Il progetto GRATA finanziato con oltre un milione di euro – Intervista alla coordinatrice Prof.ssa A. Bitto

Uno dei progetti di ricerca del nostro Ateneo si è aggiudicato un finanziamento per un oltre un milione di euro dal FISR 2019, ovvero un fondo integrativo speciale per la ricerca offerto direttamente dal Ministero.

Il progetto prende il nome di GRATA ed indagherà le potenzialità diagnostiche e terapeutiche di particolari molecole chiamate Graphene Quantum Dots. L’Università offre inoltre un assegno di ricerca nel contesto dell’iniziativa, come approfondito a fine articolo. Abbiamo intervistato la Prof.ssa Alessandra Bitto, coordinatrice del progetto, per saperne di più su GRATA.

Prof.ssa Alessandra Bitto

Per prima cosa, volevamo chiederle quando e in che modo fosse nato il progetto GRATA e quale fosse l’oggetto principale della ricerca.

Il progetto GRATA nasce nel 2019 a partire dall’idea della Prof.ssa Iannazzo, docente del Dipartimento di Ingegneria del nostro Ateneo, che da sempre si occupa della ricerca di molecole che possano essere utilizzate come carrier di farmaci.

Ha identificato, in particolare, delle promettenti particelle di grafene, i cosidetti Graphene Quantum Dots, che hanno particolari proprietà.

Innanzitutto, possono inoltre legare piccoli farmaci, come alcuni antitumorali. La Prof.ssa aveva inizialmente notato come la doxorubicina, un farmaco già usato contro i tumori, potesse essere veicolato all’interno delle cellule in maniera più rapida se coniugato con queste particelle.

Inoltre, un’altra caratteristica è che sono dotate di fluorescenza. Sfruttando questa proprietà, ci è stato possibile seguirle sia all’interno del citoplasma delle cellule target, sia addirittura all’interno del nucleo. Quindi, è possibile monitorare, all’interno della cellula, il percorso che fa il farmaco coniugato alle particelle. Si tratta di un’esperienza affascinante, in quanto seguire il tragitto del farmaco ci permette di osservare da un punto di vista pratico ciò che immaginiamo teoricamente.

 

Che risvolti potrebbero avere queste particelle nella ricerca nell’ambito dei farmaci antitumorali?

Va precisato che, nel contesto della ricerca dei farmaci antitumorali, capita spesso che molecole che si dimostrano promettenti antineoplastici nei modelli teorici, poi trovino difficoltà ad entrare nelle cellule. I Graphene Quantum Dots potrebbero contribuire a superare questo limite indirizzando specificatamente il farmaco verso la cellula tumorale.

La particella, infatti, lega, da un lato, una “chiave” che permette di riconoscere una specifica “serratura” sulla superficie della cellula tumorale; dall’altro lato lega il farmaco che determinerà la morte della cellula con estrema specificità. Inoltre, come abbiamo detto, ci è possibile seguirlo: non solo all’interno delle cellule ma addirittura all’interno di organi e tessuti.

Le particelle di grafene, inoltre, sono completamente inerti da un punto di vista biologico e gli studi hanno dimostrato che non danno particolari fenomeni di tossicità o accumulo.

Il risvolto potrebbe essere quello di identificare un carrier efficace e sicuro come potenziale prospettiva nella lotta ai tumori.

 

Oltre ai principali ideatori del progetto, chi sono e che ruolo avranno i vari collaboratori di questo studio?

Abbiamo già fatto delle riunioni iniziali per dividerci i compiti quando abbiamo disegnato insieme il progetto. Innanzitutto, preciso che prenderanno parte a GRATA due partner: l’Università degli Studi di Genova e il CNR di Catania. Quest’ultimo effettuerà delle analisi sulla struttura tridimensionale del Graphene Quantum Dot coniugato a farmaci. L’obiettivo è quello di comprendere che dimensioni esso raggiunge e come può essere veicolato in una formulazione farmaceutica. L’Università degli Studi di Genova, invece, farà uno studio genetico sulle modifiche dell’RNA messaggero generate dalla risposta al farmaco.

Per quanto riguarda l’Università degli Studi di Messina, il progetto prevede una collaborazione multidisciplinare.

Il gruppo dei chimici farmaceutici e organici studierà quali sono le molecole da coniugare con i Quantum Dots dal punto di vista strutturale. Inoltre, utilizzeremo anche farmaci di nuova sintesi. Il gruppo dei chimici farmaceutici con la Prof.ssa Zappalà, la Prof.ssa Ettari, il Prof. Giofrè e il Prof. Romeo si occuperanno del disegno e della sintesi delle nuove molecole.

Il Prof. Cicero, docente di chimica degli alimenti, ci aiuterà a comprendere se alcune sostanze di origine naturale possano essere coniugate al Quantum Dot, in quanto le cellule tumorali ne sono particolarmente avide.

Il gruppo di Ingegneria, con la Prof.ssa Iannazzo e il Prof. Pistone, realizzerà fisicamente questo coniugato, fornendoci la molecola completa.

Il farmaco verrà fornito alla Prof.ssa Di Pietro, docente di Igiene, che, insieme alla Prof.ssa Visalli, contribuirà a valutare l’efficacia del farmaco su alcune linee cellulari tumorali.

Quindi, io e la Prof.ssa Irrera, da farmacologi, insieme a tutti i dottorandi e i corsisti che lavoreranno con noi sul progetto, testeremo il farmaco su modello animale. Indurremo quindi sperimentalmente un tumore e valuteremo l’efficacia delle particelle di grafene coniugate ai farmaci sia in senso diagnostico che terapeutico.

 

Per concludere, vorremmo porre un ultimo quesito: quando pensa che saranno resi pubblici i risultati di questo progetto e, soprattutto, quanto tempo pensa possa trascorrere affinché possa esserci un’applicazione sull’uomo?

Per quanto riguarda la pubblicazione dei risultati bisogna attendere la conclusione del progetto, prevista per Febbraio 2023. La pandemia in corso ha inevitabilmente rallentato l’approvvigionamento dei materiali necessari per le attività di ricerca. In ogni caso, cercheremo di concludere il progetto nei tempi stabiliti. Spero che i risultati preliminari, ottenuti sulle cellule, possano essere disponibili esattamente tra un anno. A quel punto, saranno già in corso gli studi su modello animale.

Per quanto riguarda l’applicabilità, banalmente potrebbe essere quasi immediata. Già in medicina abbiamo dei radiofarmaci che, emettendo radiazioni, permettono di localizzare alcuni particolari tipi di tumore. Nel caso dei Graphene Quantum Dots, potremmo ottenere dei risultati analoghi, senza emissione di radiazioni, ma solo attraverso la fluorescenza. A ciò si aggiunge la possibilità di coniugare un farmaco antitumorale e quindi avere finalità terapeutica.

Se il progetto darà esiti positivi, i passaggi cruciali sarebbero poi lo studio sull’uomo, l’approvazione e la produzione su larga scala. Pertanto, sarebbe necessario trovare un’azienda che sia interessata a traslare le nostre ricerche sull’uomo. Un altro dei vantaggi di queste particelle è che hanno un basso costo, il che le rende ancora più promettenti.

 

Conferimento dell’assegno, come partecipare

A chi è rivolto?

La procedura di selezione è rivolta a coloro i quali posseggono i seguenti requisiti:

    1. titolo di dottore di ricerca inerente l’area scientifico disciplinare di pertinenza, conseguito in Italia o il titolo equivalente conseguito all’estero;
    2. conoscenza della lingua straniera: inglese.
  • L’assegnazione dell’assegno non è compatibile con l’iscrizione a corsi di laurea, di laurea specialistica o magistrale, a dottorato di ricerca con borsa o a scuola di specializzazione dell’area medica, in Italia o all’estero, nonché con l’iscrizione ad altra scuola/corso che, dato l’obbligo di frequenza, impedisca lo svolgimento delle attività previste dal contratto.
  • L’assegno non è cumulabile con borse di studio a qualsiasi titolo conferite ad eccezione di quelle concesse da Istituzioni nazionali o straniere utili a integrare, con soggiorni all’estero, l’attività di ricerca dei titolari. Nè con il lavoro dipendente e con altri assegni o contratti di collaborazione all’attività di ricerca.
    Una limitata attività di lavoro autonomo è concessa, in assenza di conflitti di interesse, previa comunicazione scritta e accordo con il docente responsabile.

