Comincia una nuova fase con l’RT Ospedaliero. Sicilia diventa gialla, manca solo l’ufficialità

 

Un’Italia tutta gialla o quasi? Sembra questa la realtà che ci aspetta fra pochi giorni. Da lunedì, stando ai dati finora rilevati, solo la Valle d’Aosta rimarrebbe arancione.

Il presidente Lavevaz (fonte: www.tg24.sky.it)

Il presidente Erik Lavevaz pare abbia, però, chiesto con una lettera inviata al ministro Speranza, di poter passare in zona gialla, ricordando che l’indice Rt della sua regione è sotto la soglia dell’1 da oltre un mese, che l’incidenza dei nuovi casi positivi è intorno a 150 su 100mila abitanti e che gli indici ospedalieri sembrino molto rassicuranti.

Intanto, Sicilia e Sardegna, sembrerebbero destinate alla zona gialla, anzi, è stata fatta l’ipotesi che la seconda possa diventare addirittura bianca, insieme a Molise e Friuli Venezia-Giulia.

Ciò significherebbe non preoccuparsi del coprifuoco alle 22 e poter tornare ad allenarsi in palestra o far shopping nei centri commerciali anche nel fine settimana. Tuttavia questa decisione, anche se parrebbe imminente, non sarà comunque immediata, continueranno a essere monitorati i dati che, per decretare il bianco, dovranno essere stabili per almeno tre settimane consecutive, con tasso di incidenza sotto i 50 contagi ogni 100 mila abitanti.

 Una revisione dell’indice Rt e le altre novità

Da giorni, i governatori delle Regioni stanno insistendo per una revisione dei parametri per il calcolo dell’Rt. È stata anche avanzata la proposta di abolire le fasce per colore. Ad annunciare una possibilità di modifica dei criteri di valutazione del rischio è stato il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, lo scorso 7 maggio.

Di nuovi criteri si discuterà nella cabina di regia, convocata dal presidente del consiglio Mario Draghi per 17 maggio, giorno in cui scatteranno anche i nuovi colori.

La proposta del presidente del Friuli Venezia-Giulia e della Confederazione delle Regioni, Massimiliano Fedriga, di adottare come criterio l’Rt ospedaliero, è stata quella più condivisa dagli altri governatori. Questo indice rivela il numero delle richieste di ospedalizzazione, dato che renderebbe un’immagine più esatta della situazione, escludendo dunque contagi di persone non in gravi condizioni o asintomatiche, senza il bisogno del trattamento ospedaliero.

Massimiliano Fedriga ha proposto di prendere in considerazione l’Rt ospedaliero

A favore, il presidente del Lazio, Nicola Zingaretti, il quale ha dichiarato:

“C’è un dato positivo che è il calo della presenza negli ospedali e nelle terapie intensive e un’attenuazione dei decessi. Questo è legato all’altissima percentuale degli anziani vaccinati. Credo alla luce di queste novità oggettive e strutturali se il Comitato nazionale rifà una valutazione dell’Rt può essere utile.”.

Favorevoli anche altri, tra cui il governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, che ha sottolineato come gli attuali criteri, introdotti agli inizi, quando ancora non esisteva un vaccino, siano ora superabili, almeno in parte. Dunque, il numero di vaccinati sarebbe, invece, da tenere in considerazione, secondo quest’ultimo.

D’accordo anche il presidente della Liguria, Giovanni Toti, il quale, invece, ha posto l’accento sulla convinzione che l’indice di cui si discute la considerazione è da calibrare in base all’andamento della pandemia, per evitare di usare un criterio poco utile a comprendere realmente la situazione.

Il parametro dei posti letti potrebbe essere introdotto verso la metà di giugno, quando il passaggio in zona rossa dipenderà, a quel punto, dal superamento delle soglie di occupazione del 30% per le intensive e del 40% per i ricoveri ordinari. Si passerà direttamente in zona gialla invece se i dati relativi saranno inferiori al 20% e al 30%.

In quanto all’indice Rt, l’Iss non sarebbe propenso ad eliminarlo del tutto ma ad usarlo in una sorta di pensionamento dall’attività principale, come campanello di allarme per le Regioni quando i dati si starebbero avvicinando troppo al rischio di zona rossa, invitandole a prendere provvedimenti.

I quattro colori per le Regioni, comunque, almeno per il momento, è certo che resteranno, ma saranno vincolati all’indice di contagio. Verrà anche stabilito un numero minimo di tamponi da effettuare, che sia proporzionale alle fasce di colore.

