopo ricreativo. La decisione è arrivata dopo che otto degli undici membri del tribunale hanno giudicato incostituzionale una serie di articoli della legge messicana sulla marijuana che ne vietavano in precedenza il consumo.

Fonte: Il Primato Nazionale

La sentenza della Corte rappresenta un importante passo in avanti nella lotta al vasto impero del narcotraffico in territorio messicano, tanto che il presidente della Corte Arturo Zaldivar ha definito quella di ieri «una giornata storica per la libertà».

La Corte Suprema non mette fine al dibattito politico

Già da mesi si era aperto in Messico un ampio dibattito politico sul tema marijuana, dopo che una più ampia legge sulla depenalizzazione della vendita e del consumo della sostanza era rimasta bloccata in Senato: il 10 marzo la Camera dei Deputati aveva approvato il disegno di legge, allora in attesa di votazione al Senato, la quale maggioranza aveva tuttavia manifestato l’intenzione di rinviare la discussione finale a settembre. Questo perché la legge emanata dalla Camera dei Deputati ‘’conteneva incongruenze’’, come dichiarato dal coordinatore parlamentare del partito Morena al potere.

Diverse organizzazioni civili e studiosi hanno fatto notare che la decisione della Corte Suprema, seppur plaudita, non chiuderà definitivamente il dibattito, dal momento che la sentenza autorizza solamente alla coltivazione e al consumo di piccole quantità, senza dire niente in merito al possesso e al trasporto della marijuana.

“La decisione [della Corte Suprema] non pregiudica il quadro della giustizia penale e lascia un vuoto giuridico per quanto riguarda il consumo, la coltivazione e la distribuzione della cannabis”, ha dichiarato su Twitter l’ong (organizzazione non governativa) Mexico United Against Crime.

Anche Jorge Hernandez Tinajero – attivista per la regolamentazione della cannabis in Messico dagli anni ’90 – si esprime a riguardo, criticando l’incapacità dei legislatori nel ‘’regolare realtà’’ come il possesso e la commercializzazione della marijuana.

La sentenza del più alto organo legale del Paese farebbe dunque del Messico il paese più popolato al mondo a legalizzare il commercio e l’uso a scopo ricreativo della marijuana (fino a 28 grammi consentiti anziché i 5 attuali, secondo il testo di legge), solo se opportunamente integrata da una riforma come quella approvata dalla Camera bassa del Parlamento messicano lo scorso marzo – ha fatto notare il New York Times.

I cartelli della droga e la repressione dell’esercito messicano

Il principale motivo per cui quello della marijuana viene considerato uno dei maggiori temi caldi in Messico è legato alle implicazioni dei potentissimi cartelli della droga nella spirale di violenza nella quale è precipitato il Paese dal 2006, anno in cui era stata lanciata una controversa operazione militare antidroga dall’allora governo federale con a capo il presidente Felipe Calderon.

Secondo un’analisi condotta nel 2020 dall’Agenzia del Congresso degli Stati Uniti per le ricerche, la guerra dell’esercito messicano contro i cartelli della droga ha causato circa 150 mila morti dall’anno in cui ha avuto inizio la repressione e circa 72 mila messicani scomparsi. Cosicché nel 2020 sono ben 35.484 gli omicidi che è stato possibile ricondurre ai cartelli della droga.

Guerra messicana della droga. Fonte: Wikipedia

Un percorso di legalizzazione senza precedenti

Il potenziale della legalizzazione della cannabis contro lo strapotere dei narcos (narcotrafficanti dell’America latina) è dimostrato dal calo fino al 30% degli introiti dei cartelli messicani – secondo quanto stimato dalla Rand Corporation – così come anche dalla diminuzione di sequestri di marijuana al confine tra Messico e Stati Uniti, in seguito alla graduale autorizzazione negli ultimi decenni del commercio e dell’uso della canapa, anche a scopo ricreativo, in 15 Stati degli Stati Uniti.

Fonte: BBC

Il percorso nella legalizzazione delle droghe leggere in Messico rappresenta un precedente nel mondo anche grazie ad un inedito a livello costituzionale: una sentenza della Corte Suprema del 2015, confermata nel 2018, ha accolto il ricorso sul “diritto al libero sviluppo della personalità in base alla dottrina costituzionale” della Sociedad Mexicana de Autoconsumo Responsable y Tolerante. In tal modo, i giudici messicani hanno riconosciuto il diritto fondamentale alla libertà personale nell’uso della cannabis come primaria argomentazione rispetto al dibattito sulla salute pubblica e sulle ripercussioni sociali del divieto.

Effetti della stretta sulla droga in Italia

Le reti del traffico di droga vanno ben oltre l’America Latina, con un potere e un mercato delle mafie esteso pressoché in tutto il mondo e con importanti ripercussioni sullo sviluppo delle società e delle loro economie legali.

In Italia, ad esempio, gli affari delle mafie si intrecciano con quelli dei narcos che, contrariamente a tutti i buoni propositi che si intenderebbe promuovere con la stretta sulla droga, finiscono invece con l’essere sempre più rafforzati da quest’ultima.

Emblematico a riguardo, l’applicazione della legge Fini-Giovanardi con la quale, tra il 2006 e il 2014, era stata abolita la distinzione tra droghe leggere e pesanti, provocando un aumento di carcerati tossicodipendenti e di spacciatori che vendevano in strada eroina e droghe sintetiche. Motivo per cui il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho avrebbe in più occasioni dichiarato che la legalizzazione delle droghe leggere “sottrarrebbe terreno al traffico internazionale” permettendo alla magistratura italiana di “concentrarsi sul livello alto delle organizzazioni criminali”.

Gaia Cautela

Via alle somministrazioni dei vaccini anti-covid ai più giovani. Ecco come fare

Finalmente da oggi, giovedì 3 giugno, il via alle prenotazioni per gli under 40 dei vaccini. I vaccini stanno arrivando anche in Sicilia, a discapito delle preoccupazioni avanzate nei giorni precedenti non vi è stato alcun ritardo rispetto alle altre regioni.

«Da domani – ha evidenziato ieri il presidente della Regione Nello Musumecinell’Isola, quindi, chiunque potrà vaccinarsi. È un’occasione da non perdere per arrivare il prima possibile all’immunizzazione di massa: solo in questo modo potremo affrontare i prossimi mesi con più serenità. Mettersi al sicuro, con il vaccino, è l’unica strada possibile per uscire presto e definitivamente dal tunnel della pandemia».

La situazione Covid in Sicilia

Sono passate circa tre settimane da quando la Sicilia è divenuta zona gialla e nel frattempo il contagio resta stabile in Sicilia, con la provincia di Catania ancora in cima alla “classifica contagi”. Risultano 289 i nuovi contagi, con oltre 13 mila tamponi effettuati nelle ultime 24 ore, portando il totale da inizio epidemia a 226.135, ma fortunatamente i ricoveri sono in calo.

