L’intelligenza artificiale può diventare “un rischio per l’umanità”

L’intelligenza artificiale ormai non si arresta, accelera sempre di più. Alcuni esperti però non sono entusiasti, perché temono uno scenario “Terminator”. La società californiana di Sam Altman, la OpenAI, ha da poco adottato una nuova versione del sistema informatico di intelligenza artificiale GPT (acronimo di Generative Pretrained Trasformer), denominata GPT-4. Quest’ultimo è il sistema che sta alla base dell’ormai conosciuta chatbot intelligente, ChatGPT. Creata dalla stessa start-up, che dialoga con l’utente fornendogli: testi, risposte, poesie, ricette, formule matematiche di ogni tipo.

Man mano che i nostri sistemi si avvicinano alla Agi (intelligenza generale artificiale), stiamo diventando sempre più cauti nella creazione e diffusione di questi modelli.

Questo è quanto dichiarato da Altman, ma alcuni dei volti più noti dei grandi colossi Tech non sarebbero d’accordo. Anzi, è stata richiesta uno un freno allo sviluppo dei sistemi d’intelligenza artificiale, poiché si temono grandi rischi futuri per la società e l’umanità. Ma vediamo nel dettaglio.

L’intelligenza artificiale e il GPT-4 di OpenAI. In cosa consiste?

La start-up, in collaborazione con Microsoft, ha da poco introdotto una nuova versione di intelligenza artificiale generativa, il GPT-4. Questo sistema informatico prende grandi moli di dati dal web e non solo, generando poi testi inediti in risposta a domande molto precise o generiche. La nuova versione ha aumentato del 40% le sue performance in termini di risposte fattuali. Replica uno specifico stile di scrittura. Può ricevere un’immagine come input, per elaborarla in base alle bizzarre richieste dell’utente. Ad esempio, puoi fare una foto al contenuto del tuo frigorifero e l’AI avrà una ricetta pronta per te. A dir poco inquietante!

Supporta input testuali molto più lunghi, rispetto alla precedente versione, con blocchi di testo che vanno oltre i 25mila caratteri. Può realizzare in meno di un minuto videogame e disegnare siti web. Inoltre, il nuovo sistema è stato messo alla prova su una serie di test scolastici, universitari e professionali. Sono stati tutti superati, addirittura posizionandosi tra le percentuali più alte.

 

Questo progresso “fuori controllo” sembrerebbe far paura!

I sistemi di intelligenza artificiale possono comportare gravi rischi per la società e l’umanità. Quindi invitiamo tutti i laboratori di intelligenza artificiale a sospendere immediatamente per almeno sei mesi l’addestramento.

Dopo due settimane dall’annuncio di GPT-4, arriva una lettera che annuncia il forte disagio provocato dall’AI (artificial intelligence) Nonostante sia un fanatico della tecnologia, l’allarme è partito proprio da Elon Musk (patron di Tesla e attuale CEO di Twitter), ma ha avuto il supporto di molti. Infatti, tra i firmatari della missiva pubblicata nel sito del Future of Life Institute (organizzazione no-profit), ci sono volti noti come: Steve Wozniak (co-fondatore di Apple), lo storico saggista Yuval Noah Harari, i fondatori di Pinterest e Skype, insieme a molti altri esperti nel settore tech.

Nell’appello, dal titolo “Pause Giant All Experiments”, i big non prendono di mira tutta l’intelligenza artificiale. Si focalizzano specialmente sui sistemi più avanzati, come GPT-4, dichiarando che:

I potenti sistemi di intelligenza artificiale dovrebbero essere sviluppati, solo quando saremo sicuri che i loro effetti saranno positivi e i loro rischi saranno gestibili.

Negli ultimi mesi i laboratori sono stati impegnati nello sviluppo e nella distribuzione di menti digitali, sempre più potenti e che nessuno può capire e ritenere al 100% affidabili. Tutto questo è avvenuto in una corsa fuori controllo, tra diverse aziende. Nella lettera si richiede una sospensione fino a quando:

I protocolli di sicurezza condivisi per tali progetti non verranno sviluppati, implementati e verificati da esperti indipendenti.