Un’ulteriore proposta avanzata dai governatori è quella di rendere automatiche le riaperture a seconda delle fasce di colore, limitando il coprifuoco soltanto alle zone rosse. Ogni mese, poi, si potrebbe procedere con una valutazione dell’andamento, ma sempre in relazione alle coperture vaccinali raggiunte, oltre che all’evoluzione dello scenario epidemiologico come sempre.

Potrebbe esser formulato un testo condiviso dalle parti, che potrebbe essere chiuso finito proprio entro la fine di questa settimana, per poi includerlo in un eventuale decreto.

Il premier Draghi intanto si è detto ottimista, viste le probabilità della zona bianca per le suddette tre regioni entro fine maggio e l’andamento della situazione generale, nonostante un lieve incremento dell’Rt. Si auspica una più veloce ripresa delle attività economiche e in generale un più vicino ritorno alla normalità, che quasi abbiamo dimenticato.

Inoltre, in vista dell’estate, molto concitamento anche riguardo le misure da riservare ai turisti e il coprifuoco.

Per i primi potrebbe bastare la prova di un tampone molecolare negativo – effettuato entro un certo limite di tempo – o il passaporto vaccinale. Niente quarantena dunque, né per i turisti provenienti dall’Ue, ma neanche per quelli provenienti da alcuni Paesi come Usa o Israele. Queste le proposte che verranno discusse il 17 maggio.

Si discuterà, sempre durante la cabina di regia, anche del coprifuoco che potrebbe esser spostato alle 23, ma non abolito completamente.

La Sicilia torna in zona gialla, manca solo l’ufficialità

Rispetto a una settimana fa, i casi positivi si sono dimezzati e il tasso di positività è crollato dell’1,6%. Questi gli ultimissimi dati rilevati in Sicilia alla vigilia del monitoraggio settimanale.

Un calo specialmente nel capoluogo, dove il bollettino di ieri ha registrato, in 24 ore, soltanto 75 casi in tutta la provincia, sui 607 in tutta la regione. Negli ultimi sette giorni si ha avuto un’incidenza, per 100 mila abitanti, di 92 casi, un numero sotto il limite delle 100 unità: un valore che non si registrava da dicembre.

Purtroppo, la provincia di Catania, invece, mostra un trend negativo, dove ieri erano 247 i nuovi casi e il giorno prima 392.

Confortanti con il passato anche i numeri sui ricoveri e le terapie intensive: gli ospedali siciliani sono molto meno affollati, i guariti hanno oltrepassato quota 20 mila.

Alla luce di ciò, il commissario Covid per la Sicilia, Renato Costa, nel corso delle vaccinazioni agli ospiti della missione Speranza e Carità, ha rilasciato alcune dichiarazioni, sottolineando quanto migliorata sia la situazione della regione, con reparti Covid che chiudono e percentuale dei positivi rilevati presso i drive-in sotto al 2%. Allo stesso tempo, ha ricordato come, comunque, questi siano dati da tenere ben a mente come potenzialmente preoccupanti e per i quali non è ammissibile abbassare la guardia:

Il commissario Renato Costa (fonte: blogsicilia.it)

“Tra il lockdown e il liberi tutti c’è un mondo al quale ci dobbiamo adeguare. Non vorrei che, passando in zona gialla, qualcuno pensasse che è finito tutto, che possiamo rilassarci, che possiamo abbandonare le mascherine. Ovviamente non è così. La nostra bravura sarà quella di mantenercela, questa zona gialla”.

 

Rita Bonaccurso

 

 

Il fotovoltaico dell’ISS: cosa cambierà?

  1. Quando nasce l’ISS?
  2. La rivoluzione del fotovoltaico… nello spazio
  3. I pannelli dell’ISS tra passato e presente
  4. Più energia!
  5. Tante idee attorno al fotovoltaico

Dalla sua costruzione ad oggi l’International Space Station (ISS) ha rappresentato il punto di riferimento per molte missioni spaziali.

I comandanti Bill Shepherd e Soyuz Yuri Gidzenko e l’ingegnere di volo Sergei Krikalev sono stati i protagonisti della prima missione verso l’ISS. Da allora 293 sono stati gli astronauti che finora vi hanno fatto ingresso, ognuno dei quali ha svolto numerosi esperimenti, ognuno dei quali ha portato un pezzo di spazio qui sulla Terra, segnando la storia della stazione. Tra questi, Samantha Cristoforetti e Luca Parmitano.