Come presentare la propria candidatura

La domanda di ammissione può essere presentata esclusivamente per via telematica mediante un’apposita procedura disponibile al sito https://pica.cineca.it/unime/. Il candidato dovrà inserire tutti i dati richiesti ed allegare i documenti in formato PDF.

La presentazione della domanda di partecipazione dovrà essere perfezionata e conclusa secondo una delle seguenti modalità: mediante firma manualemediante firma digitale sul server ConFirmamediante firma digitale sul PC.

Nella domanda il candidato dovrà inoltre dichiarare:

  • nome e cognome; data ed il luogo di nascita; cittadinanza; residenza ed il domicilio eletto ai fini della partecipazione alla procedura;
  • di non avere riportato condanne penali e di non avere procedimenti penali in corso (in caso contrario, indicare quali);
  • eventuali disabilità presenti, specificando l’ausilio necessario in relazione al proprio handicap e l’eventuale esigenza del tempo aggiuntivo, documentati da idoneo certificato rilasciato dalla struttura sanitaria pubblica competente per il territorio.

Altri documenti da allegare

I documenti dovranno essere inseriti in formato PDF, nell’apposita sezione “allegati”.

  • il curriculum in formato europass della propria attività scientifico-professionale firmato e datato;
  • l’elenco delle pubblicazioni e dei titoli;
  • le pubblicazioni e/o i titoli di cui si chiede la valutazione;
  • eventuale certificazione sanitaria per disabilità o DSA;
  • copia scansionata di un documento di riconoscimento con foto, in corso di validità.

I candidati cittadini comunitari e non comunitari, in possesso di titolo/i estero/i conseguito/i in Paesi NON UE, dovranno allegare il certificato del/i titolo/i posseduto/i da cui si evinca: la durata del Corso di studio; l’indicazione dell’Università che ha rilasciato il titolo; la data di conseguimento e la votazione finale;

Dovrà inoltre essere allegata una traduzione in lingua italiana o inglese, dichiarata conforme al testo a cura delle competenti rappresentanze diplomatiche o consolari all’estero.

Termine ultimo per la presentazione della propria candidatura

La procedura di compilazione e invio telematico della domanda dovrà essere completata entro e non oltre le ore 12.00 del ventesimo giorno successivo alla data di pubblicazione del bando.

L’assegno di ricerca avrà validità di 18 mesi e non è rinnovabile.

Valutazione dei candidati e colloquio

Verificata la presenza dei requisiti necessari, saranno valutate la preparazione, l’esperienza e l’attitudine alla ricerca del candidato. Saranno presi in considerazione i titoli, le pubblicazioni, eventuali incarichi svolti in Italia e/o all’estero.

Il punteggio complessivo è pari a punti 100, così ripartiti: fino ad un massimo di punti 75 assegnabili ai titoli; fino ad un massimo di punti 25 assegnabili al colloquio.

Il punteggio minimo che i candidati devono aver conseguito nella valutazione dei titoli per essere ammessi a sostenere il colloquio è pari a 40/75 punti. Gli argomenti dello stesso saranno Tecniche di PCR quantitativa e western blot; modelli sperimentali murini di tumore epatico.

I risultati della valutazione e l’elenco dei candidati ammessi al colloquio verranno pubblicati sul sito web https://www.unime.it/it/ricerca/assegni-di-ricerca, prima della data fissata per il colloquio.

Il colloquio avrà luogo il giorno 1 giugno 2021 alle ore 10.00 in modalità telematica sulla piattaforma Microsoft Teams. I candidati dovranno essere muniti di documento di riconoscimento in corso di validità. La mancata presentazione al colloquio sarà considerata come rinuncia alla selezione.

Al termine di ogni seduta dedicata al colloquio, la Commissione forma l’elenco dei candidati esaminati, con l’indicazione del voto da ciascuno riportato, che sarà affisso all’albo della sede degli esami.

I risultati della valutazione vengono formalizzati con decreto del Direttore del Dipartimento
e pubblicati sul sito web di Ateneo https://www.unime.it/it/ricerca/assegni-di-ricerca.

Conferimento dell’assegno

  • Una volta designato il vincitore dell’assegno, lo stesso è tenuto ad accettare entro e non oltre 20 giorni dalla pubblicazione dalla graduatoria, pena decadenza. Nel caso in cui il ritardo sia dovuto a comprovati e gravi motivi, dovranno essere tempestivamente comunicati.
  • In caso di rinuncia, si procederà allo scorrimento della graduatoria.
  • L’importo annuo lordo dell’assegno di ricerca è determinato in € 25.650,00 da considerarsi al lordo degli oneri a carico dell’Università.
  • Il vincitore sarà provvisto di copertura assicurativa in merito a potenziali rischi di infortuni e responsabilità civile, fornita dall’Università stessa.

Francesca Umina

Antonino Micari

L’esempio di Giuseppe Parisi: quando la passione per il cinema incontra i social

Da giovani appassionati di cinema, la nostra rubrica di Recensioni guarda sempre con attenzione a tutti quei progetti che, come quello di cui vi stiamo parlando oggi, portano avanti contenuti che mettono in mostra tutta la bellezza della settima arte.  A tal proposito, abbiamo avuto il piacere di parlare con Giuseppe Parisi, 24enne messinese e studente del corso di laurea di giurisprudenza all’UniMe, che grazie alla propria passione sta portando avanti una pagina Instagram, cinemania_italy, interamente dedicata al cinema; ad oggi vanta già quasi 24.000 follower. Un successo non da poco: la qualità del lavoro, oltre al riscontro del pubblico, rendono giustizia all’impegno profuso da Giuseppe per la realizzazione di una pagina che, al passo con le nuove piattaforme social e strategie comunicative, si pone gli stessi obiettivi della nostra rubrica, ovvero avvicinare sempre più persone al grande schermo, oltre ad aggregare i tanti appassionati del settore. Ecco la nostra intervista.

Logo della pagina

Come è nata l’idea di trasformare la tua passione per il cinema nella gestione di una pagina Instagram?

L’idea è nata nel 2014, nel momento in cui ho iniziato vedere che c’erano tante pagine, Facebook a quel tempo, che trattavano di cinema e dunque ho pensato di aprirne una anche io, ma su Instagram, che fortunatamente poi si è rivelato il social del momento.

La gestisci da solo oppure hai dei collaboratori? È stato difficile farla crescere così tanto?

La gestisco da solo, soltanto l’immagine del profilo è stata realizzata da un mio amico. La crescita è stata abbastanza difficile, ho 24.000 seguaci, che potrebbero sembrare pochi in confronto a tante altre pagine con molti più follower, ma per me sono tanti, considerando la difficoltà con la quale li ho raccolti e il fatto che non mi sia mai affidato a stratagemmi per farli aumentare più velocemente. Tutto questo è stato possibile anche grazie al fatto di cui parlavo prima, cioè grazie all’ottimo tempismo nell’introdurmi in questa nuova piattaforma: la mia è stata una delle prime pagine in Italia a trattare di cinema, su un social che a quel tempo era molto meno utilizzato rispetto ad oggi.

Giuseppe Parisi

So che questa domanda è sempre difficile per un appassionato di cinema, ma quali sono il tuo film e regista preferito?