Dati rincuoranti per quanto riguarda i soggetti vaccinati, ammontano a oltre 2.665.703 ; tuttavia, la Sicilia vede comunque lontana la zona bianca, che potrebbe arrivare non prima dell’inizio dell’estate.

Da oggi è stato previsto l’innalzamento del range d’età dei soggetti vaccinabili: tutte le persone dai 16 ai 40 anni potranno prenotarsi per ricevere il vaccino anti-covid.

 

 

L’avvio in Sicilia era in forse per la mancanza di dosi ma nelle prossime ore arriveranno oltre 268 mila dosi di Pfizer, poi, venerdì altre 85 mila di AstraZeneca di cui attualmente le scorte sono ridotte al minimo (solo 36 mila in tutta l’Isola e attualmente sono utilizzate per i richiami) e ulteriori 60 mila tra Moderna e Johnson&Johnson (monodose che potranno essere utilizzati su richiesta dell’interessato).

Una volta avuta la certezza della disponibilità, la struttura commissariale regionale ha autorizzato Poste Italiane a caricare i dati sul portale attraverso il quale sarà possibile fissare l’appuntamento.

Ma non tutti avranno la possibilità di vaccinarsi immediatamente. Le prenotazioni saranno infatti diluite nell’arco di 30 giorni, anche perché la vaccinazione di massa prosegue contemporaneamente per le altre categorie degli aventi diritto e per i richiami. I tempi stimati comunque – assicurano dalla Regione – non dovrebbero superate i 20 giorni di attesa.

Vaccinarsi è importante

“Stiamo distribuendo 3,5 milioni di Pfizer che ci darà modo di partire a giugno.” Lo ha detto il commissario per l’emergenza Francesco Figliuolo inaugurando l’hub vaccinale nella sede di Confindustria a Roma. “A giugno daremo la spallata al virus con l’arrivo di oltre 20 milioni di dosi.”

Da oggi partono anche in Sicilia le prenotazioni ai vaccini anti-covid per over 16, proprio sulla base delle indicazioni di Figliuolo.

La piattaforma è ancora una volta quella di Poste Italiane (https://testcovid.costruiresalute.it/), che ha messo a disposizione della regione la propria rete di ATM Postamat, i portalettere e un numero per gli SMS (339 9903947), al quale inviare il proprio codice fiscale. Entro 48-72 ore, si verrà quindi ricontattati per procedere alla scelta del luogo e alla data dell’appuntamento. Il servizio è attivo 24 ore su 24 senza costi aggiuntivi.

Analizziamo passo passo la procedura:

A disposizione dei candidati anche il numero verde 800 00 99 66, attivo soltanto dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle 18. Sul portale della regione Sicilia, anche la possibilità di inoltrare in anticipo alcuni documenti, mediante cui sarà possibile le proprie generalità rispondendo ad alcune domande (modulo C) e soprattutto il consenso informato (modulo D), per velocizzare la procedura poi in sede di vaccinazione.

Per prenotarsi sarà poi necessario inserire sul portale il numero della tessera sanitaria e il codice fiscale.

Verranno indicati i punti vaccinali più vicini alla residenza, con giorni e orari disponibili. Selezionata l’opzione più gradita, arriverà un SMS di conferma dell’appuntamento.

“Non dobbiamo sprecare questa crisi, dobbiamo assumere impegni per il futuro di questo paese e questo significa difendere il Servizio sanitario nazionale con tutte le forze, chiudere la stagione dei tagli e aprire una e di grandi investimenti”. Così il ministro della Salute Roberto Speranza all’inaugurazione dell’hub vaccinale nella sede di Confindustria a Roma.”Lo sviluppo economico e sociale del paese – aggiunge – ha nella vittoria della battaglia sanitaria la sua premessa”.

“Serve un patto per il Paese che declini e gestisca questa fase, che speriamo sia l’ultima di un’epidemia che ci ha fatto perdere tante vite umane. Si apre la possibilità di trasformare una crisi in una grande opportunità di ripartenza”. “Nessuno ce la fa da solo, non il governo, non il commissario, non un ministro, non le regioni – ha aggiunto – dobbiamo ripartire insieme

Manuel De Vita

Un altro capitolo del caso Biot: espulso un diplomatico italiano dalla Russia

E’ arrivata la “risposta” russa al caso Biot. Il Ministero degli Esteri russi ha lasciato solo 24 ore di tempo a Curzio Pacifici, per lasciare il Paese. Definito “persona non grata”, Pacifici, è funzionario dell’ambasciata italiana a Mosca, che lavorava come assistente addetto alla Difesa e addetto navale.

Curzio Pacifici (fonte: il Messaggero)

La decisione è arrivata come risposta alle “misure ostili e infondate delle autorità italiane”, riguardo al recente scandalo scoppiato in Italia: due ambasciatori russi sono stati espulsi dall’Italia perché coinvolti nel caso di spionaggio di Walter Biot.

L’inizio di tutto: il caso Biot

Walter Biot, 56 anni, accusato di aver fornito informazioni top secret ai funzionari russi. Fonte: Il Fatto Quotidiano.Walter Biot, 56 anni, ha iniziato la sua carriera nella Marina Militare come ufficiale, qualificandosi inizialmente come «guida caccia», figura che indirizza gli aerei da guerra verso degli obiettivi. Imbarcato per anni su caccia torpedinieri e sulla portaerei Garibaldi, nel 2010 era passato all’ufficio stampa della Marina per poi finire nello staff dell’ufficio Relazioni Esterne della Difesa, svolgendo compiti come la gestione di dossier “top secret” riguardanti le ambasciate straniere e i comandi alleati.

Facendo un passo indietro, ricorderemo che, lo scorso 30 marzo, Biot è stato arrestato a Roma con l’accusa di aver passato documenti Nato (circa 181) ai servizi segreti russi, organizzando degli incontri in un parcheggio della Capitale. Secondo quanto si è appreso, il modus operandi dell’ufficiale consisteva nel trasmettere, attraverso un pennetta USB, tali documenti che poi consegnava al suo contatto russo, incontrato già diverse volte.

Ben 5mila euro (contenuti in piccole scatole) è la somma intascata per l’operazione dal capitano di fregata italiano, adesso sotto accusa per rivelazione di segreti militari a scopo di spionaggio, procacciamento di notizie segrete, esecuzione di fotografie, procacciamento e rivelazione di notizie di carattere riservato.

Le dichiarazioni

La detenzione, confermata il 23 aprile, presso il Regina Coeli fino ad oggi, quando ha ottenuto il trasferimento nel carcere carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. In sede di tribunale ha rilasciato dichiarazioni spontanee: «Ho passato cose di poco conto, non ho passato segreti, non ho mai messo in pericolo l’Italia e non sono un traditore”. Ha giustificato il gesto così: “Sono un uomo disperato, pieno di debiti e con una figlia malata».

