Ecco i risultati delle elezioni studentesche 2019

Si sono concluse le votazioni, svoltesi per la prima volta in via telematica, per l’elezione dei rappresentanti degli studenti, specializzandi, dottorandi ed assegnisti.
L’Ateneo messinese è il primo degli atenei pubblici siciliani ad avere adottato la modalità telematica per l’espressione delle preferenze elettorali.
Gli studenti votanti sono stati 6296 (26,63%) sui 23578 aventi diritto.

Per il biennio 2019/2021, si è votato per

a) cinque rappresentanti degli studenti in seno al Senato Accademico;

b) due rappresentanti degli studenti in seno al Consiglio di amministrazione dell’Ateneo;

c) due rappresentanti degli studenti in seno al Comitato sovrintendente alle Attività Sportive Universitarie (CSASU);

d) un rappresentante dei Dottorandi e Assegnisti di ricerca in seno al Senato accademico;

e) un rappresentante degli Specializzandi in seno al Senato Accademico.

Si è votato , inoltre per l’elezione dei rappresentati degli studenti, assegnisti e dottorandi nei Consigli dei Dipartimenti e dei rappresentanti degli studenti nei Consigli dei Corsi di Laurea, di tre rappresentanti degli studenti, dei dottorandi, degli specializzandi e degli iscritti presso le Istituzioni per l’alta formazione artistica e musicale in seno al Consiglio di Amministrazione dell’E.R.S.U. di Messina e dei rappresentanti del CNSU; i risultati delle votazioni del CNSU saranno resi noti successivamente.

Ecco i risultati:

UNIME_Risultati

Marsala: 25enne scomparsa e trovata morta

 

Ritrovato la notte del 20 marzo 2019 privo di vita il corpo della 25enne di Marsala Nicoletta Indelicato, dopo che della povera ragazza non si avevano più notizie da sabato notte.

 

 

Nicoletta sembrerebbe sia uscita con un’amica nella notte fra sabato e domenica senza fare però ritorno a casa.

Subito i genitori, in stato di grande apprensione, si sono mobilitati per porre denuncia sulla scomparsa della figlia e grazie anche all’aiuto del sindaco di Marsala, Alberto Di Girolamo, le ricerche si sono moltiplicate, invitando di contattare le forze dell’ordine chiunque vedesse una ragazza con addosso un maglione bordò e dei pantaloni grigi.

I carabinieri dunque hanno tratto in arresto Carmelo Bonetta, 34 anni, e Margareta Buffa, di 29 anni, entrambi residenti a Marsala; entrambi indagati per omicidio e soppressione di cadavere.

A seguito di varie e costanti ricerche, il corpo della giovane è stato ritrovato in una zona di campagna chiamata Sant’Onofrio.

 

 

Successivamente si è svolto un interrogatorio dove la coppia ha infine confessato di avere ucciso Nicoletta Indelicato.

Adesso sia l’uomo che la donna si trovano in carcere per omicidio e occultamento di cadavere, quando la stessa donna proprio durante l’interrogatorio ha fatto capire che quella notte ci sono state delle divergenze con Nicoletta, tanto da ucciderla.

 

         Piero Cento

Fashion Week 2019

Fashion Week 2019: Un nome, una settimana all’ultimo grido che annuncia la moda in grande stile. 60 sfilate, 81 presentazioni e 33 eventi per la città di Milano, con una nuova collezione autunno/inverno di tutti quei marchi che hanno fatto sognare, non solo le mura di Milano, ma di tutta Italia. Con i migliori stilisti che hanno reso possibile l’impossibile.

A partire da Prada con il suo stile romantico in chiave dark, ironicamente gotico e pieno di rifermenti ai classici dell’horror, ispirandosi al gotico della famiglia Addams con la sua caratteristica inconfondibile: le trecce lunghe della protagonista Mercoledì. Ma quest’anno non tutti gli stilisti erano concentrati in questo grande evento, anche nel mondo della moda il nero si fa avanti, con la grande perdita di Karl Lagerfeld, sarto tedesco, stilista e fotografo, definito come: “il leggendario Kaiser della moda”… Keiser Karl, così veniva chiamato nel mondo della moda.

Un uomo che è stato fino a poco tempo fa un emblema per tutte le modelle, e a confermarlo è stata proprio una di quest’ultime, alla quale Karl ha fatto aprire gli occhi su ciò che si stava perdendo dietro la sue timidezze da ragazzina, aiutandola sempre di più per diventare una fotomodella piena di carisma. Essa dichiara che Karl ha fatto di lei una topmodel che oggi vedremo sulle passerelle con sicurezza e determinazione facendole scoprire non solo la bellezza di questo mondo, ma insegnandole la moda così come stile per sopravvivere nel mondo del “Look all’ultimo grido”. Proprio con queste ultime parole si esprime con un post su Instangram Claudia Schiffer, ricordando lo stilista: “Quello che Andy Wharhol era per l’arte, lui lo era per la moda…Colui che rendeva il bianco e il nero pieno di colore – aggiunge la Schiffer – Uno stilista che non ha mai camminato con un solo colore, cercando di farne combaciare più di uno”. Ecco come inizia una settimana ricca di colore con qualche sfumatura di bianco e nero, con il ricordo di Karl Kaiser che si fa spazio nella mente delle modelle e con le passerelle che si fanno più grandi per i loro prossimi stili.