I sei mesi richiesti dovrebbero essere utili per sviluppare questi protocolli, i sistemi di governance dell’AI e per riorientare la ricerca. Al fine di rendere i sistemi di intelligenza artificiali, che per quanto rischiosi ormai inevitabili, più «affidabili e leali». Bisogna dire che già alcune agenzie governative in Cina, UE e Singapore hanno precedentemente introdotto le prime versioni di quadri di governance dell’AI.

Ma perché si parla di uno “scenario Terminator” e di rischi esistenziali?

Lo stesso Sam Altman sembrerebbe fare qualche passo indietro. Anche se non focalizza la sua attenzione sui possibili rischi concreti già presenti, insieme a Musk ed altri imprenditori, è preoccupato per i possibili rischi esistenziali.

Sono soprattutto preoccupato che questi modelli possano essere usati per la disinformazione su larga scala. Inoltre migliorando sempre di più nella scrittura di codice informatico, potrebbero essere usati per eseguire cyber-attacchi.

Questo è quanto dichiarato da Altman in un’intervista rilasciata alla Abc. Negli ultimi tempi, siamo effettivamente vittime di molte fake-news, generate da queste intelligenze artificiali. Nei social stanno girando delle foto alquanto… particolari: si pensi a quella del finto arresto di Donald Trump, di Papa Francesco con indosso un piumino da trapper, quella di Putin ferito in guerra e molte altre ancora. Tutte finte, anche se in molti ci hanno creduto. Si teme proprio questo uso improprio, che potrebbe portare a degli incidenti e dei disordini sociali irreparabili e, soprattutto, potrebbe mettere a rischio l’esistenza dell’essere umano. Ad esempio, stravolgendo professioni e portandoci a cambiare il nostro rapporto con la tecnologia. Questi strumenti dotati di coscienza e capacità cognitive superiori a quelle dell’uomo, potrebbero perseguire obiettivi contrari al benessere della nostra società. Diventando così dei veri e propri “Terminator. Si troverà una soluzione? Staremo a vedere!

Marta Ferrato

Cervello da gallina: un insulto…

Fin dagli albori dell’umanità, gli uccelli sono stati considerati animali di poco conto per quanto riguarda la loro intelligenza. Del resto, come puoi essere scaltro con un cervello delle dimensioni di una nocciolina? Ma è davvero così?
Fino al XXI secolo anche gli scienziati la pensavano così, ma sempre più studi hanno mostrato come molti uccelli abbiano comportamenti complessi: canto, riconoscimento di singoli individui di un gruppo, manipolazione di strumenti, risolvimento di enigmi.
In alcuni casi si sono mostrati capaci di reazioni istintive inimmaginabili per un essere umano. Del resto, se pensiamo che alcune specie migrano per migliaia di kilometri per poi tornare a casa nello stesso identico cespuglio o albero, qualcosa di speciale dovranno pur  avere.
Ma quali sono in particolare le specie che si contraddistinguono?

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Pappagalli e corvi

I corvi possiedono un’incredibile memoria visiva che gli permette di riconoscere singoli individui: studiosi affermano come all’interno dei loro studi, i corvi reagiscano alle singole voci, riconoscano il rumore della auto o ricordino e distinguano il volto di chi gli porta il cibo.
In particolare, il corvo della Nuova Caledonia, essendosi adattato ad un ambiente dove è complicato ricercare il cibo, ha sviluppato una incredibile capacità di manipolazione degli oggetti, come: piccoli rami o foglie seghettate usate per trovare cibo dentro al legno. E non finisce qui: quegli  strumenti vengono a loro volta usati per costruirne di altri e, il loro impiego viene tramandato come cultura. Questo è un comportamento riconosciuto pochissime volte in natura e solo in grandi scimmie antropomorfe, spesso in cattività.