Per il film preferito sono sicuro di risponderti “C’era una volta in America” di Sergio Leone, perché è il film che ogni volta che rivedo mi emoziona sempre di più e nonostante duri quattro ore il tempo vola. L’ho visto anche di recente e posso confermare nuovamente la mia scelta. Per quanto riguarda il regista, non ne ho solamente uno, tra i miei preferiti ci sono Kubrick, Lynch, Tarantino, Scorsese e ovviamente Sergio Leone.

Quando è nata la passione per il cinema ?

È nata da piccolo, non guardavo i classici film per bambini, ma film più importanti, adatti già a un pubblico più adulto. Anche mio padre ha avuto una grande influenza, da appassionato di cinema; così, crescendo ho iniziato a farmi una cultura sempre più ampia, conoscendo anche nuovi registi.

Cosa ne pensi della situazione che sta vivendo il cinema causa Covid-19?

La situazione non è delle migliori, purtroppo come abbiamo visto anche il cinema, come molte altre industrie, è stato colpito da questo orribile momento, vedendo rimandate tante produzioni a livello di lavorazioni e anche tanti  film già pronti per essere lanciati nelle sale. Spero, anche se qui in Italia qualcuno ha già riaperto, che al più presto si risolva la situazione, anche perché ancora alle case di distribuzione non conviene economicamente distribuire film se i cinema non tornano ad essere riaperti in tutto il mondo, affinché tutti possiamo tornare in sala e i film possano tornare ad essere distribuiti, per aiutare anche i piccoli imprenditori, che hanno cinema più di nicchia, possano tornare a respirare.

Quale è stata l’uscita nelle sale che attendevi di più ma che è stata, giustamente, rimandata?

Principalmente erano due: “007” che amo sempre andare a guardare, soprattutto l’ultima saga di Daniel Craig; questo dovrebbe essere l’ultimo film e sono molto curioso di vederlo. L’uscita era stata programmata ad aprile, ma ovviamente è stata rimandata in autunno, se non erro a novembre, spero non la rinviino nuovamente. L’altro film invece è “Tenent” di Nolan, del quale sono sempre curioso di scoprire cosa ha in serbo, dovrebbe uscire in estate (ad agosto) ma ovviamente non è nemmeno sicuro che uscirà.

Ringraziamo nuovamente il nostro collega Giuseppe per averci parlato del suo progetto: c’è sempre spazio per il cinema, anche in un momento di crisi come questo.

Giuseppe Currenti

I rappresentanti del Seguenza ai microfoni di UniVersoMe

Scuole, istruzione e malcontento generale: questa secchiata d’acqua ha trovato un terreno secco che l’ha assorbita subito.

Gli elementi principali di questa vicenda sono: una preside che, vessata dalle continue riforme scolastiche, si ritrova a dover fronteggiare situazioni economiche spiacevoli; una comunità studentesca figlia di questa generazione emotivamente e socialmente sfortunata; delle frasi esasperate dalla frustrazione e, forse, dalla stanchezza.

La prof.ssa Leonardi ha avuto la possibilità di replicare, chiarire la propria opinione. Noi in quanto studenti abbiamo pensato agli studenti: cosa hanno provato? Come vivono ogni giorno la loro condizione di studente liceale del 2020?

Sembra una frase tanto futuristica, eppure eccoci qua. Dopo l’assemblea convocata stamattina davanti al Municipio, ci siamo fermati con i rappresentanti di istituto Giorgia, 18 anni, Matteo, 18, e con Hermès, 20, studente attivo da diversi anni nell’ambito della politica studentesca.

Matteo e Giorgia durante una manifestazione – 2019

Da cosa scaturisce tutto?

Giorgia: noi da tempo nutriamo un malcontento nei confronti non soltanto della preside, ma delle Istituzioni in generale, perché ci ritroviamo in una scuola che non ha fondi, che non è curata e che quindi non funziona. Non abbiamo i servizi e, nonostante tutto ciò, ci ritroviamo a pagare una quota sostanziosa, 75€ annui, per accedere ai viaggi di istruzione, ma semplicemente anche ai corsi. Se un ragazzo è bravo in matematica, ad esempio, e vuole fare un corso di potenziamento, non può se non paga i 75€. Sappiamo benissimo che, anche la nostra Costituzione lo dice, il ragazzo valido deve continuare a studiare, deve specializzarsi, anche se non ha possibilità economiche.

Matteo: non solo questo. Abbiamo una piattaforma che consente agli studenti di accedere ai vari progetti, che possono dare o non dare crediti. I ragazzi del triennio si trovano obbligati a pagare questa quota per riuscire ad accedere ad un qualunque tipo di progetto che può dare crediti, che serviranno poi per l’esame di maturità.

Giorgia: noi ci siamo ritrovati in questa situazione perché questo malcontento è sfociato in una serie di “rivolte” e anche in un’assemblea autoconvocata, per avere un diretto confronto con la preside. Inizialmente ci ha accolti il vicepreside Prestipino, successivamente è arrivata lei. Da una settimana nutrivamo questo malcontento.

Dunque vi siete ritrovati in una condizione che non potevate più sopportare. Hermès, tu eri presente quando la dirigente ha fatto il suo discorso? Come ti sei sentito?

Sì, in quel momento il discorso mi ha toccato, nonostante io non sia figlio di un contadino, e ho pensato che sicuramente chi viene etichettato come “figlio di contadino” possa comunque risentirne, possa non essere d’accordo con questo giudizio. La preside sicuramente, come lei stessa ha detto, avrà avuto un momento di “defiance”, chiamiamola così. Forse non era nemmeno questo ciò che voleva dire; ciò non toglie che ha scatenato una bufera su sé stessa.

Matteo, avete avuto un confronto diretto con la Preside di recente?

Dopo le varie forme di protesta che abbiamo attuato, solo Giorgia ha avuto rapporti con la Preside. Per il resto noi non siamo stati né ricevuti, né convocati; non abbiamo avuto modo di parlarle. 

Cosa pensate che accadrà adesso?

Giorgia: ora come ora sinceramente non abbiamo intenzione di fermarci, è stata una settimana lunga con una serie di proteste che non possono finire così. Sicuramente non ci fermeremo, o meglio, non ci fermeremo fino a quando non avremo delle risposte. Esigiamo delle scuse perché non solo molte persone ci sono rimaste male, ma è stato anche un attacco a delle scuole che realmente meritano. Penso che un Nautico, una Verona Trento o un qualsiasi Istituto Tecnico siano assolutamente rispettabili e che i rappresentati di quelle scuole siano uguali a noi. Per questo noi non abbiamo concepito questa cosa come positiva, anzi come estremamente negativa: vogliamo delle scuse e, fino a quando non ce le darà, continueremo secondo i nostri ideali.

Sit-in degli studenti del Seguenza presso Piazza Unione Europea, Messina 2019

Avete visto nell’atteggiamento della dirigente prepotenza, come se fosse quasi un bullo?

Giorgia: ho visto ieri la preside perché mi ha chiamata esplicitamente per un’intervista. L’ho vista non solo molto tesa, ma anche come una specie di muro, come se non volesse realmente far capire alle persone il suo stato d’animo attuale. Potrei anche sbagliarmi, ma ho avuto questa sensazione. Bullo? Credo di no, lei è una persona rispettabilissima e tutti possono sbagliare. La bravura sta nel far pesare questo errore il meno possibile, semplicemente chiedendo scusa, in modo tale da chiarirci su questo punto.

Secondo voi la dirigente si riferiva alla condizione economica o culturale delle famiglie di contadini?

Giorgia: sicuramente alla condizione economica.

Secondo voi la conoscenza della lingua italiana prescinde dall’avere scelto un percorso scolastico liceale piuttosto che professionale?

Giorgia: assolutamente sì, la lingua italiana è alla base di tutto, indipendentemente dalla scelta del percorso scolastico.

Insomma, certamente è stata una battuta infelice.

Hermés: più che altro il suo è stato un ragionamento, secondo me. 

Giorgia: ha cercato di tirare fuori l’orgoglio dei ragazzi, ma non è andata così evidentemente.