Dalila DeBenedetto

Grande successo per l’evento del SISM di Messina: “La salute scende in piazza”

 

Sabato 16 febbraio dalle ore 9:30 sino alle 19:30 a Messina, a Piazza Cairoli, si è tenuto un evento fortemente voluto da diverse associazioni no profit messinesi (SISM, Cambiamenti APS, Croce Rossa Messina, Admo, Aido, Avis, Unicef, UICI, AISO, A.G.D. Messina e Nonno Ascoltami).

È Roberta Minasi, presidentessa del Sism Messina, a fornirci delucidazioni in merito all’evento:

“Già da tempo, grazie anche al prezioso aiuto del policlinico di Messina, il SISM Messina organizza iniziative di sensibilizzazione su tematiche specifiche con lo scopo di educare la popolazione alla conoscenza di alcune tematiche attuali di rilievo nell’ambito della salute e della sanità pubblica.

Il SISM, come ogni anno, si è fatto portavoce de “La salute scende in piazza”, un evento di salute pubblica, che si pone l’obiettivo di portare all’attenzione della cittadinanza sia il vero significato di “salute”, sia i suoi principali determinanti. In tal modo si rende la popolazione capace di conoscere e di conseguenza riconoscere eventuali comportamenti nocivi, facendo sì che gli stessi cittadini diventino fautori della diffusione di tale ideale.

Si tratta di un evento dedicato non solo all’intera popolazione, dai progetti per i più piccini agli screening per adulti ed anziani, ma mirato anche alla crescita e formazione degli studenti di medicina, consapevoli dell’importanza della prevenzione.

Numerose le associazioni che, già da tempo, hanno lavorato e lavorano in sinergia con il SISM e che sono scese in piazza, come la Cri Messina, che in occasione della giornata di sensibilizzazione è presente con un importante progetto: “Non sono un bersaglio”.

Il presidente del Comitato di Messina della Cri, Dottor Dario Bagnato, dichiara attraverso un’intervista che:

Sono 3.000 i casi di violenza a operatori sanitari italiani registrati nel 2018, a fronte di sole 1.200 denunce all’Inail: aggressioni a medici e infermieri in ospedale, nei Pronto Soccorso e nei presidi medici assistenziali.

Altro drammatico aspetto è quello delle aggressioni agli operatori delle ambulanze e dei danneggiamenti ai mezzi stessi. Basta leggere i giornali e troviamo frammentate ma cicliche notizie al riguardo, da nord a sud.

Ecco perché, tenendo conto dei logici distinguo, la Croce Rossa Italiana ha deciso di realizzare una campagna per denunciare, oltre a quanto accade in scenari internazionali, una realtà pressoché sconosciuta o spesso sottovalutata che ci coinvolge da vicino e che riguarda anche (e non solo) i volontari CRI: quella delle violenze ai danni dei nostri operatori e/o strutture sanitarie. Così nasce “Non sono un bersaglio”.

Il Dottor Bagnato ricorda che chi aggredisce un operatore socio-sanitario si sta precludendo la possibilità di essere curato. È come se si stesse aggredendo da solo, come suggerisce l’immagine stessa scelta per la loro locandina. Pertanto, fa appello alla coscienza di ogni cittadino onde evitare il perpetuarsi di altre violenze.

I volontari delle varie Onlus partecipanti hanno realizzato dei punti informativi affinché ogni cittadino potesse avere tutte le notizie desiderate sulle attività svolte dai gruppi associativi e più in generale sulla tutela del bene salute. Durante la giornata è stato possibile effettuare vari test di screening come quello dell’HIV (sia ematico sia salivare). È stata inoltre dedicata una particolare attenzione a due progetti, interamente indirizzati ai più piccini: lo Smile-X (progetto dei dottor clown, che effettuano ogni giovedì clown therapy al policlinico), e l’Odp, cioè l’Ospedale Dei Pupazzi: un progetto di sensibilizzazione volto a ridurre il timore dei più piccoli nei confronti del camice bianco e dell’ambiente ospedaliero: la paura viene esorcizzata attraverso dei peluche che vengono curati dai più piccoli su dei tavoli da gioco.

 

 

Gabriella Parasiliti Collazzo

Convegno “UGUAGLIANZA UOMO – DONNA: STORIA DI UN’INCOMPIUTA”

Diversi sono stati gli interventi che si sono susseguiti durante il secondo giorno della conferenza“Uguaglianza Uomo-Donna: una storia di un’incompiuta” che si è svolto in aula Salvatore Pugliatti presso la facoltà di Giurisprudenza.

A partire dalla diversità e disparità di genere nel diritto di famiglia, nel quale ci si è concentrati sul rapporto tra i principi e valori e la valenza programmatica delle norme. Alla validità delle norme al giorno d’oggi e il tentativo di adeguarle alla realtà e al tenore di vita. Ad esempio per quanto riguarda l’assegnazione del cognome genitoriale.

Segue un intervento riguardo a “Discriminazioni di genere e tutele del lavoro”. Negli ultimi anni si sono fatti diversi passi avanti, per quanto riguarda l’eguaglianza del lavoro (fino a poco tempo fa le donne non potevano esercitare lavori pesanti o in notturno), eguaglianza salariale (parità di rendimento, qualifica e mansione) e diverse leggi di protezione e risarcimento.

