Rivolta in Kazakistan: adesso è repressione a guida del Cremlino. Ecco cosa sta succedendo in Asia centrale

Fonte: it.notizie.yahoo.com

Le prime due settimane di gennaio iniziano con una forte tensione in Asia centrale: una protesta del gas, cominciata il giorno di Capodanno in Kazakistan, si è rapidamente trasformata in una rivolta – tutt’ora in corso – contro l’oligarchia al potere, effetto di una più ampia lotta tra fazioni dell’élite del Paese.

Nel giro di pochi giorni le manifestazioni sono dilagate in tutto il Kazakistan, provocando un preoccupante numero di morti, feriti e arresti, e mettendo in difficoltà il regime di Kassym-Jomart Tokayev, che grazie all’aiuto militare della Russia è riuscito a reprimere gran parte delle rivolte.

Dura la reazione da parte degli Stati Uniti, mentre l’Ue si mostra neutrale con l’invito alla responsabilità delle parti. Il tutto nell’incertezza di eventi accompagnati dal blackout nazionale di Internet.

Proteste in tutto il Paese

L’aumento delle tariffe del gas – e in particolare del Gpl – annunciato nei giorni precedenti dal presidente Tokayev si è presentato come il casus belli perfetto di una rivolta che, a dire il vero, era nell’aria già da un po’ di tempo a causa dell’insofferenza nei confronti di un intero sistema fondato e guidato per un trentennio dall’ex presidente Nursultan Nazarbayev.

Nazarbayev si era dimesso nel 2019, ma da allora ha comunque continuato – fino a prima della rivolta – ad esercitare un forte controllo sul Paese in quanto presidente del Consiglio di sicurezza e “Leader della nazione”.

Le prime proteste hanno avuto inizio nel Mangystau, principale provincia petrolifera affacciata sul Mar Caspio, seguita da Almaty (cuore economico del Paese) ed estesesi poi a macchia d’olio in tutto il territorio kazako.
Stando ai bollettini più recenti, le vittime ufficiali sfiorerebbero quota 200, migliaia di manifestanti sarebbero stati incarcerati e, secondo la televisione di stato, uccisi 16 poliziotti e altri 1.300 sono rimasti feriti.

Fonte: euronews

Internet assente

È impossibile dire con precisione quale sia il bilancio delle violenze anche a causa di un blocco quasi generale di internet e della rete dei telefoni cellulari iniziato il 4 gennaio, che ha improvvisamente riportato il Kazakistan ai primi anni ’90.

Ciò sarebbe dovuto al provider Internet Kazakhtelecom che ha disabilitato l’accesso alla rete in tutto il paese e alle interruzioni dei maggiori operatori di telefonia mobile Kcell, Beeline e Tele2. I siti di notizie locali non sono disponibili.

Fonte: newsmeter.in

Si tratta di un’interruzione accertata anche dal servizio britannico NetBlocks, che monitora lo stato della rete in tutto il mondo, il quale sostiene che le interruzioni a livello della rete non possono essere aggirate, nemmeno con l’aiuto di un software speciale o di una VPN:

«Il Kazakhstan sta attualmente vivendo un blackout di Internet a livello nazionale dopo una giornata di interruzioni di internet mobile» e altre «restrizioni parziali», ha affermato l’ong, annunciando che questo «potrebbe limitare gravemente la copertura delle proteste antigovernative che si stanno intensificando», ha denunciato qualche giorno fa il gruppo di monitoraggio su Twitter.

È certo che questo accaduto porta con sé delle conseguenze che dipenderanno soprattutto dalla durata del blackout, ancora non del tutto chiara.

La missione in Kazakistan

Al momento la situazione nei maggiori centri urbani sembra essere relativamente più calma, chiara conseguenza dell’intervento di 2.500 militari provenienti da un’alleanza di Paesi guidati dalla Russia.

È la prima volta che la “Collective Security Treaty Organization” (CSTO), nella sua storia, autorizza l’invio di truppe nei territori di un Paese membro: di fronte al precipitare della crisi, al presidente Tokayev non è rimasto che proclamare lo stato d’emergenza su tutto il territorio nazionale e ricorrere all’aiuto di Putin per fermare le agitazioni.

Così, in un comunicato, il governo kazako ha scritto che varie «infrastrutture strategiche» ora sono sotto il controllo della forza militare inviata dalla Russia, la quale ha in particolare contribuito a riprendere il controllo dell’aeroporto di Almaty, occupato fino ad allora dai rivoltosi.
Il comunicato di un altro collaboratore del presidente ha per giunta criticato i media occidentali per aver dato «la falsa impressione che il governo kazako abbia colpito manifestanti pacifici».

Fonte: geopolitica.info

Lotta tra fazioni politiche

Intanto che la repressione infuria in Kazakistan, lo scorso sabato il governo kazako ha annunciato l’arresto di Karim Massimov, ex primo ministro e leader del Comitato per la sicurezza nazionale.
Accusato di tradimento e di aver fomentato le rivolte, Massimov era una delle persone più potenti del Kazakistan e stretto alleato dell’ex presidente Nursultan Nazarbayev.

Anche Nazarbayev, come già detto, pur avendo lasciato la presidenza manteneva il controllo informale sugli apparati di sicurezza del paese. Eppure, è stato costretto a dimettersi da ogni incarico pubblico al momento dello scoppio delle rivolte, e lo stesso è avvenuto con altri suoi importanti alleati politici.
Ciò ha spinto molti analisti a pensare che dietro alle rivolte ci sia stata una più ampia lotta per il potere tra la fazione politica fedele a Tokayev e quella fedele a Nazarbayev.