Quando nasce l’ISS?

La storia dell’ISS e la sua stessa esistenza, oltre ad essere il riflesso di un grande traguardo scientifico, sono il simbolo di un momento storico in cui ogni tentativo di avvicinarsi sempre più allo spazio sembrava fallire.

Si tratta di progetti nati in seno alla guerra fredda e ogni idea in quegli anni era strettamente correlata alla politica.

Agli inizi degli anni Ottanta, la Nasa aveva già immaginato la costruzione della stazione spaziale chiamata Freedom, come  risposta alle stazioni russe Saljiut e Mir. Ma il progetto fallì e il bisogno di trovare un punto d’unione tra i Paesi coinvolti nell’esplorazione spaziale divenne sempre più forte.

Prende così vita l’idea di una stazione spaziale costruita coinvolgendo più parti.
Il governo statunitense strinse accordi con la Russia, con l’Europa, con il Giappone. Sulla base dei progetti delle stazioni Freedom e Mir2 e dei laboratori Columbus e Kibo,  nasce l’International Space Station.

Nel 1998 si lancia il primo modulo, Zarja, ma sono state necessarie 41 missioni per giungere al completamento della stazione. Missioni che si sono concluse nel 2011 con l’arrivo alla stazione del Multi-Purpose Logistics Module “Raffaello”, adibito a “deposito”.

 

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Breve riassunto della struttura dell’ISS.

La rivoluzione del fotovoltaico… nello spazio

Negli anni duemila uno di questi viaggi verso l’ISS ha portato all’installazione del primo set di pannelli solari della stazione. Ulteriori aggiunte sono state poi fatte nel 2006 e nel 2009, anno in cui si installa l’ultimo segmento della struttura energetica, per un totale di 16.400 celle fotovoltaiche.

Un tassello importante per tutto l’ambiente scientifico. Generare energia tramite fotovoltaico è stata una delle rivoluzioni del Novecento;  tra il 1954 e il 1980 si realizzano grandi imprese. Fra queste, il lancio del veicolo spaziale Vanguard I, il primo ad essere alimentato da celle fotovoltaiche, e del razzo Explorer 6, costituito da quattro pannelli solari.

Negli anni novanta il fotovoltaico diventa il simbolo di una nuova “era” di libertà energetica.

Spazio e produzione di energia solare sono strettamente legate.

I pannelli dell’ISS tra passato e presente

L’ISS è alimentato tramite pannelli solari fotovoltaici (SAW, Solar Array Wings), i quali assorbono le radiazioni del Sole convertendole in energia. Quei pannelli che immediatamente ci ricordano la famosa immagine della stazione.

I pannelli sono montati lungo l’Integrated Truss Structure e sono fatti ruotare da una struttura ad anelli (Beta Gimbal Assembly) che con il Solar Alpha Rotary Joint  fa sì che essi seguano la direzione del Sole.

Viene così garantita la massima energia.
I pannelli sono la principale fonte della stazione, sono il suo “sostentamento”.

Hanno funzionato e continuano a funzionare. Ma c’è pur sempre un limite alla loro resilienza. Così potenti e così preziosi da richiedere un continuo controllo, che ultimamente ha evidenziato segni di degradazione. Quindi, a inizio 2021 la NASA ha deciso di aggiungere nuovi pannelli solari, per riottenere una giusta fornitura di energia e un giusto funzionamento della stazione. E tutto ciò diventa ulteriormente importante in vista del programma Artemis che vede nell’ISS un “modello”  sulla quale affidarsi per eventuali dimostrazioni tecnologiche.

Più energia!

A fornire i pannelli sarà l’industria Boeing con la sussidiaria Spectrolab e la Deployable Space System e il risultato finale vedrà la combinazione dei pannelli originari con i nuovi, più piccoli ed efficienti.

I pannelli saranno del tipo ROSA (Roll Out Solar Array), una recente tipologia di pannelli solari fotovoltaici che ha già dimostrato la sua efficienza nel 2017, quando un loro prototipo è stato dispiegato sulla ISS.

I pannelli ROSA vengono trasportati in un cilindro per poi essere “srotolati” sulla stazione. Sono in grado di raggiungere grandi estensioni e quindi quantità di energia molto elevate. Seguiranno la “rotta” dei vecchi pannelli, il loro stesso sistema di tracciamento del Sole e di canalizzazione dell’energia.

