Marco Morricone racconta Ennio Morricone: l’intervista

Lo scorso 16 maggio si è tenuta presso l’Aula Magna del Rettorato la presentazione del volume Ennio Morricone. Il genio, l’uomo, il padre alla presenza di uno dei due autori: Marco Morricone, figlio del celebre compositore. L’incontro è stato moderato dal professore Fabio Rossi, Ordinario di Linguistica italiana. Inoltre, un sestetto di fiati e fisarmonica del Conservatorio “Arcangelo Corelli” ha curato gli intermezzi musicali con brani tratti dalle più celebri colonne sonore composte da Morricone.

Marco Morricone racconta Ennio Morricone

Sarà capitato almeno una volta nella vita di ognuno di noi di ascoltare le colonne sonore di Ennio Morricone e percepire che, tra quelle note, c’era qualcosa di più. Non è un caso che i suoi brani siano rimasti così impressi. E se, per di più, vi dicessimo che Morricone ha composto anche le musiche di Se telefonando e di Sapore di sale?

Ennio Morricone. Il genio, l’uomo, il padre racconta il dietro le quinte di colui che ha cambiato le sorti e gli standard della musica del cinema. Il libro è stato scritto a quattro mani da Marco Morricone e Valerio Cappelli, che dopo la scomparsa del musicista ha intervistato il figlio per una sua rubrica sul Corriere della Sera; l’articolo fu un successo e così nacque il progetto del libro.

Noi abbiamo intervistato Marco Morricone, che ci ha raccontato degli anni passati a fianco del padre e della loro iniziale distanza siderale. Morricone, inoltre, ha raccontato di Armonica, la Onlus che ha fondato con la moglie Monica Volpini e con Alfredo Raglio, e che si occupa di fare ricerca nell’ambito della musicoterapia applicata a diverse patologie. Qui l’intervista completa.

Giulia Cavallaro

Gabriele Casablanca ci racconta il suo “Horcynus Orca”

Nel 1975 usciva nelle librerie Horcynus Orcala fatica più importante di Stefano D’Arrigo, considerato da molti come il capolavoro del Novecento. 

Nel 2025, a cinquant’anni di distanza, tutta l’Italia celebra l’Horcynus con La Carovana dell’Orcauna serie di iniziative inaugurate lo scorso febbraio e organizzate in collaborazione con la Fondazione Mondadori, Bur Rizzoli e TaoBuk.

Messina ha già ospitato una serie di iniziative legate alla rassegna, tra cui la Giornata di Studi su Horcynus Orca dello scorso 11 aprile, organizzata dall’Università degli Studi di Messina, in particolare dal professore Giorgio Forni. Sulla stessa scia, al Parco Horcynus Orca, il 9 maggio alle 20 e il 10 maggio alle 17:30, si terrà uno spettacolo teatrale tratto dal romanzo, di e con Gabriele Casablanca. L’ingresso è libero fino ad esaurimento posti. In vista della messa in scena, abbiamo raggiunto telefonicamente Gabriele per farci svelare il dietro le quinte di questo suo ultimo lavoro.

Come nasce un attore

Gabriele ha iniziato a fare teatro da piccolissimo, ci racconta.

«Ho iniziato praticamente per caso – ci racconta – non avevo mai pensato di intraprendere qualcosa di artistico. Nel teatro ho trovato quella forma che mi permette di far emergere qualcosa di me che non conoscevo. Ed è sempre bello, perché nonostante siano passati anni, per me resta ancora la stessa cosa di quando ero bambino.»

Ci racconta anche di come la carriera da attore non sia sempre rose e fiori, soprattutto in una città come Messina, e di quanto non sia stata una scelta semplice immaginare di farla diventare un lavoro.

«Al momento ho spostato la mia vita a Milano, dove mi sono trasferito nel 2019 per frequentare l’Accademia dei Filodrammatici. Quello che cerco di fare, però, è di restare sempre con un piede a Messina, quando riesco.»

Horcynus Orca – Studi per un racconto teatrale: l’inizio di uno studio denso

E Gabriele torna a Messina proprio il 9 e il 10 maggio in occasione del suo spettacolo-studio sull’Horcynus Orca, su cui – ci racconta – ha studiato anche per il suo lavoro di tesi triennale in Lettere moderne.

«L’idea è nata perché anni fa mi sono finalmente avvicinato a un testo, l’Horcynus, di cui avevo sempre sentito parlare. La lettura è stata travagliata, ma poi me ne sono appassionato tantissimo e mi sono reso conto che dovevo restituire quell’esperienza attraverso il teatro. Arrivato al momento della tesi, ho incontrato il professore Giorgio Forni e gli ho proposto questa idea: capire come una parola così densa, un romanzo così corposo, una narrazione così straripante possano essere traslati sul piano del teatro.»

Prima di tutto Gabriele Casablanca ha fatto un lavoro di ricerca teorico, cercando quanto più possibile di rispettare il romanzo, sia nel lavoro di tesi sia nel progetto teatrale.

«Ho portato una mia idea di adattamento che, secondo i miei studi, rispetta le caratteristiche dell’opera. A questo punto mi è stato proposto dal professore Forni di rendere tutto questo concreto per i 50 anni del romanzo. In realtà non si tratta di un vero e proprio spettacolo teatrale, ma più di uno studio di ricerca su alcune parti dell’opera, anche perché pensare di lavorare su 1200 pagine insieme è un po’ complesso.»