Due corvi imperiali. Fonte

 

L’altro grande gruppo di uccelli noti per il loro acume sono i pappagalli. E questo è noto a tutti quelli che ne hanno tenuto uno in casa sentendosi ripetere (non in tutte le specie)  quello che dicevano.
Una specie che eccelle proprio nel linguaggio è il pappagallo grigio africano. Irene Pepperberg, studiando questa specie, ha scoperto che posso memorizzare un centinaio di vocaboli umani e capire la differenza tra: uguale, diverso e zero.
Un altro gruppo interessante sono i cacatua, che utilizzano semi o rami per produrre percussioni. Ognuno di loro riesce ad avere una propria melodia e a farsi riconoscere tramite essa. Benché non tutte le specie lo facciano, alcuni si muovono anche a ritmo della loro musica. In cattività alcuni esemplari hanno mostrato anche di saper seguire il ritmo della musica umana.

Un cacatua. Fonte

 

Tutti questo sembra alienante se riflettiamo su quanto questi animali ci somiglino pur essendo così diversi da noi. Ma qual è il loro segreto? Si tratta di un’efficiente uso dello spazio.

Meraviglie celebrali

Sebbene a livello di effettive dimensioni il loro cervello non raggiunga, in proporzione, le dimensioni di quello di un primate, hanno lo stesso numero di neuroni. Insomma molti uccelli fanno a gara con animali come scimmie o addirittura balene. Le comuni gazze hanno la capacità, simile a quella dei delfini, di riconoscere se stessi nel proprio riflesso.
Un’altra caratteristica simile alla nostra è la memoria. La nocciolaia di Clark riesce durante l’autunno a nascondere fonti di cibo in 3000 luoghi diversi nel suo territorio riuscendo poi a rilocalizzarli con una buona probabilità, anche quando coperti dalla neve.
Ma ciò che forse vi lascerà di stucco sono le capacità del colibrì, il vertebrato più piccolo al mondo, capace di programmare la visita ai vari fiori in base alla possibilità di prenderne il nettare dividendoli per aspetto in base alla specie e ricordandosi l’ultima visita fatta per evitare di trovarne uno vuoto. Ancora pensiamo ai pinguini imperatore, capaci di riconoscere il proprio compagno nel mezzo alla cacofonia del branco.

Una gazza con la refurtiva. Fonte

Conclusioni

Potremmo andare avanti all’infinito parlando di questi animali.
Speriamo solo che la prossima volta che incontrerete un corvo o una gazza ladra potrete salutarli. Magari un giorno diventerete loro amici.

 

Matteo Mangano

 

Bibliografia
https://www.activewild.com/bird-intelligence/
https://www.nationalgeographic.com/magazine/article/bird-brains-crows-cockatoos-songbirds-corvids
https://www.nationalgeographic.com/animals/article/year-of-the-bird-brains-intelligence-smarts
https://www.youtube.com/watch?v=MxxMnQa2B68&t=788s

Dagli studenti per gli studenti: Brains wide open, QI ed età del potenziamento

In un mondo in continuo sviluppo, l’intelligenza (dal verbo latino intelligere che significa comprendere, percepire) è il miglior strumento che l’uomo ha in suo possesso.
Sulla base di cosa si può definire un soggetto intelligente? E soprattutto, come allenarsi per esserlo di più?

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Lo sviluppo del primo test di intelligenza

Qui noi separiamo intelligenza e istruzione trascurando quest’ultima nei limiti del possibile.
Non sottoponiamo il soggetto ad alcun test in cui possa avere successo per mezzo dell’apprendimento mnemonico, di fatto non rileviamo neanche la sua incapacità di leggere, se si presenta il caso; è solo il suo livello di intelligenza naturale che viene preso in considerazione”

Binet

L’affermazione sopracitata introduce in maniera esplicita l’obiettivo che ha mosso lo psicologo francese Binet a prendere le distanze da una commissione di esperti, incaricata dal governo francese di sottoporre a visita psichiatrica tutti i bambini, così da confinare i ”ritardati” in istituti per malati mentali.
Binet, infatti, riteneva la formazione di classi di recupero molto più efficace.
Il problema era: come misurare l’intelligenza ai fini dell’individuazione dei bambini non in grado di esercitare facoltà comuni a tutti gli altri?