I pannelli originari sono in grado di produrre fino a 160 kW di elettricità. Con i nuovi si raggiungeranno circa i 215 kW.
Una struttura innovativa, una delle tante piccole rivoluzioni dal mondo dello spazio.

Si prevedono tre missioni di rifornimento e il trasporto avverrà dentro la capsula cargo Dragon della SpaceX.
Il 2021 prevedibilmente sarà l’anno in cui avverrà la prima di queste missioni.

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Tante idee attorno al fotovoltaico

L’uso del fotovoltaico ha segnato un momento di rinnovo. Portarlo nello spazio ha segnato uno dei momenti in cui la scienza e la tecnologia sono cambiate.

In futuro, le idee sviluppate per lo spazio potrebbero diventare ancora più connesse con ciò che accade sulla Terra.

L’agenzia spaziale giapponese (JAXA) ha in mente di progettare un enorme impianto fotovoltaico che produrrà energia elettrica da trasferire al nostro pianeta. Un progetto gigantesco che dovrebbe realizzarsi entro il 2037 e che Focus ha definito “il più ambizioso programma sulle energie rinnovabili delle prossime due decadi”.

Si basa su idee nuove, ma anche su idee già pensate in passato. Per esempio, la realizzazione dei Solar Power Satellite, in grado di assorbire l’energia solare, è un’idea che la Nasa ebbe negli anni Settanta e quest’anno dovrebbe essere realizzata una loro nuova versione, dopo quella messa a punto nel 2018.  E il piano di volo per il trasporto dei vari elementi prenderà spunto dalle manovre di aggancio (docking) dell’ISS.

Il 2021 sarà un anno di ripartenza per il mondo dello spazio, un anno di avvio per le grandi novità del futuro.

Giada Gangemi

Bibliografia:

https://www.astronautinews.it/2021/01/nuovi-pannelli-solari-per-linternational-space-station/

https://www.focus.it/scienza/energia/impianto-fotovoltaico-spaziale-giapponese

Gravity: un’avventura nello spazio, tra fisica e fantascienza

Il film di Cuarón ha stregato la critica, un po’ meno gli scienziati.

Non solo Nolan, anche Alfonso Cuarón ha provato a giocare con la fisica a Hollywood. Col suo “Gravity”, uscito nella sale cinematografiche nel 2013, ha raccontato un’avventura spaziale molto avvincente. Ma quanto accaduto nel film è fisicamente possibile? Scopriamolo insieme.

Lo specialista di missione Ryan Stone (Sandra Bullock) e il tenente Matt Kowalsky (George Clooney), dotato di jet pack, stanno riparando un pannello posto all’esterno dello shuttle, a circa 600 km sopra la Terra.

I nostri protagonisti si vedono qui muoversi con una facilità disarmante, nonostante in realtà la tuta degli astronauti sia piuttosto ingombrante e delicata. Chi la indossa, infatti, non riesce a muoversi così velocemente come è stato visto nel film. Inoltre, ha un campo visivo molto ristretto e sicuramente non rischierebbe in nessun modo di urtare contro una parte della struttura, in quanto potrebbe danneggiarla facilmente. Infine, l’uso del jet pack è previsto solo in casi di emergenza, poiché, nella realtà, gli astronauti sono collegati tramite un cavo alla struttura. Infatti, nemmeno gli strumenti vengono lasciati fluttuare senza essere stati prima connessi alla base.

Ad un certo punto, Houston li avverte che i russi hanno lanciato un missile su un loro satellite: ormai frantumato in mille pezzi, la sua distruzione ha generato una tempesta di detriti. Questi, a loro volta, hanno danneggiato altri satelliti, causando a loro volta altri detriti, tutti diretti verso lo shuttle di Stone e Kowalsky.

Uno scenario catastrofico, se non fosse che i cosiddetti Tracking and Data Relay Satellite System (TDRSS), ovvero i satelliti utilizzati per le comunicazioni, si trovano ad una altitudine di 36000 km, e quindi non possono mai essere danneggiati da detriti provenienti da orbite più basse. Ed anche se fosse stato possibile, la formazione di ammassi di detriti richiederebbe settimane, se non mesi o anni per accumularsi. Ultimo appunto: nel film, Houston dice che i detriti hanno raggiunto la velocità di 45000 km/h. È praticamente impossibile vederli arrivare! Ciò che accade è invece che gli ammassi di detriti vengono costantemente monitorati e, qualora dovessero sopraggiungere nei pressi delle stazioni spaziali, basterebbe modificare di poco la rotta per evitarli e continuare indisturbati col proprio lavoro.