La dottrina Putin

A condurre ora il gioco del Paese (dove la minoranza russa è consistente) è quindi il Cremlino, che ha imposto un’interpretazione forzata dell’articolo 4 del Trattato di cooperazione sulla sicurezza, secondo cui un’aggressione militare giustifica l’intervento di forze congiunte, e riadattando le norme alle circostanze di una serie di rivolte qualificate come aggressione di bande terroristiche formatesi all’estero:

«La dottrina Putin è ormai consolidata nella tolleranza zero nei confronti di tutte quelle che una volta erano state chiamate rivoluzioni colorate, che hanno interessato appunto diverse repubbliche ex sovietiche rette dalla caduta del Muro da ex funzionari del Partito comunista: Georgia, Ucraina, Kirghizistan, Azerbaijan, Bielorussia. Putin non tollera più nel suo tentativo di ricostruire la grande Russia sovietica alcun tipo di richiesta di democratizzazione che possa allontanare questi Stati dalla sfera di influenza di Mosca», ha spiegato il sociologo Massimo Introvigne.

Le posizioni di Usa e Ue

L’occidente intanto segue dall’esterno la vicenda restando vigile sui fatti, specialmente gli Stati Uniti, il cui portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price ha detto che essi “sorvegliano” per verificare eventuali abusi dei diritti umani da parte delle truppe russe in Kazakistan:

«Gli Stati Uniti e il mondo intero monitorano tutte le eventuali violazioni dei diritti umani e sorvegliano anche eventuali azioni che possano gettare le basi per una presa di controllo delle istituzioni del Kazakistan».

Fonte: middleeastmonitor.com

Mentre l’Unione europea mantiene una posizione neutrale, come si evince in una nota del portavoce dell’Alto rappresentante Ue per la Politica estera, Josep Borrell:

«Invitiamo tutti gli interessati ad agire con responsabilità e moderazione e ad astenersi da azioni che potrebbero portare a un’ulteriore escalation di violenza».

L’Europa, insomma, sta seguendo da vicino gli sviluppi, precisando che:

«Il Kazakistan è un partner importante per l’Unione europea e contiamo sul fatto che mantenga i suoi impegni, tra cui la libertà di stampa e l’accesso alle informazioni online e offline».

Gaia Cautela

Il Garante della Privacy ai giovani: l’identità personale non è merce di scambio

Si è svolto ieri, in diretta sul canale Youtube di Gazzetta del Sud, il webinar dal tema “I diritti dei minori e la rete: opportunità e rischi”, promosso da Società Editrice Sud con l’Università degli Studi di Messina e l’associazione degli ex allievi AluMnime nell’ambito della GDS Academy del progetto “Gazzetta del Sud in classe con Noi Magazine”.

L’iniziativa è stata presa in vista del 20 novembre, data in cui ricorre la Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Fondamentale è stata la presenza dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, presieduta dal prof. Pasquale Stanzione e rappresentata dall’avv. prof. Guido Scorza.

Il webinar è stato moderato dalla dott.ssa Natalia La Rosa (Responsabile dell’Inserto Noi Magazine), con la partecipazione del direttore del dipartimento di Giurisprudenza, prof. Franco Astone, e del vicedirettore del DICAM, prof. Giuseppe Ucciardello, oltre che dal prof. Francesco La Pira (Delegato del Rettore alla Comunicazione dell’Università di Messina e professore associato di Sociologia), dal dott. Lino Morgante, presidente della Società Editrice Sud e dalla presidentessa di AluMnime, prof.ssa Vittoria Calabrò.

I diritti dei più giovani: una scommessa per il Garante per la privacy

“È una tempesta perfetta”, ha affermato l’avv. Scorza, “Ed una scommessa che consiste nell’identificare la rotta per trarre in porto la barca, rappresentata dai diritti dei più giovani”.

Ma il rischio di ritrovarsi in acque agitate è sempre presente – questo, l’Autorità Garante, lo sa bene. Poi tuona: bisogna prendere coscienza che la rete non è stata fatta per i ragazzi, ma è inevitabilmente giunta nelle loro mani solo per dinamica commerciale. E, tra i vari punti problematici che sono stati esaminati dall’avvocato, emerge anche la riflessione su come la persona su internet sia, al contempo, fruitore produttore di contenuti. Con pieghe ancor più cupe: vittima e carnefice. Ciò implica una maggiore conoscenza dei nostri interessi da parte del produttore, quindi una maggiore tendenza a lasciarci convincere. Se questa implicazione è problematica già per un adulto, basti pensare che un minore non ha le stesse capacità di decodificare un tale meccanismo d’induzione.

(fonte: redattoresociale.it)

Il prezzo che tutti sono costretti a pagare è, quindi, quello della vendita dei propri dati personali.

Così si convincono i giovani che l’identità personale sia merce di scambio

Ha affermato poi l’avv. Scorza: se le Autorità Garanti in tutta Europa si chiedono se sia lecito per un adulto, sono tuttavia d’accordo sull’escludere tale possibilità per un minore.

“Opportunità e rischi: due termini dalla valenza antinomica che rispecchia la realtà complessa dell’ambiente digitale”, ha affermato il prof. Giuseppe Ucciardello nel proprio intervento, per poi continuare:

Ma come costruire ambienti digitali su misura per i minori?

Una risposta dal Garante per la protezione dei dati personali

Secondo l’avv. Scorza, una prima soluzione consisterebbe nel basarsi sul c.d. principio del “Children First”, che prevede che la progettazione di nuove piattaforme si adatti anche alle esigenze dei minori; successivamente, una più efficace age verification, ossia un controllo effettivo sull’età dell’utente.