Specifiche leggi si sono fatte sia a livello europeo, ad esempio nel 1957 con il Trattato Istitutivo dell’Unione Europea sul Mercato Comune, e poi con il Codice delle Pari Opportunità.
Purtroppo ad oggi, nonostante i passi avanti a livello legislativo, nei fatti la parità non è netta, a partire dal divario retributivo del 13%.
Si sono fatte delle misure a contenuto positivo per le pari opportunità che hanno dato specifici vantaggi. Due azioni positive: risarcitoria e promozionale. A queste si è aggiunta una terza via ovvero la valorizzazione, grazie a specifiche leggi su imprenditoria femminile e quote rosa.

Negli ultimi 50 anni si è assistito ad una evoluzione anche per quanto riguarda le norme contro la violenza di genere.
Dal 1930 gli strumenti contro la violenza sono diversi sin dalla legge 1019 della Convenzione di Istanbul.
Inizialmente la legge non prevedeva la tutela della donna ma una discriminazione diretta. Pensiamo ad esempio alle varie leggi del Codice Penale su adulterio, concubinato, matrimonio riparatorio o al delitto ad onore.

Alla fine degli anni 60 c’è stato un cambiamento nel quale queste forme diventano illegittime. Grazie alla ratifica, alla Convenzione di Istanbul ma anche alle numerose manifestazioni per l’uguaglianza dei sessi.
Nonostante le varie norme di tutela integrata, politica sociale, il superamento della discriminazione e l’incriminazione delle sanzioni, gli atteggiamenti mentali sono ben radicati. A questi sono necessarie delle azioni mirate di sensibilizzazione sociale.
E azioni mirate a salvaguardare la vittima per la tutela dell’integrità psichica, e la reintegrazione in società attraverso la figura del mediatore adeguatamente specializzato.

La legislazione si è nell’ultimo decennio occupata di maltrattamenti in famiglia e stalking. Nel quale la vittima vive uno stato di agitazione e paura per la propria incolumità e dei propri familiari. La violenza non è considerato un comportamento giustificabile che va punito con l’allontanamento dal contesto familiare ma allo stesso tempo con l’ascolto della vittima tramite appositi centri anti violenza.

Dal giorno delle prime elezioni per la Repubblica e dal diritto di voto alle donne le cose sono cambiate. Purtroppo il codice civile non prevedeva le pari opportunità perché la donna era vista in una condizione di debolezza ed incapacità. La donna, da sempre regina delle relazioni interne e familiari non poteva essere vista nell’ambito pubblico. Oggi esiste il libero accesso agli uffici pubblici ed alle cariche elettive. Nonostante oggi si assiste ad una integrazione femminile, si aggiunge una perdita di identità di genere, abbracciando un modello maschile. Forse una via diversa ma più efficace potrebbe essere il raggiungimento di una consapevolezza di genere e quindi di un’eguaglianza a tutti gli effetti.

Se si sono fatti diversi passi in avanti per quanto riguarda le leggi di eguaglianza nel campo lavorativo e misure di protezione e risarcimento in caso di avvenuto danno alla persona, esistono ancora diseguaglianze soprattutto nel campo della professionalità sportiva.

Secondo la Carta Olimpica e i Principi Fondamentali si indica che ogni individuo possa praticare sport secondo le proprie esigenze. Con la Convenzione di New York si elimina ogni discriminazione nei confronti della donna. Purtroppo ancora oggi ci sono poche donne a rappresentare le cariche presidiali del mondo sportivo ma una presenza sempre maggiore. Infatti dalle prime donne che praticavano sport nel 1920, si ha il 50% delle presenze femminili alle olimpiadi di Londra e Rio. Nonostante questo, le federazioni sportive femminili non sono riconosciute dalla forma CONI per la garanzia di professionismo.

L’uguaglianza è di per se un argomento piuttosto vasto, intricato e con tanta strada di fronte a sé. La campagna verso le pari opportunità rimane aperta, il cammino verso l’obiettivo è tortuoso e impegnativo. Anche a livello europeo questo argomento è uno dei più travagliati.

A presiedere e concludere la giornata il prof. Raffaele Tommasini dell’Università di Messina.
Sono intervenuti prof. Giovanni Di Rosa dell’Università di Catania, la prof.ssa Loredana Ferluga e la prof.ssa Tiziana Vitarelli dell’Università di Messina, la dott.ssa Alessia Giorgianni ovvero Sostituto Procuratore presso il Tribunale di Messina, prof.ssa Laura Lorello dell’Università di Palermo, dott.ssa Angela Busacca dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

 


Marina Fulco

Alla ricerca dell’aggravante perduta (?)

Nei giorni appena passati ho potuto notare che in molti durante il dì svolgono la propria vita in tranquillità ed in totale anonimato, mentre di notte si trasformano in impavidi difensori della giustizia, un po’ come Batman e Superman. Li definirei i “giuristi 2.0”. Si, si, avete idea di quanti “laureati” in giurisprudenza vagano per le strade del nostro bel Paese? Anche se lo scherzo sarcastico si presta divinamente per tutta la faccenda che vi racconterò, premetto che il mio scopo è principalmente di informare in maniera più oggettiva possibile, tenendo parziale la mia opinione – nonostante il tipo di articolo la richieda -, al fine di chiarire perché la giustizia italiana è giunta a tale decisione.

