Excalibur

S’espande in me
l’ombra dell’anima mia.
Col buio mi confonde,
non riesco a vederla
eppur la sento
nel petto mio, arso.

Cuore mio cosparso
di pietra, catrame.
S’insinua in lui
Amore come Excalibur,
ne la roccia vuol rimanere
e non oso estrarlo.

Lama che taglia e cuce
la ferita sanguinante,
Torace in fiamme.
Sarà acqua o resina
A sgorgare da la roccia?
Forse solo lacrime.

Lascerò che la spada mi trafigga.


Silvia Bruno

La Marionetta e il Burattinaio

Appesa a dei fili. Sospesa nel vuoto. Io, marionetta ferma nel buio, non posso divincolarmi.
La mia bocca è serrata, le palpebre strette han paura ad aprirsi. Vorrei tranquillizzarle, dire loro che non le schiuderò se non vorranno. Non posso farlo, sono appese a un filo. I gomiti premono sulle anche, le ginocchia contro il petto. Probabilmente mi sarò aggrovigliata
cadendo. Di nuovo. Adesso Lui si arrabbierà moltissimo. Vorrei che anche la mia mente fosse appesa a un filo, non proverei paura. Non proverei il vuoto, unico mio compagno nella solitudine. Mi conosce bene, lui. Io no. Qual è il mio aspetto, quello vero? Non importa, il buio non è poi così spaventoso. Fin quando c’è Buio, i mostri non posso vederli. I fili sembrano sentirmi, si irrigidiscono.

Appesa a dei fili. Sospesa nel vuoto. Io, marionetta ferma nel buio, non posso divincolarmi. La mia bocca si apre, vorrebbe urlare. Le palpebre si schiudono, han paura. Dita nodose guidano i fili tesi. Non sono più aggrovigliata. Sul muro dinnanzi a me, la Sua ombra mi osserva. Le mie ginocchia scricchiolano. A Lui non piace questo suono. Inizia a muovere i fili, il mio corpo cigola. Lui sbuffa, d’altronde non alza mai la voce. Osservo la mia ombra danzare sulla parete poco illuminata, sembra graziosa. La mia mente osserva la scena, non so più cosa stia facendo la mia bocca, le mie gambe, le mie ginocchia. Scopro di incuriosirmi, guarda che angoli appuntiti che ho! Esilaranti. L’ombra si ferma. Non danza più
sulla melodia dei miei cigolii. Non c’è, però, solo il rumore dei miei pensieri. C’è uno scoppiettio, lieve. Sarà un’altra melodia su cui danzare.

Sciocca.

La parete svanisce, insieme ad Ombra. Le dita nodose adesso guidano me. Si attorcigliano attorno ai fianchi. Una casetta in pietra ha preso il posto della parete. C’è molta luce al suo interno, ha un colore travolgente. La casetta si fa sempre più grande, lo scoppiettio più forte. Resto ipnotizzata dalla luce. Adesso è Lei a danzare. Le dita nodose si srotolano dal mio corpo, mi lasciano cadere. I fili non si irrigidiscono questa volta. Non sono più sospesa nel vuoto. La luce mi acceca, mi abbraccia. La sua danza mi avvolge. Mi sento leggera. Vorrei dirlo alle palpebre, alla bocca, alle ginocchia ma non riesco più a vederle. La luce si affievolisce. La mente non fa più così rumore. Improvvisamente, buio.

Non vedrò più i mostri adesso.

Silvia Bruno

Siamo tutti un po’ fanatici. Siamo tutti un po’ altruisti

Quando c’è troppa carne al fuoco è sempre difficile scegliere quale pietanza assaggiare per prima.

Questo 2018 è iniziato inserendo tranquillamente la prima per poi mettere improvvisamente la quinta non appena il calendario ha segnato 1 Febbraio. Ci avete fatto caso? Con le elezioni sempre più vicine, il web ci bombarda di notizie ricche di opinioni discordanti e soluzioni vane, giusto per farci arrivare in cabina elettorale con gli attributi a terra e la testa immersa in nuvole dense come quelle che hanno coperto la città negli ultimi giorni.

Il lunedì, per la nostra redazione, è fondamentalmente il giorno dell’opinione, del pensiero che racchiude i momenti salienti che stiamo vivendo, raccontati da un punto di vista fresco, a volte goliardico, ma sicuramente di chi non ha un “futuro sicuro”. Ed escludendo la politica, escludendo Sanremo che anche quest’anno ce lo siamo tolto, escludendo il proliferare delle condivisioni di canzoni di Faber subito dopo il film – ma non erano tutti fissati con la trap? Da quando questa passione per il cantautorato? -, ed escludendo le solite lamentele di Messina, su Messina, perché Messina (BAAASTAAAAAA!! Aggiornate lo Zanichelli, abbiate pazienza signori miei): di che parlo?