Hermés: Quello che a noi ha fatto intendere è che se vieni al Seguenza sei benestante, devi pagare questa quota perché sei benestante, senza nessuna distinzione. Per questo è accusata di classismo. Nonostante l’intera società stia dimostrando i suoi torti, la preside sta dimostrando di peccare di presunzione in questa situazione.

Matteo: Penso – e credo di parlare a nome di tutti noi studenti [del Seguenza n.d.r.] – che sentiamo di non avere nulla in più di qualsiasi altro studente di qualunque liceo, che sia un Professionale o di altro tipo.

 

Sebbene il pessimismo e la politica dell’odio abbiano -speriamo in un “abbiano avuto”- la meglio negli ultimi anni, influenzando notevolmente gli adolescenti che ora più che mai nella loro vita affrontano un vortice di emozioni, turbamenti, ansie e paure, ma continuano a credere e lottare per i loro diritti, a volte calpestati come il diritto di gratuità dell’istruzione, non dimentichiamoci l’art.33 della nostra Carta Costituzionale.

Per quanto le affermazioni siano state fuori luogo, inappropriate, e senza scuse, che abbiano colpito personalmente studenti, ex studenti, docenti e colleghi della stessa dirigente, ciò non toglie che l’ingranaggio in cui lei lavora si è inceppato per la necessità di rastrellare fondi che obiettivamente non tutti i fruitori finali possono permettersi o vogliono corrispondere. L’innesco è stato attivato, non nel migliore dei modi, ma adesso che la situazione è questa: è giusto che una scuola pubblica, costituzionalmente gratuita, debba chiedere denaro anche sotto forma “volontaria” per svolgere attività didattica?

Questo è il frutto distorto dell’autonomia scolastica, da una decina di anni a questa parte, che arranca con il “volontario” aiuto dei genitori. Per quanto ancora si dovrà sostenere questa precarietà?

 

 

Giulia Greco, Emanuele Chiara

La dirigente Leonardi ai microfoni di TCF

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L’astronauta J. N. Williams, in esclusiva per UniversoMe

©Giulia Greco – Jeffrey N. Williams – Unime, 31 Ottobre 2019 

Lo scorso 31 Ottobre, presso l’Aula Magna del rettorato, si è svolta la Cerimonia di Conferimento del Dottorato honoris causa in Fisica al Colonnello Jeffrey N. Williams, uno degli astronauti più importanti della NASA. L’astronauta ha partecipato a diverse missioni spaziali, trascorrendo in totale ben 534 giorni nello spazio, durante i quali ha compiuto cinque spacewalks per un totale di circa 32 ore. Il Colonnello ha lavorato allo sviluppo dei programmi della Stazione Spaziale Internazionale, contribuendo inoltre all’upgrade della cabina di pilotaggio dello Space Shuttle.

Noi di UniVersoMe siamo riusciti a porgli qualche domanda.

Cosa significa per lei ricevere il Dottorato honoris causa in Fisica presso la nostra Università?

Beh, è senz’altro un onore per me ricevere questo Dottorato proprio in questo Ateneo, che è uno dei nostri partner con cui collaboriamo.

Lei è stato fino al 2017 l’astronauta americano che ha trascorso più tempo nello spazio. Qual è il momento più bello che ha vissuto nello spazio, e quale quello peggiore?

Non credo di aver avuto un momento peggiore, ho avuto però tanti momenti bellissimi. Ho avuto la fortuna e l’onore di poter contribuire all’assemblaggio della Stazione Spaziale Internazionale e di vederla realizzata. E’ un incredibile risultato di collaborazione internazionale ed un punto di riferimento per la ricerca spaziale. Il primo modulo è stato assemblato nel 1998 e continuerà ad orbitare attorno alla Terra per tanti altri anni.

©Giulia Greco – Jeffrey N. Williams – Unime, 31 Ottobre 2019 

Il tempo che ha passato nello spazio l’ha cambiata? O comunque, ha influenzato qualche sua convinzione?

Certamente ha ampliato la mia visione della vita. Vedo il mondo in maniera diversa, le persone in modo diverso. Quando si cresce nella propria comunità si ha una visione limitata delle cose, e certamente un’esperienza del genere ti cambia. Per questo voglio condividere con tutti ciò che ho vissuto, come con voi oggi.

Nel suo libro “The work of his hand” afferma che lo spazio mostra la prodigiosa creazione di Dio. Crede che vi sia un conflitto tra fede e scienza? Come la fede può stare al passo con la continua rivoluzione scientifica? 

Non credo ci sia un conflitto tra scienza e fede, specialmente tra la scienza e la Bibbia. Dipende dall’approccio che abbiamo: se credi in Dio, e credi che si manifesti attraverso la natura e puoi studiare la natura attraverso la scienza ed attraverso la Sua parola, che riconosce la scienza, allora non c’è conflitto; se invece fai scienza partendo dal presupposto che non esiste un Dio, quindi devi spiegare l’esistenza di tutto senza una fede, devi affidarti al caso, ed è qui che nasce il conflitto.

©Giulia Greco – Jeffrey N. Williams – Unime, 31 Ottobre 2019 

Se potesse incontrare il Jeffrey N. Williams appena ventenne, quali consigli vorrebbe dargli? 

Gli consiglierei di continuare a lavorare duro, ad essere una persona di carattere, di studiare, di sviluppare e seguire i propri interessi e le proprie passioni così da essere pronti alle occasioni che si apriranno.

Oggi, specialmente in Italia, è difficile per i giovani scienziati essere valorizzati, portare avanti le proprie ricerche e pensare in grande. Cosa consiglia a tutti a tutti loro?

A volte pensiamo che aspirare a qualcosa di grande sia al di là delle nostre potenzialità. Ma il progresso, soprattutto nell’ambito scientifico, si è compiuto a piccoli passi. Quindi direi loro di cogliere le opportunità e responsabilità che gli sono offerte e non pensare subito e solo al grande obbiettivo che si ha. Così ti ritroverai ad un certo punto a guardarti indietro, e vedrai quanta strada e quanto contributo sei riuscito a dare senza accorgertene.

 

Antonio Nuccio

Mish Mash: ecco il welcome Day secondo UniVersoMe

Eccoci arrivati all’evento più atteso dell’estate: il Mish Mash fest. Ormai arrivato alla quarta edizione, si prospetta riconfermarsi come uno dei più importanti della provincia di Messina e non solo. Nella suggestiva ambientazione dell’antica Milazzo: il Castello. 

Molti sono stati i gruppi e i cantanti a suonare nelle precedenti edizioni sul palco di questo festival e molti di essi hanno raggiunto un successo notevole nella scena indie italiana: Calcutta, Gazzelle, Carl Brave, Frah Quintale..

Anche quest’anno sono attesi nomi di artisti importanti e di un certo livello, assieme ad alcuni un po’ meno conosciuti ma ugualmente apprezzati. Ospite d’onore, un artista che ha fatto parte della storia della musica italiana: Nada, per la sua unica data siciliana. 

Il primo giorno dell’evento è stato l’11 agosto, welcome Day a ingresso gratuito. A parteciparvi sono state tre band susseguite da vari dj set.

Partiamo dai Basiliscus P.: gruppo rock sperimentale di Messina, presentano un’influenza proveniente dal primo indie, dallo psych rock e desert rock. Siamo riusciti a intervistare Federica e Luca rispettivamente chitarra e batteria, che ci raccontano di loro dopo esser da poco tornati da un tour nel Lazio.

Siete qui al Mish Mash dopo aver vinto un Contest musicale lo scorso dicembre. Siete emozionati?
Abbiamo vinto la maratona musicale al Perditempo. Non ci sentiamo molto emozionati, è una bella ambientazione. È la prima volta che siamo qui, ma lo conosciamo come uno dei più importanti della Sicilia.

Suonerete brani del vostro album Placenta?

