Rettocolite Ulcerosa: il ruolo della prevenzione

La RCU (rettocolite ulcerosa) è una malattia infiammatoria cronica che colpisce l’intestino crasso, in particolare il colon e il retto. Rientra nel gruppo delle malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), di cui fa parte anche il Morbo di Crohn. Considerato l’aumentato rischio di neoplasia nei pazienti affetti dalla malattia, risulta fondamentale il ruolo della prevenzione.

Epidemiologia ed eziologia

L’incidenza della malattia nel nostro paese è di circa 7 casi ogni 100.000 abitanti l’anno, inoltre non vi è una prevalenza per il sesso maschile o femminile. Si può osservare un modello di incidenza bimodale, con un picco di insorgenza tra i 15 e i 30 anni e un secondo tra i 50 e i 70. A livello mondiale sono più colpiti i paesi del Nord Europa e del Nord America, dimostrando la stretta correlazione della rettocolite ulcerosa con un ambiente e uno stile di vita occidentalizzato, tipico dei paesi industrializzati. Nonostante la RCU sia considerata idiopatica, diversi studi hanno dimostrato il ruolo di alcune regioni del genoma che potrebbero conferire una predisposizione alla malattia. Inoltre, tra i meccanismi responsabili della patologia spicca il ruolo del microbiota intestinale. Infezioni, alimentazione, allattamento, abitudini di vita, ambiente, patrimonio genetico, influenzano profondamente la diversità della flora intestinale e i meccanismi di immuno-tolleranza. Il fumo di sigaretta e un precedente intervento di appendicectomia sembrano essere, invece, fattori protettivi.

Clinica

Malattie Infiammatorie Intestinali | Nestlé Health Science
Fonte:

I principali sintomi riportati dal paziente includono la diarrea ematica (spesso con emissione di muco), il tenesmo rettale, incontinenza fecale, dolori addominali crampiformi, soprattutto nei quadranti inferiori dell’addome. Infatti, la RCU colpisce soprattutto il retto e il colon di sinistra, ma nel corso del tempo può estendersi ad altri segmenti intestinali, comportando diversi quadri clinici, come proctite, proctosigmoidite o nei casi più gravi pancolite (cioè infiammazione di tutto il colon). In alcuni casi ai sintomi appena descritti si associano manifestazioni extra-intestinali dovute alla natura immuno-mediata della malattia, come artriti, manifestazioni oculari (uveite, sclerite), cutanee (psoriasi o eritema nodoso) o epatiche (colangite sclerosante primitiva). In circa il 15% dei casi la patologia assume un decorso aggressivo, manifestandosi con frequenti scariche di diarrea ematica accompagnate da febbre, disidratazione, perdita di peso e progressiva anemizzazione, tanto da richiedere ricovero ospedaliero.

Diagnosi

Il primo passo per diagnosticare la RCU è rappresentato da una buona anamnesi, seguita da esami di laboratorio e da diagnostica strumentale. E’ necessario eseguire coprocoltura ed esame microscopico delle feci per escludere cause infettive, insieme al dosaggio della calprotectina fecale, una proteina la cui concentrazione aumenta in corso di infiammazione. Gli esami del sangue dimostreranno un aumento degli indici di infiammazione (VES e PCR) e le conseguenze dell’abbondante diarrea ematica: anemia, riduzione dell’albumina (una delle proteine più abbondanti nel sangue), squilibrio degli elettroliti (potassio, sodio). La diagnosi viene completata dall’esecuzione di rettosigmoidoscopia e colonscopia, che evidenzieranno i principali caratteri anatomo-patologici della malattia: la mucosa intestinale appare infiammata, friabile e facilmente sanguinante, sono presenti aree di ulcerazione e talvolta pseudopolipi dovuti al tentativo della mucosa di rigenerarsi.

Colite ulcerosa: che cos'è, sintomi, cause, cure e cosa mangiare
La RCU si caratterizza per fasi di attività e fasi di remissione; inoltre può presentarsi in diversi tratti dell’intestino crasso. Fonte.