“La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, all’articolo 17, sottolinea il ruolo importante nel percorso di crescita dei mezzi di comunicazione di massa e dell’informazione, ma anche la necessità di direttive volte a proteggere i più piccoli da ciò che nuoce al loro benessere. Cosa pensa di quanto accaduto a Treviso, ove un ragazzo è stato picchiato dai coetanei ispirati dalla serie tv targata Netflix Squid Game?”

“Netflix è una delle piattaforme che si presentano come praterie attraversabili liberamente da ragazzi di ogni età, ma in realtà fa poco per scongiurare il rischio che un contenuto non destinato ad un pubblico minore lo raggiunga. Credo che ci sia una responsabilità condivisa tra i gestori di quelle piattaforme – che dovrebbero maturare un’abilità a misurare gli impatti dei contenuti che diffondono sul pubblico reale e non su quello atteso (non basta scrivere che un dato contenuto sia riservato ad una certa fascia di età). Si tratta di una responsabilità importante anche per le famiglie. Nell’ultimo anno abbiamo assistito a genitori che non si rendono conto della circostanza che nella dimensione digitale non tutto sia per tutti.”

(fonte: das.it)

 

“Spesso ed anche di recente (basti pensare alle cronache sulle vicende afghane) abbiamo assistito a situazioni in cui non si è tenuto conto dei diritti dei più piccoli. Il Garante per la privacy come può intervenire per salvaguardare ragazzi che spesso sono senza identità (e che apparentemente non hanno una tutela) da una comunicazione anche – e soprattutto – social non sempre rispettosa?”

“Il Garante può e prova ad intervenire di frequente. Ieri è intervenuta sulla pubblicazione diffusa su molti media delle immagini del bambino ucciso dal padre in provincia di Viterbo. Naturalmente lo fa in tutti i contesti in cui i dati dei minori sia utilizzata, sfruttata dai soggetti professionisti e non professionisti a caccia solo ed esclusivamente di click, di giochi sulle emozioni degli utenti. Tuttavia non basta l’enforcement delle regole da parte dell’autorità: abbiamo l’obbligo di provare a far di più, ma fin quando non riusciremo a diffondere un’educazione capillare sui diritti fondamentali – primo tra tutti quello alla privacy – dubito che avremo successo”.

Il webinar si inserisce in un ciclo di seminari ed attività promosse dalla Società Editrice Sud a favore degli studenti delle scuole di Sicilia e Calabria.

Valeria Bonaccorso

 

 

I cookie: cosa sono e perché se ne parla tanto

Oggi, cercare risposte sul web è una pratica molto comune ed efficace, grazie alla quale è possibile reperire informazioni in pochi secondi. Come molti servizi e strumenti di uso comune anche il web, però, nasconde alcune insidie. Tra quelle attualmente più discusse vi è senza dubbio l’utilizzo dei cookie.

https://www.google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.cybersecurity360.it%2Flegal%2Fprivacy-dati-personali%2Fdigital-advertising-e-consenso-ai-cookie-regole-operative%2F&psig=AOvVaw2CV-vRt7_OZZeKALWsTrci&ust=1618296787763000&source=images&cd=vfe&ved=0CA0QjhxqFwoTCOiCtbyP-O8CFQAAAAAdAAAAABAZ
Fonte immagine: https://www.cybersecurity360.it/legal/privacy-dati-personali/digital-advertising-e-consenso-ai-cookie-regole-operative/

Ma prima di tutto, cosa sono i cookie?

I cookie non sono altro che delle piccole quantità di informazioni. I server a cui ci colleghiamo le inviano al nostro browser (il programma con cui cerchiamo su internet) e vengono conseguentemente memorizzate nel computer. Al successivo avvio, il browser potrà recuperare questi dati, salvati localmente e migliorare le prestazioni e l’esperienza d’uso di un sito web. Sono proprio i cookie che ci permettono, ad esempio, di non dover reinserire le credenziali di accesso ad un account o di ritrovare degli articoli che abbiamo inserito nel carrello di un e-commerce. O ancora di salvare le preferenze grafiche o linguistiche di una pagina online.

Un aspetto fondamentale legato ai cookie è quello della durata.
Quando viene creato, un “biscotto” (per dirla all’italiana) contiene tra i vari attributi anche una scadenza, che distingue i cookie di sessione dai cookie persistenti.
I primi vengono creati durante la navigazione e possono raccogliere dati riguardanti le ricerche o i siti web visitati, ma una volta chiuso il browser vengono distrutti. I secondi, quelli che suscitano più clamore, permangono invece anche dopo la chiusura. Una volta fatta questa distinzione, risulta evidente il motivo per il quale i cookie accendano molti dibattiti.
I persistenti sono proprio quelli, come detto prima, che ci permettono di salvare delle credenziali di accesso ad un sito web, proprio perché questi dati rimangono salvati permanentemente (a meno di una cancellazione manuale) nel computer. Ovviamente, questo tipo di cookie non salva solamente dati di accesso, ma anche molte informazioni sulle nostre ricerche internamente ad un sito o direttamente sul motore di ricerca, causando un piccolo danno alla nostra privacy.
Ecco spiegato perché aprendo una pagina web troviamo delle pubblicità su un prodotto cercato il giorno precedente su un altro sito!

Dunque i cookie possono rappresentare un pericolo per la nostra sicurezza?