Si sa, il diritto non è certo un mondo facilmente comprensibile, due filoni sono in eterno conflitto tra loro (rari i casi in cui dottrina e giurisprudenza sono concordi) ed il lavoro interpretativo è sempre più oscuro ed articolato. Il caso che ha creato polveroni e fioccanti opinioni è la recente sentenza della terza sezione di giurisdizione penale della Corte di Cassazione: con il numero 32462 depositata il 16 Luglio scorso, i giudici hanno ordinato un nuovo processo per rivedere al ribasso le condanne stabilite in appello contro due uomini di cinquant’anni, accusati di stupro di gruppo contro una ragazza. I giudici hanno stabilito che la vittima era ubriaca e gli stupratori hanno approfittato delle infermità della vittima per avere un rapporto forzato privo di consenso della parte lesa. Se queste sono le parole che avete letto su molte testate nell’ultima settimana, è giustificato (e facile) attaccare la scelta dei giudici.

Ma, si è giunti fino al grado di Cassazione, perché la donna aveva assunto volontariamente l’alcol, e nel fare ricorso si è notato che per legge, alla pena dei due stupratori, non può essere aggiunta alcuna aggravante.

Procedendo con ordine: i fatti risalgono al lontano 2009. I protagonisti sono due uomini ed una ragazza, i quali avevano banchettato insieme con qualche bottiglia in più. La sfortunata fanciulla, al posto di essere aiutata viste le condizioni psicofisiche alterate, è stata condotta in camera da letto per subire una violenza da parte dei due uomini. Dopo qualche ora la giovane si è diretta al pronto soccorso descrivendo quanto appena accaduto. Nel 2011 i due uomini erano stati assolti in primo grado da un giudice di Brescia, perché la donna non era stata riconosciuta attendibile (si evince infatti dalla sentenza e dalla testimonianza, che la giovane confondeva gli avvenimenti, omettendo ed aggiungendo svariate volte i fatti). Successivamente, nel gennaio del 2017, la corte di Appello di Torino aveva considerato in modo diverso il referto del pronto soccorso, che parlava di segni di resistenza, e aveva condannato i due uomini a tre anni applicando anche l’aggravante di «aver commesso il fatto con l’uso di sostanze alcoliche». La difesa dei due imputati aveva presentato ricorso sostenendo che non c’era stata violenza da parte loro né riduzione a uno stato di inferiorità, dato che la ragazza aveva bevuto volontariamente. La Cassazione ha ora confermato la responsabilità dei due uomini nello stupro, ma ha annullato con rinvio la sentenza dei giudici di secondo grado sul punto dell’aggravante.

“Ragioni letterali, ovvero l’utilizzo della locuzione “con l’uso”, e sistematiche, essendo previste uguali circostanze soltanto in relazione ad altre fattispecie di reato che contemplano tra i loro elementi costitutivi la violenza o minaccia (artt. 339, 395, 393, 629 e 585 c.p.), impongono, infatti, di ritenere che il mezzo descritto debba essere imposto contro la volontà della persona offesa e, dunque, che la sostanza deve essere assunta a seguito di un comportamento violento o minaccioso dell’agente. Non integra quindi gli estremi dell’aggravante l’assunzione volontaria di sostanze alcoliche da parte della vittima.” – Sentenza della Corte

Perché si parla di aggravante e della sua mancata sussistenza?

Innanzitutto l’aggravante nel diritto penale la ritroviamo nell’art. 61 del codice penale, in cui sono elencate le circostanze aggravanti comuni, circostanze che – appunto – aggravano il reato commesso dal colpevole. Vi sono anche le aggravanti speciali, che si applicano caso per caso. Ed è questo il punto sul quale si sono soffermati molti critici, poiché ogni caso va valutato nelle sue circostanze specifiche, che non sempre sono uguali tra di loro. In ogni caso, la corte non ha stabilito che l’ubriachezza volontaria fosse stata un’attenuante, ma che se una donna che ha bevuto subisce una violenza, l’aggravante sussiste quando lo stato di invalidità è stato provocato dal colpevole del reato. La Cassazione non ha teorizzato che lo stupro non si è verificato: la violenza sessuale è stata riconosciuta, non è stato riconosciuto l’aggravante che modifica la pena dei colpevoli.

Chiariti tutti i dubbi, le opinioni possono essere presentate, sicuramente con la consapevolezza dell’argomento. La paura che può sorgere, nell’ipotesi in cui dovesse ripresentarsi un caso simile, è che la sentenza della Cassazione possa valere come precedente – il che non significa che la pronuncia fa legge, ma ha un peso rilevante, e può essere citata davanti ad un giudice – e che quindi l’aggravante come non sussiste adesso, potrebbe non farlo successivamente. Ma questo non significa che il dito va puntato alla Corte perché è stata “ingiusta” e l’indignazione deve dilagare come una fake news su Facebook.

Al Corriere della Sera, la penalista Caterina Malavenda non ha messo in discussione la legittimità della decisione della Cassazione, ed ha spiegato: «Certo, ora la Corte di Appello dovrà rivalutare tutto e, in particolare, capire chi ha fatto bere la vittima e perché. Tu puoi bere senza rendertene conto se c’è qualcuno che ti riempie continuamente il bicchiere. Ma perché lo sta facendo?». Infatti, a prescindere dalla giurisdizione e dalle scelte prese secondo procedimenti ben precisi e nel rispetto delle norme, la questione va spostata su un altro piano, in un ambito che ancora non è diventato concreto e sostanziale. La violenza ed il consenso sono discussioni fortemente avanzate in questo periodo, non solo a livello nazionale ma anche europeo, in cui il fulcro è il consenso esplicito, per cui dire “sì” significa “sì”, e che tutto il resto, compreso il silenzio, significa “no”. Il consenso esplicito offre infatti, secondo molte, più protezione, soprattutto a quelle donne che non sono in grado di esprimere chiaramente il proprio consenso (per paura, per alterazione del proprio stato psicofisico, le circostanze sono tante).