Alchè qualcuno che segue la mia vita con pozioni magiche, ha ben deciso di mandarmi un segnale divino, per non impazzire in piena sessione d’esami (E HO DETTO TUTTO). Durante la scorsa settimana, in uno di quei giorni che passano esattamente come quelli precedenti (in cui la cognizione del tempo la si ha solo “grazie” al countdown per il giorno dell’esame, yu-hu) mia madre, tornando da lavoro, mi ha posto un quesito << Secondo te sono una persona fanatica? >> ed io, con la mia atrofizzazione mentale, le ho chiesto << In che senso? Non hai fissazioni >> e mi ha fatto leggere un passo di un libro che non conoscevo:

“Ritengo che l’essenza del fanatismo stia nel desiderio di costringere gli altri a cambiare. […] Il fanatico è un grande altruista. Il fanatico è più interessato a te che a se stesso, di solito. Vuole salvarti l’anima, vuole redimerti, vuole affrancarti dal peccato, dall’errore, dal fumo, dalla tua fede o dalla tua incredulità, vuole migliorare le tue abitudini alimentari, vuole impedirti di bere o di votare nel modo sbagliato” – Contro il fanatismo, Amos Oz

L’avevate mai notato? Avete mai dato questo significato alla parola fanatismo? Capita spesso di dire <<Quell* è un fanatico di … non parla d’altro!>> vedendo questo modo di fare con un’accezione negativa. E non è del tutto sbagliato. Secondo Oz la volontà di aiutare gli altri è propria dei fanatici come una forma deviata di altruismo. Nessuno pensa all’altruismo con degli aspetti che potrebbero diventare nocivi per la società, eppure dobbiamo ammettere che ogni cosa ha i suoi pro ed i suoi contro. Persino il “fare del bene”. L’autore spiega anche che il fanatismo è un bisogno di appartenere a qualcosa, esso si riscontra con la tendenza ad omologarsi, a “difendere” un ideale in apparenza supremo, che è seguito dalla massa, e si cerca in qualsiasi modo di iniettarlo nella mente di chi non lo segue.

Fanatismo – Unknown Artist, 2018

Perché ci riguarda? L’introduzione che ho fatto sembra una supercazzola. In realtà quelli che ho elencato sono atteggiamenti di fanatici, che ci portano a regredire noi stessi o, nel peggiore dei casi, a provare una totale indifferenza nei confronti del nostro ecosistema, di quel che ci sta intorno divenendo copie, di chissà cosa, fatte male. E nel nostro piccolo siamo tutti un po’ fanatici, per sentirci apprezzati, per sentirci utili, per dire la nostra senza ascoltare appieno gli altri – che gli altri, in fondo, siamo sempre noi – . Ciò che va contro il fanatismo è il mettersi nei panni dell’altro, vedere il punto di vista del prossimo. Lo scontro eterno insito nella natura umana è quello tra fanatismo e pragmatismo, tra fanatismo e tolleranza, tra fanatismo e pluralismo. Non ci sono un buono ed un cattivo, ci sono solo due mondi opposti in continua lotta per la supremazia. “La storia ci insegna” – qualcuno direbbe “Ma che ci insegna?” – che le creature dell’universo, forse inconsciamente, hanno sempre proiettato il proprio antagonismo ed il proprio protagonismo nella vita di tutti i giorni. Il progresso ha solo cambiato i mezzi.

Non è mia intenzione fare morale o dispensare saggezza, cambiarvi la vita o migliorarvela…no, in quel caso sarei una fanatica che ha ben poco da insegnare. Vorrei solo darvi uno spunto di riflessione, poi sta a voi decidere se prenderlo o lasciarlo tra queste parole.

<< Stefa’, madre e donna, hai cinquantatré anni e una vita devastata, come tutti noi. Allora invece di farci la morale, di guardarci con antipatia, dovresti guardarci… con affetto. Siamo tutti sull’orlo della disperazione, non abbiamo altro rimedio che guardarci in faccia, farci compagnia, pigliarci un poco in giro… O no? >> –  Jep Gambardella, La grande bellezza

 

Giulia Greco

 

Possiamo essere reali nella società del giudizio?

Qualche settimana fa sono andata al teatro Vittorio Emanuele, il quale ancora piano piano riesce a rimanere a galla con la selezione di spettacoli di tutto rispetto, come quello che ho scelto di vedere: “Performance” scritto ed interpretato da Virginia Raffaele.