Fonte immagine: https://www.ricciardivince.it/generatori-automatici-privacy-policy-cookie-policy/

È difficile dare una risposta a questa domanda e, anche se quest’ultima fosse affermativa, non dovrebbe sconvolgerci. Infatti, sono già tanti i mezzi con cui possiamo essere “spiati” e dunque i cookie non sarebbero altro che un piccolo pezzo in più in questo grande puzzle di tracciamento informativo.
Quindi, i nostri movimenti, nella maggior parte dei casi, vengono ispezionati da computer (difficilmente da persone) al fine di mostrare delle pubblicità mirate che possano spingere gli utenti a fare acquisti. Il problema nasce quando dei malintenzionati riescono a penetrare tutte le barriere di sicurezza e accedere tramite i cookie ai dati sensibili degli utenti compromettendoli. Anche questo però è un film già visto che avviene anche in migliaia di altri metodi. Le grandi discussioni sulla legittimità dei cookie hanno però spinto le autorità a regolamentarne l’uso, come previsto dal GDPR (General Data Protection Regulation), obbligando i siti a chiedere il permesso d’utilizzo agli utenti.

Che succede se decido di non accettare i cookie?

Fondamentalmente niente. Le uniche conseguenze possono riguardare qualche leggero malfunzionamento di alcune funzioni automatiche come quelle già citate ad inizio articolo causando semplicemente un po’ di noia in più per l’utente. Quindi, se vogliamo toglierci qualsiasi dubbio, possiamo tranquillamente rifiutarci di accettare i cookie, impedendo, seppur in parte, il tracciamento.
Tirando un po’ le somme, i cookie sono diventati uno strumento pervasivo di raccolta dati al fine perlopiù pubblicitario, che però in mani sbagliate può causare problemi alla sicurezza degli utenti.

Fonte: https://www.mr-loto.it/2020/banner-cookie-wordpress-senza-plugin.html

Dunque sta un po’ nel singolo decidere se evitare qualsiasi forma di salvataggio dati e quindi di utilizzo di qualche funzione più comoda. Oppure se navigare tranquillamente, consapevole però che, anche se con una probabilità molto remota, alcune informazioni salvate potrebbero causare problemi per la propria sicurezza.
Per tranquillizzare un po’ tutti, può essere utile ricordare che ogni browser permette la cancellazione dei cookie manualmente oppure l’impostazione di un automatismo che la esegue ad ogni chiusura del programma.

Giovanni Lombardo

Chi ha tempo non aspetti tempo… o forse sì

La riflessione di oggi nasce spontaneamente. Potremmo dire, con estrema semplicità, dal periodo che stiamo vivendo. Con mobilità e socialità ridotte al minimo sempre più frequentemente, ogni attività – didattica e lavoro inclusi – “spostata” su piattaforme online, possiamo realmente continuare a considerare la rapidità dei mezzi del terzo millennio ancora come un vantaggio? O questi stessi mezzi, tanto utili quanto mai ora indispensabili per non rimanere paralizzati in tempi di pandemia, se da un lato fanno risparmiare tempo, dall’altro ci sottraggono qualcosa?

La risposta è tanto complessa quanto personale e articolata. A testimonianza di ciò il titolo di questo breve pezzo: più che dare risposte vuole insinuare un dubbio. E come spesso accade è la quotidianità, fatta di avvenimenti e azioni “banali”, a innescare considerazioni ben più ampie e strutturate, a dare forma a pensieri inconsci che prendono vita attraverso la parola, scritta o parlata che sia. Ecco, dunque, che mi ritrovo a dover acquistare una stampante online, come di rado mi accade ad essere onesto. Ma Messina non è né in zona arancione, né in zona rossa nazionale o regionale: è in zona “ultrarossa”, come da ordinanza del sindaco De Luca. Sono costretto quindi a fare tutto da computer: armato di buona volontà guardo qualche modello in foto, un po’ perplesso dalle descrizioni non sempre dettagliate e in grado di sostituire la “vista dal vivo”, per quanto si tratti di un oggetto che non merita sicuramente le attenzioni di un’opera d’arte (anche se gli addetti ai lavori magari mi bacchetteranno). Detto, fatto: il noto sito di e-commerce, che ho usato l’ultima volta durante il primo lockdown, ha già i miei dati, avendo creato un account. Nome, cognome, indirizzo e carta di credito. Nessuna autorizzazione al pagamento ulteriore: un click e un pacco inizia l’iter per essere consegnato. Due secondi, forse meno. Meravigliato – forse perché poco avvezzo non tanto al mezzo, quanto all’acquistare nello specifico – dalla rapidità con il quale tutto è accaduto mi sento un po’ stordito.

Poco dopo decido di acquistare anche un libro, “Il quarto comandamento: La vera storia di Mario Francese che sfidò la mafia e del figlio Giuseppe che gli rese giustizia”, della giornalista e scrittrice Francesca Barra, che narra la storia della famiglia Francese: di Mario, giornalista ucciso dalla mafia; di Giulio, Fabio, Massimo e Giuseppe, i figli che hanno lottato per far venire a galla la verità, insieme alla madre Maria. Su questo non transigo, nonostante esistano versioni “kindle” scaricabili comodamente, per me niente può sostituire un libro “in carne e ossa”. Ma i tempi di consegna non mi assistono: giorno 28 abbiamo organizzato con UniVersoMe, la nostra testata, un webinar su giornalismo di inchiesta e studenti in collaborazione con Gazzetta del Sud e UniMe, con ospite proprio Giulio Francese, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia.