 

La tensione tra Ministeri degli Esteri russo e italiano

Un caso, dunque, pieno di tensioni che non danno segno di svanire, tanto che il Ministero degli Esteri russo ha precisato le motivazioni alla base del provvedimento contro Pacifici:

“Il 26 aprile l’ambasciatore italiano a Mosca Pasquale Terracciano è stato invitato al ministero degli Esteri russo, dove gli è stata consegnata una nota del ministero relativa alla dichiarazione di persona non grata dell’assistente dell’addetto per la difesa e addetto alla Marina e all’Esercito dell’ambasciata della Repubblica Italiana nella Federazione Russa C. Pacifici in risposta alle misure ostili e infondate delle autorità italiane nei confronti dell’ufficio dell’addetto alla Difesa presso l’ambasciata russa a Roma. Al funzionario è stato ordinato di lasciare il territorio della Federazione Russa entro 24 ore“.

Luigi di Maio, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Fonte: Huffington Post.

La risposta della Farnesina non si è fatta attendere:

“Abbiamo appreso con profondo rammarico della decisione della Federazione Russa. Consideriamo la decisione infondata e ingiusta perché in ritorsione ad una legittima misura presa dalle Autorità italiane a difesa della propria sicurezza”.

 

Alessia Vaccarella

25 aprile: la Festa della Liberazione e il Comitato messinese di liberazione nazionale

Il 25 aprile di 76 anni fa il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) assume il potere “in nome del popolo italiano e quale delegato del Governo italiano” e proclama lo sciopero e l’insurrezione generale contro l’occupazione nazifascista.

È questo il giorno che viene scelto simbolicamente per ricordare e festeggiare la Liberazione, sebbene gli scontri proseguirono ancora per qualche giorno. La legge n.269 del maggio del 1949 fissa ufficialmente la data del 25 aprile quale “festa nazionale”, confermando un precedente decreto del 22 aprile del 1946 con il quale si stabilisce che il 25 aprile, da quel momento in poi, sarebbe stata la “festa della Liberazione”.

La Resistenza e i Comitati di liberazione nazionale

Questo giorno è ricordato per celebrare la fine dell’occupazione nazi-fascista, ma anche per onorare l’apporto dato dalla Resistenza alla guerra di Liberazione.

La Resistenza è diretta dal Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) -e dalle sue ramificazioni-, formazione interpartitica che riunisce, nonostante le diverse e contrapposte ideologie, i partiti tradizionali antifascisti, ridotti al silenzio durante il ventennio mussoliniano.

I CLN conducono l’opposizione al nazifascismo e si occupano della gestione locale del potere con una precisa volontà di rinnovamento.

Risulta arduo descrivere in modo univoco il fenomeno dei CLN, poiché molti di essi presentano storie e caratteristiche peculiari. È comunque possibile notare delle chiare differenze fra i CLN centro-settentrionali e i CLN meridionali.

Partigiane in marcia – Fonte: fanpage.it

La Resistenza nel meridione

la storiografia, infatti, sottolinea come il Sud non ha conosciuto un movimento di Resistenza e guerra partigiana, a causa della precoce liberazione dei territori situati a sud della linea Gustav.

Difatti, la Sicilia è la prima ad essere liberata. Gli anglo-americani sbarcano sulle coste siciliane tra il 9 e il 10 luglio del 1943 e poco più di un mese dopo l’Isola è libera; in pochi mesi, le forze Alleate liberano gli altri territori meridionali della penisola italiana.

Quindi, per ragioni storiche, il Sud non ha partecipato alla Resistenza. Ma le cose non stanno proprio così.

La “Quattro giornate di Napoli” (27-30 settembre 1943), emblema della Resistenza nel meridione – Fonte: vesuviolive.it

Il meridione ha dato il proprio contributo alla guerra di Liberazione, costituendo i CLN ed, in particolare, con il sacrificio di molti uomini. Infatti, non è per nulla trascurabile la percentuale di partigiani meridionali che hanno combattuto la guerra partigiana nelle terre settentrionali.

Ed in particolare è proprio la Sicilia che spicca in tal senso: sono i siciliani che, tra le regioni del sud, contribuiscono con il maggior numero di uomini e donne, quest’ultime lontane dal fronte, ma fondamentali nelle azioni di resistenza passiva, sabotaggio e boicottaggio. Giovani e meno giovani, gente comune che ha donato il proprio sangue, ma anche uomini leggendari come Pompeo Colajanni, conosciuto con lo pseudonimo di “Nicola Barbato” e fondamentale nella Liberazione di Torino, e figure del calibro di Girolamo Li Causi e di Salvatore di Benedetto.

Il partigiano Pompeo Colajanni – Fonte: anpi.it

Il Comitato messinese di liberazione nazionale

A Messina -liberata il 17 agosto 1943- si costituisce il Comitato messinese di liberazione nazionale (CMLN). Formatosi il 25 novembre del 1943, il Comitato messinese inizia la sua attività poco più di un mese dopo, ribadendo la sua continuità con il Fronte unico dei partiti politici antifascisti.

Diversi gli esponenti che ricoprono il ruolo di Presidente del Comitato, tra cui Ettore Miraglia, Nunzio Mazzini Gentile, Eugenio Marotta, Giuseppe Romano e Placido Lauricella; la figura, però, più importante è senza dubbio quella dell’avvocato socialista Franco Fabiano, che ha ricoperto la carica di segretario.

Il CLN messinese non spicca per organizzazione e praticità: ben presto una parte di esso provoca una scissione con la creazione di un ulteriore Comitato di liberazione.

Inoltre, il giudizio di Antonio Stancanelli (prefetto di nomina AMGOT) e di Luigi Stella (prefetto di carriera, sostituto di Stancanelli) non è positivo; essi evidenziano la non eccelsa organizzazione, la mancanza di collaborazione ed un’eccessiva litigiosità. In effetti, non pochi sono i contrasti e le divisioni, parecchie le questioni irrisolte e le soluzioni arrivano con un certo ritardo.

L’ingresso dei soldati anglo-americani a Messina – Fonte: normanno.com

L’incertezza e la diffidenza

È doveroso comunque ricordare che, seppur liberata, la Sicilia vive un momento di profonda incertezza.

I CLN siciliani, infatti, svolgono la propria attività in un contesto particolarmente complicato per la presenza del MIS (Movimento per l’Indipendenza della Sicilia); inoltre il “risveglio” della mafia agraria -tornata in auge sfruttando sia il mercato nero sia le nomine presso le piccole amministrazioni comunali- complica la situazione.

Queste circostanze esterne influenzano negativamente anche il CLN messinese; inoltre la popolazione non esprimeva una grande considerazione nei confronti del Comitato, ma anzi un atteggiamento quasi diffidente e di poca fiducia.

Gli anni di transizione dal regime fascista e al nuovo Stato repubblicano saranno fondamentali per la città di Messina, alla ricerca di una sua identità e della rinascita politica.