A questo punto, i detriti raggiungono e distruggono lo shuttle e Stone si ritrova a fluttuare nello spazio. Fortunatamente però Kowalsky, grazie al jet pack, ben presto la raggiunge ed insieme si dirigono verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Tuttavia, a causa di una serie di urti dovuti all’arrivo brusco Kowalsky, per salvare Stone, scollega il cavo di sicurezza e si lascia andare nello spazio. Stone, a questo punto, sale sull’ISS riuscendo, dopo svariate peripezie, a raggiugere il veicolo spaziale Sojuz che le permette di raggiungere la stazione cinese Tiangong 1.

Pensare che una stazione spaziale sia perfettamente nell’orbita di un astronauta è molto fantasioso, ma diamolo per buono. Le stazioni, però, non sono dotate di portelli con maniglie esterne. Prima di aprire un portello (apertura che avviene verso l’interno, e non verso l’esterno), bisogna anzitutto depressurizzare l’airlock (una camera di equilibrio) e solo dopo entrare dentro la stazione. Infatti, la differenza di pressione tra l’interno e l’esterno provocherebbe una forte spinta verso fuori che spazzerebbe praticamente via la nostra Sandra Bullock. Le navicelle Sojuz (che non sono pensate per fare passeggiate spaziali, come dice invece Kowalsky), inoltre, possono contenere al massimo tre persone. Visto che la ISS in genere è composta da 6 persone, se si trovasse abbandonata sarebbe di certo sprovvista dei Sojuz, che l’equipaggio avrebbe dovuto utilizzare per il ritorno sulla Terra.

Stone riesce infine ad usare la navetta di salvataggio cinese Shenzhou e a tornare, finalmente, sulla Terra. Qui, una volta atterrata, la vediamo prontamente alzarsi in piedi. Nella realtà non è così: gli astronauti devono affrontare un periodo di riabilitazione successivamente all’atterraggio per riacquisire il tono muscolare originale.

Oltre alle imprecisioni già elencate, ce ne sono diverse disseminate lungo tutto il film.

Per esempio, si vede più volte Stone mentre si toglie la tuta, apparendo in biancheria intima. Gli astronauti, in realtà, utilizzano biancheria più coprente e resistente, sotto una maglia speciale composta da decine di tubicini, contenenti acqua, che hanno la funzione di espellere all’esterno il calore corporeo. Di conseguenza, togliersi la tuta è un’operazione molto più lunga e delicata.

Anche l’utilizzo dell’estintore per spostarsi appare alquanto inverosimile: spostarsi con esso, nello spazio vuoto, senza calcolare prima con minuziosa attenzione e assoluta precisione posizionamento e orientamento, potrebbe comportare un effetto contrario a quanto voluto dalla nostra protagonista.

L’atteggiamento di Kowalsky, inoltre, appare piuttosto poco professionale e l’addestramento di sei mesi di Stone non sarebbe adeguato agli standard previsti per le missioni spaziali: Samantha Cristoforetti, la nostra amata astronauta tricolore, ha dovuto superare un addestramento di oltre due anni.

Potremmo continuare a lungo, descrivendo come le lacrime della Stone non dovrebbero staccarsi dal viso a causa della tensione superficiale o come i suoi capelli, in assenza di gravità, dovrebbero fluttuare sopra la sua testa.

Ma dopo molte critiche, è giusto spezzare anche qualche lancia in favore di Gravity, che presenta diversi aspetti veritieri. Infatti, le varie strutture (come la ISS e la navicella Sojuz) sono riprodotte fedelmente. La distruzione dei satelliti, con conseguente generazione di detriti, avviene anche nella realtà. Molto fedeli sono stati anche gli effetti della luce e la conservazione del momento angolare. Infine, la visuale della Terra dallo spazio è piuttosto verosimile.

Grazie ai suoi effetti speciali, Gravity è stato molto apprezzato dalla critica, vincendo numerosi premi e incassando svariati milioni di dollari al botteghino (a fronte di un budget di 100 milioni di dollari). Che dire, tutto sommato niente male!

 

Giovanni Gallo

Giulia Accetta

Regioni ed esperti critici contro l’indice Rt: sempre meno affidabile

Dall’entrata in vigore dell’ultimo DPCM, e dei famosi 21 parametri in base ai quali giudicare la situazione epidemiologica in una data regione, numerosi esperti hanno messo in dubbio l’affidabilità dell’indice RT. Si tratta dell’indice che mostra l’andamento della pandemia e che contribuisce a determinare le chiusure delle regioni. Molti sostengono che i principali problemi dell’indice consistano nella qualità dei dati utilizzati per calcolarlo.