Il test

Binet ha inserito in un test i compiti che i bambini brillanti erano in grado di svolgere e lo ha somministrato a diverse classi con l’obiettivo di rendere il test accessibile anche ad altri psicologi, così che potesse essere utilizzato al fine di calcolare il fattore g con una semplice formula:

età mentale ÷ età cronologica x 100

Con età mentale si specifica il grado di sviluppo dell’intelligenza.
Risulta però fondamentale considerare che dopo il primo decennio di vita, l’intelligenza si sviluppa molto più lentamente fino a stabilizzarsi. Dunque, per risalire al dato ricercato, è opportuno calcolare il quoziente di deviazione, mediante la seguente formula:

punteggio individuale ÷ punteggio medio 

Il punteggio medio è ottenuto dalle persone della stessa età del soggetto di cui vogliamo trovare il fattore g.

Falsi miti sui “geni tormentati”

Come osservabile nel grafico, il 68% della popolazione possiede un QI compreso tra i valori di 85 e 115.
Cosa accade se viene calcolato un punteggio al di sotto o al di sopra di oltre 15 punti del valore medio?
Si presentano soggetti ipodotati ( definiti disabili intellettivi) o iperdotati.
I soggetti iperdotati sono stati spesso oggetto di numerose rappresentazioni cinematografiche (basti pensare a “Beautiful mind”, un classico nella storia del cinema) che li hanno descritti come persone brillanti, creative, spesso incomprese, dunque affette da una certa forma di psicopatologia. Anche sui bambini gifted (bambini con specifiche abilità, superiori alla media, in determinati campi) ricorre lo stereotipo di “bambino genio” a cui la natura ha assegnato un dono.
Molti psicologi hanno contrariamente dimostrato che in realtà i soggetti con iperdotazione cognitiva tendono ad adattarsi e ad essere meno predisposti a malattie fisiche e mentali mentre, coloro che hanno un QI di 15 punti in meno rispetto alla media, a 20 anni hanno un rischio del 50% in più di essere affetti da schizofrenia, disturbi della personalità etc.

La misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario. Ognuno di noi è un genio, ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.

Einstein

iq-test.land63.com

Intelligenza tra natura e cultura

L’idea che l’intelligenza sia in un certo senso legata alla biologia risale a Platone che, pur avendo una formazione prettamente filosofica, basata sullo studio dell’anima più che della mente, sosteneva che gli individui possiedono strutture necessarie al mondo sensibile basate su forme apprese prima della nascita in un iperuranio.
Con l’avvento della psicologia ed il suo continuo progresso, le ricerche neuropsicologiche registrano un aumento del numero di geni coinvolti nello sviluppo dell’intelligenza. Infatti, sono 40 i nuovi geni identificati da un gruppo di ricercatori della Vrije Universiteit di Amsterdam e del King’s College di Londra. Tuttavia, questi geni sono coinvolti in numerosi altri processi, dunque risulta inappropriato parlare di geni dell’intelligenza, capacità che si dimostra sempre più essere il prodotto di una complessa serie di interazioni.

Condivisione genetica

Ma le persone con geni in comune, hanno QI simili?
Sebbene i membri di una stessa famiglia condividano tra di loro i geni, come due fratelli o due gemelli dizigoti che condividono il 50% dei geni e gemelli monozigoti che ne condividono il 100%, è però anche vero che vivono l’ambiente e le esperienze (molto più influenti dei geni sullo sviluppo dell’intelligenza) in modo diverso, capaci di plasmare l’individuo e renderlo più o meno stimolato verso lo sviluppo e l’allenamento di determinate facoltà cognitive. 

L’intelligenza non è immutabile nel tempo

Contro coloro che, erroneamente, ritengono che la nostra intelligenza sia influenzata esclusivamente dai geni e dunque   la ritengono immutabile, si pone la registrazione di un dato non poco importante definito effetto Flynn, che registra l’aumento del punteggio medio del QI di circa 30 punti in più rispetto ad un secolo fa (provato da uno stesso test usato sulla popolazione, ma in tempi differenti).
Questo dipende probabilmente dall’inizio di un periodo storico, che ha avuto inizio con la rivoluzione industriale, in cui la vita sottopone l’uomo a problemi sempre più simili a quelli che compongono i test d’intelligenza.
Non soltanto quella collettiva, ma anche l’intelligenza individuale ha un proprio sviluppo: è tra l’adolescenza e la mezza età che questa raggiunge il suo massimo potenziamento per poi declinare nella vecchiaia, probabilmente per il rallentamento dei processi neurali nell’elaborazione delle informazioni.