 

Francesco Benedetto Micalizzi

Fonti:

Messina negli anni Quaranta e Cinquanta, Istituo di Studi Storici Gaetano Salvemini – Messina, Atti di Convegno 1998, Sicania, Messina

 

Immagine in evidenza:

La Resistenza di Torino – Fonte: radiogold.it

Inghilterra ed Israele, le prime riaperture. Italia alla rincorsa del modello inglese

Dopo ben 99 giorni di lockdown invernale, la Gran Bretagna ha potuto finalmente festeggiare lo scorso lunedì 12 aprile l’avvio della fase due della ‘’road map’’, stabilita dalle autorità britanniche per una graduale riapertura della nazione.

L’Inghilterra riapre pub, negozi e palestre. Fonte: AGI

Si tratta del primo Paese europeo a stare dimostrando già da ora i risultati di un’efficiente campagna vaccinale, così come lo Stato di Israele sta facendo in territorio extra-europeo. L’Italia ha invece annunciato, per voce del sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, di puntare al mese di giugno per una riapertura all’inglese. A trovarsi in grandi difficoltà è piuttosto il Cile che, nonostante l’ampia campagna vaccinale, pare essere ancora in piena crisi di trasmissione.

Gli inglesi tornano alla normalità

Lunghissime file davanti a pub e negozi, tra assembramenti vari e pinte di birra in mano: questo lo scenario in diverse città del Regno Unito già nelle prime ore di un lieto lunedì inglese, che è stato pronto ad accogliere il piano di allentamento delle restrizioni per la pandemia, deciso in precedenza dal governo. Esso prevede la riapertura di negozi non essenziali, edifici pubblici, palestre, piscine – e ancora – bar, pub e ristoranti (con possibilità di fare servizio solo all’aperto ma senza limiti di orario).

Ma il primo ministro inglese Boris Johnson ha tenuto comunque a precisare, in un intervento su Bbc, che il graduale percorso di uscita dalle restrizioni anti Covid – protrattesi per oltre 3 mesi – comporterà in modo inevitabile una ripresa di casi di contagio e conseguenti decessi. Durante l’intervento, Boris ha inoltre evidenziato il merito del rigido lockdown imposto a fine gennaio (che vietava di uscire di casa se non per motivi di salute o necessità) e dell’ottimo andamento della campagna vaccinale nel rendere possibili delle simili riaperture:

«È molto molto importante che tutti capiscano che la riduzione dei ricoveri, delle vittime e dei contagi non è stato ottenuto dal piano vaccinale. Penso che la gente non capisca che è stato il lockdown ad essere incredibilmente importante nell’ottenere questi miglioramenti. Naturalmente i vaccini hanno aiutato ma il grosso del lavoro è stato fatto dal lockdown», ha detto il premier inglese.

Il Regno Unito non deve abbassare la guardia

Il Regno Unito è al momento il paese con la più alta percentuale di abitanti vaccinati dopo Israele, trascurando ovviamente i dati delle piccole nazioni.

Il motivo di tale successo deriva senz’altro dalla negoziazione in autonomia dei vaccini e da un’aggressiva strategia vaccinale, con la quale si è cercato di somministrare la prima dose a più persone possibili, senza badare molto alla conservazione di scorte per i richiami: il 47% delle persone ha ricevuto la prima dose del vaccino, ma il ciclo vaccinale è stato completato soltanto dall’11%. Dalla combinazione tra protezione della prima dose di vaccino e rigide misure restrittive è derivato quindi un sostanziale calo di contagi e terapie intensive.

Secondo uno studio condotto dall’Imperial College di Londra, il Regno Unito dovrebbe essere diventato dal 12 aprile scorso ‘’territorio dell’immunità di gregge’’, dal momento che i tre quarti della sua popolazione possiede gli anticorpi contro il Covid, grazie alle avvenute guarigioni e agli oltre 40 milioni di dosi vaccinali fino ad ora somministrati.

Lunga coda di persone davanti al pub di Coventry. Fonte: BBC

Non bastano tuttavia tali numeri per abbassare la guardia. Per questo, già nei giorni scorsi, sono scattate le prime indagini di polizia e minacce di multe per via dell’eccessivo entusiasmo segnalato in diverse zone del Paese per la ripresa del servizio dei pub, tradizionali luoghi di ritrovo per moltissimi inglesi.

Tra i casi limite, spicca quello del pub ‘’Oak Inn’’ di Coventry, finito sotto investigazione a causa di un assembramento di persone che fin dalla mezzanotte si erano radunate in fila, con pochissimo distanziamento tra loro.

L’Israele riapre grazie alle vaccinazioni

In Israele tutto sta gradualmente tornando alla normalità, dimostrando al resto del mondo che non per forza è necessaria l’immunità di gregge per sconfiggere la pandemia e far ripartire l’economia: vaccinare il 55% dei cittadini è stato sufficiente. Tale percentuale (più alta ove la popolazione fosse più anziana) sarebbe infatti sufficiente per bloccare la trasmissione del virus e proteggere i soggetti a rischio mediante una ‘’protezione indiretta’’, fatta di vaccinazioni e restrizioni.

Ad intervenire sul tema il noto divulgatore scientifico italiano Roberto Burioni, che ha mostrato attraverso una serie di tweet la curva dei contagi in Israele, per dimostrare l’importanza dell’immunizzazione con i sieri anti-covid.

Covid Israele. Fonte: Quotidiano.net

Dalla task force anti Covid di Gerusalemme sono poi arrivati degli incoraggiamenti rivolti all’Italia:
“Ce la farete, come ce l’abbiamo fatta noi”, ha dichiarato Arnon Shahar, capo della task force israeliana.
Il medico, intervistato da Sky Tg24, ha poi continuato dicendo:

«non abbiamo ancora una vita normale, ma ci stiamo arrivando. La nostra è stata una Pasqua diversa. Siamo stati a casa e in famiglia», ma ora «possiamo sperare di poter togliere la mascherina all’aperto entro la fine di aprile».

E ancora:

«Le scuole sono aperte, anche se non totalmente. Le elementari sono tutte aperte, le medie ‘’in capsule’’, e stiamo valutando se fare tornare anche loro alla normalità». Infine, Shahar ha rivelato di essere stato anche a un concerto «con quasi mille persone, tutte con il patentino verde che dimostra che sono state vaccinate o guarite da Covid, e tutte con la mascherina».

L’Italia spera nel mese di maggio

Per quanto riguarda l’Italia, la decisione sulle riaperture verrà molto probabilmente presa la prossima settimana dal Consiglio dei ministri. Non è possibile fissare con certezza una data, anche se si prospetta già un mese di maggio fatto di progressive aperture.