Cos’è l’indice RT

L’indice di trasmissibilità netto (Rt) indica il numero medio di infezioni secondarie generate da una persona infetta in una certa data. Questo significa che il numero ci dice quante persone vengono contagiate da una sola persona, in media, e in un certo arco di tempo.

Chiarisce l’ISS -Istituto Superiore di Sanità- che: se RT dovesse essere pari a 4, in media ogni infetto contagerà quattro persone nel periodo considerato, e queste quattro persone ne contageranno altre quattro a testa nel periodo successivo, se l’indice dovesse rimanere costante.

Un ulteriore indicatore utilizzato per monitorare l’andamento dell’epidemia è invece l’indice R0. Questo secondo indice rappresenta il numero medio di infezioni secondarie prodotte da ciascun individuo infetto in una popolazione completamente suscettibile cioè mai venuta a contatto con il nuovo patogeno emergente. Misura dunque la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva prima che vengano inserite misure di contrasto. Quindi:

  • R0 mostra quanto può essere trasmessa una malattia all’inizio della pandemia.
  • RT misura la trasmissione dopo l’introduzione di misure di contrasto.

Per capire come la pandemia si evolverà è dunque importante monitorare le oscillazioni di tali indici.

  • Se ogni persona positiva contagia in media meno di una persona, la pandemia sta rallentando.
  • Se invece l’indice continua a rimanere sopra il valore 1, significa che la trasmissione del contagio è ancora elevata.

Secondo i dati fornitici dall’Istituto Superiore di Sanità: in Italia l’indice RT medio è da tempo sopra il valore 1, ma la notizia buona delle ultime settimane ci dice che è sceso da 1,72 a 1,43.

Ospedale militare di Baggio, Milano (ANSA)
Ospedale militare di Baggio, Milano  fonte: ANSA

Per arrivare a questi numeri servono calcoli che si basano sui dati raccolti ogni giorno dalle regioni: quanti sono i casi sintomatici e quando sono iniziati i sintomi. Qualora i dati forniti dalle regioni siano inaffidabili anche l’indicatore RT sarà inaffidabile. 

Le Regioni fanno muro ai 21 parametri

Diverse sono state le regioni che hanno avanzato la richiesta di riconsiderare i 21 parametri dell’indice RT.

Fronte unito è quello dei governatori che chiedono un incontro con l’esecutivo che potrebbe tenersi domani -giovedì 19 novembre- al fine di pensare a delle modifiche ai 21 indicatori introdotti dal governo.

Questo perché, le regioni sostengono, gli indicatori per definire il colore delle zone “non (sono più) adeguati al monitoraggio attuale”. Preferibile sarebbe invece un sistema semplificato impostato su 5 indicatori proposti dalle stesse Regioni.

I parametri proposti delle Regioni

  • Il primo parametro proposto dalle Regioni è la percentuale di tamponi positivi in rapporto a quelli effettuati;
  • il secondo indicatore è l’Rt, l’indice di trasmissione del virus, calcolato sulla base della sorveglianza integrata dell’Istituto superiore di sanità;
  • Il terzo fattore, di cui si dovrebbe tener conto secondo le Regioni, è il tasso di occupazione dei posti letto totali di terapia Intensiva per pazienti Covid-19;
  • Il quarto elemento è il tasso di occupazione dei posti letto totali di Area Medica per pazienti Covid-19;
  • Infine, ultimo punto, l’attività di controllo sul territorio (contact-tracing, isolamento e quarantena) ed il numero di professionisti impiegabili.

Il lavoro del Governo

Il Governo non ha mancato di ricordare che questi principi scientifici erano stati condivisi e che lo schema non può essere modificato in un momento in cui si è arrivati a superare la soglia delle 700 vittime in un giorno.

Serve una maggiore rete di protezione. La partita per ora si gioca sulla manovra ma si guarda anche avanti, in attesa che si sciolga il nodo del “Recovery fund”.

Come sempre, la tensione tra il governo e le regioni rischia di creare fibrillazioni non solo nella gestione dell’emergenza sanitaria ma anche nel Paese.