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Verso la creazione di superuomini

L’intelligenza può sicuramente essere accresciuta per mezzo del denaro (infatti appartenere ad uno status socioeconomico basso concorre, ad esempio, ad essere esposti a tossine ambientali che possono danneggiare lo sviluppo cerebrale, non poter accedere a diete e cure mediche ottimali) e dell’istruzione. E’ stato osservato, difatti, che quando l’inizio degli studi di un bambino viene ritardato da guerre, epidemie o mancanza di insegnati qualificati è notevole il declino del QI.
Negli ultimi anni, inoltre, sono stati condotti degli esperimenti per la produzione di farmaci che potrebbero migliorare i processi psicologici sottostanti alle prestazioni intellettive, ma che possono avere effetti collaterali e portare all’abuso.
Gli scienziati, attraverso la manipolazione dei geni che rendono possibile lo sviluppo dell’ippocampo (area in cui ha sede la trasformazione della memoria a breve termine in memoria a lungo termine), hanno ”creato” dei topi transgenici più ”intelligenti”. Da ciò hanno dedotto che nei mammiferi è possibile il potenziamento genetico dell’intelligenza e della memoria.
Quanto però sarebbero sicure per l’essere umano queste tecniche? Quanto costerebbero? Chi potrebbe averne accesso? Ma soprattutto, i miglioramenti apportati verrebbero utilizzati per il bene comune o si formerebbe una casta di superuomini con il mondo nelle mani?
Sono queste le domande che dobbiamo porci e a cui dobbiamo trovare una risposta, andando incontro alla cosiddetta Età del Potenziamento.

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Laura Sciuto

Bibliografia

https://www.stateofmind.it/2016/03/quoziente-intellettivo
https://festivalpsicologia.it/argomenti/bambini-iperdotazione-cognitiva
https://www.psichepedia.it/index.php/la-percezione/404-percezione-teoria-innatista-ed-empirista
https://www.stateofmind.it/2015/04/effetto-flynn-intelligenza/#:~:text=Flynn%20ha%20rilevato%20che%20nel%20corso%20del%20secolo%20scorso%2C%20il,stato%20denominato%20appunto%20Effetto%20Flynn.
Fonte principale: Manuale di Psicologia Generale di D.Schacter, D.Gilbert, M.Nock, D.Wegner.

Stiamo diventando più stupidi?

Evitiamo per una volta i soliti preamboli del caso e andiamo dritti al punto: la risposta alla domanda posta come titolo di questo articolo sembrerebbe essere.

Almeno questo è quanto emerge da vari studi svolti recentemente.

Tra questi spicca uno studio norvegese pubblicato sulla rivista PNAS nel 2018 da Ole Rogeberg, effettuato su un campione di 730.000 ragazzi norvegesi di 18/19 anni sottoposti al test del QI per la leva militare obbligatoria tra il 1970 e il 2009. I risultati evidenziano un calo medio di 6-7 punti del QI nei nati tra il 1975 e il 1991. Considerazioni simili sono emerse da rilevazioni effettuate in Inghilterra su soggetti di una fascia di età sovrapponibile.

Un’altro dato interessante deriva dall’analisi del tempo medio di reazione ad alcuni stimoli, che secondo alcune ricerche sarebbe in aumento. I soggetti vengono invitati a premere un pulsante in seguito alla comparsa di suoni o stimoli luminosi. Essenzialmente, possiamo affermare che il tempo di reazione (tempo intercorso tra stimolo e pressione sul pulsante) in soggetti sani dipende dall’efficienza delle connessioni neuronali che vengono attivate dallo stimolo e dalla successiva elaborazione del segnale in specifiche aree del cervello per produrre una risposta motoria. Dunque, un aumento dei tempi medi di reazione sarebbe correlato a una minore efficienza nei processi di elaborazione e alla produzione di una risposta adeguata.