L’appuntamento

L’appuntamento del 9 e del 10 maggio al Parco Horcynus Orca sarà quindi una sorta di lezione-spettacolo, in cui Gabriele cercherà di creare un vero e proprio dialogo con il pubblico. In cantiere c’è già una versione “estesa” del lavoro: «lo spettacolo in futuro avrà anche una regia e un apporto drammaturgico da parte di Luca D’Arrigo e di Adriana Mangano

Dopo Horcynus Orca – Studi per un racconto teatrale Gabriele ha già nuovi progetti a Messina: il 17 maggio alle 21:00 e il 18 maggio alle 18:30 debutterà infatti al Teatro dei Naviganti con Stanza 101, cosa resta di 1984Lo spettacolo è di Orazio Berenato, Leonardo Mercadante e Chiara Trimarchi e con Orazio Berenato, Gabriele Casablanca e Chiara Trimarchi.

Giulia Cavallaro

Intervista a Maurizio Bologna: uno sguardo al cinema e all’anima dell’attore

Anima siciliana e un talento straordinario, questo e tanto altro è Maurizio Bologna, attore, caratterista e sceneggiatore dallo spirito puro e artistico che il 18 giugno ha presenziato in occasione della 70esima edizione del Taormina Film Festival per la presentazione del nuovo film che lo vede tra i coprotagonisti La bocca dell’anima di Giuseppe Carleo.

La passione di Bologna per il mondo dello spettacolo nasce in tenera età quando, sulle orme della sorella, alla tenera età di 7 anni già calcava il legno dei palcoscenici. Una passione dunque che parte dal teatro per arrivare prima sul piccolo e poi sul grande schermo a partire dalla fine degli anni novanta, arrivando nei primi anni 2000 ad interpretare i ruoli importanti che, nelle grandi produzioni e in quelle indipendenti l’hanno reso celebre al pubblico vedendolo nel frattempo anche impegnato nella stesura di qualche sceneggiatura teatrale.

Profondamente legato alla sua terra, egli afferma infatti di sentirsi siciliano dal 1746 data in cui i suoi avi approdarono sull’isola, il suo cinema e le sue interpretazioni da sempre sono state legate alla Sicilia, dai primi lavori teatrali in dialetto ai grandi prodotti filmici al fianco di chi come lui rappresenta una colonna portante della cinematografia siciliana, dai film di Ficarra e Picone a quelli di Pif e di Roberto Lipari.

Noi di UniVersoMe abbiamo avuto l’occasione di conoscere il suo animo puro e semplice, l’animo modesto com’è quello di ogni vero grande artista e non ci siamo fatti perdere l’occasione di fargli qualche domanda.

Lei ha collaborato con grandi esponenti del cinema e della comicità siciliana, per citarne soltanto tre: Ficarra e Picone, Pif, ecco come ci si sente a rappresentare uno di questi pilastri? Perché penso ovviamente che lei rappresenta uno di questi pilastri non solo della cinematografia siciliana ma in generale della comicità siciliana.

Guarda non ti devi sentire, devi essere solo naturale e pensare che è una cosa solo bella, non montarti la testa e continuare a vivere serenamente, questo ti posso dire.

Parliamo sempre della Sicilia, dal suo cinema traspaiono le sue origini, ecco quanto è importante per lei il legame con la sua terra, con la sua isola?

Per me è tutto, io ti posso dare un dato, io mi sento siciliano dal 1746 quando un mio avo scese in Sicilia, facendo ovviamente una ricerca araldica vera, non di quelle che si fanno in fiera, e quindi ti posso dire che sono siciliano dal 1746 e ne sono orgoglioso.

Ph: Marco Castiglia
Il redattore Marco Castiglia con l’attore Maurizio Bologna

 

Marco Castiglia 

Intervista a Marco Bellocchio: maestro del cinema italiano moderno

Dagli studi al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, alla sua attenzione sul vasto promontorio
della narratività intermediale. È una lunga storia quella del regista italiano Marco Bellocchio che lo scorso 7 dicembre ‘23 ha ricevuto, nell’Aula Magna del Rettorato dell’Università degli Studi di Messina, il Dottorato Honoris Causa in Scienze Cognitive, curriculum “Teorie e tecnologie sociali, territoriali, dei media e delle arti performative”. Durante la cerimonia, la laudatio tenuta dal professore di Storia del cinema, Federico Vitella, si è rivelata un ottimo modo per ripercorrere nel dettaglio la lunga ed affascinante carriera del regista:

“Abbiamo l’onore di consegnare il dottorato al più grande regista italiano vivente. Esponente del nuovo cinema italiano degli anni Sessanta ha saputo rinnovare l’arte cinematografica, svecchiandone la narrazione e spalancando le porte al cinema moderno”.

Sono state queste alcune delle parole pronunciate dal professore nel presentare minuziosamente la figura di Bellocchio. Difatti, per quanto il cinema moderno abbia provato a sottrarsi alla narratività, l’ha solamente resa più multiforme, ramificata e complessa. E la filmografia di Marco Bellocchio ne è la prova. Proprio lui che nel corso della sua carriera si è spesso trovato a fare i conti con la letteratura, in particolar modo con quella del ‘900, è stato capace di coniugare organicamente, nella sua cinematografia, i due modi del racconto scritturale: il mostrare e il raccontare. Un vero e proprio rinnovatore della forma, proprio come i suoi maestri. E noi di UniVersoMe non potevamo farci scappare l’occasione di conoscere un po’ più da vicino uno dei più grandi autori della storia del cinema italiano!

Bellocchio
Domenico Leonello intervista il regista italiano Marco Bellocchio. @ Ilaria Denaro


Dott. Marco Bellocchio, durante la sua Lectio Doctoralis ha citato autori che, come lei, hanno fatto la
storia del cinema. Ha parlato di espressionismo tedesco, di realismo francese. Ma da quale corrente cinematografica o, meglio, da quale autore lei sente di aver appreso di più?