@GiuseppeConteIT
@GiuseppeConteIT

Nei prossimi giorni si riunirà la cabina di regia e si discuterà anche dell’eventualità di “allentare” la morsa di  alcune provincie, all’interno delle regioni nelle fasce a rischio, qualora l’indice RT registrasse in alcuni territori il valore inferiore a 1.

 

Maria Cotugno

Sars-Cov-2 nelle acque reflue di Milano e Torino da Dicembre 2019: studio in fase di pubblicazione

Secondo le varie fonti scientifiche i primi casi di Covid-19 si sono verificati in Cina tra ottobre e novembre 2019, per poi aumentare esponenzialmente intorno agli inizi di gennaio e diffondersi nel resto del mondo.
Ma è proprio questo il nodo cruciale: quando esattamente è iniziato il contagio negli altri Paesi?
Si sarebbe potuto evitare?
Il sospetto che il nuovo coronavirus fosse arrivato nel nostro Paese prima del famoso “paziente zero” ha più volte sfiorato le menti dei ricercatori, ma all’atto pratico ancora nessuno è riuscito a venire a capo di questo enigma.
Una risposta potrebbe arrivare dallo studio della presenza del virus nelle acque reflue di alcune delle città più colpite.

Lo studio

Tra i primi a effettuare queste analisi sono stati i ricercatori spagnoli, con il prelievo e lo studio delle acque reflue di due impianti di trattamento di Barcellona.
I risultati dimostravano la presenza di materiale genetico del Sars-Cov-2 già in campioni risalenti al 12 marzo 2019. Se la scoperta si rivelasse attendibile, potrebbe essere molto utile per tracciare il percorso che il virus ha seguito nella sua diffusione.
Questo vorrebbe inoltre dire che molti contagiati avrebbero potuto avere i sintomi della Covid-19 ma essere scambiati per semplice influenza.
Casi passati in sordina ma che adesso potrebbero pesare come macigni.

Veniamo a noi

Secondo uno studio in fase di pubblicazione, nelle acque reflue di Milano e Torino sono state ritrovate tracce del virus a dicembre 2019.
Lo studio ha previsto l’analisi di alcuni campioni prelevati tra dicembre 2019 e gennaio 2020 e altri di controllo, prelevati in un periodo antecedente al presunto inizio della pandemia.
I risultati, hanno evidenziato presenza di RNA di SARS-Cov-2 nei campioni prelevati nelle suddette città, così come a Bologna.
Nelle stesse città sono stati trovati campioni positivi prelevati nei mesi seguenti, mentre i campioni di ottobre e novembre 2019, come pure tutti i campioni di controllo, hanno dato esito negativi.

Le dichiarazioni dei ricercatori

“Dal 2007 con il mio gruppo portiamo avanti attività di ricerca in virologia ambientale e raccogliamo e analizziamo campioni di acque reflue prelevati all’ingresso di impianti di depurazione” spiega Giuseppina La Rosa del Reparto di Qualità dell’Acqua e Salute del Dipartimento di Ambiente e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha condotto lo studio in collaborazione con Elisabetta Suffredini del Dipartimento di Sicurezza Alimentare, Nutrizione e Sanità pubblica veterinaria. “Lo studio – prosegue La Rosa –  ha preso in esame 40 campioni di acqua reflua raccolti da ottobre 2019 a febbraio 2020, e 24 campioni di controllo per i quali la data di prelievo (settembre 2018 – giugno 2019) consentiva di escludere con certezza la presenza del virus. I risultati, confermati nei due diversi laboratori con due differenti metodiche, hanno evidenziato presenza di RNA di SARS-Cov-2 nei campioni prelevati a Milano e Torino il 18/12/2019 e a Bologna il 29/01/2020

Questo cosa comporta?

Ovviamente il ritrovamento del virus non implica che le catene di trasmissione principali che hanno portato all’epidemia nel nostro Paese si siano originate proprio da questi primi casi.
Adesso non è ancora il momento delle certezze, tuttavia, una rete di sorveglianza sul territorio può rivelarsi preziosa e questo studio che è stato condotto ha posto le basi per mettere in atto degli interventi di controllo dell’epidemia.
Come afferma Luca Lucentini, direttore del Reparto Qualità dell’Acqua e Salute “Passando dalla ricerca alla sorveglianza sarà indispensabile arrivare ad una standardizzazione dei metodi e dei campionamenti poiché sulla positività dei campioni incidono molte variabili quali per esempio il periodo di campionamento, eventuali precipitazioni metereologiche, l’emissione di reflui da attività industriali che possono influire sui risultati di attività ad oggi condotte da diversi gruppi”.
Attendiamo dunque fiduciosi nuovi sviluppi nel campo della ricerca, poiché il tempo al momento è l’unico che potrà dirci in che direzione andrà questa seconda parte del 2020.