Sì, ma non solo. Abbiamo dei pezzi nuovi, del nuovo disco che uscirà nel 2020. È la seconda volta che presentiamo questi brani, speriamo funzioni.

Avete recentemente avuto delle date in Lazio. Com’è andata?
Sì, siamo stati a Latina e al B-folk di Roma. È andata bene soprattutto a Latina, in un circolo Arci. Pensiamo di tornarci presto, magari in inverno.

Non ci sono molti gruppi come il vostro. Quali sono le vostre influenze musicali?
Qualche anno fa ce n’erano di più, adesso un po’ meno. Le nostre influenze sono Sonic Youth, Motorpsycho, Frank Zappa. Una canzone nuova è ispirata a lui. Poi Pink Floyd, anche se è quasi scontato. Molte provenienti dagli anni ’70 e ’90. Quello che ascoltiamo ci influenza molto su quello che poi andiamo a suonare.

Come avete iniziato?
Abbiamo iniziato con un altro gruppo: Federica suonava il basso e io (Luca) la chitarra. Avevamo una cover band del Teatro degli Orrori, ma non è durata molto. Poi siamo passati ad una dei Verdena, ma è andata uguale. Ognuno scriveva dei pezzi e così abbiamo pensato di creare questo gruppo.

©Marina Fulco – Mish Mash Festival 2019

Le impressioni del loro live sono state ottime. Regalano un concerto potente, intenso e apprezzatissimo. Tanta tecnica, sintonia e improvvisazione.

Altro gruppo che si è esibito è stato rappresentato dagli Aspra Dimora Klan, che, provenienti dalla cittadina di Barcellona Pozzo di Gotto, raccolgono il pubblico sotto il palco a scatenarsi. Anch’essi vincitori del contest, hanno influenze che spaziano dalla drum and bass alla grime.

©Marina Fulco – Mish Mash Festival 2019

Per finire, i Bangover Crew da Palermo, che con musica elettronica contemporanea e ricercata hanno fatto ballare il pubblico per tutta la notte.

©Marina Fulco – Mish Mash Festival 2019

Oltre alla musica, anche l’arte ha fatto da padrona e si è ben miscelata alla musica, in questo luogo che da più di mille anni sovrasta e protegge la nostra città. Infatti all’interno del Castello di Milazzo sono presenti varie installazioni e opere artistiche di un certo livello. Attenti e sensibili ai problemi ambientali, a partire da quelle presenti nel Museo del Mare da poco inaugurato (in cui è esposto lo scheletro del capodoglio Siso), come l’installazione di Giuseppe La Spada e Alice Invernici, fino a quelle di Andrea Sposari e Nuuco presenti nel percorso diretto al Monastero dei Benedettini. Infine, la mostra PUPI del Collettivo Flock situata nel Duomo Antico e vicinissima alla storia della Sicilia.

Per essere il primo giorno, il festival si rivela ben organizzato, grazie anche al lavoro di tantissimi giovani volontari che hanno deciso di prestare le loro energie e il proprio tempo per la sua ben riuscita.

Abbiamo parlato con loro, incuriositi dall’entusiasmo che li animava, e sono stati felici di raccontarci la loro esperienza. Tutti hanno raccontato della bella atmosfera che si è creata attorno a questa manifestazione. Alcuni di loro avevano già vissuto il festival come spettatori e ne sono rimasti affascinati. Così hanno deciso di ricambiare l’entusiasmo con il loro tempo. Vengono da diverse zone di provincia e anche di altre parti d’Italia. Alcuni di loro sono qui in vacanza, ma ciò che li ha conquistati è stato l’aver saputo abbinare la musica di qualità ad un luogo così affascinante, sia dal punto di vista storico, sia artistico. Hanno tutti compiti ben precisi: accoglienza e assistenza al pubblico, vendita merchandising, servizi tecnici, informazioni sulle mostre e sui concerti. 

Grazie a Alessandra, Alessia, Serena, Carmen, Alessio.. e tutti gli altri che si sono confrontati con noi di UVM.

Molti gli esercizi della zona che hanno offerto servizio di food & beverage, tra cui la possibilità di un aperitivo al tramonto con la meravigliosa vista sul mare di ponente e le isole Eolie all’orizzonte.

Dalla prima giornata si prospetta un festival che regalerà moltissime emozioni e che rimarrà nella storia del Castello che continua ad essere un centro di cultura, musica e arte.

A cura di Loredana Catalfamo Marina Fulco

“Tutto è possibile… basta crederci” – intervista a Fabio La Rosa e Titti Mazza

“Tutto è possibile… basta crederci” è lo spettacolo teatrale che andrà in scena sabato 15 giugno ’19 alle ore 21:00 presso il Palacultura a Messina.

Promosso dall’associazione culturale teatrale “I giovani di Pirandello”scritto da Titti Mazza con la regia di Fabio La  Rosa, terzo spettacolo nella loro collaborazione, è caratterizzato dall’integrazione spontanea e completa tra ragazzi diversamente abili, operatori del settore e studenti del Dipartimento Cospecs dell’Università di Messina.
Uno spettacolo fondato sul corpo che domina il palco, che affronta temi delicati, quasi denunciando una società assente e molto più apparente, ancora utopica ed anacronistica.
Noi di UVM abbiamo avuto il piacere di assistere alle prove e scambiare quattro chiacchiere con loro.

©GiuliaGreco, Fabio La Rosa e Titti Mazza – Messina, 2019

“I Naviganti” ed il diritto alla felicità, “La libertà di essere folle” ed a breve “tutto è possibile…basta crederci”: c’è un filo che lega le storie dei tre spettacoli?

Titti: In effetti si e riguarda la dignità della persona, quello che sente di essere e di voler dimostrare senza il timore del giudizio, del peso della società.

Fabio: Il filo conduttore sicuramente è il viaggio. Gli spettacoli sono frutto di un percorso laboratoriale, non si tratta di un semplice spettacolo ma viene applicato un metodo ben preciso per affrontare l’avventura che vivono i nostri attori e poter sfruttare la forza che accumulano nella loro vita quotidiana. È un viaggio emozionale, già i titoli possono suggerire il movimento che si crea attraverso la fantasia, le emozioni ed il tempo.

Bene avete così anticipato la mia prossima domanda: leggendo mi sono incuriosita del vostro modus operandi, in che consiste il teatro emozionale?

Fabio: il teatro emozionale è un percorso particolare che unisce gli aspetti tecnici del teatro e il mondo della psiche. Parte da Grotowski (Jerzy Grotowski – regista teatrale polacco ndr), il quale affermava che il teatro deve essere povero e spoglio di scenografie e costumi, dando spazio all’anima dell’attore e quindi proprio questo è il fulcro: che cos’ha l’attore come arma per poter arrivare al pubblico? L’emozione, e proprio questa è qualcosa che non si può non avere, perché si nasce con i sentimenti, e chiunque li ha. Automaticamente se si punta sulle emozioni nessuno ne è deficitario, non si può parlare più di disabilità, anzi in questo caso i ragazzi diventano guida per gli operatori del settore perché loro sono in grado di vivere le emozioni allo stato puro.

Come è nata la vostra collaborazione?

Titti: la nostra collaborazione è nata per caso, diciamo: io ero nella giuria di un percorso teatrale, e Fabio fece uno spettacolo. Quando lo vidi ne rimasi particolarmente impressionata perché si percepiva una persona con un animo forte e peculiare, sia dal punto di vista lavorativo che umano.

Qual è il riscontro che vedete da parte del pubblico? E qual è la risposta della società al vostro lavoro…

Fabio: Chi viene a vedere lo spettacolo è sempre poco rispetto alle nostre aspettative, e non perché siano alte ma perché, sfortunatamente, ci si è un po’ più abituati a criticare che a vedere ed osservare. Credo che queste siano realtà che bisogna necessariamente vedere perché è difficile spiegare a parole il percorso affrontato ed i risultati raggiunti, vederlo con i propri occhi sicuramente è più esaustivo, si parla sempre di emozioni ed ognuno ha la propria percezione. Quando si spengono le luci sul palco chi è venuto a vedere lo spettacolo, spesso ci dice che non si è accorto dove fosse la disabilità degli attori, il che significa che il percorso effettuato riesce ad arginare il disagio che viene additato ricoprendolo della dignità che merita.