Che questo possa essere uno spunto per rivedere o migliorare tutte quelle norme volte a condannare la violenza sessuale? Che la nostra burocrazia sia famosa in tutto il globo per la sua particolare lentezza e minuziosa ricerca, è assodato, ma forse dovremmo valutare molti più casi e le rispettive conseguenze per poter assicurare una tutela completa dell’individuo (sempre nel rispetto del nostro diritto). Come recentemente in Spagna (che segue il modello tedesco e svedese), in cui è stata approvata la proposta che vede la vittima esprimere il proprio consenso esplicito affinchè il rapporto sessuale venga considerato tale, altrimenti è una violenza a tutti gli effetti.

Prescindendo dal genere, la violenza sessuale è un atto vile che deve essere concretizzato nell’immaginario comune: cioè, bisogna avere consapevolezza del reato infimo che rappresenta, tanto da non volerci nemmeno scherzare, per esempio. Non è piacevole quando dite “era troppo bon*, l’avrei stuprat*” o “vieni, vieni ti faccio divertire io”, non siete simpatici, non è divertente, non si dicono certe espressioni per scherzare. Sarò troppo rigida, ma è così di cattivo gusto, che riuscite a trasmettere amarezza e sconforto in chi vi ascolta, e peggio è quando vi si regge la battuta. Ridere è bello, ma c’è così tanto su cui scherzare, perché proprio così?

 

 

Giulia Greco

 

Arkadij Babchenko, la finta morte del reporter russo

Il 29 Maggio scorso, una delle notizie che è passata (ingiustamente) inosservata in mezzo al trambusto generato dalla questione del “Governo si, Governo no” è stata sicuramente quella relativa all’omicidio di Arkadij Babchenko, giornalista russo che da anni raccontava le atrocità che la guerra provocava su Moskovskij KomsomoletsNovaja Gazeta e altre testate nazionali.

Dal 2017 aveva lasciato il suo paese per rifugiarsi prima in Repubblica Ceca e poi in Ucraina, a Kiev, per sfuggire alle numerose minacce di morte che riceveva ormai quotidianamente, specialmente da parte dei sostenitori del governo di Vladimir Putin di cui si era sempre dimostrato un forte critico, pubblicando articoli e post sui propri social denunciando i mali che la Russia stava alimentando con gli interventi in Siria (2015) e nell’Ucraina dell’ Est (2014). E proprio a Kiev, in quella casa dove ormai abitava stabilmente da quasi un anno insieme alla moglie e alla figlia, è stato ritrovato il suo cadavere ricoperto di sangue e con tre fori di proiettile nella schiena. A darne l’allarme è stata proprio la compagna che per prima ha visto il corpo del marito, ormai senza vita. Il pensiero è arrivato spontaneo e l’omicidio è subito stato ricollegato alle numerose minacce di morte indirizzate a Babchenko scatenando così l’indignazione tra i colleghi giornalisti e le autorità locali.

Ma, solo 24 ore dopo l’accaduto, durante una conferenza stampa indetta proprio per dare maggiori spiegazioni sull’argomento, a presiedere l’incontro era presente proprio il giornalista russo che tutti credevano morto. Dopo i primi momenti di comprensibile sbigottimento e di lacrime per un collega che credevano morto, i giornalisti presenti in sala hanno avuto la possibilità di conoscere la realtà che si celava dietro quella tragica notizia.

“Sono ancora vivo. Mi scuso con mia moglie e con i miei colleghi per l’inferno che gli ho fatto passare negli ultimi due giorni”

Vassilij Gritsak, capo dei Servizi segreti ucraini (Sbu), ha spiegato che la sua “morte” era stata inscenata, in accordo con le autorità ucraine, per sventare un omicidio che era stato commissionato al prezzo di 40mila dollari e del quale le autorità erano venute a conoscenza 2 mesi prima. L’uomo che aveva organizzato il vero attentato alla vita di Babchenko, un cittadino ucraino, era stato arrestato proprio quella mattina.

Dopo aver reso pubblica la notizia la reazione dei social è stata duplice, da un lato in molti hanno espresso grande sollievo; dall’altro invece, in molti si sono detti indignati per la strumentalizzazione che gli Sbu hanno compiuto per manipolare l’informazione a loro vantaggio, forte sostenitore di questa tesi è stato Christophe Deloire, segretario di Reporter senza frontiere.

Dello stesso avviso è stata la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova che in un post su Facebook si è detta felice per le reali condizioni del giornalista, criticando però, duramente, il governo ucraino per la speculazione fatta sulla informazioni in loro possesso.