È passato molto tempo. Io parlo della mia formazione. A quei tempi l’espressionismo tedesco o il grande
cinema sovietico avevano dei risultati straordinari. Naturalmente da quel momento ad oggi sono passati dei
grandissimi maestri. Si pensi ad Antonioni, a Fellini, a Rossellini o a Ferreri. Tutti grandi registi italiani che mi hanno condizionato. Si pensi anche al rapporto con Bernardo Bertolucci. Insomma, una lunga storia!

Immagino anche i principali autori della Nouvelle Vague: Godard e Truffaut. Come ricordava il professore di Storia del cinema, Federico Vitella, sono stati loro i primi a “tagliare i ponti” con il “cinéma de papa”, il “cinema di papà”.

La Nouvelle Vague è stata molto importante. Erano gli anni in cui io frequentavo il Centro Sperimentale di
Cinematografia di Roma. E loro, Godard, Truffaut, Chabrol e René, erano i grandi rinnovatori della forma!
In questo senso si, anche questi maestri sono stati sicuramente preziosi, utili, nel mio lavoro.

Nella sua laudatio, il professore di Storia del cinema, Federico Vitella, ha ricordato il modo in cui lei si è destreggiato nel mondo dell’intermedialità, della transmedialità e della virtualità. Restando, dunque, sempre nel campo delle “narrazioni espanse”, qual è la sua opinione sugli adattamenti cinematografici?

Sicuramente tutto quello che lei ha citato entra nel cinema e chiunque faccia cinema ne può essere
arricchito. Noi oggi usiamo tutte queste nuove tecniche che, in fondo, entrano naturalmente nella nostra
immaginazione e, di conseguenza, finiamo per ritrovarle anche nelle risposte che noi stessi diamo. In
passato, ad esempio, quando ho iniziato, non esisteva il discorso sul repertorio. Adesso invece i vari tipi di
immagini possono combinarsi, possono fondersi, e diventare un racconto del tutto nuovo.

Cosa consiglia ai giovani che desiderano intraprendere la sua stessa carriera o, comunque, entrare nel fantastico mondo del cinema?

(Sorride) Non so! È impossibile dare una risposta. Potrei farlo con qualcuno che conosco, di cui ho visto
qualcosa. Ma così, genericamente, io non posso dare una risposta poiché sarebbe del tutto superficiale.


Domenico Leonello

Caporedattore UniVersoMe


*Articolo pubblicato il 21/12/2023 sull’inserto Noi Magazine di Gazzetta del Sud

#NextGenerationMe: The Whistling Heads tra rock e punk

Altro giro, altra corsa, stavolta per il ciclo di #NextGenerationMe passano dai microfoni di UniVersoMe i The Whistling Heads. Figli artistici del Retronouveau, Giuseppe Arnao (batteria), Samuele Costa (basso), Santino Mondello (chitarra) e Alberto Zaccaro (voce e chitarra) hanno fatto uscire il loro primo album rock punk l’1 settembre scorso, Dull Boy, uscito per Disasters By Choice, ma la loro storia comincia più lontano.

The Whistling Heads: «Siamo nati nel 2020 presso le sale prove di Messina»

«I primi due membri – dice Alberto – siamo stati io e Santino. All’inizio avevamo un altro bassista, ma quando è andato via è entrato Samuele, io e lui ci conosciamo da quando siamo piccoli. Dopo un po’ è arrivato un batterista con cui abbiamo fatto il primo concerto, ma quando è andato via è arrivato Ziffo. (Giuseppe Arnao)»

Ma come si capisce di essere una band, di voler fare le cose sul serio? La risposta dei ragazzi è che, nel loro caso, è avvenuto tutto velocemente e per caso subito dopo aver incontrato l’attuale batterista. È da quel momento, infatti, che hanno cominciato a scrivere i brani che sono stati raccolti in Dull Boy (eccetto Peaceful Warning, scritta prima) e il 5 agosto 2021 hanno debuttato al Retronouveau.

“What if we believe in something
that is not true”
(Peaceful Warning)

La chitarra di Alberto Zaccaro ©Giulia Cavallaro

Teste che fischiano a Messina

Alla domanda sulle ragioni del loro nome, la risposta è inattesa: «All’inizio l’idea del fischio era relativo alle chitarre – dice Giuseppe – ma poi per caso si è creata una connotazione molto più specifica nel nome. The Whistling Heads, letteralmente “teste che fischiano”, si rifà all’insulto messinese testa che frisca”.»

È conflittuale, però, il rapporto della band con la loro città, a tal punto da scegliere di trarre forza da un insulto prettamente locale. Alla domanda “Messina è un terreno fertile?“, infatti, le risposte fanno emergere una certa aridità della città. L’unico porto salvo – per la band – è proprio il Retronouveau, in cui li abbiamo seguiti durante una sessione di prove in preparazione al tour che hanno fatto dal 16 al 19 novembre tra Bologna, Genova, Milano e Rimini. 

Tra i primi a credere in loro c’è, infatti, proprio il direttore artistico del locale, Davide Patania: «Io lavoravo al Retro – dice Alberto – e ho detto a Davide che avevo una band, chiedendogli di farmi suonare. Lui ha stranamente accettato solo avendo ascoltato delle demo molto brutte, evidentemente ci aveva visto qualcosa

Cosa aspettarsi dai The Whistling Heads?

«Abbiamo un nuovo singolo – dice Samuele – che ha delle sonorità diverse dal disco, è già registrato e uscirà. I nostri piani, però, sono di andare all’estero, non di restare qua.»