Trattamento

La RCU è una patologia cronica, per cui il trattamento farmacologico è mirato a ridurre l’infiammazione e la progressione della malattia. I farmaci più utilizzati sono rappresentati da anti-infiammatori, corticosteroidi, immunosoppressori e nelle forme più aggressive anche farmaci biologici. Questi ultimi sono costituiti da anticorpi monoclonali rivolti contro le molecole coinvolte nell’infiammazione della mucosa intestinale, come TNF-alfa, interleuchine e altri mediatori. In circa 1/3 dei pazienti è necessario eseguire un intervento chirurgico, poiché i farmaci somministrati non hanno dato risposta oppure il paziente presenta delle complicanze, come emorragia, stenosi, perforazione, rischio di neoplasia. L’intervento chirurgico consiste solitamente nella proctocolectomia, con successiva anastomosi tra ileo e ano per consentire il transito e l’espulsione delle feci (quindi si rimuove tutto il colon e si collegano i due monconi, cioè l’ultimo tratto dell’intestino ileale con l’ano). E’ importante considerare le implicazioni emozionali e le nuove sfide che il paziente dovrà affrontare (alimentazione, defecazione, ileostomia temporanea o permanente) e fornire il supporto psicologico e terapeutico necessario.

Informazioni sulla colostomia
Esempio di colostomia: dopo il recupero dall’intervento chirurgico e la guarigione del colon, le due estremità possono essere ricollegate. Fonte.

Il ruolo della prevenzione

Secondo recenti studi i pazienti con RCU presentano un rischio di circa 2,4 volte aumentato di sviluppare un cancro del colon-retto. Altri fattori di rischio sono rappresentati dal sesso maschile, dalla familiarità, dalla giovane età alla diagnosi e ovviamente dalla durata ed estensione della patologia. Il carcinoma del colon-retto associato alla rettocolite ulcerosa è dovuto al fatto che l’infiammazione cronica predispone la mucosa intestinale a sviluppare delle displasie, ovvero delle alterazioni pre-cancerose, e in seguito il carcinoma. Per tale motivo è fondamentale il ruolo della prevenzione, da eseguire tramite un monitoraggio costante del paziente. E’ consigliabile eseguire delle colonscopie con biopsie seriate ogni 2-3 anni a partire da 8-10 anni dall’inizio dei sintomi intestinali. Un’altra tecnica molto utilizzata è rappresentata dalla cromoendoscopia, una tecnica di imaging che utilizza coloranti applicati per via topica durante la colonscopia per mettere meglio in evidenza le alterazioni della mucosa.

L’importanza della dieta

Microbiota più «sano» con la dieta mediterranea | Fondazione Umberto Veronesi
Seguire una dieta mediterranea aiuta a gestire le malattie infiammatorie intestinali. Per approfondire.

Considerato il ruolo del microbiota e la maggiore incidenza delle MICI nei paesi “occidentalizzati”, si evince che una buona alimentazione rappresenti un fattore protettivo contro la malattia. Per tali motivi è consigliabile consumare alimenti ricchi di antiossidanti, come olio di oliva, mirtilli, cipolle rosse. Al contrario è necessario moderare il consumo di spezie, caffè, alcolici e bevande gassate. Si consiglia, inoltre, di aumentare il consumo di pesce e semi di lino e ridurre invece frutta secca e olio di semi, per ripristinare il rapporto tra omega6 e omega3. Durante la fase attiva della malattia, è necessario moderare il consumo di fibre e di alimenti meteorizzanti, come i legumi e preferire lo yogurt al latte. E’ preferibile consumare frutta e verdure sbucciate o cotte a vapore e limitare gli alimenti ricchi di grassi. Infine, può essere utile il consumo di alimenti probiotici e soprattutto l’assunzione di molti liquidi per combattere la disidratazione dovuta alla diarrea.

Alessandra Napoli

Bibliografia:

Tra psiche e intestino: la Sindrome dell’Intestino Irritabile

Negli ultimi decenni si sta rivolgendo una maggiore attenzione nei confronti del rapporto tra intestino e cervello. Proprio questa comunicazione potrebbe, in parte, spiegare la SII, ovvero la Sindrome dell’Intestino Irritabile.

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  1. Cosa è?
  2. Come si sviluppa?
  3. Come curarla? Gli approcci
  4. Conclusioni

 

Cosa è?

