Le cinque migliori interpretazioni di Leonardo DiCaprio

Ammettiamolo: qualsiasi sia il contenuto di questo articolo, le nostre scelte faranno storcere il naso a qualcuno. Ma se questo potrebbe essere visto come un nostro demerito, in realtà è soltanto il risultato dell’immenso talento di uno degli attori più “prolifici” della storia del cinema contemporaneo, capace di recitare sempre a livelli altissimi.

Vediamo dunque le nostre – opinabili ma inevitabili – scelte che, nella settimana del suo 46esimo compleanno, tentano di racchiudere l’intera filmografia di Leo in soli 5 titoli.

Shutter Island, Martin Scorsese (2010)

Uno dei titoli certamente più affascinanti targati Scorsese-DiCaprio, ma – paradossalmente – l’unico a non aver ricevuto nemmeno un candidatura agli Oscar (mentre gli altri 4 vantano un totale di ben 31 nomination e 9 statuette). Poco importa, sappiamo quanto sia stato un tabù – sfatato – per Leo il premio più ambito in ambito cinematografico, se la pellicola, oltre alla combinazione trama-soggetto-sceneggiatura davvero accattivante, può contare su uno protagonista straordinario.

Mark Ruffalo e Leonardo DiCaprio in una delle scene iniziali – Fonte: nospoiler.it

DiCaprio ci accompagna nei meandri della psiche umana, incarnando perfettamente quel tanto ricercato genere del thriller psicologico: la vita di un uomo in bilico tra finzione e realtà, tra presente e passato, raccontata da un interprete che si adatta perfettamente ai vari colpi di scena che il film offre, risultando sempre carico di sicurezza e risolutezza, ma anche emotività, fino allo smarrimento finale.

Tutta la poetica dell’opera si potrebbe riassumere con le ultime battute, pronunciate con un tono tale da far dubitare anche lo spettatore più distaccato, come solo i grandi attori sanno fare.

The Aviator, Martin Scorsese (2004)

Il film narra la vera storia di Howard Huges (Leonardo DiCaprio), un regista ed aviatore celebre negli anni 40 per avere implementato nuove tecniche di ripresa e per aver pilotato l’idrovolante Hughes H-4 Hercules.

DiCaprio è autore di un’interpretazione straordinaria e ed in questo caso occorre definirla anche coraggiosa.

Come si può evincere facilmente dalla pellicola infatti, Huges soffriva di una pesante forma di disturbo ossessivo compulsivo. Leonardo – in virtù della sua professionalità – ha deciso di immedesimarsi profondamente nel ruolo, cercando quindi di ricreare dei rituali da mettere in atto prima di dover fare una determinata cosa, così da poter comprendere meglio la patologia di Howard.

Fonte: ondacinema.it

Sostanzialmente l’attore ha provato a ricreare una mente alterata all’interno della suo stesso cervello: in pochi possono riuscirci. La truccatrice stessa ha dichiarato di doverlo “acchiappare” tra una scena e l’altra perché l’attore in preda ai suoi tic non riusciva a stare fermo.

The Wolf of Wall Street, Martin Scorsese (2013)

Ennesimo titolo nato dalla perfetta collaborazione attore-regista, la pellicola racconta l’ascesa del broker newyorkese Jordan Belfort, ispirandosi alla biografia dell’uomo d’affari pubblicata qualche anno prima. Ancora una volta, DiCaprio sembra calarsi perfettamente nella parte: giovane, bello e spregiudicato, nell’immaginario collettivo gli agenti di borsa americani sono esattamente così.

Fonte: mymovies.it

Ma oltre gli stereotipi c’è molto di più, in un film che racconta gli eccessi, il cinismo “sfrenato” di una generazione di broker che hanno intuito alla perfezione come fare più soldi possibili, forse un po’ troppi: ecco che la vita viziosa dei personaggi entra in crisi, mostrando l’altra faccia della medaglia. Leo riesce ad esprimere tutto ciò con una performance che disturba quasi lo spettatore. Nei suoi occhi troviamo tutta la lucida follia dell’uomo d’affari, nelle sue parole – i frequenti turpiloqui fruttarono alcune critiche al film – tutti gli eccessi di chi vive costantemente al limite. Chi osserva la pellicola si trova così in uno stato che oscilla tra risate, esaltazione e ribrezzo, a tratti quasi pena.

È un film difficile che porta me stesso e la pellicola a rischio di molte critiche. È un atto di accusa contro quel mondo, non ci piacciono queste persone, ma ci siamo impegnati a isolare il pubblico nella mentalità in cui questa gente viveva, così da capire qualcosa in più della cultura reale in cui viviamo ora.

Lonardo DiCaprio si difende dalle critiche su “La Presse”

The Revenant, Alejandro González Iñárritu (2015)

Interrompiamo per un momento il duetto con Scorsese per parlare del film che ha permesso a Leo di ottenere la tanto agognata statuetta, che inoltre ottenne anche gli Oscar per miglior regia e fotografia. Possiamo affermare che i premi – per una volta – rispecchiano perfettamente i punti di forza della pellicola, che trae impulso da tutto il talento di DiCaprio, perfettamente diretto da Iñárritu e valorizzato dalla fotografia di Emmanuel Lubezki.