Sembra non si fermino mai e, anche se appena tornati, sono già pronti a ripartire e far tremare tutti i locali d’Italia. Dove trovarli? Il 2 dicembre al Fanfulla di Roma, il 9 dicembre a Ragusa al The Globe e, per finire, proprio dietro casa, a Catania al Mono il 16 dicembre.

Non solo serietà: tra una chiacchiera e l’altra, ci raccontano anche un aneddoto direttamente da una data a Ragusa: «Stava cominciando il concerto, un momento di massima concentrazione, stavamo sistemando tutto. Si avvicina un signore – dice Alberto – e mi fa “Puoi fare gli auguri a mio cugino Stefano?”. Già gli altri stavano cominciando l’intro, io ero concentrato, ho detto di sì ma alla fine non ho fatto gli auguri.»

“I’m living the teenage cliché
Too young to understand all the
things you said”
(Teenage Cliché)

Da sinistra: Alberto Zaccaro e Santino Mondello ©Giulia Cavallaro

 

In conclusione, auguri Stefano, anche se in ritardo! E attenti a via Crocerossa, 33, sono arrivati i The Whistling Heads a rompere la monotonia!

 

Giulia Cavallaro

Intervista al regista Abel Ferrara: “Pasolini was like a teacher”

Durante il Taormina Film Fest 69, abbiamo avuto l’opportunità e l’onore di stare a contatto con grandi figure del cinema internazionale, tra queste non possiamo non annoverare il regista italo-americano Abel Ferrara. Oltre ad aver tenuto un’interessante masterclass di dialogo col pubblico (ne parliamo qui), il regista ha risposto ad alcune delle nostre domande.

La breve intervista (andate a guardare il video!) ad Abel Ferrara, ha toccato varie tematiche che riguardano il panorama cinematografico. Passando dalle ormai sempre più diffuse piattaforme streaming, per poi arrivare a discutere di scelte stilistiche relative al suo lavoro. Il focus ha riguardato il suo film, Pasolini (2014), in cui Ferrara racconta gli ultimi giorni del “regista delle borgate”, da lui considerato come un vero e proprio maestro.

Abel Ferrara
Abel Ferrara durante la masterclass tenutasi al Palazzo dei Congressi con Barrett Wissman, Direttore Esecutivo del Taormina Film Fest 69. @ Nando Purrometo

Mr. Ferrara, com’è stato fare un film su un altro regista e scrittore come Pasolini?

È stato bellissimo, è stata una fantastica esperienza. Lui è stato come un maestro per noi, era come la stella polare, una guida. Quindi abbiamo accolto la sfida, più che una sfida è stata un’opportunità. È stata una idea che ci è stata data e quindi perché no?

Mr. Ferrara, how was making a movie on an other movie director and writer like Pasolini?

It was wonderful, it was, you know just a great experience. It was like a teacher for us, it was like the north star. The north star is like a guide, so we just embraced the challenge, and it’s not even a challenge, i think it was an opportunity. It wasn’t like an idea out of my mind, it was an idea someone threw at us and then why not? You know.

Riguardo lo streaming, cosa pensa sullo sviluppo delle piattaforme streaming?

I film si possono vedere ovunque, è quello che è, non ho un’opinione su questo. L’idea per me è di fare film, dove verranno proiettati, dove le persone decideranno di vederli (non mi riguarda). Ora internet è un mezzo per condividere il proprio lavoro, a livello globale, è una rivoluzione.

What about the streaming? What do you think about the developement of streaming platforms?

I mean, anywhere you can see films, it is what it is, you know, i mean i don’t have an opinion on it. The idea for me is to make films, where are they gonna be shown how people decide to see things (doesn’t matter to me). Right now the internet is like a way to share your work, you know, on a global level, it’s a revolution.

Quindi vede internet come un’opportunità per raggiungere più persone?

Si, certo.

So do you see the internet as an opportunity to reach more people?

Yes, sure.

Pasolini diceva che “l’arte narrativa”, in quanto letteratura, è morta. Potrebbe il cinema, in quanto nuova arte narrativa del popolo, sostituirsi ad essa?

È un insegnamento, l’insegnamento ha a che fare con il pubblico, è un’altra delle cose che ho imparato. Quando mi viene fatta una domanda io rispondo e basta, Pasolini non l’avrebbe mai fatto. Se avessi intervistato Pasolini, lui avrebbe voluto sapere “Con chi sto parlando?”, “Vieni dalla Germania?”, “Vieni dagli Stati Uniti?”, “Chi è il tuo pubblico?”, “Sto parlando con ragazzi di dodici anni?”, “Sto parlando con persone morte?”, “Con chi sto parlando?”.
È chiaro? Non è come se stesse sparando cose a caso/cavolate. Lui sta parlando in un posto specifico, ad uno specifico gruppo di persone in un momento specifico. Quindi non sappiamo il contesto, lui l’ha detto. Noi sappiamo le sue azioni. (Dalle sue azioni vediamo che) lui non ha mai smesso di scrivere. 

Pasolini used to say that the “narrative art”, as literature, was dead. Could the cinema, as the new narrative art of the people, substitute it?

It’s a teaching, the teaching has to do with the audience, that’s an other thing I’ve learnt. When you ask me a question i just give you the answer, Pasolini would never do that. If you interwed Pasolini, he’d wanna know “who am i talking to? Are you from Germany? Are you from the United States? Who’s your audience? Am i talking to a twelve years old? Am i talking to dead people? Who the fuck am i talking to?” Do you understand? It’s not like as he’s spouting shit out. He is speaking in a specific place, to a specific group of people at a specific time.  So we don’t know the context, he said that. We know his actions; he never stopped writing.