Evento su giornalismo d’inchiesta e studenti organizzato da UniVersoMe in collaborazione con Gazzetta del Sud e UniMe

Nonostante conosca bene la storia di Mario Francese, mi piace sempre approfondire ulteriormente tematiche come questa. Cedo dunque alla versione e-book, con un po’ di tristezza per la mia passione per la carta stampata. Ringrazio per questa deroga alle mie abitudini. Il libro non è una storia di mafia, di silenzio, di omertà, di ingiustizie e di giustizia: è la storia umana di una famiglia. La concatenazione di questi eventi, mi porta anche a un’ulteriore riflessione, che unisce il tema della conferenza al titolo di questo articolo: Mario Francese, nello svolgere il suo ruolo di giornalista d’inchiesta, voleva «raccontare diventando una cerniera tra i fatti e la loro interpretazione». Ritengo che forse questo approccio oggi si sia un po’ perso, determinando un sentimento di diffidenza e sfiducia nei confronti del giornalista. Probabilmente questa rincorsa alla rapidità nel dare la notizia, influenzata anche proprio dai nuovi mezzi di comunicazione, non lascia tempo e spazio al giornalista per porsi tra fatti e loro interpretazione, limita il racconto, l’analisi, in favore di un mero “riportare” passivamente. In questo contesto, come tornare a riportare a galla la verità? Sarebbe meglio prendersi – probabilmente – del tempo in più. Ma questo cambiamento è realmente solo legato al contesto? Od ogni giornalista ha di fatto delle responsabilità?

Copertina del libro – Rizzoli©

Lascio ad altre sedi un’analisi dettagliata di questo aspetto specifico per tornare a focalizzarmi sul tema globale di questo articolo: quel tempo in più del quale parlo poche righe sopra, dovremmo prendercelo un po’ tutti. Esempio molto discusso è l’uso esteso della DAD. Siamo sicuri che andare a scuola o all’università significhi soltanto accendere un pc ed ascoltare una video-lezione? L’atto stesso di “andare” implica svegliarsi, vestirsi, prendere un mezzo o camminare, incontrare i propri compagni/colleghi, chiacchierare con loro, studiare, fare ricreazione e pause, svolgere verifiche o esami e poi tornare a casa. Un’attività semplice ma varia, diversificata, con tempi ben scanditi, ridotta alla distanza che separa il letto dal tasto del nostro pc/tablet.

Potremmo fare lo stesso discorso per il lavoro (che da casa sembra non finire mai, sconfinando spesso oltre l’orario consueto), comprare in negozio, mangiare al ristorante e qualsiasi altra cosa che vi venga in mente. In un periodo così difficile da così tanti punti di vista, si sente spesso dire “sì lo faccio, ma non è la stessa cosa”. Gli studenti, anche i più pigri, si riscoprono desiderosi di tornare alla normalità. Chiunque, sebbene – con le dovute e tristi eccezioni – riesca a fare tutte o quasi tutte le attività che svolgeva prima, avverte più insofferenza che piacere.

L’era digitale ha compresso, con gli innumerevoli vantaggi dei quali anche io sono ben conscio, i tempi di ogni attività; lo ha fatto ormai da tanto, spinta nell’ultimo tragico anno dal fare di necessità virtù durante la pandemia. Ma penso che, in questa frenetica rincorsa alla rapidità, ci abbia tolto qualcosa: il piacere di fare. Restringendo al massimo i tempi, spesso si ha la sensazione solo di eseguire.

Per questo vorrei dirvi: chi ha tempo, aspetti. Ogni cosa ha il suo tempo. Persino comprare una stampante.

Emanuele Chiara

Articolo pubblicato in data 4/02/2021 nell’inserto NoiMagazine di Gazzetta del Sud

Immagine di copertina: La persistenza della memoria, Salvador Dalì (artewrold.it)

Insonnia e depressione: la doppia faccia della tecnologia

Che la nostra quotidianità sia ormai pervasa da strumenti elettronici è un dato di fatto.
Negli ultimi anni la digitalizzazione è entrata nelle case di tutti i cittadini, volenti o nolenti, con effetti a volte non sempre benefici.
Siamo connessi, giorno e notte con gli occhi incollati a degli schermi luminosi, incuranti o inconsapevoli del danno che questo spasmodico uso della tecnologia può causare alla nostra salute.
Secondo vari studi svolti dalla National Sleep Foundation, la maggior parte degli americani fa largo uso di dispositivi elettronici prima di andare a dormire, in alcuni casi, paradossalmente, per conciliare il sonno.
Questo, a lungo andare, mina gli equilibri del ritmo sonno-veglia sia a livello fisiologico che psicologico.

 Uno sguardo alla fisiologia

Secondo gli studi, la luce blu artificiale (a bassa lunghezza d’onda) emessa dagli apparecchi, inibisce il rilascio della melatonina, l’ormone fondamentale per la regolazione dell’orologio biologico dell’individuo e senza la quale è inficiata la qualità del sonno.
Inoltre osservare uno schermo instaura un meccanismo di allerta e ritarda l’insorgenza del sonno REM, questo a lungo termine comporta un accumulo di stanchezza cronica che si riflette sulle capacità relazionali.
È chiaro che non tutti siano influenzati in egual misura, ma che ci siano molte variabili in gioco, come i livelli di stress individuali e la predisposizione del soggetto a entrare in stati ansiosi che incidono sul sonno.

Le nuove generazioni

Purtroppo, a pagare il prezzo del progresso sono i più giovani, per i quali a volte lo smartphone o il computer è l’unico mezzo per sfuggire a una realtà ogni giorno più dura.
Cresciuti in quest’epoca di incertezze e basse aspettative per il futuro, è quasi naturale siano più suscettibili di altri a sviluppare patologie psichiatriche.
Dietro il frenetico gesto di aggiornare la pagina home di un social network o di controllare i messaggi, si nasconde un disagio ben più profondo. Il telefono diventa un ancora di salvezza e lo schermo un faro per illuminare l’oscurità di una stanza troppo stretta.
Come accennato, alcuni tentano di addormentarsi con la compagnia magari di un video o un film, ignari che quella luce sia il peggior nemico del loro riposo.