‘’Riaprire in sicurezza ristoranti a pranzo e a cena sfruttando gli spazi all’aperto’’, questa l’ipotesi contenuta nella bozza delle linee guida sulle riaperture che le Regioni sottoporranno al Governo alla Conferenza Stato-Regioni, confermando inoltre le misure di protezione già in atto.
Il sottosegretario alla Salute Sileri ha detto la sua intervenendo nel programma ‘’Agorà‘’ su Rai 3, confermando di essere a favore delle riaperture ma con giudizio:

«Abbiamo dei dati in miglioramento – osserva Sileri – L’Rt è sceso e verosimilmente continuerà a scendere», quindi «io immagino che consolidando i dati, scendendo largamente sotto un’incidenza di 180 casi ogni 100mila abitanti, a quel punto dal 1 di maggio si può tornare a una colorazione più tenue delle Regioni: le Regioni gialle ovviamente riaprono e qualcuna potrebbe essere bianca», anche se ora «questo non posso saperlo». Anche «riaprire la sera i ristoranti potrebbe essere fattibile. Non dal 1° maggio», precisa il sottosegretario, «ma progressivamente di settimana in settimana nel mese di maggio, fino ad arrivare ai primi di giugno con una riapertura modello inglese».

Sileri parla di possibili aperture. Fonte: LaNotiziaGiornale.it

Il perché della crisi cilena spiegato da Crisanti

Il caso del Cile è alquanto singolare, ritrovandosi quest’ultimo con un continuo aumento di contagi nonostante l’ampia campagna vaccinale: solo pochi giorni fa il paese sudamericano ha registrato un nuovo record di casi giornalieri, con 9.171 positivi rilevati in quelle ultime 24 ore.
A parere del virologo italiano Crisanti la crisi cilena:

«si spiega con le varianti. Sicuramente in questo Paese è stato usato in maniera massiccia un vaccino cinese che non è proprio uno dei migliori al mondo, Sinovac, ed evidentemente non si è rivelato abbastanza efficace. Ma non è solo questo. Loro sono pieni di varianti e la trasmissione è continuata in maniera sostenuta, alimentata dal liberi tutti, dall’allentamento delle restrizioni».

Gaia Cautela

Perché il vaccino AstraZeneca è stato raccomandato agli over 60. Gli effetti sul piano vaccinale

AstraZeneca (ribattezzato Vaxzevria) sarà raccomandato alla popolazione over 60: così ha decretato una circolare del Ministero della Salute in seguito alla consultazione col Cts (Comitato tecnico-scientifico) del 7 aprile. Sarà tuttavia possibile, per chi ha già ottenuto la prima dose di Vaxzevria, completare il ciclo. Il parere del Comitato è chiaro:

Attualmente il bilancio benefici/rischi (del vaccino) appare progressivamente più favorevole al crescere dell’età, sia in considerazione dei maggiori rischi di sviluppare COVID-19 grave, sia per il mancato riscontro di un aumentato rischio degli eventi trombotici sopra descritti nei soggetti vaccinati di età superiore ai 60 anni.

In sostanza, il Cts ha notato che i maggiori rischi del vaccino si sono manifestati in capo a soggetti inferiori ai 60 anni. Tuttavia, il parere del Cts si basa su una somministrazione avvenuta, fino alle recenti settimane, prevalentemente su fasce d’età inferiori ai 55 anni, con conseguenza che gli effetti collaterali si siano sviluppati maggiormente tra persone sotto i 60.

L’EMA (Agenzia Europea per i Medicinali) ha aggiornato al 9 aprile il riepilogo del prodotto AstraZeneca in seguito all’accertamento della correlazione tra la somministrazione del vaccino Vaxzevria e rari casi di trombosi.

(fonte: ema.europa.eu)

 La maggioranza di questi casi (disturbi del sangue) si è manifestata nei primi 14 giorni seguenti la vaccinazione e prevalentemente nelle donne sotto i 60 anni d’età. Alcuni di essi hanno avuto conseguenze fatali.

Effetti collaterali di AstraZeneca e sintomi

Quanto agli effetti collaterali, il riepilogo del prodotto presenta una lista basata sull’incidenza dei sintomi. Comuni  (1 su 10 persone) sono senso di stanchezza, febbre >38° per alcuni giorni successivi alla somministrazione, rossore attorno alla zona di somministrazione.

Molto rari (con un’incidenza media di 1 su 10,000 persone) sono coaguli di sangue in punti inusuali (es. cervello, fegato, intestino, milza) accompagnati da un basso livello di piastrine del sangue.

Sono forme rarissime, un caso su un milione nella popolazione normale. Adesso sono state osservate con una frequenza maggiore, circa 1-2 ogni 100mila vaccinati.

Ha osservato Giorgio Palù, microbiologo e presidente dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco). Ma si tratta di una frequenza osservabile solo grazie alle vaccinazioni di massa. Per questo motivo il presidente preferisce non additare mancanza di accortezza alle agenzie regolatorie.

In seguito alle dichiarazioni dell’EMA sulla correlazione tra vaccino e rari casi di trombosi, l’Aifa ha aggiornato le informazioni al pubblico riguardanti Vaxzevria, includendo una tabella di sintomi sospetti seguenti la somministrazione. In questo modo, prevenire la manifestazione di coaguli sanguigni e trombi è possibile.

(fonte: aifa.gov.it)

Perché proprio agli over 60?

Ci si chiede se la scelta di raccomandare il vaccino agli over 60 sia di natura politica. Ed effettivamente, l’EMA ha affermato che non sono stati riscontrati elementi predittivi della manifestazione degli effetti collaterali. Ciò significa che la natura degli effetti non può ricondursi a nessuna categoria in particolare – ed è per questo che l’Agenzia non ha predisposto alcun limite di somministrazione.

Ancora, una ricerca sul bilancio rischi/benefici di AstraZeneca condotta dall’Università di Cambridge ha rivelato la positività dei benefici rispetto ai rischi per ogni fascia d’età. Lo studio è stato condotto tramite un campione di 100,000 persone e basandosi su tre fasce di esposizione al rischio:

  • Fascia bassa: incidenza di 2 ogni 10,000 abitanti (circa il Regno Unito nell’ultimo periodo) .
  • Fascia media: incidenza di 6 ogni 10,000 abitanti (circa il Regno Unito a febbraio).
  • Fascia alta: incidenza di 20 ogni 10,000 abitanti (circa il Regno Unito al picco della seconda ondata).

Al momento, l’incidenza epidemiologica in Italia supera quella britannica durante il picco della seconda ondata, con ben 48 contagi ogni 10,000 abitanti (dati aggiornati al 28 marzo). Ciò significa che l’Italia ben si colloca in una fascia d’alto rischio all’esposizione al virus.

(fonte: assets.publishing.service.gov.uk)

Il grafico evidenzia potenziali benefici (in blu) e potenziali danni (arancione) derivanti dalla somministrazione. Per la fascia d’età 60-69, il vaccino presenta moltissimi risvolti positivi, prevenendo l’ammissione nella Intensive Care Unit (terapia intensiva) per quasi 128 persone ogni 100,000, in opposizione alle 0.2 persone ogni 100,000 che dal vaccino hanno subito gravi danni.