La SII ( Sindrome dell’intestino irritabile), è un disordine intestinale di tipo funzionale.  Tale condizione è caratterizzata da dolore addominale e l’alternarsi di stipsi (mancata evacuazione) e diarrea.

La prevalenza mondiale è di circa il 10%. I soggetti interessati appartengono alla fascia compresa tra i 20 e i 40 anni, principalmente di sesso femminile (rapporto F:M di 2:1). Dunque, è una condizione abbastanza frequente e rappresenta una delle più comuni malattie gastrointestinali oggi diagnosticate.

Per la sua diagnosi si utilizzano i criteri di Roma IV:

  1. Dolori addominali intensi, acuti, a localizzazione periombelicale, della durata di un’ora o più;
  2. Intervallo di settimane o mesi tra gli episodi;
  3. Dolore invalidante e interferente con le normali attività;
  4. Dolore associato a 2 o più dei seguenti disturbi: anoressia, nausea, vomito, cefalea, fotofobia, pallore;
  5. I  sintomi non possono essere spiegati da altra condizione medica.

Va sottolineato che ad oggi la diagnosi è ancora di esclusione. Il ritardo che ne deriva ha delle conseguenze sia sul soggetto, in quanto questa sindrome impatta negativamente sulla qualità di vita, che sul Sistema Sanitario, poiché vengono eseguiti diversi esami e quindi un costo sociale elevato.

Come si sviluppa?

La SII è una sindrome multifattoriale in cui intervengono tre principali fattori: ipersensibilità viscerale, alterazioni dell’attività motoria gastrointestinale e disturbi della sfera psicologica.
Recenti studi hanno dato importanza anche alla composizione del microbiota intestinale, la cui alterazione potrebbe essere un fattore scatenante in soggetti predisposti.

A livello intestinale, il Sistema Nervoso si organizza in maniera peculiare e viene definito Sistema Nervoso Enterico.
Presenta diversi tipi di neuroni: alcuni deputati alla percezione del dolore (neuroni sensitivi), altri alla motilità intestinale (motoneuroni).
I soggetti affetti presentano l’alterazione di un tipo di neuroni sensitivi, i quali normalmente si attivano solo in caso di stimoli pericolosi. In questo caso invece, essi si attivano anche per stimoli innocui generando dolore. L’alterazione dei motoneuroni, invece, spiega la presenza di stipsi e diarrea.

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Una componente fondamentale nella fisiopatologia di questa sindrome è l’aspetto psicologico del paziente. Diversi disturbi di natura psicologica possono presentarsi in questi quadri clinici: ansia, ostilità, fobia, paranoia, somatizzazione e abuso di sostanze.
E’ stato osservato che in questi soggetti si ha maggiore tendenza a sviluppare sintomi in seguito ad eventi stressanti; pertanto i cosiddetti fattori ambientali (lavoro, studio, ecc) assumono un importante ruolo. Spesso i classici dolori crampiformi compaiono durante la giornata (per esempio al risveglio) in relazione a ciò che circonda la persona, mentre sono assenti durante il sonno o possono scomparire durante periodi di vacanza.
Soggetti stressati inoltre, possono sviluppare sintomi extraintestinali come disturbi del sonno, alterazioni del tono, lombosciatalgia o cistiti.

Come curarla? Gli approcci

Esistono due tipi di gestione: farmacologica e non farmacologica. La scelta viene effettuata sulla base della severità clinica.

Approccio non farmacologico
Molti pazienti traggono giovamento da una modifica della dieta: diete povere in glutine, ridotto consumo di fruttosio, lattosio o altri tipi di carboidrati. Tuttavia non esistono delle linee guida ufficiali, poiché la sensibilità a tali alimenti è del tutto soggettiva.
Un altro approccio non farmacologico è la terapia cognitivo comportamentale (TCC). Lo scopo è educare il paziente sulla sindrome e sulla gestione dello stress attraverso delle tecniche di rilassamento come la respirazione diaframmatica o il rilassamento muscolare progressivo.