Dati preoccupanti

Le indagini effettuate dipingono un quadro tutt’altro che roseo: sottrarre il cellulare a un soggetto, può causare degli episodi di astinenza, anche molto gravi.
Sudorazioni, vertigini, stato d’ansia crescente e spesso aggressività, sono tutti sintomi che nell’immaginario comune vengono associati all’uso di sostanze stupefacenti e che possono essere ritrovati in queste situazioni.
Sembra proprio che l’eccessivo utilizzo della tecnologia possa essere classificato come un tipo di dipendenza vera e propria.
Tuttavia, è probabile che i dispositivi elettronici siano semplicemente un fattore scatenante per una condizione preesistente nell’individuo e non la vera e propria causa del disturbo.

I rimedi

Come è facile immaginare, smettere di utilizzare il telefono da due ore a trenta minuti prima di andare a dormire migliora considerevolmente la qualità del sonno.
Svolgere attività che non prevedano la presenza di luce artificiale, come leggere un libro per esempio, consentono al soggetto di addormentarsi più facilmente.
Purtroppo molti pensano di riuscire a “disintossicarsi” da questa droga informatica, tuttavia sarebbe più opportuno ricercare un aiuto professionale per il proprio disturbo, nonostante oggi ci sia ancora molta ignoranza riguardo quella che è una vera e propria malattia.

Maria Elisa Nasso

Riforma Copyright

Alla vigilia l’esito del voto non era scontato, ma alla fine l’aula di Strasburgo ha approvato la legge sul copyright, con 348 sì (tra cui quelli di Pd e Forza Italia), 274 no (inclusi Lega e Movimento 5 Stelle) e 36 astenuti, dopo avere respinto la proposta di 38 eurodeputati di riaprire il testo, votando gli emendamenti che erano stati depositati.

La riforma è sostenuta da media e grandi editori, mentre i più piccoli potrebbero esserne danneggiati.

Avversi alla nuova normativa, che dovrà essere convertita da tutti i paesi Ue, i big della rete come Facebook, Google e Twitter, i quali dovranno concordare un equo compenso con i produttori dei contenuti e provvedere a sistemi di controllo automatici per evitare che sulle loro piattaforme sia caricato materiale protetto da diritto d’autore.

“La direttiva sul copyright è migliorata – ha commentato Google dopo l’approvazione -, ma porterà comunque ad incertezza giuridica e impatterà sulle economie creative e digitali dell’Europa. I dettagli contano e restiamo in attesa di lavorare con politici, editori, creatori e titolari dei diritti mentre gli Stati membri dell’Ue si muovono per implementare queste nuove regole”.

La disposizione intende garantire che diritti e obblighi del diritto d’autore di lunga data, validi nel mondo offline, si applichino ora anche online.

YouTube, Facebook e Google News sono alcune delle piattaforme online che saranno più direttamente interessate dalla nuova legislazione.

Queste ultime divengono direttamente responsabili dei contenuti proposti sui loro siti.

La riforma si pone infatti l’obiettivo di incrementare le possibilità dei titolari dei diritti, in particolare musicisti, artisti, creativi ed editori, di negoziare accordi migliori sulla remunerazione derivata dall’utilizzo delle loro opere diffuse sulle piattaforme web.

Gli editori di stampa acquisiscono inoltre il diritto di negoziare accordi sui contenuti editoriali utilizzati dagli aggregatori di notizie.

Ieri wikipedia in segno di protesta ha deciso di oscurare le sue pagine di ricerca.

Maurizio Codogno, portavoce di Wikipedia Italia, ha commentato gli obiettivi della protesta: «L’obiettivo che vogliamo raggiungere è che ci sia un numero sufficiente di eurodeputati che bocci per lo meno gli articoli 11 e 13 perché riteniamo che non siano utili né per gli autori né per lo scopo che, in teoria, la Direttiva si propone. Si vorrebbe creare un mercato unico per il copyright, in realtà, per come sono formulati gli articoli 11 e 13 si ottiene un guazzabuglio che ha poche possibilità di funzionare».

La libertà d’espressione, prerogativa identitaria del web e delle dinamiche sociali attuali, rischia di essere fortemente compromessa in un periodo storico dove ce n’è tanto bisogno.

C’è davvero la necessità che idee, prospettive alternative, concetti inediti smettano di veicolare non tutelando quell’equilibrio imprescindibile di moderna democrazia?

Antonio Mulone

Il Policlinico di Messina si tinge di Lilla!

Venerdì 15 marzo 2019. Policlinico di Messina. Aula Magna. Padiglione F. Ore 15.00. In occasione della Giornata del Fiocchetto Lilla si è tenuto un congresso sui disturbi alimentari. L’importante evento è stato organizzato dall’ U.O. Disturbi Alimentari Asp di Messina, in collaborazione con il Sism (Segretariato Italiano Studenti Medicina) finalizzato ad informare e sensibilizzare il territorio su tutte le sfaccettature legate alla diffusione delle problematiche psicologiche che concernono il rapporto tra gli individui e il cibo.