Ma i benefici derivanti da AstraZeneca superano di gran lunga i danni anche per le altre fasce di età, con i minori benefici derivanti per la fascia 20-29 anni. Ogni fascia di età trarrebbe dal vaccino, col rischio d’esposizione calcolato al momento in Italia, molti più benefici che danni.

Cosa ne sarà del piano vaccinale

Ad oggi, le conseguenze che ne deriveranno per il piano vaccinale italiano sono ignote. Si è seguita un’iniziativa presa dalla Germania, iniziativa prevalentemente politica – secondo Andrea Crisanti – in quanto la Germania ha un’alta percentuale di no-vax ed è anche sede del vaccino Pfizer, senza contare che lo stato delle vaccinazioni è diverso rispetto al nostro. Ma per l’Italia, che aveva investito tantissimo su AstraZeneca, la limitazione del farmaco agli over 60 potrebbe avere grosse conseguenze.

Non si esclude, tuttavia, che si tratti di una misura temporanea, tenuto conto del fatto che non è ancora stata ultimata la vaccinazione degli over 80 ed è appena stata iniziata quella degli over 70.

 

Valeria Bonaccorso

No Delivery Day: “Non ordinate, non consegniamo in nome dei nostri diritti”. Anche a Messina i rider scioperano

Oggi, 26 marzo, è la giornata in cui i rider di tutta Italia hanno deciso di scioperare con l’obbiettivo di portare alla luce una condizione lavorativa dove mancanza di tutele e contratti irregolari sono in realtà sotto gli occhi di tutti. Proprio coloro che durante il lockdown e le restrizioni varie imposte dalla pandemia erano gli unici a popolare le strade fino a tarda notte, intemperie avverse o meno, per fornire un servizio altrimenti lasciato morire, sono gli stessi che adesso scendono in piazza per rivendicare a gran voce diritti che faticano ad essere riconosciuti. Definiti “essenziali” dalle istituzioni ma rimasti ad esse fino ad ora soltanto invisibili, i rider annunciano il “No food deliveryaccolto in tutta Italia, compresa la città di Messina, il cui appuntamento è fissato a Piazza Cairoli alle ore 19.00.

La denuncia di RiderXidiritti

Il movimento RiderXiDiritti rivolge un appello di supporto a tutti i cittadini, destinatari di una lettera aperta, in cui spiegano:

Siamo pedine nelle mani di un algoritmo, siamo considerati lavoratori autonomi; siamo inseriti in un’organizzazione del lavoro senza alcun potere ma non siamo considerati lavoratori dipendenti dai nostri datori di lavoro. Il lavoro autonomo è solamente un espediente: consente a multinazionali feroci di non rispettare i contratti e di non riconoscerci tutele”.

Continuano affermando una realtà già nota a livello giuridico in Europa e in Italia, ma sorda alle orecchie delle grandi multinazionali, che ammettono esclusivamente un modello di business basato su sfruttamento, cottimo e precarietà:

In tutta Europa i tribunali stanno riconoscendo la verità: il nostro è un lavoro subordinato. Anche il tribunale del lavoro di Palermo, nel primo grado di giudizio, si è mosso in questa direzione. Il Tribunale di Milano ha fatto luce su casi palesi di caporalato dentro Uber Eats, che arrivavano a sorveglianza, non solo digitale ma persino fisica, con contorno di violenza e aggressioni nei confronti di riders resi ricattabili (reclutati anche nei centri di accoglienza) da indigenza ed estremo bisogno. Il Tribunale di Bologna ha riconosciuto che l’algoritmo è un dispositivo discriminatorio nei confronti dei lavoratori. La procura di Milano ha recentemente ribadito che il tempo dello schiavismo deve finire e deve cominciare quello di un lavoro che riconosca tutti i diritti di cittadinanza; ha per questo comminato maxi-multe per centinaia di milioni di euro alle aziende, intimandogli di assumerci e riconoscerci tutele piene”.

Il sostegno su Twitter della Cgil Lombardia. Fonte: Twitter.

La situazione in Italia: il contratto Assodelivery-sindacati

E se in Europa, come afferma la Cgil di Roma e Lazio, le aziende si sono messe già in moto per garantire diritti, sicurezza e salario, in Italia Assodelivery – prima e unica associazione dell’industria del food delivery alla quale aderiscono Deliveroo, Glovo, SocialFood e Uber Eats – “preferisce soccombere in tribunale e rischiare di pagare milioni di multe piuttosto che trattare davvero con le organizzazioni sindacali.”

Infatti, nella giornata del 24 marzo, Assodelivery in accordo con le rappresentanze sindacali di Cgil, Uil e Cisl ha siglato un protocollo riassunto in tre punti fondamentali: il primo riguarda l’impegno delle aziende aderenti ad Assodelivery ad adottare un modello organizzativo in grado di prevenire comportamenti scorretti e l’adozione di un Codice Etico; il secondo punto assume l’impegno delle piattaforme a non ricorrere ad aziende terze, almeno fino a quando non verrà creato un apposito albo delle stesse piattaforme; l’ultimo punto prevede la costituzione di un Organismo di Garanzia (che coinvolgerà sia rappresentati delle aziende e sia rappresentati sindacali) il cui compito sarà di vigilare sulle dinamiche lavorative dei rider e riportare eventuali specifiche segnalazioni alla Procura della Repubblica.

A presenziare l’accordo anche il ministro Orlando, il quale ha convocato per il primo aprile un tavolo per garantire procedure anti-Covid su salute e sicurezza dei lavoratori (non dimenticando che durante la pandemia i rider hanno ottenuto le mascherine dalle aziende solo dopo il ricorso a vie legali) e la contrattazione su diritti e tutele da mettere in atto il prima possibile.

Immediata la risposta di Deliverance Milano, che ha scritto: “Nonostante la buona notizia di oggi confermiamo lo sciopero del 26 Marzo e le manifestazioni organizzate in oltre 20 città italiane in occasione del No Delivery Day, a riprova del fatto che non bastano gli impegni formali ma occorre aggiungere sostanza e serietà alle promesse fatte ai lavoratori, da parte delle aziende e delle istituzioni.”

Uniti contro lo sfruttamento, Messina non si tira indietro

Le pretese sono più che mai legittime in un sistema come il nostro (formalmente) democratico: essere alla pari di tutti i lavoratori dipendenti del nostro paese. Un’intera categoria privata di salari, sicurezza, malattia, ferie, contributi, mensilità aggiuntive, TFR, contratte nazionale, è una sconfitta morale e sociale per tutti, non riguarda i singoli lavoratori. Un gesto semplice – rifiutarsi per un giorno di fare click – può sostenere una causa che non è solo quella dei rider, ma quella della civiltà di un Paese e del mercato del lavoro. Uniti possiamo fare la storia verso i diritti del futuro contro un regime di sfruttamento ottocentesco”.