Capite bene come questo meccanismo, semplice all’apparenza, sia fondamentale dal punto di vista biologico, in quanto ci permette di affrontare una vastissima gamma di situazioni quotidiane. Pensate ad esempio alla rapidità necessaria per scansarsi in strada dalla traiettoria di una macchina dopo aver sentito il suono del clacson.

Curiosamente, fino a quarantanni fa il QI medio aumentava progressivamente (3 punti in media ogni decade con differenze da paese a paese). Questo fenomeno è noto come effetto Flynn.

È possibile correlare questo calo del QI a una o più cause?

Trovare risposta a queste domande è una sfida abbastanza ardua, tenendo presente la notevolissima quantità di fattori in gioco: sociali, culturali, biologici, psicologici, tecnologici, ecc.

Una prima ipotesi potrebbe essere mettere in discussione il metodo con il quale si misura il QI, ovvero il test stesso.

In altre parole: il test utilizzato per la misura del QI dovrebbe essere soggetto a modifiche in base ai cambiamenti socio-culturali delle nuove generazioni?

Potrebbe quindi essere il calo del QI rilevato soltanto dovuto a un errore metodologico, ovvero inerente al metodo con il quale viene misurata l’intelligenza?

Effettivamente potremmo essere di fronte a variazioni così radicali e “nuove” nelle attitudini delle generazioni più recenti, da ricondurre ad esempio all’uso sempre più intenso e precoce della tecnologia, che meriterebbero una rivalutazione dei metodi per misurare il QI.

Inoltre va considerato che dal punto di vista psicologico si suole dividere l’intelligenza in cristallizzata e fluida. La prima è la capacità di utilizzare conoscenze, competenze ed esperienze. La seconda è invece, la capacità di pensare logicamente e risolvere i problemi in situazioni nuove, indipendentemente dalle conoscenze acquisite. L’insieme delle due corrisponde all’intelligenza generale.

Sembrerebbe che oggi le nuove generazioni siano sempre più inclini a sviluppare intelligenza fluida e a immagazzinare un numero di nozioni minore rispetto al passato, quindi a un minor sviluppo dell’intelligenza cristallizzata. Potrebbe dunque essere questa la spiegazione al calo osservato nel QI: ciò imporrebbe una modifica del test stesso per “adeguarlo” alla situazione mutata.

Tuttavia, ad oggi, quanto appena detto rimane soltanto una supposizione. Pertanto i risultati degli studi sopracitati impongono un’ulteriore approfondimento per la ricerca di una possibile causa.

Un’ipotesi interessante, strettamente biologica, è emersa dall’inchiesta svolta dalla giornalista Lisa Iotti per il programma Presadiretta in onda su Rai 3.

La base di questa ipotesi risiede nel possibile ruolo di alcune sostanze esogene nell’influenzare lo sviluppo del nostro sistema nervoso, sia direttamente (agendo sulle cellule nervose stesse), sia indirettamente (agendo su altri organi).

Un esempio di sostanze del secondo tipo sono i cosiddetti interferenti endocrini, ovvero sostanze che interferiscono con il metabolismo (sintesi, secrezione o azione) di ormoni prodotti dalle ghiandole endocrine del nostro corpo, come la tiroide. È ormai noto da diversi anni che gli ormoni tiroidei sono fondamentali nello sviluppo del sistema nervoso dell’embrione. Eventuali sostanze che ne riducono la produzione durante la vita intrauterina o una carenza di iodio (elemento indispensabile per la loro produzione) sono associati a deficit cognitivi anche molto gravi. Quadro estremo del deficit di iodio è il cosiddetto cretinismo, caratterizzato da ritardo mentale, ridotta statura e numerosi atri sintomi e segni.

Soggetto affetto da cretinismo.

Quali sono dunque queste sostanze?

Come entrano in contatto con il nostro organismo?

E soprattutto, perché molte di esse non sono ad oggi regolamentate nonostante esistano studi a supporto della loro pericolosità?

Un esempio di interferente endocrino sono i PCBs (policlorobifenili, presenti in vernici, colle e molti altri prodotti). Queste molecole sono oggi vietate alla luce dei vari studi sulla loro tossicità, ma permangono a lungo nell’ambiente. Caso emblematico è rappresentato da un’azienda di Brescia (unica fabbrica italiana che produceva PCBs): nonostante lo stabilimento sia chiuso dagli anni ’80, i livelli di queste sostanze nel terreno e nell’aria della città sono ancora oggi elevatissimi.