 

Ilaria Denaro

La passione per l’arte da Messina a Parigi

Conosciamo Serena Bucalo: responsabile del Dipartimento di conservazione e gestione delle opere di Yves Saint Laurent Paris.

Sono Roberta Leone, studentessa di Scienze dell’informazione attualmente in Erasmus a Parigi. Grazie alla redazione di UniversoMe ho avuto l’opportunità di incontrare Serena Bucalo e di visitare il museo di Yves Saint Laurent.

Serena Bucalo e Roberta Leone nel museo Yves Saint Laurent di Parigi

«La costante volontà di farcela mi ha spinto e mi spinge tuttora a lavorare e dedicarmi alla mia passione: l’arte». Conosciamo così Serena Bucalo, originaria di Messina, adesso responsabile delle collezioni della sede principale di Yves Saint Laurent a Parigi.

Serena è grata alla sua famiglia che le ha permesso di sviluppare l’amore per l’arte e per la cultura sin da piccola, per aver creduto in lei ed averla supportato nei suoi sogni dandole l’opportunità di svolgere degli studi che le hanno permesso di lavorare nel mondo dei musei.

Il suo percorso inizia proprio a Messina, laureata con il titolo Operatore dei Beni Culturali presso l’Unime che le ha fornito le basi per poter intraprendere questa strada nel mondo dell’arte. Supportata dalla madre originaria di Parigi, sceglie di specializzarsi presso l’Ecole du Louvre che le dà la chiave per entrare nel mondo del lavoro.

La sua carriera inizia al Musée d’Arts Décoratifs e dal 2013 ha occupato il posto di Conservatrice alla Fondazione Giacometti, grande scultore del XX secolo. «Mi ha permesso di mettere in pratica gli studi e di organizzare delle mostre sia in Francia che all’estero».

Gold: tema della mostra attuale (Ottobre 2022 – Maggio 2023)

Con tanta perseveranza e passione nei primi di Ottobre 2022 ottiene il ruolo di responsabile delle collezioni patrimoniali della sede ufficiale della grande azienda di moda a livello internazionale situata nella storica casa di Yves Saint Laurent nel XVI arrondissement di Parigi. 

«Ho lasciato Messina all’età di 26 anni ma ancora oggi mi sento tanto italiana ed ammetto che mi mancano i momenti di fine giornata passati al mare ed il calore messinese». Proprio per questo, lavoro permettendo, coglie spesso l’occasione per tornare nella sua città e dai suoi cari.

Serena ci saluta: «Se dovessi dare un consiglio ai giovani messinesi direi loro di non perdere l’entusiasmo e di rimanere appassionati persino nei momenti difficili perché la fatica e i sacrifici prima o poi verranno premiati».

Ringrazio la dottoressa Serena Bucalo per aver mostrato la sua disponibilità per un’intervista all’interno del museo.

Roberta Leone

Nino Frassica ci racconta “Paola”, il suo primo romanzo

Giovedì 15 Dicembre si è tenuta, nel tardo pomeriggio, la presentazione del primo romanzo di Nino Frassica, Paola, preso il Feltrinelli Point di Messina. Si tratta di un romanzo parodistico in cui si rivede molto della comicità dell’autore. Durante la presentazione “sui generis”, Frassica ha descritto scherzosamente una “storia vera” poco credibile. Anche la quarta di copertina fa emergere questo dettaglio. L’evento è stato intimo con un pubblico ridotto, e noi di UniVersoMe abbiamo avuto la possibilità di porgli qualche domanda. Ci ha dato l’impressione di una persona energica e con tanta voglia di interagire col pubblico, sia con noi che con i suoi fan. Abbiamo ritrovato quel Frassica scherzoso che è diventato famoso in tutta Italia. Proponendoci qualche aneddoto sul suo romanzo.

La passione per i libri è nata per influenza di amici/parenti o, semplicemente, da sé?

 In realtà io ho iniziato quando ho fatto la prima trasmissione, il primo successo televisivo, (corriere della notte), quando venne un editore della longonese che mi disse “ma perché non facciamo un libro sulle tue cose?”. Io non ci pensavo, perché dicevo “ah perché la gente compera il libro su ste cose qua?” e lui “si, facciamolo”. Faccio il libro, “Il libro di Sani Gesualdi”, che è rimasto 1° in classifica non so per quanto tempo, centinaia di migliaia di libri, non me lo aspettavo, e ho pensato che potesse essere interessante, e poi ho scritto il “terzesimo” libro di Sani Gesualdi, e poi con il successo di “Indietro tutta” ho fatto “il manovale del bravo presentatore” e poi spettacoli con mister Forest e abbiamo fatto un libro insieme. Di volta in volta facevo dei libri legati al successo televisivo. Stavolta, la 1° volta che lo faccio, non è legato ad alcun successo; avevo voglia di scrivere ed ho scritto questo romanzo, che si chiama “Paola, una storia vera” (e non è vero niente).

Frassica presenta “Paola”.  ©Gabriele Galletta

 

Quando lei partecipa ad eventi del genere, presentazioni di libri ecc…come vive il rapporto/contatto col pubblico rispetto a quando è al teatro o al cinema?

Al cinema no, ma al teatro somiglia, perché il pubblico al teatro è seduto e quindi c’è la confidenza, cerco di avere un po’ di luci in sala per vedere e creare il contatto; al cinema è totalmente diverso perché ci sono solo i tecnici e quindi posso immaginare che un giorno possa esserci qualche contatto. Qui invece è come se fossi al bar. 