NoDeliveryDay
Locandina a Messina per la mobilitazione nazionale dei rider. Fonte: Normanno.

La partecipazione prevista anche per i rider di Messina, che si augurano possa cambiare qualcosa grazie a un movimento di risonanza nazionale: “Già nelle grandi città ci sono state attuazioni del genere. A Messina ancora no e ciò ci preoccupa perché il mercato del lavoro continua a rimanere precario e senza tutele anche da parte di aziende locali.”

Che sia giunto finalmente il momento in cui sarà riconosciuta dignità ai lavoratori che ne sono giuridicamente privi?

Alessia Vaccarella

160 anni d’Italia, unione e pandemia: le parole del Presidente Mattarella e le proteste sul web

(fonte: twitter.com, @MinisteroDifesa)

17 marzo 1861: 160 anni fa nasceva il Regno d’Italia sotto la guida del re Vittorio Emanuele II di Savoia. Da quel momento molti eventi hanno segnato il destino del regno, poi divenuto Repubblica, fino ai giorni nostri: a celebrare la giornata una dichiarazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ricorda, tra l’altro, l’importanza dell’unità in tempi di pandemia.

Le parole del Presidente

Celebriamo oggi il 160° anniversario dell’Unità d’Italia, la “Giornata dell’Unità Nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera“.

Così il Capo di Stato ha introdotto l’argomento della breve ma corposa dichiarazione, approfittando subito dopo per ricordare l’importanza dei valori di unità sanciti 160 anni fa nell’attraversare un periodo di sfida come quello del Covid-19.

L’Italia, colpita duramente dall’emergenza sanitaria, ha dimostrato ancora una volta spirito di democrazia, di unità e di coesione. Nel distanziamento imposto dalle misure di contenimento della pandemia ci siamo ritrovati più vicini e consapevoli di appartenere a una comunità capace di risollevarsi dalle avversità e di rinnovarsi.

Non è un caso che il Presidente abbia voluto spendere parole d’incoraggiamento alla coesione. Negli ultimi giorni, infatti, molti sono stati i motivi di dibattito e scissione sulla questione vaccini, soprattutto a causa dell’inchiesta e della sospensione temporanea della somministrazione del vaccino AstraZeneca. Poi continua:

La celebrazione odierna ci esorta nuovamente a un impegno comune e condiviso, nel quadro del progetto europeo, per edificare un Paese più unito e solido, condizione necessaria per una rinnovata prosperità e uno sviluppo equo e sostenibile.

Ribadisce l’importanza dell’impegno verso lo sviluppo sostenibile e la transizione ecologica, chiave del Recovery Plan ed oggetto dell’opera del neo-governo Draghi.

Le parole da Camera e Senato

Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato, scrive sui social: “Gli Italiani sono un grande popolo, che ha dimostrato coraggio e responsabilità nell’affrontare la più difficile crisi sanitaria, economica e sociale dal Dopoguerra. Orgogliosa di essere italiana!”

(fonte: twitter.com @Roberto_Fico)

Il presidente della Camera Roberto Fico ha invece approfittato dall’occasione per toccare diversi punti importanti. Lo rivela Adkronos: il Presidente, nel proprio discorso, ha infatti ricordato l’importanza del raggiungimento di obiettivi come la pace e la prosperità tramite l’utilizzo di quelle energie morali, culturali e civili che animarono il Risorgimento. Poi prosegue:

“Nella difficile fase che stiamo vivendo c’è una splendida immagine di identità e di italianità: quella dei nostri medici e di tutto il personale sanitario che sono sempre rimasti in prima linea a combattere una guerra logorante a tutela della salute della collettività. E c’è quella degli uomini e delle donne, impegnati nelle missioni internazionali di pace che contribuiscono, con il nostro Tricolore, alla promozione dei valori universali della libertà e della dignità della persona nelle aree del mondo ricattate dai conflitti e dalle violenze”.

Infine rivolge un pensiero all’ambasciatore Luca Attanasio ed al carabiniere Vittorio Iacovacci, scomparsi tragicamente a causa di un attentato nel Congo e ricordati tra coloro che hanno contribuito a portare nel mondo la cultura della pace del nostro Paese.

Ripercorrere la nostra storia, promuovere i nostri valori, avere rispetto per il nostro passato, serve a dar forma a una forza positiva, a una riserva di energie morali, culturali e civili indispensabile per affrontare il futuro e le sue sfide.” Ha concluso il Presidente.

Le proteste del web e l’hashtag #IONONFESTEGGIO

Molti utenti del web hanno approfittato della ricorrenza per lanciare su Twitter l’hashtag di protesta #IONONFESTEGGIO, con motivazioni legate in particolare al divario tra Nord e Sud.
Effettivamente, un rapporto del 2020 dello Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) ha rivelato l’accentuazione del divario economico causato dalla pandemia, affermando che nelle regioni meridionali il secondo lockdown ha causato la caduta del reddito disponibile delle famiglie del -6,3% che si trasmette ai consumi privati, con una contrazione al Sud pari al -9,9% esuperiore a quella del Centro- Nord (-9%).

Secondo le proiezioni Svimez, il PIL crescerà al Sud dell’1,2% nel 2021 e dell’1,4% nel 2o22, mentre al Centro-nord avremo tassi di crescita del 4,5% nel 2021 e del 5,3% nel 2022. (agenziacoesione.gov.it)

I messaggi dei partiti

Diversi esponenti politici e partiti hanno voluto, allo stesso modo, approfittare della giornata per lanciare messaggi ai propri elettori: è il caso di Fratelli d’Italia, che celebrerà la giornata occupandosi della riqualificazione dei Parchi della Rimembranza ma ricorda l’importanza della difesa dell’identità nazionale.

Italia Viva, sotto l’hashtag #Italia160, ha dichiarato in un tweet l’intenzione di voler rendere omaggio allo spirito patriottico di coloro che lottarono per l’Unità battendosi per far ripartire il paese una volta superata la crisi pandemica.

Anche il neo-segretario del Partito Democratico Enrico Letta ha voluto condividere un messaggio di auguri, rimarcando l’importanza dell’unità nazionale.

 

Valeria Bonaccorso

Un anno dal discorso che cambiò le vite degli italiani: dalle origini della pandemia fino ai vaccini

A un anno dalla pandemia numerosi sono gli eventi che hanno sconvolto la nostra vita, dalle abitudini quotidiane fino alle restrizioni imposte a livello nazionale, dagli slogan ottimisti affissi sui balconi alla soluzione concreta dei vaccini. Cosa è cambiato? 

Le origini.