La dottoressa Teresa Tricomi, Psicologo-Psicoterapeuta del Centro semiresidenziale il Cerchio d’Oro, ci spiega come e da chi è nata l’idea per la realizzazione di una struttura di tale portata:

Il Cerchio d’oro (Dipartimento salute mentale – Messina) è nato nel 2004 a Messina come progetto sperimentale e nel 2007 è diventato un’unità operativa ambulatoriale. Opera per la diagnosi, la cura e la gestione integrata dei Disturbi del Comportamento Climentare (Dca), offrendo un livello di assistenza di tipo ambulatoriale e, dal 2011, grazie alla vincita di un finanziamento regionale, è diventato un centro semiresidenziale. La struttura è coordinata dalla dottoressa Rossana Mangiapane, dirigente medico e psichiatra: è da lei che è nato tutto, da una sua idea. L’equipe presente è formata da circa 10 figure specializzate suddivise così: un medico psichiatra, un nutrizionista, due psicologi, tre tecnici della riabilitazione psichiatrica, due dietisti e un infermiere professionale. Insieme collaboriamo alla diagnosi e alla stesura dei trattamenti individuali specifici per ciascun paziente e per ciascun disturbo. Le terapie comprendono la riabilitazione nutrizionale progressiva, i pasti assistiti, la psicoterapia individuale e di gruppo, le visite mediche e psichiatriche, i gruppi per i familiari, le attività riabilitative, espressive e occupazionali. L’accesso alla nostra struttura è libero e si può effettuare tramite prenotazione telefonica. Attualmente ospitiamo circa 290 pazienti.

Roberta Minasi, presidentessa del Sism Messina, ci spiega su cosa verte l’intero congresso, quale e perché la scelta del tema principale:

Il fiocchetto lilla ha origine in America e rappresenta da più di 30 anni la lotta contro i disturbi del comportamento alimentare. Come ogni anno, abbiamo deciso di celebrare questa giornata tematica nazionale, ma quest’anno un’attenzione particolare verrà rivolta al mondo dei social. Perché questa scelta? I disturbi alimentari, sono considerati una vera e propria epidemia sociale. Internet è sicuramente un grande dono che offre infinite opportunità, ma, oggi della medaglia del “social” vorremmo anche mostrare l’altra faccia, quella “negativa”. Attraverso i social si può accedere a qualsiasi contenuto, ci si può connettere con chiunque. È così che “Questa malattia” si può “trasmettere” da una pagina all’altra dei social più importanti a livello mondiale, da una foto all’altra, da un hashtag all’altro. È come se a rappresentare una nuova scala dei valori, i social suggerissero: “Dieta-fitness-stile di vita sano-perfezione”. È chiaro che ormai i contenuti mediali possano veicolare e stimolare comportamenti rischiosi caratteristici dei disturbi alimentari. Per farvi un esempio pratico cito la DIETA BLUE JEANS che implica l’assunzione massima di 300 kilocalorie al giorno: è un gruppo chiuso di Facebook, dove ci si scambia consigli per raggiungere la fantomatica “perfezione”.”

Durante il convegno, oltre alle varie esposizioni dei relatori presenti, sono state lette delle testimonianze di persone affette da Dca, e sono stati proposti due laboratori interattivi: “La connessione” e “Lettura attenta”. Sono state selezionate 12 persone volontarie dal pubblico, di entrambi i sessi, che si sono sottoposte ad esperimenti sociali aventi il fine comune di dimostrare come oggigiorno non siamo più abituati ad osservare. Siamo poco attenti e non ci accorgiamo di ciò che ci succede intorno. Troppo spesso viviamo con la testa china sul telefono in uno stato di coma perenne. In questo clima diventa impossibile salvare chi ci sta intorno. Spesso, ai nostri occhi, il problema è invisibile, in quanto non ce ne accorgiamo. Ed è per questo che il dottor Giuseppe Rao, in accordo con la dottoressa Rossana Mangiapane, suggeriscono di fare rete. Rete intesa nel senso più totale del termine.

Gabriella Parasiliti Collazzo

Flat Brain Society: quando giudicare a tutti i costi è più importante che ragionare

È domenica sera. Dopo una giornata di studio sento che è ora di mangiare qualcosa- e vorrei ben vedere, sono le 22 inoltrate! -mentre accendo il pc. Niente Netflix e Narcos Messico per stasera, meglio evitare. Finirei per spararmi quattro puntate di fila e chi dorme poi? Meglio fare zapping tra i canali online. Da quando sono uno studente fuori sede non ho più avuto la tv, tanto ormai col web puoi vedere ciò che vuoi. Su Italia 1 ci sono le Iene, vediamo se trovo qualche servizio interessante.

Ecco un tizio che parla. La voce è cryptata. Sembra abbia fatto una scoperta incredibile che cambierà il modo di vedere le cose. La maschera di ‘Guy Fawkes‘, ormai abusata da chiunque dopo che ‘V per vendetta’ e ‘Anonymous’ hanno deciso di associarla all’idea di rivolta, completa la scena ed ecco che il nostro personaggio misterioso ci rivela la sua incredbile scoperta:’La terra è piatta!‘.

Non so se ridere o piangere.

Il servizio continua, l’inviato Gaston Zama affronta con un’ironia brillante quella che è la teoria della ‘Flat Earth Society‘, una società che ha origini inglesi ma che ormai si è diffusa in tutto il mondo. La iena ci porta in Campania, ad Agerola, dove parteciperà ad un convegno di un gruppo italiano di ‘terrapiattisti‘.