In un lungo articolo pubblicato da Babchenko un anno fa sul sito “The Question“, il giornalista rispondeva così alla domanda “Adesso hai paura di morire“:

“Certo, morire fa paura. Sempre. Se qualcuno dice il contrario, non credetegli. E, per quanto mi riguarda, più si va avanti, più fa paura. Perché non si può sempre avere fortuna. Il limite della fortuna è limitato. Puoi aver fortuna una volta. Due. Cinque. Ma prima o poi arriverà il giorno che…”

Giorgio Muzzupappa

Vuoi essere mio amico? Processi neurali ci suggeriscono se saremo mai amici

Non esiste uomo che non abbia, almeno una volta nella vita, provato il sentimento dell’amicizia, né qualcuno che non abbia provato o desiderato amore. Sfido chiunque a dire il contrario. Un’introduzione un po’ sdolcinata, vero, ma pur sempre realistica. La complessità e la necessità delle reti sociali testimoniano quanto la specie umana sia incline a relazionarsi con chi gli è simile in termini di caratteristiche fisiche (età, sesso), di interessi (studi, tempo libero, idee) e di cultura. Ormai numerose evidenze antropologiche suggeriscono come, la tendenza all’aggregazione, sia, nella specie umana, un primordiale principio organizzatore della società che conosciamo oggi. Vari ormoni e strutture anatomiche regolano, seppur ancora in maniera non del tutto chiara, le emozioni provate durante l’esperienza della relazione interumana, e per quanto l’amicizia e l’amore siano sperimentati da tutti gli umani, resta ancora da capire il perché vengano a formarsi certi legami.

A suggerire l’esistenza di una sorta di “firma neurale” dell’amicizia è un gruppo di ricercatori dell’Università della California a Los Angeles e del Dartmouth College ad Hanover, nel New Hampshire, coordinati dalla Dott.ssa Carolyn Parkinson. Il gruppo ha infatti voluto indagare se tali similitudini possono derivare da altre più nascoste, connessioni neuronali che codificano il modo in cui percepiamo, interpretiamo e interagiamo con il mondo che ci circonda.

Per il loro studio, pubblicato su “Nature communications” lo scorso mese dal titolo “Similar neural responses predict friendship” –Risposte neurali simili predicono l’amicizia-, sono stati reclutati 279 studenti da un corso di laurea della stessa Università, a cui poi è stato sottoposto un questionario online in cui gli veniva chiesto di indicare i ragazzi, partecipanti allo stesso studio, cui erano legati da un sentimento di amicizia. Si è così costruita una mappa matematica a partire da una rete sociale reale, qui sotto illustrata.

Un campione di 42 studenti è stato poi selezionato casualmente per partecipare allo studio mediante risonanza magnetica funzionale. Tale esame valuta l’attività della corteccia cerebrale in una determinata zona, quindi se il soggetto è stimolato da un’immagine, la fMRI noterà un segnale proveniente dalla corteccia visiva, un’altra immagine provocherà un segnale proveniente dalla stessa zona, ma leggermente diverso. Durante l’esame ogni soggetto ha guardato la stessa selezione di videoclip, che comprendevano un ampio range di argomenti, dagli sketch comici ai documentari, fino ai dibattiti politici, tutti scelti secondo un unico criterio: i soggetti non dovevano averli già visti. In questo modo, i ricercatori hanno indotto uno sforzo mentale di attenzione, interpretazione ed evocazione di risposte neuronali nuove.

Analizzando i dati raccolti, Parkinson e colleghi hanno dimostrato che durante la visione di uno stesso video, il profilo dei livelli di attività nelle aree del cervello implicate nell’interpretazione dell’ambiente sensoriale e nelle risposte emotive era molto simile tra coloro che si definivano amici. La somiglianza della risposta neurale diminuiva invece con l’aumentare della distanza tra gli individui nella stessa rete sociale. Le regioni corticali più interessate nella discriminazione dell’amicizia sono quelle coinvolte nell’allocazione dell’attenzione, nell’interpretazione narrativa e nella risposta affettiva, suggerendo che gli amici possono essere eccezionalmente simili nel modo in cui si occupano, interpretano ed emotivamente reagiscono a ciò che li circonda. Era inoltre possibile prevedere, con un esercizio speculare, la stessa mappa dell’immagine precedente partendo dalla sola acquisizione in fMRI. Oltre alle regioni corticali sopracitate, sono state notate associazioni con zone sub-corticali implicate nella motivazione, apprendimento e formazione di nuovi ricordi, come l’amigdala, e parte dei nuclei della base.

L’immagine mostra aree corticali ad alta associazione (rosso) tra amici, che risultano ad associazione minore (rosa/azzurro) tra individui legati da una distanza sociale maggiore.

I profili ottenuti con la risonanza, concludono gli autori, “forniscono quindi firme ricche di informazioni sulle risposte di questi individui agli stimoli, che presumibilmente sono modellati dalle caratteristiche delle loro disposizioni, conoscenze preesistenti, opinioni, interessi e valori. Queste firme possono essere utilizzate per identificare le persone che possono diventare amiche e quelle che possono essere collegate indirettamente tramite amici comuni.”

Lo studio in questione è stato ispirato da un’altra scoperta fatta precedentemente dallo stesso team di scienziati: non appena vediamo qualcuno che conosciamo, il nostro cervello ci dice immediatamente quanto è importante o influente quella persona e la posizione che occupa nella nostra rete sociale. La prossima sfida per il gruppo dii ricercatori sarà quella di “comprendere se veniamo attratti naturalmente dalle persone che vedono il mondo alla nostra stessa maniera, se diveniamo più simili una volta che condividiamo le stesse esperienze o se entrambe le dinamiche si rafforzano a vicenda”.