©GiuliaGreco – Attori dello spettacolo “Tutto è possibile… basta crederci” , Messina, 2019

 

 

Giulia Greco

Qual è il futuro della lotta al cancro? – In esclusiva il Prof. Alberto Mantovani

“Immunità e salute: sfide, dal cancro ai vaccini”, questo il titolo della Lectio magistralis che il Professor Alberto Mantovani, Direttore Scientifico di Humanitas, Accademico dei Lincei e Socio corrispondente dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti, ha tenuto lunedì 26 Novembre nell’Aula Magna dell’Ateneo. Di fronte ad una platea affollata di medici, professori, specializzandi e studenti ha riassunto in una breve ma esaustiva trattazione, i traguardi di quello che lui ama ricordare come un “sogno”: l’immunologia applicata all’oncologia. Il Prof. Mantovani è lo scienziato italiano più citato al mondo, vanta pubblicazioni sulle maggiori riviste scientifiche mondiali, è stato insignito di numerosi riconoscimenti, tra gli ultimi il Premio Milstein, International Cytokine and Interferon Society, nel 2015, il Premio Roma allo sviluppo del Paese, nel 2016 ed il Premio Zanibelli – Leggi in salute, nel 2017, ma nonostante ciò ripete più volte di essere, citando Bernardo di Chartres, “un nano su spalle di giganti” . Noi di UniVersoMe siamo riusciti ad incontrare il Prof. Mantovani poco prima della lectio ed a fargli qualche domanda. Il professore ci ha risposto dedicandoci tutta la sua disponibilità ed esperienza.

Prof. Mantovani, i suoi studi hanno portato ad una nuova concezione della patologia neoplastica, mostrando come e quanto il tumore, per crescere, abbia bisogno di un microambiente favorevole e di un sistema immunitario “corrotto” in qualche suo elemento. Qual è il ruolo di questi due elementi nel cancro?

All’inizio del nuovo millennio l’essenza di essere cancro era stata cristallizzata in sei proprietà che avevano tutte a che vedere con la cellula tumorale. Gli immunologi, le persone come me, la pensavano un po’ diversamente. Nei primi anni del 2000 è stata accettata una visione un po’ diversa, per cui il microambiente e la nicchia ecologica in cui cresce la cellula tumorale vengono considerati di pari importanza alla cellula tumorale stessa. Ecco, della nicchia ecologica fanno parte, in particolare, componenti cellulari e molecolari della cascata dell’infiammazione. Io uso una metafora “se gli eventi genetici sono il cerino che accende l’incendio che chiamiamo cancro, i meccanismi dell’infiammazione sono la benzina che tiene acceso l’incendio”.

L’immunoterapia sembra essere la strada più promettente per una cura del cancro sempre più efficace. Tuttavia, ad oggi, lo è stata solo in un quinto dei casi dei pazienti eleggibili a questo tipo di terapia. Quali sono le strade percorse finora che hanno portato a questo piccolo ma fondamentale traguardo?

Abbiamo avuto accesso a questo nuovo mondo sostanzialmente attraverso due strade: uno è un cambio di paradigma, ovvero, come dicevo, si è accettato che il nostro sistema immunitario lavori tutto il giorno per eliminare cellule tumorali, e che il microambiente sia fondamentale per la crescita tumorale; la seconda è stata identificare i freni del sistema immunitario. Il sistema immunitario è come una straordinaria automobile, capace di viaggiare ad elevata velocità: per funzionare bene e non andare fuori strada ha bisogno di acceleratori che la fanno partire e correre, ma anche di freni che le consentono di rallentare e, quando è il caso, fermarsi. Al momento siamo capaci di togliere due tra i tanti freni al sistema immunitario (CTLA4 e PD-1/PD-L1 ndr) e questi sono bastati a raggiungere questo piccolo obbiettivo. Stiamo oggi esplorando un continente nuovo.

Ha definito, nel suo ultimo libro, il tumore come un “bersaglio mobile”. In che modo sarà possibile aumentare l’efficacia dei trattamenti ed aumentare il range di pazienti eleggibili alla terapia?

La cellula T ha molti altri freni, ed altre cellule possono essere frenate. Due nuovi freni sono stati scoperti qui in Italia. Uno nel laboratorio di Carlo Riccardi a Perugia, GITR, ed un uno nel mio, IL-1R8. Si sta affacciando in questo periodo un mio editoriale sul New England Journal of Medicine in cui prospettiamo una nuova “era” di immunocheckpoints sulla cellula T, che sono al momento una promessa per il futuro dell’immunoterapia. Abbiamo anche le cellule dell’immunità innata, in particolar modo i linfociti NK, che possono essere stimolati in senso anti-tumorale. Infine la regolazione delle cellule mieloidi le quali, modificate eliminando una proteina segnale “Don’t eat me signal” CD47, hanno dato risultati clinici straordinari.

Si può ipotizzare quindi un futuro vaccino anti-cancro?

Non un vaccino anti-cancro, ma diversi vaccini anti-cancro, personalizzati. Non dimentichiamo però che esistono già due vaccini: il vaccino contro il virus del papilloma umano (HPV) e contro l’epatite B (HBV) che sono sicuramente preventivi nei confronti del cancro della cervice uterina (ma non solo) e del fegato provocati da questi virus. La prossima speranza è quella di un vaccino contro l’Helicobacter Pylori, tra le maggiori cause di cancro allo stomaco. Questi sono vaccini preventivi. I vaccini terapeutici, quelli che invece potrebbero curare il cancro quando è già presente, sono una sfida per il futuro della ricerca.

Cento anni fa con l’avvento degli antibiotici, la medicina si è plasmata intorno allo schema contrai una malattia -> prendi un farmaco -> elimini l’agente patogeno. Una metafora talmente potete che per un secolo ha guidato la farmacopea secondo questa successione. Oggi però sembra che la gerarchia del paradigma terapeutico possa essere invertita in senso ascendente. Lei ritiene che il futuro della medicina sia quindi concentrarci su una triade cellula -> organismo -> ambiente ?

Certamente è il futuro, ma questo dovrebbe già essere il presente! 
Le risorse dedicate alla prevenzione sanitaria sono ancora insufficienti in tutto il mondo occidentale. Prevenzione che però va intesa in senso trasversale così come le malattie più frequenti oggi sono sostenute da meccanismi trasversali. Vi invito a leggere il lavoro CANTOS di Paul M. Ridker pubblicato su Lancet. Un trial-clinico per la prevenzione delle complicanze dei fenomeni aterosclerotici che mostra che bloccando l’interleuchina-1 con un anticorpo monoclonale diminuisce del 50% la mortalità di cancro del polmone, si riduce il rischio di gotta, artrite e tante altre condizioni.

Per me l’immunologia è la metanarrazione della medicina contemporanea. Se non esistessero il fumo attivo e quello passivo il cancro al polmone sarebbe un tumore raro. Io abito all’ottavo piano e se non ho le valigie prendo sempre le scale, mentre oggi i bambini si alimentano male e fanno una vita sedentaria già dalla tenera età, tanto che il 10% dei bambini italiani ad oggi è obeso e tutto questo lo pagheremo caro fra qualche anno.

In definitiva, anche se migliorare l’ambiente in senso più lato è la sfida del futuro, per iniziare bastano poche raccomandazioni che io riassumo nella formula 0-5-30:
– 0 sigarette
– 5 volte al giorno frutta e verdura fresca  
– 30 minuti al giorno di esercizio fisico.