Virginia Raffaele è attrice, comica, imitatrice, speaker radiofonica, conduttrice televisiva, e molto probabilmente sarà anche insegnante, estetista, avvocato, cuoca, commessa…insomma chi più ne ha più ne metta! In ogni sua veste è comunque magistrale: una show-girl a tutti gli effetti, con quel tocco di introspezione che la pone ai vertici nel contemporaneo panorama culturale italiano. Difatti, è riuscita a mantenere alta la concentrazione degli astanti in un clima di leggerezza, per tutta la durata dello spettacolo.
I personaggi si avvicendano tra monologhi esilaranti e dialoghi surreali con la vera Virginia Raffaele che, grazie ad un attento lavoro di regia, interagisce con le sue creature come una sorta di narratore involontario che poeticamente svela il suo “essere – o non essere”. Oltre le risate, ogni personaggio ritrae una sfaccettatura della nostra società, di chi siamo e di ciò che ci circonda. Vengono messe a nudo queste donne che mostrano le ossessioni che ci siamo creati e alle quali siamo ormai assoggettati.

Senza l’intento di recensire lo spettacolo, voglio concentrarmi sulle riflessioni che sono sorte subito dopo: la Raffaele ha esordito con un suo personaggio (la criminologa Roberta Bruzzone) che denigrava l’immagine reale dell’attrice; ha dato una voce rilevante ad un soggetto inventato ricalcando un’autoironia fuori dal comune e soprattutto ha messo a tacere chi, nel descriverla, ripete sempre le stesse cantilene: “deve essere se stessa”, “non ha identità”, “è una persona debole”.
La prima frase che mi è venuta in mente è stata “Quanno un giudice punta er dito contro un povero fesso, nella mano strigne artre tre dita, che indicano se stesso” (Il bar della rabbia – Mannarino).
Chi realmente ha un’identità totalmente stabile, forte, immobile? È nella natura dell’uomo, il cambiamento è la sua costante, perché prendersela tanto? Tutti siamo diversi in ogni situazione della nostra vita: con i genitori siamo in un modo, con i colleghi in un altro, con gli amici in un altro ancora, è difficile poterci riconoscere appieno. Inizialmente questo pensiero mi è parso triste, ricolmo del pessimismo cosmico di Giacomino. Ma riflettendoci con serenità, e accettando questa realtà, ho constatato che va bene così, fa parte di questa esistenza. Non serve credere agli aforismi che troviamo ogni giorno sulla timeline di ogni social, non siamo parole, siamo esseri umani. “Sii te stesso” – per i più “be yourself” – vorrei sapere a quale me stessa dovrei fare riferimento. E no, qui non si tratta di disturbo dissociativo dell’identità o borderline della personalità, qui ci concentriamo solamente sul conoscere se stessi, γνῶθι σεαυτόν ricordando i nostri cugini greci, e non essere se stessi. Conoscendoci riusciamo a sentirci a nostro agio in ogni situazione, in ogni veste che le circostanze ci chiedono di indossare; studiandoci riusciamo ad ottenere un contatto con il nostro io profondo per vestire la nostra autenticità.

Incontrandola subito dopo lo spettacolo l’ho ringraziata: l’ho ringraziata di essere reale perché non vuole essere un solo personaggio nel mondo dello spettacolo, non ne ha bisogno, non vuole avere una maschera che la identifichi, lei ha la possibilità e le capacità di essere se stessa più di quanto si possa credere, ha il via libera per conoscersi senza doversi nascondere (come purtroppo, spesso, accade). Virginia Raffaele è reale perché riesce a dar voce ai personaggi reali, dicendo ciò che loro vorrebbero dire ma non possono, raccontando con irriverenza, ironia e caparbietà il loro drammi, che sono un po’ di tutti.

E si chiude il sipario.

 

Giulia  Greco

L’essere umano: un animale spaventato

UniVersoMe in questo periodo sta prendendo una piega introspettiva. Sarà la primavera? Sarà che continuiamo a crescere? Sarà l’ansia della sessione imminente che ci porta a farci domande esistenziali al posto di studiare quella pagina che abbiamo sotto al naso da un’ora? Non lo so, so solo che questo filo non voglio spezzarlo. In questo editoriale ho voglia di affrontare un argomento che abbraccia (e a volte stritola) tutti noi, chi più, chi meno: il panico.

L’unico ostacolo per ottenere ciò che vuoi è la persona che vedi riflessa alla specchio” non mi ricordo dove ho letto questa frase. Forse in una di quelle immagini condivise dagli over 40. O su uno di quei poster che vediamo appesi dal dentista. Ma questa frase nella realtà cosa vuol dire?
Io la interpreto come “la tua paura ti fermerà”. La paura è come un carcere dentro cui nessuno ci ha chiuso. Abbiamo persino le chiavi. Eppure stiamo lì perché fuori dalle mura e dalle grate mentalità c’è qualcosa che ci spaventa.