Antonio Nuccio

La frutta: dono preziosissimo della Natura

Immaginiamoci in una giornata afosa, a mezzogiorno e nella beata Sicilia. Unico cibo, che abbiamo voglia di mangiare in queste condizioni, è la frutta, quel meraviglioso dono che alcune piante ci fanno da millenni. Ma cosa sono realmente i frutti? Perché le piante dovrebbero utilizzare le loro preziose energie per darci del cibo? Da cosa sono fatti? Perché sono colorati? Ha più calorie un frutto maturo o uno acerbo? In questo articolo cercheremo di rispondere a queste ed ad altre curiosità. Cercherò di farvi comprendere che l’arancia, non è solo bella, dolce e nutriente, è anche viva!

Il frutto è quell’organo della pianta che ha la funzione di fornire protezione, nutrimento e mezzo di diffusione al seme che contiene. Tuttavia, se torniamo ad osservare la nostra amata arancia, notiamo che essa non ha semi. Il motivo è dovuto al fatto che l’uomo, ormai da secoli, crea ibridi, per migliorare sempre di più il sapore di tali pietanze. Un altro esempio sono le banane, che hanno subito le stesse modifiche genetiche delle arance, attraverso infiniti incroci avvenuti nei secoli. La riproduzione di queste piante è assicurata, quindi, non dal frutto, che ha perso i suoi semi, ma dall’uomo, attraverso procedure artificiali come l’innesco.

Questa è una foto della ancestrale Musa Balbisiana, dalla quale derivano, attraverso l’incrocio con un altra specie (Musa Acuminata), quasi tutte le moderne banane. Quando si genera un ibrido (come il caso della “moderna” banana), questo, quasi sempre, non ha i semi.

Attraverso i semi, contenuti nei frutti, le piante si riproducono. Più un frutto riesce a proteggere e a nutrire a lungo il seme, più sarà garantita la sopravvivenza e la diffusione di quella specie. Nella riproduzione delle piante entrano a far parte anche altri organismi viventi, come l’uomo. L’uomo è un animale egoista. Se qualcosa gli piace, tenta in tutti i modi di preservare quel qualcosa. Se una pianta è in grado di fornire frutti belli, dolci e saporiti, state pur certi che quella pianta avrà vita lunga. Inoltre è stato dimostrato che molti semi riescono a sopravvivere all’azione dei succhi digestivi di molti esseri viventi. Questo significa che anche i semi di un frutto ingerito possono, se raggiungono il terreno dopo aver attraversato l’intero canale alimentare, dar vita ad una pianta. Inoltre, in questo modo, il frutto sfrutta un organismo vivente come un mezzo per raggiungere territori ancor più vasti e ciò non può che essere positivo ai fini della diffusione della specie.

Penso che in natura non esista organo più incline al volersi far mangiare da altri organismi viventi, per rispondere a tale desiderio il frutto va incontro a maturazione. Nella prima fase di crescita, il frutto diventa sempre più voluminoso, mentre il seme si perfeziona rendendosi funzionale. Importante che tale fase avvenga sull’albero, poiché il frutto nei primissimi momenti di vita è dipendente dai nutrienti che la pianta gli dona. Successivamente, quando il frutto ha raggiunto un minimo stadio di maturazione, può continuare questo processo da solo.

La maturazione di tale organo, una volta staccato dall’albero, è garantita dal fatto che le cellule del frutto riescono a respirare e a vivere anche dopo che il frutto ha lasciato l’albero. Questo è possibile grazie alla parete cellulare delle cellule vegetali, non presenti nelle cellule animali, che conservano al loro interno più a lungo acqua e altre molecole indispensabili. Quindi quando poniamo sul carrello della spesa la nostra bellissima frutta, questa è ancora viva: le sue cellule stanno effettuando la respirazione, ovvero quell’insieme di reazioni chimiche che generano energia sotto forma di ATP, partendo da substrati come zuccheri e ossigeno. E’ inoltre interessante notare che la resistenza di un frutto al di fuori della pianta è inversamente proporzionale all’intensità della respirazione, ovvero più un frutto matura velocemente, al dì fuori della pianta, quanto prima esso deperirà.

Ci sono due grandi famiglie di frutti: i climaterici ed i non climaterici. I primi, dopo essere stati raccolti, producono un ormone volatile chiamato etilene che è in grado di far continuare la maturazione del frutto. I secondi continuano la maturazione solo grazie all’etilene esogeno, che può essere somministrato dall’uomo o da frutti climaterici posizionati vicini.

 

L’etilene è un ormone vegetale la cui principale azione è quella di favorire la maturazione del frutto. Tale processo è notevolmente dispendioso dal punto di vista energetico, e per questo motivo con essa aumenta anche la respirazione delle cellule del frutto.

La produzione di etilene è favorita da alcuni fattori:

  • l’Auxina, altro ormone vegetale.
  • Stress, come ferite e urti. Infatti se notate una mela ammaccata matura molto più velocemente.
  • Ritmi Circardiani (si ha un picco di produzione diurno, un po’ come il nostro cortisolo).
  • Infine lo stesso etilene ha un azione permissiva sulla propria produzione.