Grazie ad i suoi studi oggi possiamo affermare che un ambiente infiammatorio favorisce la progressione del cancro. In termini evoluzionistici, lei come si spiega che un meccanismo innato difensivo come l’infiammazione abbia in questi casi un effetto negativo?

È stato pubblicato tempo fa un lavoro molto importante sul New England in cui veniva detto che “il cancro sono ferite che non si rimarginano”. Ci si riferisce al fatto che l’oncogenesi è un meccanismo di riparo dei tessuti che va fuoristrada. La riparazione dei tessuti è una priorità per l’organismo ma quando la stimolazione della crescita cellulare è esagerata l’ambiente infiammatorio ha una azione oncoprogressiva.

Nel suo libro “Non aver paura di sognare” stila un decalogo per gli aspiranti scienziati. Quali sono i tre punti che, secondo lei, sono necessari per i giovani che vogliono cimentarsi in questa avventura?

Il primo senza dubbio la passione. Sono innamorato del mio lavoro. Anche se sono vecchio (ride), ieri ho iniziato a lavorare nel primo mattino, dopo un’ora di corsa, ed ho finito alle 23, perché sono appassionato di ciò che faccio! Il secondo è il rispetto dei dati, ed è questo un messaggio che, chi fa medicina e chi fa scienza, deve sempre osservare. E’ in verità un messaggio che dò all’intera società, che avrebbe bisogno di imparare a tenere in considerazione i dati. In ultimo, non per importanza, la voglia di cambiare il mondo intorno a sè, e chi fa scienza e chi fa medicina deve aver voglia di cambiarlo.

Alessio Gugliotta,Antonio Nuccio

Premio Nobel per la Fisica 2007 ospite dell’Ateneo: intervista ad Albert Fert

 

Stamattina l’Università di Messina ha avuto l’onore di poter ospitare il Premio Nobel per la Fisica 2007 Albert Fert. Presso l’Aula Magna del Rettorato ha tenuto una Lectio magistralis, intitolata “Il percorso dalle scienze teoriche all’innovazione ” nell’ambito del convegno “Spintronics and Robotic at Unime”. Subito dopo è stato nominato Socio onorario dall’Accademia Peloritana dei Pericolanti.

Il premio gli fu insignito in seguito alle sue ricerche nell’ambito del rapporto tra campi elettromagnetici e resistenze elettriche. Fu così che scoprì la “magnetoresistenza gigante”, il fenomeno fisico che è alla base del funzionamento degli attuali hard disk e che ha permesso al mondo dell’informatica e dell’ingegneria di passare dai mastodontici calcolatori agli attuali micro dispositivi, dai laptop agli smartphone, dalla Playstation all’iPod. Inoltre, la magnetoresistenza gigante, è alla base della spintronica, una nuova branca della fisica che sarà capace, prima di quanto si immagini, di diminuire ulteriormente le dimensioni dei dispositivi ed aumentare esponenzialmente la quantità e velocità delle informazioni.

Noi di UniVersoMe, prima della lectio magistralis, abbiamo avuto l’opportunità di fare qualche domanda con il Prof. Fert che, seppur i tempi fossero molto ristretti, si è mostrato disponibilissimo e di una simpatia contagiosa.

A volte noi studenti universitari temiamo l’ambito della ricerca, lo immaginiamo come qualcosa di troppo difficile, di accessibile solo a pochi. Cosa consiglia ai giovani che vogliono diventare ricercatori? E quali sono le qualità che un buon ricercatore dovrebbe possedere per fare la differenza?

In realtà la ricerca è più facile di quello che pensate. Anche durante un PhD potrete scoprire come semplici esperimenti ed i relativi risultati possono alla fine risolvere qualche problema e conducono a nuove strade e così via. E’ sufficiente condurre esperimenti in modo accurato e dare fiducia alla propria immaginazione. L’immaginazione è la chiave di tutto, non devi seguire una sola via, ma vederne altre dove andare.

Immagini di poter tornare indietro nel tempo e di incontrare se stesso: cosa direbbe al ventenne Albert Fert? Quali consigli?

Beh cosa potrei dirgli…<<Albert, non sei fortemente motivato per la ricerca, ma riuscirai meglio di quanto pensi!>> (ride). Non credo gli direi <<vincerai il premio Nobel!>>, ma gli consiglierei di credere di più nelle sue capacità.

Il rapporto tra l’uomo e la scienza sta diventando sempre più conflittuale giorno dopo giorno: per esempio in Italia imperversa il dibattito sull’utilità dei vaccini, in quanto gran parte dei cittadini non ha fiducia nella medicina. Secondo lei ciò costituisce un problema? Se sì, come i ricercatori possono fronteggiarlo? 

Questo rientra in un problema più generale, che è quello delle fake news. Ora, con la possibilità di una comunicazione massiva, è facile propagare idee piuttosto strane di scienza, politica, praticamente qualsiasi ambito. Se prima, per poter diffondere una notizia, bisognava sottoporla al vaglio di vari controlli sull’attendibilità, ora chiunque può dire ciò che vuole e raggiungere un gran numero di persone. Riportare un controllo su ciò che viene propagato non è un problema solo dei ricercatori, ma di tutta la società.

Leggendo la sua biografia mi ha molto colpito la varietà dei suoi interessi nati nel periodo degli studi a Parigi: l’arte, la musica jazz, la filosofia, il cinema, la letteratura…

Si si, è stato un bel periodo! (ride)

Quanto l’ambiente della Scuola Normale Superiore e quello di Parigi ha influenzato la sua vita da uomo e da ricercatore?

I miei sei anni alla Ecole Normale Supérieure, tra i 19 ed i 24 anni, sono stati molto intensi. La ricchezza della mia vita nel campus era data da un contatto costante con studenti che studiavano di tante altre discipline, dalle scienze alla filosofia appunto. Inoltre Parigi ci offriva tanti stimoli con i suoi musei, il cinema, i jazz club. Mi sono formato a 360 gradi.

Antonio Nuccio

Ghemon in tour a Messina. Intervista esclusiva per UniVersoMe

Ritorna a Messina Ghemon dopo il grande successo di critica e pubblico per l’album “ORCHIdee”. Il rapper di Avellino che ha cambiato il modo di intendere il rap e la musica black in Italia, con una ricchezza musicale e lessicale caratterizzata da una forte parte melodica stasera presenterà la sua ultima opera “Mezzanotte“, esibendosi insieme al gruppo “Le forze del bene“. Noi di UniVersoMe siamo riusciti ad intervistarlo in esclusiva.

Stasera sei a Messina al Retronouveau per  la seconda volta. Sei già venuto in città con il tour di Orchidee, io c’ero e della tua performance mi ha colpito più di tutto questa inusitata formula del rap sugli strumenti dal vivo invece che semplici strumentali. Oggi la riproponi con il gruppo “Le forze del bene”; cosa ti piace di questa struttura?

La verità è che ne sono sempre stato affascinato. Nel Rap che ascoltavo da ragazzo a un certo punto c’è stato uno smarcamento dalle strumentali e dal deejaying con un ritorno agli strumenti dal vivo. Oggi in più ci sarà anche tanto cantato, tutte cose che avrei desiderato fare prima ma i tempi non erano ancora maturi. Sono contento di averlo fatto perché trovo molto più stimolante in studio il momento creativo con la band.

Ho letto che stavolta rispetto a Orchidee ti sei cimentato anche nella composizione delle musiche. Ci racconti un po’ come è andata?

È stata una cosa bella e spontanea che avevo sempre pensato di fare senza averne il coraggio, forse per rispetto delle competenze dei musicisti. Però è stato molto bello cimentarsi in qualcosa di nuovo soprattutto a 35 anni.

L’album mi è parso una profonda riflessione dopo ciò che ti è capitato negli ultimi anni. Per dire un titolo esplicito: “Dopo la medicina”. Anche se è una frase fatta che “ammettere di avere un problema è il primo passo per risolverlo”, tu come hai fatto il primo passo?