Approccio farmacologico
 Il metodo farmacologico interviene soprattutto sulla sintomatologia. Principalmente vengono somministrati agenti antispastici per il dolore addominale e lassativi o antidiarroici per le variazioni dell’alvo. Nel caso di importante interessamento della sfera psicologica, utile è l’applicazione di antidepressivi.

https://www.news-medical.net

Infine, l’indicazione all’utilizzo di probiotici e il ricorso al FMT si spiegano in virtù delle evidenze di correlazione tra gastroenteriti infettive e SII. Un recente articolo di Pimentel M. e Lembo A., riporta le conseguenze osservate su modelli animali dopo un infezione enterica: alterazione della consistenza delle feci, aumentata presenza di cellule infiammatorie, alterazione della componente muscolare e della flora batterica.
Molti soggetti si nota una
variazione della composizione del microbiota dopo l’evento infettivo e, probabilmente, ciò potrebbe essere uno dei momenti chiave per lo sviluppo della sindrome.

Conclusioni

Da anni l’intestino viene soprannominato “secondo cervello” e, alla luce di quanto detto, si può comprendere il perché. Come del resto sosteneva il filosofo Feuerbache: “Noi siamo quello che mangiamo”.

Gaetano Giusino

Bibliografia:

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32026278/

https://www.unigastro.it

 

Il microbiota intestinale: un ”organo” trapiantabile

Il microbiota intestinale, comunemente conosciuto come flora intestinale, è uno degli elementi fondamentali e coinvolto in molteplici funzioni dell’ apparato digerente. 

  1. Cos’è il microbiota intestinale?

  2. Funzioni del microbiota

  3. Microbiota come ”organo”

  4. Condizioni che alterano il microbiota

  5. Conseguenze

  6. FMT, una terapia all’avanguardia

  7. Criteri per la donazione di materiale fecale

  8.  Conclusioni

Cos’è il microbiota intestinale?

La popolazione di microrganismi che costituisce questo ecosistema è rappresentata da miliardi di batteri, virus, funghi e protozoi, che interagiscono tra di loro funzionando come un vero e proprio organo.
La flora batterica e l’organismo sono in equilibrio tra loro in una condizione che prende il nome di eubiosi. L’uomo infatti, fornisce ai microrganismi i nutrienti necessari alla sopravvivenza in cambio di importanti funzioni da essi svolti per l’organismo.
Per cercare di mantenere uno stato di equilibrio, è necessario seguire uno stile di vita sano.
 Una dieta equilibrata è sicuramente molto importante (la dieta mediterranea è un buon esempio), fare attività fisica (bastano 20-30 min al giorno), astenersi dal fumo ed evitare l’abuso alcolico.

Fonte: Pleinair

Funzioni del microbiota

Le funzioni del microbiota intestinale sono molteplici e non limitate al solo distretto enterico.
Una delle principali funzioni è quella metabolica. Infatti, il microbiota produce vitamine come la vitamina K o B12 e sintetizza aminoacidi ed enzimi essenziali. Inoltre, interviene nei processi digestivi, trasformando gli acidi biliari primitivi in secondari, utili alla digestione e all’assorbimento dei lipidi.
La flora promuove lo sviluppo dei villi intestinali e delle cellule che costituiscono la mucosa intestinale, quindi svolge una funzione strutturale.
In più, regola il sistema immunitario intestinale e contrasta le infezioni mediante la produzione di sostanze che impediscono l’adesione di patogeni alla mucosa.

Fonte: ildottorerisponde.it

Microbiota come ”organo”

Il microbiota intestinale è in comunicazione con gli altri distretti del nostro organismo, al quale fornisce sia sostanze che informazioni per poter regolare al meglio tutte le funzioni del corpo.
Le sostanze prodotte a livello intestinale raggiungono il fegato attraverso la vena porta.
Nel caso di disbiosi, una condizione di squilibrio, le sostanze tossiche prodotte dal microbiota si riversano nel fegato danneggiandolo e inducendo NASH, una condizione patologica infiammatoria con accumulo di grasso.
Un altro asse comunicativo importante è con il Sistema Nervoso Centrale.
In un articolo pubblicato su Pubmed, un gruppo di studiosi italiani, evidenzia la possibile influenza del microbiota su funzioni nervose centrali e periferiche e che la salute mentale possa essere disturbata da una condizione di disbiosi.
L’Istituto Superiore di Sanità riporta anche uno stretto rapporto con l’apparato cardiovascolare ed endocrino metabolico.