Fonte: taxidrivers.it

Il film è in parte basato sul romanzo Revenant – La storia vera di Hugh Glass e della sua vendetta (2002) di Michael Punke, che narra la vita del cacciatore di pelli Hugh Glass, in particolare l’episodio che, nel 1823, lo portò a dover tentare di sopravvivere durante una spedizione commerciale lungo il Missouri, abbandonato in fin di vita dai suoi compagni.

Pertanto, la trama – molto individualista –, la regia che sfrutta lunghi piani sequenza, la fotografia dai toni perfettamente adattati ai paesaggi spogli, sembrano cucite addosso al protagonista.

Tutto orchestrato per “consegnarli” l’Oscar? A posteriori, è facile dire di .

That’s all folks

Avevamo promesso 5 titoli, ma lasciamo l’ultima parte di questo articolo per le opinioni di tutti i lettori, cinefili e non. Come dimenticare la complessità machiavellica di Inception? E ancora, il capolavoro The Departed – Il bene e il maleun giovanissimo DiCaprio in Buon compleanno Mr Grapela brillantezza del personaggio Frank Abagnale in Prova a prendermi , per finire con Django Unchained, Il grande Gatsby e C’era una volta a… Hollywood. 

Film per tutti i gusti, che mostrano un DiCaprio versatile e diretto da grandissimi registi: a voi l’ultima parola.

Emanuele Chiara, Vincenzo Barbera

Pareidolia: ecco perché vediamo volti ed oggetti nelle nuvole

Vi sarà già capitato che, osservando il cielo, vi siate imbattuti in figure che vi ricordano oggetti, animali o addirittura dei volti. Questo fenomeno prende il nome di pareidolia (dal greco para, “vicino”, ed èidōlon, “immagine”), ovvero la tendenza ad interpretare uno stimolo vago come qualcosa di già noto a chi osserva.

Gli esempi sono molteplici: dai volti su formazioni rocciose a messaggi estrapolati da brani musicali ascoltati lentamente o al contrario (pareidolia acustica), fino a figure rilevate da immagini della superficie della Luna o di Marte:

Qualsiasi coppia di oggetti può potenzialmente assumere una disposizione tale da “ingannare” il nostro cervello, risultandoci a prima vista parte di un volto o un’immagine alternativa più familiare. Uno studio del 2009, infatti, utilizzando una metodica chiamata magnetoencefalografia, che permette di quantificare l’attività cerebrale mediante la misurazione dei campi magnetici, conferma come il cervello risulti effettivamente “ingannato”. Mostrando a un gruppo di soggetti delle immagini vagamente simili a delle facce reali, si è notata l’attivazione delle stesse aree cerebrali deputate al riconoscimento dei volti (e probabilmente anche di altri oggetti), a livello del lobo temporale, nell’area fusiforme facciale.

Questa tipologia di immagini “ambigue” ma dotate di un significato sembrerebbero lasciare una traccia duratura nel nostro cervello. Come dimostrato in uno studio pubblicato nel 2013, in seguito a ripetuti stimoli, il cervello interpreterebbe le immagini dandogli un significato e le archivierebbe mostrando quindi una forma di apprendimento, similmente a quanto avviene per immagini reali.

Il fenomeno sembrerebbe quindi fondamentale nell’apprendimento del significato di specifiche immagini, così da rendere possibile ad alcune persone di essere più veloci e abili di altre in specifici compiti. Basti pensare che i giocatori di scacchi professionisti attivano l’area in questione per riconoscere alcune situazioni di gioco ed essere più rapidi nell’elaborare una strategia; analogamente anche i radiologi esperti, al contrario degli studenti, nell’analizzare le immagini fanno uso delle potenzialità di questa regione del cervello.

Tutto ciò avrebbe anche un collegamento con una patologia del neurosviluppo, ovvero l’autismo. Infatti, nei soggetti affetti da questa condizione, è stata rilevata un’attivazione più debole dell’area in maniera proporzionale alla gravità della malattia stessa. Inoltre un danno a quest’area comporta l’assoluta incapacità nel riconoscere i volti. Questa condizione è chiamata prosopagnosia.

Anche se, durante la colazione, vedere che il caffè sorride ci possa sembrare una cosa divertente, è interessante pensare come dietro a questo fenomeno siano coinvolti dei meccanismi che stanno alla base delle nostre capacità di apprendimento e di relazione. La tendenza di vedere volti e in generale di dare un significato alle immagini, nasce dalla necessità di analizzare lo spazio intorno a noi e di identificare rapidamente la presenza di altri soggetti, di animali o di oggetti potenzialmente utili.

La pareidolia è quindi la dimostrazione pratica delle capacità di elaborazione e schematizzazione del nostro cervello che, seppur con finalità diverse, ci offre tutte le sue potenzialità sia in una situazione di pericolo sia nel caso in cui stessimo giocando una partita a scacchi, o anche quando osserviamo il cielo.

Antonino Micari