“Paola, una storia vera”, il nuovo libro di Frassica. ©Matteo Mangano

 

Può raccontarci un aneddoto legato alla stesura del suo nuovo romanzo?

“È una cosa un po’ spiacevole, non so se posso dirla…” (e dopo una breve improvvisazione scenica da teatro, riprende) “non è vero niente, voi che ci credete”. Quello che mi ricordo del libro è che quando l’ho scritto, ci ho messo più o meno 4 mesi, poi ho fatto un periodo di “uscite” e quando sono tornato ho visto il libro e non mi ricordavo più di niente, poiché era passato un po’ di tempo (10 giorni). Perché sai, quando sei a caldo non sei neanche tanto obiettivo, non sai, non lo giudichi perché l’hai scritto tu. Quando invece sono passati giorni  l’ho letto e ho riso molto, e ho detto questo libro è bello.

La nostra foto con Frassica dopo l’intervista.

 

Non si è ritrovato a pensare che non andasse bene insomma?

Beh, quello è un fatto commerciale, può vendere di meno, di più ma non è importante. Cioè è importante a livello economico si, più vende più guadagno, però è anche importante il gradimento e che, chi  lo legga lo apprezzi, e a me bastano due persone. Hanno letto il libro si sono divertiti e io ho risolto il mio problema. 

 

Gaia Ilacqua
Matteo Mangano

Intervista a Simona Dalla Chiesa: “la famiglia è il porto dove mi rifugio”

Nel quarantennale della strage di via Carini, l’Università degli studi di Messina ha ricordato il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa con l’evento “Un eroe del nostro tempo”. Sono state parecchie le riflessioni elaborate durante tutto il convegno e non sono mancati i momenti di commozione per Simona Dalla Chiesa che, dimostrandosi degna figlia di suo padre, ha condiviso con tutti noi una bellissima testimonianza. Manifestando la sua speranza per un futuro migliore, pronto ad imparare dalla storia. Perché lei, come suo padre, ha capito che per lottare contro le ingiustizie, bisogna curare le menti. E di questo ne parla nella breve intervista che ha rilasciato per UniVersoMe.

Lei ha parlato dell’importante rapporto che ha mantenuto con i suoi fratelli, soprattutto dopo l’accaduto. E credo che anche per questo, meglio di altri, possa capire il “vero” valore della famiglia e di quei legami importanti che non svaniscono col tempo.  

Per me la mia famiglia è veramente il porto e, allo stesso tempo, il faro dove mi rifugio e dove trovo sempre la forza per andare avanti. Purtroppo, siamo stati privati della presenza di papà e mamma troppo presto, però loro ci avevano dato talmente tanto amore, talmente tanti insegnamenti che ce li siamo “spalmati” lungo tutta la vita. Noi tre fratelli, pur vivendo in tre città differenti, ci “whatsappiamo” senza fine, ci controlliamo, litighiamo come tutti e ci ritroviamo. Siamo veramente un’unica cosa. Penso che questo sia veramente importantissimo perché nessuno di noi può vivere solo e può farcela da solo. La forza dell’amore e l’amore della famiglia sono fondamentali per andare avanti; chi aveva un momento di cedimento poteva trovare nell’altro il coraggio di riprendersi e viceversa. Mio padre ci aveva lasciato proprio questo messaggio: “vogliatevi sempre il bene di ora” . Oggi sarà, insieme a mamma, molto orgoglioso di noi.

Ph: Gianluca Carbone. La giornalista Simona Dalla Chiesa con il nostro redattore Domenico Leonello

Suo padre nell’ultimo periodo di vita aveva capito che per lottare contro la mafia bisognava curare le menti e la cultura. Nel convegno di oggi anche il Professore Chiara e il Dottore Crescenti hanno riconosciuto il potere che i libri e il cinema hanno nel portare alla luce la nostra storia. Recentemente è stata prodotta sia una docuserie su suo padre ed è anche andata in onda la serie tv “Esterno Notte” sul rapimento di Aldo Moro. Secondo lei è un bene che certi fatti vengano ripresi dal mondo seriale con l’intenzione di farli conoscere ad un pubblico sempre più ampio e, in particolar modo, alle nuove generazioni, o c’è il rischio che possano essere distorti e quindi non arrivare al grande pubblico per come dovrebbero?

Io sono del parere che queste fiction, documentari, film, libri, abbiano un valore enorme. Hanno la capacità di arrivare, nel giro di poco, ad una platea che non sarebbe mai raggiungibile neanche attraverso un’attività,  seppur capillare e diffusa, di conoscenza diretta. L’importante è che in questi film non si metta in risalto il negativo, come spesso accade. Perché se non si ha una spiccata capacità critica o qualcuno che ne accompagni la visione, è possibile che in certi ragazzi possa scattare un senso di emulazione o di riconoscimento nei confronti di figure che sono assolutamente negative. Quindi, chi produce questo tipo di film e di fiction, dovrebbe far emergere la lotta della giustizia contro il crimine, del bene contro il male, della fratellanza contro la violenza e non indurre ad un’ammirazione nei confronti di chi si è macchiato dei peggiori delitti.

Il direttore de “Il Fatto Quotidiano” ha di recente affermato, appellandosi al Parlamento, che è “la realtà storica a dover essere ricostruita”. In che modo, secondo lei, le istituzioni dovrebbero rendere nota quella “realtà storica” da troppo tempo ormai nascosta?