Lo spettacolo che vedo è una riunione che somiglia ad una riunione di una qualche nuova setta religiosa o di uno di quei brand che vendono porta a porta prodotti dalla dubbia utilità. Si passa dalla negazione di qualsiasi legge fisica, alla denigrazione di Einstein, alla negazione di ogni evento storico, passando per le scie chimiche, i vaccini considerati il male della scienza moderna, passando per tutte le teorie complottistiche conosciute, quali il finto 11 settembre o il finto allunaggio del 1969. Il culmine si raggiunge quando uno degli ‘esperti’ del convegno afferma di essere stato in grado di vedere dalla montagna più alta di Capo Nord, sino a terre lontanissime quali l’Australia. Viene negata persino l’esistenza stessa dei dinosauri-in realtà sarebbero dei giganti, come mostrano le porte del Duomo di Milano o di S.Pietro-e dell’Australia stessa(Ma come? Non l’aveva vista l’esperto?!). Ma la ciliegina sulla torta è il cosiddetto ‘effetto pacman‘, che sarebbe quello che causa il ritorno ad una stessa terra volando in direzione retta con un aeroplano, che va inevitabilmente a confutare la teoria della terra sferica.

Una volta finito il servizio spengo il computer, ho visto abbastanza. Sono amareggiato. Il primo pensiero va a tutte le grandi menti che si sono prodigate nel corso dell’esistenza per fornirci la conoscenza che abbiamo oggi. Penso cosa direbbero Copernico, Galileo, Einstein, Newton se vedessero che tutto quello che hanno scoperto e teorizzato fosse oggi confutato da gente comune convinta di potersi definire esperta dopo aver guardato qualche video su Youtube.

Cerco di capire cosa possa portare la società moderna a produrre individui che un giorno, per capriccio, decidono di andare contro ogni legge universalmente riconosciuta. Non credo sia colpa dell’ignoranza- in Italia il tasso di analfabetismo è sceso dal 13% nel 1950 al 3% nel 1990 ed è ancora in calo-. Forse è un po’ per il gusto di andare controcorrente, perché in fondo sentirci dei ribelli ci piace e ancora di più ci piacciono le ipotesi complottistiche. Ma quella che secondo me è la vera natura di questi fenomeni è Internet. Proprio lui, che ha connesso tutto il mondo, che ha portato la libertà di espressione in tutte le case, in fondo ci sta rovinando. Chiunque ormai, dopo aver letto una pagina sul web si sente in grado di poter dare giudizi su qualsiasi cosa, su una partita di calcio, su un dipinto, su un piatto, su un film o, appunto, sulla scienza. Proprio la libertà di espressione, se abusata, causa fenomeni di questo tipo, in cui gente comune crede di poter smontare anni e anni di studi basandosi su qualche stupida dimostrazione senza valore.

E allora poveri noi, chissà cosa ci riserva il futuro.

Ricordate la regola secondo cui se si ha qualcosa da dire bisognerebbe pensarci per 30 secondi e dirla solo se anche dopo quel lasso di tempo sembra qualcosa di sensato? Beh, vale anche per Internet e per i social network, anzi forse meglio pensarci per 30 minuti o, meglio ancora, 3 ore.

Nel frattempo questo servizio mi ha lasciato indignato, ma forse mi passerà, forse un giorno ne riderò quando sarò su un volo per Sidney.

P.s. Non vedo l’ora di guardare il sequel della storia questa sera alle Iene, quando due degli ‘esperti terrapiattisti’ incontreranno un astronauta italiano- sì, ovviamente anche le missioni nello spazio non sono mai avvenute ma sono frutto di computer graphic -ed avverrà finalmente uno scambio di opinioni.

Ivan Brancati

L’involuzione chiamata “Black Friday”

Lo scorso fine settimana anche il “Belpaese”, come il resto del mondo, è stato travolto dall’ondata sensazionalistica del “Black Friday”, per i meno anglofoni “Venerdì nero”.

Dopo la consacrazione di questa promozione commerciale a  fenomeno sociale nel 2017, l’interesse dei consumatori per il 2018 è perfino aumentato.

I dati generati dalle analisi dell’E-commerce parlerebbero chiaro: le ricerche online riguardanti le super offerte del Black Friday sarebbero aumentate del 29%, peraltro con un correlato incremento degli acquisiti pari al 20%.

 

In tal senso il Nord-Italia sarebbe più coinvolto rispetto ad un Sud-Italia non ancora avvezzo alle pratiche del “Venerdì Nero”.

Le ultime ricerche sul trend in crescita dell’iniziativa promozionale di matrice americana hanno rivelato anche le fasce più sensibili agli sconti mirabolanti: al primo posto i consumatori tra i 35 ed i 44 anni, al secondo posto i giovani tra i 25 ed i 34 anni, al terzo posto gli adulti tra i 45 ed i 54.

 

La tecnologia in vetta tra le categorie d’acquisto: smartphone, televisori, tablet, pc, smartwatch e console gli articoli più richiesti sul mercato, con una spesa media per consumatore di 124 euro.

Esistere per consumare, comprare per acciuffare una felicità apparente e fuggevole, acquistare per soddisfare il desiderio inappagabile di possesso.

Store, centri commerciali, negozi e boutique dunque invasi non più da persone ma da automi privi di identità in una società frenetica e caotica, condannata dalla sua stessa velocità.

Nella spirale del consumismo ormai usa e getta tutto perde di valore, fascino ed interesse in pochissimo tempo.

Giudicati in base alla capacità di consumare, diventiamo soggetti passivi che sconoscono qualsiasi diversità culturale, riuscendo ad importare dall’estero solo il peggio.

Parallelo al consumismo e molto pericoloso,  è il processo di mercificazione dei valori umani e culturali che dovrebbero essere assolutamente esclusi dalle logiche di compravendita commerciale.

Siamo tristemente attori protagonisti di una farsa che potrebbe intitolarsi: involuzione antropologica.

Antonio Mulone