Maria Elisa Nasso

L’astronauta J. N. Williams, in esclusiva per UniversoMe

©Giulia Greco – Jeffrey N. Williams – Unime, 31 Ottobre 2019 

Lo scorso 31 Ottobre, presso l’Aula Magna del rettorato, si è svolta la Cerimonia di Conferimento del Dottorato honoris causa in Fisica al Colonnello Jeffrey N. Williams, uno degli astronauti più importanti della NASA. L’astronauta ha partecipato a diverse missioni spaziali, trascorrendo in totale ben 534 giorni nello spazio, durante i quali ha compiuto cinque spacewalks per un totale di circa 32 ore. Il Colonnello ha lavorato allo sviluppo dei programmi della Stazione Spaziale Internazionale, contribuendo inoltre all’upgrade della cabina di pilotaggio dello Space Shuttle.

Noi di UniVersoMe siamo riusciti a porgli qualche domanda.

Cosa significa per lei ricevere il Dottorato honoris causa in Fisica presso la nostra Università?

Beh, è senz’altro un onore per me ricevere questo Dottorato proprio in questo Ateneo, che è uno dei nostri partner con cui collaboriamo.

Lei è stato fino al 2017 l’astronauta americano che ha trascorso più tempo nello spazio. Qual è il momento più bello che ha vissuto nello spazio, e quale quello peggiore?

Non credo di aver avuto un momento peggiore, ho avuto però tanti momenti bellissimi. Ho avuto la fortuna e l’onore di poter contribuire all’assemblaggio della Stazione Spaziale Internazionale e di vederla realizzata. E’ un incredibile risultato di collaborazione internazionale ed un punto di riferimento per la ricerca spaziale. Il primo modulo è stato assemblato nel 1998 e continuerà ad orbitare attorno alla Terra per tanti altri anni.

©Giulia Greco – Jeffrey N. Williams – Unime, 31 Ottobre 2019 

Il tempo che ha passato nello spazio l’ha cambiata? O comunque, ha influenzato qualche sua convinzione?

Certamente ha ampliato la mia visione della vita. Vedo il mondo in maniera diversa, le persone in modo diverso. Quando si cresce nella propria comunità si ha una visione limitata delle cose, e certamente un’esperienza del genere ti cambia. Per questo voglio condividere con tutti ciò che ho vissuto, come con voi oggi.

Nel suo libro “The work of his hand” afferma che lo spazio mostra la prodigiosa creazione di Dio. Crede che vi sia un conflitto tra fede e scienza? Come la fede può stare al passo con la continua rivoluzione scientifica? 

Non credo ci sia un conflitto tra scienza e fede, specialmente tra la scienza e la Bibbia. Dipende dall’approccio che abbiamo: se credi in Dio, e credi che si manifesti attraverso la natura e puoi studiare la natura attraverso la scienza ed attraverso la Sua parola, che riconosce la scienza, allora non c’è conflitto; se invece fai scienza partendo dal presupposto che non esiste un Dio, quindi devi spiegare l’esistenza di tutto senza una fede, devi affidarti al caso, ed è qui che nasce il conflitto.

©Giulia Greco – Jeffrey N. Williams – Unime, 31 Ottobre 2019 

Se potesse incontrare il Jeffrey N. Williams appena ventenne, quali consigli vorrebbe dargli? 

Gli consiglierei di continuare a lavorare duro, ad essere una persona di carattere, di studiare, di sviluppare e seguire i propri interessi e le proprie passioni così da essere pronti alle occasioni che si apriranno.

Oggi, specialmente in Italia, è difficile per i giovani scienziati essere valorizzati, portare avanti le proprie ricerche e pensare in grande. Cosa consiglia a tutti a tutti loro?

A volte pensiamo che aspirare a qualcosa di grande sia al di là delle nostre potenzialità. Ma il progresso, soprattutto nell’ambito scientifico, si è compiuto a piccoli passi. Quindi direi loro di cogliere le opportunità e responsabilità che gli sono offerte e non pensare subito e solo al grande obbiettivo che si ha. Così ti ritroverai ad un certo punto a guardarti indietro, e vedrai quanta strada e quanto contributo sei riuscito a dare senza accorgertene.

 

Antonio Nuccio