Io penso che sia necessario fare luce su tante storie che hanno infangato sia il nostro Paese che il buon nome delle nostre istituzioni. Penso che i rapporti tra servizi segreti,  quelli deviati ovviamente, tra politici e tra uomini della mafia, siano assolutamente certi. La mia paura è quando si generalizza, ovvero nel momento in cui, partendo dai fatti reali, si fa del qualunquismo per togliere credibilità e fiducia nelle istituzioni. Dovrebbe, invece, essere un interesse dello Stato far luce su quello che è accaduto per delimitare le responsabilità e non mandare un messaggio di sfiducia nelle nostre istituzioni.

Non sono in pochi ad affermare che la trattativa stato-mafia c’è stata ma che sono stati chiamati a risponderne soltanto gli uomini della mafia. In che modo, secondo lei,  le odierne istituzioni, dovrebbero reagire ad un’ affermazione del genere?

Ne hanno risposto solo i mafiosi perché tante responsabilità non sono state tutt’ora accertate rimanendo nell’ombra, mentre sono state tirate in ballo persone che non c’entravano niente (v. depistaggi strage Via D’Amelio n.d.r.). Ecco perché è importante avere il coraggio di fare luce, fino in fondo, su quali siano stati i meccanismi utilizzati. Capire quali persone abbiano realmente partecipato e quali, invece, abbiano semplicemente obbedito a degli ordini, non potendo fare diversamente. Creare quindi una gerarchia di responsabilità perché altrimenti nell’opinione pubblica si veicola il messaggio che lo Stato è colluso con la mafia e ciò non deve avvenire.

Ringraziamo la giornalista Simona Dalla Chiesa per essersi resa disponibile a dialogare con noi!

 

Domenico Leonello

La nostra intervista a Rula Jebreal

La resistenza ad ogni forma di dittatura, il coraggio di dire no, quelle piccole azioni quotidiane che possono portare la nostra società ad una nuova consapevolezza, tanti gli spunti che si possono trarre dal discorso di Rula Jebreal, insignita del dottorato honoris causa in Scienze Politiche, durante la lectio magistralis tenutasi presso l’Aula Campagna del Dipartimento Scipog.

Noi di UniVersoMe abbiamo avuto l’onore di intervistare la famosa giornalista. Ha introdotto la nostra chiacchierata il dott. Antonio Tavilla, direttore responsabile della nostra testata, di seguito ha posto le domande Francesca Umina, direttrice Unit Giornale.

Nella foto da sinistra Francesca Umina, la dottoressa Rula Jebreal, il Rettore Prof. Salvatore Cuzzocrea. ©Antonio Tavilla

L’intervento di Antonio Tavilla: la missione del giornalismo

Lei è un’osservatrice internazionale del giornalismo, una professione messa in crisi dai social ma anche dall’insufficiente libertà di stampa. Qual è la sua visione? Cosa vuole dire ai ragazzi che si vogliono approcciare a questo mondo?

 Quello del giornalista è il mestiere più bello al mondo. Interessatevi alle questioni internazionali: ci sono molte opportunità, magari non locali, magari non nazionali. Studiate le lingue, studiate soprattutto l’inglese, cominciate a comunicare con i vostri colleghi del futuro attraverso i social media. Una delle mie migliori amiche stava studiando filosofia quando è avvenuto l’attentato alle Torri gemelle. E’ diventata giornalista il giorno dopo. Qualunque cosa scegliate di fare, ricordate che l’eccellenza non è data dallo status dei media locali, non sarà mai così. Dovete guardare al futuro, ma soprattutto al mondo globalizzato. Se non vi assumono in un giornale locale o nazionale, continuate a cercare. Io vi aspetto sulle prime linee, se siete bravi sappiate che vi assumeranno. Ho studiato e capito cose che l’America voleva raccontate, sono stata assunta perché dicevo cose che nessuno diceva: sul dittatore saudita, su Putin, sui genocidi, sugli stupri etnici. Non c’è notizia che non leggo, non c’è una foto che non guardo. Tutti i giorni cerco di leggere, di studiare, di imparare, ma soprattutto cerco di rapportarmi con persone che la pensano diversamente da me. Solo così potete diventare eccellenti. Io sono convinta che voi avete gli strumenti: siete europei, vivete in un mondo libero. Io ho vissuto sotto la dittatura, non c’era internet. Ma ce l’ho fatta. E se ce l’ho fatta io, ce la farete ancor di più voi. Vi aspetto, ovunque c’è un posto per voi. Se un giornale non riconosce il vostro valore, c’è qualcun’ altro che vi noterà.

Le domande della redazione: denuncia, riflessione e intraprendenza

 Vorrei chiederle una riflessione su un estratto del diario di Anna Frank: ‘’Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto […]  eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità’’. Lei ha alle spalle un’infanzia difficile. Da questo però, ha tratto le parole per lottare, affinché vengano riconosciuti i diritti delle donne e dell’umanità. Crede anche lei che prima o poi questa spietata durezza umana cesserà? Condivide la speranza di Anna?

Grazie. Io non avevo altra scelta se non quella di combattere, altrimenti sarei morta. Combattere è la linfa che mi tiene viva moralmente, e sono fiera di vedere questa generazione di donne straordinarie che combatte. Però non possono farcela da sole. Per questo la loro voce è rappresentata da persone come me e dai media.

Rula Jebreal, il Rettore Prof. Salvatore Cuzzocrea. ©Angelica Rocca

Lei ha affermato poc’anzi che la donna è spesso bottino di guerra. Ma è noto che dopo gli scontri sono proprio le donne a ricostruire il Paese. Dobbiamo temere un arretramento, sia a livello europeo che mondiale, in termini di emancipazione femminile, in seguito a quello a cui stiamo assistendo?