Wuhan è una metropoli cinese di 11 milioni di abitanti, capoluogo della provincia di Hubei. Conosciuta in America come la “Chicago della Cina” è divenuta nota come epicentro della diffusione della pandemia che ha travolto il mondo un anno fa. Già nel dicembre 2019 il virus avrebbe fatto registrare diversi casi simili alla polmonite, ma con risvolti ancora più gravi. Nonostante i primi decessi a inizio gennaio, il Partito Comunista di Xi Jinping rimane cauto– e omette, secondo i più – informazioni necessarie che non solo avrebbero ritardato l’intervento e la prevenzione del virus, ma ha permesso a quest’ultimo di valicare i confini nazionali fino alla dichiarazione dell’ “emergenza sanitaria globale” dell’Oms, arrivata solo il 30 gennaio 2020. Nella stesso giorno, i primi due casi accertati anche in Italia: si tratta di due turisti cinesi ricoverati in isolamento allo Spallanzani di Roma.

L’Italia e la fase 1

Papa Francesco nella deserta Piazza San Pietro, diventa uno dei simboli più emblematici della pandemia. Fonte: ANSA.

I primi focolai nel Lodigiano e in Veneto mettono in crisi il nostro paese, che infatti è tra i primi ad essere investito dalla crisi più difficile dal secondo dopoguerra. Come un anno fa, il 9 marzo 2020, l’Italia diventava zona rossa. Viaggi, attività, banchi di scuola, riunioni familiari, amici, passeggiate al parco, abbracci e baci, diventano solo uno sfumato ricordo per essere sacrificati in nome di un appello più alto alla responsabilità e alla salute. Le strade, prima piene di vita, vengono consegnate al silenzio di città tappezzate di striscioni che invitano all’ottimismo e alla resistenza; l’assalto ai supermercati e gli scaffali vuoti diventano scenari abituali, così come i volti coperti dalla mascherina e la corsa all’acquisto di gel disinfettanti. Le polemiche sulle restrizioni si ammutoliscono difronte al triste corteo funebre di camion dell’esercito lungo le vie di Bergamo, a dieci giorni di distanza dal primo dpcm dell’allora premier Giuseppe Conte, le cui immagini strazianti suscitano il sostegno di tutto il mondo.
Il lockdown procede, con proroghe di volta in volta annunciate dalle dirette del Premier, fino a Pasqua e Pasquetta (che però fanno registrare comunque circa 14.000 sanzioni da Nord a Sud). Le riaperture di molte attività, con divieti di distanziamento, mascherine obbligatorie e multe per assembramento, saranno stabilite solo a inizio maggio, inizio della fase 2.

Le fasi 2 e 3

Decade l’ordinanza riguardo l’obbligo dell’ autocertificazione, rimanendo comunque limitato lo spostamento tra regioni; invece, chiese, bar e negozi solo dal 18 maggio hanno potuto nuovamente aprire le porte. Data la ripresa incoraggiante, sopraggiunge la decisione in giugno di una fase 3 che ha permesso a centri estivi, sale giochi, centri di benessere, attività culturali di riprendere a pieno regime. Durante l’estate sono in particolar modo le discoteche a far discutere: orde di giovani ammassati l’uno all’altro in locali molto ristretti senza nessuna precauzione pongono fine al divertimento, specialmente per le località turistiche che erano state al centro della polemica.

La stretta sulle discoteche arriva ad agosto in seguito a numerose infrazioni. Fonte: Repubblica.

Nel corso di settembre stabilita anche l’apertura delle scuole, con calendari differenziati, che tuttavia subiranno ulteriori restrizioni nella gestione degli orari di ingresso e di uscita per gli alunni a ottobre, quando i contagi preoccupano al punto da far ritornare in dad il 75% dei ragazzi nelle scuole superiori. Non solo, le nuove restrizioni vedono la chiusura di centri commerciali nel weekend e del rinnovo del coprifuoco, in vigore dalle 22 alle 5 del mattino.

Fasce a colori

Dal 6 novembre viene istituto il sistema a colori relativo al rischio contagio tuttora in vigore. Italia rossa durante dicembre, in particolar modo durante le vacanze natalizie: divieto di spostarsi dalle regioni dal 21 dicembre al 6 gennaio, l’obbligo di rimanere nel proprio comune il 25, 26 e 1 gennaio e, inoltre, coprifuoco dalle 22 alle 7 per Capodanno. L’ultimo dpcm di Conte proroga lo stato di emergenza con divieto di spostamento tra regioni (anche gialle) e lo stop all’asporto per i bar dalle 18, mantenuto anche dal nuovo premier Draghi. Quest’ultimo però non sembra intenzionato a dare il via libera a riaperture in virtù di una situazione pandemica preoccupante tanto ora come un anno fa, soprattutto dopo la scoperta di nuove varianti che incombono sulla vita di milioni di persone e che hanno costretto all’istituzione di nuove zone rosse o di colore più intenso (come quella arancione scuro). Infatti, il Cts in una comunicazione recente al governo ribadisce la necessità di chiusure nei weekend come a Natale, misure più stringenti per le zone gialle e zone rosse locali in grado di contenere il contagio.

Il vaccino

Dpcm, restrizioni, coprifuoco, multe, ci hanno tolto molte della libertà a cui eravamo abituati e che oggi hanno assunto un significato assai rilevante. Giunti -non senza fatica – a un anno dalla pandemia allora, cosa ci rimane? Forse anche la speranza ha lasciato il posto alla rassegnazione? Certamente per molti, ma non per tutti. La luce in fondo al tunnel esiste ed è costituito da un piano vaccinale sistematico ed efficiente, e rassicura Draghi non essere lontano. Ieri, nel giorno in cui si è toccato il tetto di 100.000 morti dall’inizio della pandemia, il Presidente del Consiglio ha confermato un piano che prevederà un “doppio binario” per cui saranno coinvolte in primis «le persone più fragili e le categorie a rischio», per cui verranno utilizzati maggiormente i vaccini Pfizer-BioNTech e Moderna, mentre Astrazeneca ha avuto il via libera per le persone over 65, ma in buona salute. Entro questa settimana dovrebbe essere approvato dall’Unione Europea anche il vaccino Johnson & Johnson, mentre rimane sullo sfondo il russo Sputnik.

L’obbiettivo dell’Unione Europea è arrivare entro giugno a 60 milioni di somministrazioni. Fonte: Yahoo Finanza.

L’obbiettivo comune è quello di arrivare a 60 milioni di somministrazioni entro la fine di giugno. Si tratta di 15 milioni di persone con la doppia dose, quindi pienamente vaccinati. 30 mila invece coloro i quali saranno coperti parzialmente da una sola dose.

Il vaccino è un alleato straordinario in una guerra contro “il nemico invisibile” che ha distrutto legami, ma ne ha anche creati di nuovi con l’aiuto indispensabile della tecnologia. Ha portato con sé dolore, ma ci ha offerto l’opportunità di dar nuova ad pratiche prima insignificanti. Ha stravolto il mondo ma ci ha reso coscienti degli strumenti per farlo muovere ancora, stavolta, si spera, in un modo migliore.

Alessia Vaccarella