Non una grande notizia considerando che è stata provata la loro interferenza sull’azione degli ormoni tiroidei.

Uno studio condotto dal dottor Thomas Zoeller, effettuato sui ratti, evidenzia come esponendo in gravidanza le madri ai PCBs ci siano evidenti alterazioni dello sviluppo del sistema nervoso. Analoghe considerazioni sono state fatte su piccoli campioni di popolazioni in zone (come Brescia) nelle quali i livelli di PCBs sono particolarmente elevati.

L’endocrinologa Barbara Demeniex ha pubblicato invece uno studio sui girini nel quale sono analizzate tutte le sostanze possibili che interferiscono con la sintesi di ormoni tiroidei. Il dato allarmante è che quantità di queste sostanze uguali a quelle presenti nel liquido amniotico di un campione di donne, sono risultate tossiche per lo sviluppo del sistema nervoso dei girini. Tra queste sostanze meritano menzione il triclosan (antibatterico molto comune presente in dentifrici e disinfettanti), il disfenolo A (barattoli di latta) e il DDT (insetticida utilizzato per limitare la prevalenza della malaria).

Se comunque per i PCBs ci siamo messi al riparo, questo non è accaduto per altre sostanze quali ad esempio i pesticidi. Tra questi spicca il Clorpirifos, il cui uso domestico è stato vietato. Oggi questo pesticida è usato nelle coltivazioni, pertanto contamina non solo i prodotti agricoli ma anche le abitazioni nelle vicinanze di serre e campi. Abbastanza sorprendentemente, il Clorpirifos fa parte di una classe di molecole usate per attentati terroristici (metropolitana di Tokyo 1995) ed è prodotto dalla stessa industria che forniva gas tossici durante la guerra in Vietnam (l’agente arancio, che ha causato numerose malformazioni dei soggetti esposti).

Due studi ci fanno preoccupare particolarmente riguardo questa molecola.

Il primo è stato svolto a New York dalla dottoressa Virginia Rauh su bambini esposti al Clorpirifos: sono state riscontrate differenze volumetriche nella corteccia cerebrale di questi bambini. È abbastanza intuibile come una minore quantità di materia grigia sia correlata a un basso QI.

Il secondo evidenzia una associazione ancora più temibile: parliamo di un disturbo del neurosviluppo importantissimo, l’autismo. La dottoressa Hertz-Picciotto ha osservato che bambini nati da donne residenti nelle vicinanze di campi dove è utilizzato il Clorpirifos hanno un rischio 3 volte maggiore di sviluppare autismo e altri disturbi del neurosviluppo.

Nonostante le chiare evidenze scientifiche il Clorpirifos non è vietato.

Anzi, l’ente per la sicurezza ambientale americano ha respinto come prova per regolamentarne l’uso il secondo studio (che è stato condotto in California). Anche in Europa l’uso del Clorpirifos è permesso e l’Italia è stata una delle nazioni che ha votato in senso favorevole alla proroga del suo utilizzo ancora per un anno.

In conclusione, occorre sottolineare che per moltissime sostanze, oggi regolamentate (come metalli pesanti), i limiti di legge non tengono conto di possibili miscele di più sostanze, e che potrebbero aumentarne il potere dannoso. In altre parole è consentito che nell’ambiente siano presenti mix di sostanze dannose, ma solo a patto che la quantità delle singole sostanze stesse non superino un certo valore soglia (variabile per ciascuna).

Come porre rimedio a questa situazione?

La scienza ci dà sempre indicazioni molto valide: purtroppo, anche chi dovrebbe tutelare l’interesse dei cittadini troppo spesso non le dà ascolto.

Emanuele Chiara

 

Fonti:
https://www.pnas.org/content/115/26/6674
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3958407/
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3356641/
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24954055
https://www.raiplay.it/video/2019/02/Presa-diretta-Attacco-al-cervello-2189c908-3c0b-4dee-8a20-15fd1dc63b7d.html