Le donne ricostruiscono e sono quelle che subiscono. C’è una frase bellissima di un poeta mediorientale che afferma che le persone che la guerra ha distrutto sono quelle che poi ritornano, ricostruiscono e salvano praticamente il mondo. Non lo so questo, devo ammettere che parte della mia rabbia è legata ai traumi. Detto questo, vedo una speranza straordinaria nel gruppo di donne della mia terra che, nonostante tutto quello che subiscono, mantengono un amore per la vita. Questa bambina (bambina ucraina nata nella metro n.d.r.) nata pochi giorni fa in un rifugio, quando guarderà in quel filmato sé stessa, sarà una leader straordinaria, perché capirà la lotta che lei ha dentro, essendo nata nonostante una dittatura, in un contesto di guerra. Penso a una leader così per il futuro, che racconterà la sua storia per sensibilizzare le generazioni rispetto alla lotta per la libertà e per la democrazia. Ogni tanto la sofferenza rafforza: nel mio caso mi ha dato una spina dorsale d’acciaio, ma non ha reso le mie emozioni d’acciaio. Quelle sono rimaste vive perché, guardando gli occhi di generazioni come la vostra, vedo che l’attaccamento che ho per la vita continua a vivere dentro di me e quello non lo concederò al nemico, non gli darò la soddisfazione di distruggermi, perché i regimi autoritari stanno cercando di fare questo nei confronti di tutti quelli che sono critici, giornalisti, attivisti e dissidenti.

Si sta combattendo una battaglia contro un nemico armato, Putin. Una persona tutt’altro che ignorante: si è laureato nel 1975 in legge, ha dalla sua parte lo strumento della cultura. A discapito di questa, degli studi, della conoscenza e soprattutto della coscienza del passato, assistiamo agli eventi drammatici di questi giorni. Secondo lei, lo studio come si ripercuote sul pensiero e sulle azioni?

Quando mi raccontano dell’ Isis, dei “barbari” dell’Africa e del Medio Oriente, vorrei ricordare a tutti voi che nazismo e fascismo sono nati durante un’era straordinaria per l’Europa che, nonostante la crisi economica, stava vivendo un periodo di vero rinascimento culturale, grazie a filosofi, intellettuali, giornalisti. Tanti uomini legati a Hitler erano persone sofisticate che hanno però fatto un calcolo errato pensando di eleggere il Führer e poi di controllarlo. Ma quando crei un mostro, quest’ultimo finisce per mangiarti. Alla base c’è questo calcolo opportunista che abbiamo visto anche con Putin: per tanti anni, tante persone hanno ignorato la sua criminalità perché ritenevano che in qualche modo i soldi l’avrebbero eccitato a tal punto da fargli mettere da parte il suo lato criminale. Non solo hanno sottovalutato, ma non hanno capito per nulla chi era Putin e cosa voleva dal primo giorno: una persona che si è servita dello strumento degli studi per arrivare al potere e utilizzare quest’ultimo in maniera distruttiva, violenta. Questo fa capire che i dittatori non sono persone ignoranti o inconsapevoli delle loro azioni, bensì gente ancor più pericolosa, proprio perché utilizza l’arma dell’istruzione per esercitare il potere in maniera più diabolica. Quando Putin incontrò per la prima volta Trump ad Helsinki, si vantò dei suoi missili supersonici, in grado di far evaporare una città intera e affermò di poterli utilizzare a differenza del leader americano, in quanto quest’ultimo era invece ostacolato da un governo democratico. Stava già dicendo a Trump, quattro anni fa, di essere disposto ad usare armi nucleari, armi non convenzionali, capaci di uccidere centinaia, migliaia di persone. Non solo Trump non ha compreso con chi avesse a che fare, ma tante persone del nostro mondo, persone intelligentissime, hanno pensato che in qualche modo avrebbero potuto manipolarlo, controllarlo, sedarlo. Invece la bestia è sempre stata lì, prima o poi sarebbe uscita fuori.  Il business, i rapporti ambigui con i dittatori danneggiano noi e rafforzano loro. Tanti uomini che hanno creato bombe nucleari erano persone istruite, sapevano cosa stavano creando. L’essere istruito non è garanzia di moralità. Ci sono persone molto semplici, umili, che hanno più moralità di tante persone istruite. Però come possiamo utilizzare la cultura per far avanzare i diritti umani e la democrazia? Questo è un argomento su cui bisogna riflettere. Sappiamo che c’è molta tolleranza verso ideali fascisti. Sono stati scritti libri sull’inferiorità della razza che sostengono che se hai una goccia di sangue nero sei inferiore, non meriti diritti. E li hanno scritti intellettuali inglesi, tedeschi, persone laureate ad Harvard o presso altre università importanti. Ma il fatto di considerare la vita umana in termini di superiorità o inferiorità è già un primo passo verso i genocidi. Da cosa nascono tutti i genocidi se non da parole, ideali – molto spesso – di morte?

Non basta quindi trovare riparo nella torre d’avorio della cultura per poter guardare dall’alto con sguardo incolpevole la barbarie che accade là fuori nel mondo. Sono parole forti quelle di Jebreal, poco rassicuranti, ma che ci invitano a stare sempre all’erta, a cogliere la sfida di utilizzare il potere che abbiamo (quello dato dall’istruzione, dalle nuove tecnologie della comunicazione) per assumerci la responsabilità di imprimere una direzione diversa e più giusta al mondo. Perché «da grandi poteri derivano grandi responsabilità». Non possiamo perciò non ringraziare Rula per avercelo ricordato e aver risposto alle nostre domande, dandoci modo di riflettere criticamente sulle questioni più scottanti della nostra contemporaneità. 

Redazione UniVersoMe