Condizioni che alterano il microbiota

Mantenere un corretto stile di vita è importante per garantire l’eubiosi.
Una causa di mancato equilibrio, è il consumo scorretto e/o inappropriato di antibiotici. Oltre a causare l’insorgenza di resistenza agli antibiotici da parte del nostro oganismo, questo comportamento determina una significativa diminuzione delle specie componenti la popolazione microbica.
Anche le infezioni di diversa natura si inscrivono tra le cause di disbiosi. In particolar modo importante è l’infezione da Clostridium Difficile.

Conseguenze

Uno stato di squilibrio rende l’organismo più vulnerabile all’insorgenza di diverse patologie. La disbiosi può essere strettamente correlata a patologie dell’intestino come le malattie infiammatorie croniche intestinali (es. il morbo di Crohn), gastrite, sindrome dell’intestino irritabile e i tumori dell’apparato digerente. In tale condizione, viene meno anche la protezione dalle infezioni, con conseguente possibile proliferazione di patogeni, che causano infezioni sia localmente che in altre aree (ad esempio infezioni respiratorie).
Altra conseguenza negativa è l’alterazione della permeabilità intestinale, con possibile passaggio in circolo di sostanze in grado di attivare il sistema immunitario e determinare malattie autoimmuni e reazioni allergiche.

Fonte: PoliambulatorioKI
Fonte: PoliambulatorioKI

FMT, una terapia all’avanguardia

Una forma di terapia che sta acquisendo sempre più importanza è la FMT, ossia il trapianto di materiale fecale. Essa è utilizzata nei casi gravi di infezione da ceppo resistente di Clostridium Difficile, ma alcuni studi stanno mettendo in risalto la sua validità anche per la cura di altre patologie.
Il trasferimento di materiale fecale, da un donatore in buona salute, permette di migliorare le condizioni dei pazienti con patologie correlate ad una disbiosi. Sostanzialmente, si ricostruisce il normale habitat microbico nell’ambiente intestinale.

Criteri per la donazione di materiale fecale

La selezione dei donatori segue dei criteri rigidi: vengono esclusi individui che abbiano comportamenti sessuali ad alto rischio, tossicodipendenti, chi ha fatto un piercing o un tatuaggio nei sei mesi precedenti, chi è stato in prigione e chi abbia viaggiato in aree endemiche per diarrea.
Si escludono anche tutti quei soggetti che hanno patologie intestinali infettive, non infettive e/o patologie sistemiche e tutti coloro che hanno seguito una terapia antibiotica nei tre mesi precedenti alla donazione.
I donatori devono eseguire screening per HIV, Virus dell’epatite B ed epatite C.
Una volta eseguita la donazione, il campione può essere trasferito subito (entro sei ore dalla donazione) oppure congelato e conservato.
Il campione è costituito da 30 gr di feci sospesi in 150 ml di soluzione salina sterile e, successivamente, filtrati. Nel caso del congelamento, viene aggiunta una soluzione con glicerolo ai fini della conservazione (che avviene a -80 °C).
Le vie di somministrazione sono diverse: la tecnica preferenziale è la colonscopia. Tuttavia è anche possibile la somministrazione mediante clistere o endoscopia per via nasale o orale oppure attraverso l’ingestione di una capsula.

Fonte: islandhealth.it

Conclusione

Giovenale nelle Satire afferma “mens sana in corpore sano“, una locuzione abbastanza conosciuta e che indica come una mente sana possa essere presente solo in un corpo in salute. È importante avere uno stile di vita sano per prevenire squilibri come la disbiosi, che può essere causa di discomfort o veri e propri stati patologici.

Gaetano Giusino

 

Bibliografia:

https://www.news-medical.net/health/Fecal-microbiota-transplant-technique-(Italian).aspx

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33497754/

https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/f/flora-intestinale-microbiota-e-microbioma#conseguenze-della-disbiosi

http://www.trapianti.salute.gov.it/imgs/C_17_cntPubblicazioni_416_allegato.pdf