C’è voluto molto più coraggio a vivere queste cose piuttosto che dirle, oggi parlarne è un gioco da ragazzi. Diciamo che la frase fatta in fondo è vera. Nel primo passo sono stato supportato dalla mia compagna di allora, però tutto è partito da me. La depressione clinica è un argomento pesante però già parlarne lo alleggerisce e io sono contentissimo di averlo fatto. Va detto comunque che io non mi sono mai vergognato di parlare di queste cose, lo facevo già in pezzi come “Fantasmi” anche se lì il tutto aveva un linguaggio più criptico.

In Italia questo è un po’ uno stigma, tu hai un grande coraggio nel parlarne nelle tue canzoni e nelle interviste. Scrivi di tutto questo solo per esprimerti o c’è anche una valenza educativa, diciamo propedeutica a far fare il primo passo a chi ti ascolta e vive lo stesso disagio?

Finché scrivevo l’album, era per me. Invece dal momento in cui l’ho pubblicato è diventato propedeutico. Ogni volta che qualcuno tratta un argomento un po’ più complicato diventa noioso e sicuramente è un carico di responsabilità maggiore che mi prendo, però preferisco assumermi ciò piuttosto che parlare dei soldi che faccio o delle cose che compro. Le persone mi ringraziano per aver parlato di argomenti di cui avrebbero voluto parlare loro e questo per me vale tantissimo.

Meraviglioso tutto quello che stai facendo adesso, ma la domanda sul futuro non posso non fartela. Disco nuovo, tour pieno di date, hai pubblicato un libro da poco. Però recentemente hai dichiarato che ti piacerebbe fare una sorta di talk show. Ora, ti conosco come innovatore, anticonformista, quindi ti chiedo, ma fai sul serio su questa cosa?

In realtà è un progetto che è già in divenire. Nasce dall’esigenza di trattare argomenti che non riesco a toccare nelle canzoni. Far uscire quella parte di me più ironica e chiassosa. Non mi interessa fare il comico però voglio utilizzare un contenitore creativo più ampio di quello che utilizzo oggi. Più che un talk-show mi piacerebbe fare dei monologhi perché non è molto diverso da quello che già faccio scrivendo canzoni o scrivendo libri. Voglio dire non è che a 36 anni mi rincitrullisco e mi viene voglia di andare a fare il tronista a Uomini e Donne (ride di gusto).

Ancora non avete preso il biglietto? Ci vediamo stasera al Retronouveau alle 22:30.

Alessio Gugliotta

“From The Rooftop tour” intervista a Coez per UniVersoMe

Dicembre è stato un mese ricco di musica, che ha reso Messina super presente nelle tappe dei tour di artisti della scena underground italiana e non solo. Il 19 dicembre il locale Retronouveau ha ospitato il cantautore e rapper italiano Coez (nome d’arte per Silvano Albanese, classe ’83): concerto sold-out per la prima performance dell’artista nella nostra città. “From the rooftop tour” ha fatto impazzire tutti i fan del cantante, la caratteristica è quella di riproporre pezzi vecchi, nuovi e cover accompagnati da una chitarra acustica ed una loop station, a cura del chitarrista Alessandro Gaspare Lorenzoni.
UniVersoMe ha avuto l’occasione di intervistare l’artista.

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Riguardo la creazione di From The Rooftop hai detto “con l’intento di far conoscere cose nuove o cose vecchie persone nuove” I pezzi che hai scelto per la scaletta sono misti: cover, festa ring, brani dei tuoi dischi precedenti e dell’ultimo disco “Niente che non va”. Qual è il filo conduttore di questi brani?
Il filo conduttore si concentra già sulla struttura di questo tipo di performance: la voce accompagnata dalla chitarra, richiede canzoni e musiche più emotive. Abbiamo provato a fare qualcosa di più “up”, non dico di allegro perché nella mia discografia non c’è niente di veramente allegro e non sono uno che ascolta musica allegra (cioè mi piace il pop, ma sempre con un velo di malinconia). Abbiamo scelto anche pezzi di artisti come Calcutta, I cani, canzoni prettamente d’amore.

Loro cosa hanno detto per la tua scelta di cantare delle loro canzoni?
Erano contentissimi. Calcutta, ad esempio, ne era entusiasta, il suo manager mi aveva subito fatto ascoltare “cosa mi manchi a fare” ed ho pensato subito “questo fa il panico, è pazzesco, lo devo fare”. Lui inoltre aveva anche poche visualizzazioni su YouTube ed io stavo iniziando a creare il progetto “from the rooftop”, lo dovevo cantare assolutamente. Lui ha cantato una mia canzone nei suoi concerti, “le parole più grandi”…è stato un bel momento di musica italiana. Sono un loro fan.img_7216

La tua entrata nella scena musicale è segnata dalla concentrato sul genere rap. Dopo alcuni anni, con la pubblicazione del tuo primo album ufficiale “Non erano fiori”, si evince un notevole cambiamento verso un sound più pop. Stessa cosa vale per “niente che non va”. Senti di aver trovato il tuo posto o credi che ancora tu debba identificare/trovare la tua musica? Questa domanda te la faranno spesso.
Sì molto spesso, ed è anche giusto. Comunque no, sto continuando a sperimentare, ed il pubblico lo percepisce. Io ho sempre avuto propensione verso il melodico, già nel primo disco del “Circolo vizioso” io ero quello che faceva i ritornelli e secondo me quelli che sono rimasti sconvolti se lo dovevano aspettare…poi certo, se ci si concentra sull’ultimo disco ho quasi eliminato il rap, a parte Jet, in cui si sente l’influenza hip hop. Come ho sperimentato fino ad adesso lo farò anche nel prossimo disco: in ogni caso la dimensione giusta in cui possono coesistere vari generi è proprio il concerto.

Qual è il tuo rapporto con
Con le donne? Ahahah beh si può capire che è drammatico, lavoro troppo. No dai non ne parliamo.

Scriviamo “no comment!”, no seriamente, qual è il tuo rapporto con questa categorizzazione musicale, come quasi mettere in dei box “tu facevi rap, ora non più”. Cosa ti manca del rap?
Eh un po’ ci “ammattisco”. Diciamo che è una cosa che mi porterò sempre dietro, penso che il rap non lo mollerò mai del tutto. Ciò che mi manca è un po’ il cinismo o l’ironia nella scrittura, che cerco di riportare nei miei nuovi testi ma con il rap è una roba più affilata e diretta. La canzone tira dritta verso un punto, nel rap puoi infilarci vari slogan e giocare con le parole, mettere una cosa cattivissima e nella barra successiva una super dolce. Mi mancano tanto quei live con i miei migliori amici sul palco, quella dimensione più divertente, meno impegnativa e più familiare. Non che adesso non mi diverta, ma indubbiamente seguire un tour in cui sul palco ci siamo Gaspare ed io in veste più “formale”, la sensazione è diversa, non come quando cantavo nei centri sociali o per strada.img_7206

A rolling stone hai detto “se avessi voluto fare soldi avrei fatto l’avvocato”. Perché lo fai?
Non intendevo dire quello, la frase l’ho detta come battuta, evidentemente al giornalista serviva una frase per screditarmi ed intenderla sotto un punto di vista che non coincideva con il mio. Quello che volevo dire era che se tu stai in fissa solo sui soldi non ti metti a fare canzoni: un lato fondamentale per scrivere e sopratutto voler scrivere è essere giocherelloni, un po’ cazzoni che non ti porta a concentrarti solo sul denaro, la spinta principale non è solo quella. Io scrivo canzoni, punto. Io potrei sperare di fare soldi con la motozappa. Scrivo canzoni perché è la mia passione ed averne un guadagno, camparci, è solo una situazione in più ed indubbiamente un motivo di orgoglio.fullsizerender-2

Giulia Greco,Alessio Gugliotta