“Non sono abbastanza forte”, “Non ce la posso fare”, “Morirò se faccio questo”. Arriviamo a pensare cose così brutte che anche un gesto semplice, come prendere un aereo, diventa l’entrata in guerra. Guerra che comunque perderemo, perché combattiamo contro noi stessi.

Abbiamo paura nel 2017 perché nel 2017 abbiamo troppe informazioni. Veniamo bombardati di notizie che spesso non capiamo, su cui non indaghiamo. Ma restano sedimentate e sbagliate come un cancro. Leggiamo da qualche parte: “studi recenti hanno dimostrato che non dormire può causare problemi cardiaci”. Così quando non dormiamo una notte, o dormiamo male, l’ipocondria ci getta a terra con un braccio dietro la schiena ed il suo ginocchio che preme sulla scapola come solo un buon vecchio The Rock sapeva fare nella WWA.
Abbiamo fatto un errore: pensare che l’informazione libera potesse salvare l’umanità. Ci ha condannato a informazioni grossolane, poco ricercate e rese “istituzionali” da un numero di mi piace superiore a mille. Un medico non si laurea condividendo un link sull’importanza della vaccinazione. “Complimenti Dott. Pivetta lei ha ottenuto 20.000 mi piace. Le conferisco la laurea in medicina col massimo dei voti“.
È un mondo duro per ipocondriaci e gente soggetta ad ansia (guarda caso il 90% della popolazione). Cosa fare quindi? Dopo essermi scervellata, la soluzione che ho trovato è questa: non dobbiamo ascoltare nulla! Per un po’ di tempo (anche solo una settimana) non diamo retta a nulla! Neanche a noi stessi. Il percorso è difficile, non sarà per nulla facile resistere alla negativa tentazione di scoprire l’ultima ricerca pubblicata da una testata veritiera quanto il lato B delle Kardashian.

Sapete a quanti marchi siamo sottoposti in Occidente? All’incirca 50.000 al giorno. 50.000 loghi, marchi, pubblicità e simbologie che noi non abbiamo cercato. È una vera aggressione quella che subiamo. Questo è ciò che dice uno studio di sociologia dell’università di Boston (l’ironia delle ricerche). Come si può non avere un po’ di panico, ansia o ipocondria vivendo così? Chiudiamo occhi ed orecchie per un po’. Non ascoltiamo i vari allarmi fantasma che il nostro corpo invia. Non stiamo morendo. Il nostro problema è che non stiamo vivendo. Dopo questa clausura, quando ci sentiamo pronti, ascoltiamo i nostri bisogni. Ritorniamo al mondo. Iniziamo a ricercare informazioni di qualità. Più fonti per una notizia e soprattutto non leggete i titoli ma gli articoli. Certamente la battaglia continua ed è quotidiana, quindi, per evitare ricadute, troviamo qualcosa per cui valga la pena lottare. Perché è una lotta dura quella contro l’uomo allo specchio ma fuori dal ring c’è la vita. La vita vera, non social ma sociale. Non condivisioni ma condivisa.

“Don’t panic” immagine tratta dal film “Giuda Galattica per autostoppisti” ispirato all’omonimo libro di Douglas Adams – diretto da Garth Jennings

L’ipocondria ed il panico sono amichetti per la pelle, sono secondini di una prigione senza ossigeno. Tu hai le chiavi di quella prigione. Ed una volta che le userai sarai il direttore. In quelle gabbie ci saranno i tuoi mostri. Prenditene cura, controllali di tanto in tanto. Controlla lo scantinato della tua anima. Poi sali fino al tetto e balla, canta, piangi, ridi, VIVI.

Io tutto questo ancora non lo so fare ma ci sto lavorando. Lavorateci. E sarà un lavoro terribile, perché se così non fosse vuol dire che state sbagliando lavoro. Sarà un lavoro duro. Sarà pieno di nuove cadute, di lividi e ferite. Non vi dirò favole. Sarà peggio di continuare a vivere in gabbia. Ma a lavoro finito quanto ci piacerà il nostro volto? Il nostro vero volto! Quello così ammaccato da essere meraviglia. Non lo so. Ce lo diremo alla fine quanto siamo belli e forti. Un uomo più saggio di me disse: “Ho odiato ogni minuto di allenamento, ma mi dicevo: “Non rinunciare. Soffri ora e vivi il resto della vita come un campione!” (Cassius Marcellus Clay Jr. Muhammad Ali).

P.S. Ringrazio vivamente una persona per me molto speciale, Gianmarco, che mi ha ispirata ed aiutata a scrivere questo articolo, nella speranza (da parte di entrambi) di aiutare un po’ tutti.

Giulia Greco