Come fanno questi fattori ad aumentare la formazione di etilene? Andando ad attivare l’enzima ACC sintasi

 

Quali sono gli effetti all’interno della cellula di questo ormone?

L’etilene, attraverso una via di trasduzione, va a regolare la trascrizione di specifici geni che codificano determinati enzimi, indispensabili per la maturazione del frutto e per altre funzioni.

Gli enzimi a questo punto sintetizzati cosa faranno?

  • La clorofilla, pigmento notoriamente verde, viene ridotta in molecole più semplici, talvolta con formazione di nuovi pigmenti, come carotenoidi, xantofille e antociani, che impartiscono ai frutti maturi la loro colorazione.
  • Alcune cellule cominciano ad accumulare nei vacuoli diverse sostanze, aumentando di volume e arricchendosi di molecole fino a raggiungere la composizione caratteristica del frutto maturo (questo solo quando il frutto è ancora posto sulla pianta).
  • L’amido, presente nella banana, viene ridotto in carboidrati più semplici. Rendendo, in questo modo, il frutto più dolce.
  • Le macromolecole di pectina vengono idrolizzate in acidi pectici, rammollendo la polpa e la buccia del frutto.

Spero che da adesso in poi vedremo la frutta con occhio diverso. Penseremo al fatto che essa sia viva, che essa stia sintetizzando etilene ai fini di continuare il suo processo di maturazione, al fini di apparire più bella ai nostri occhi e più saporita, per il solo unico suo scopo di essere mangiata da noi. Vi lascio con un’ultimissima interessante nozione: un frutto più maturo è più dolce, ma non più calorico di uno acerbo. Le calorie si basano sulla quantità di zuccheri e non sulla qualità. Durante il processo di maturazione la frutta non aggiunge zuccheri, ma li idrolizza soltanto, rendendoli “semplici”. Gli zuccheri semplici entreranno prima nel circolo sanguigno rispetto ai zuccheri complessi di un frutto più acerbo, donandovi subito più energia e vitalità. Per non parlare del sapore, ma a chi piace la banana quando è ancora verde? Forse abbiamo, davanti a noi, l’unico caso, in cui, un qualcosa di buono, non per forza fa “ingrassare” di più, anzi, fa stare bene.

Francesco Calò

Resto al Sud: come uscire dalla crisi delle crisi

É da tempo sulle pagine dei quotidiani, nei servizi televisivi ed in cima ai programmi elettorali dei nostri cari politici. É invisibile, ma i suoi effetti si vedono eccome. É silenziosa, ma causa crolli e cadute di colossi che fanno rumor(e). Conviviamo con essa da anni, un malessere generale riassumibile con due parole: la crisi. Quando si parla di crisi si sottende necessariamente quella economica che dal 2008 sino ad oggi ha causato un esponenziale incremento del tasso di disoccupazione, del livello di povertà e dell’indebitamento. Oltre a causare falde finanziarie non rimarginabili, fatto saltare posti di lavoro, aziende ed imprese, aumentando la pressione fiscale, la crisi ha causato esiti negativi per quanto riguarda la psiche dell’individuo. Alla crisi economica si affianca quella della psiche. Le conseguenze di questa commistione di crisi sono: depressione,  insoddisfazione e smarrimento. Ci si sente fuori luogo, inadeguati. E si emigra in cerca di fortuna. Eppure una soluzione a tutto questo c’è, ed é il lavoro.

Secondo il Briefing Document for the National Governors Association possedere un’occupazione rappresenta un fattore rilevante che segna la routine quotidiana, fornisce obiettivi significativi, aumenta le finanze individuali e familiari allontanando il rischio di povertà. Ottenere un impiego è anche correlato con l’aumento del benessere personale, la “self efficacy”, il miglioramento della gestione delle relazioni ;rappresenta inoltre, un’opportunità di instaurare amicizie, ottenere supporto sociale e contribuisce a definire se stessi come lavoratori. Dunque avere un lavoro rende liberi, indipendenti, e ci si scrolla di dosso tutte quelle preoccupazioni sopraindicate. Il lavoro é la soluzione! Ma qualcuno potrebbe anche dire: <<Scusa giovane – mi domanda un qualsiasi abitante del Meridione – qui al Sud “non c’è nenti”, in più c’è la crisi, chi ce lo dà il lavoro?>>.

Di certo il nostro conterraneo non ha tutti I torti. Il lavoro non cade dal cielo, ma su una cosa sbaglia di grosso. Al Sud, c’é molto più di niente. Migliaia e migliaia di risorse inutilizzate o in mano ad individui che voglion tutto fuorché il bene della nostra terra. C’è bisogno di arrotolarsi le maniche, cambiare ciò che manda a rotoli il nostro paese, estirpare quella “mala pianta”. Ed un’opportunità ci viene data proprio da quelle istituzioni che spesso e volentieri latitano da queste parti. “Resto al Sud”, un bando istituito dal decreto Mezzogiorno n. 91-2017 a sostegno dell’autoimprenditorialità giovanile. Invitalia ha attuato un nuovo regime di aiuto per incoraggiare la costituzione di nuove imprese nelle Regioni meno sviluppate e in transizione, cioè Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, da parte di giovani imprenditori.

Le richieste di agevolazioni possono essere presentate dai soggetti di età compresa tra i 18 e i 35 anni che siano in possesso, al momento della presentazione della domanda, dei seguenti requisiti: che siano residenti in una delle regioni sopraindicate;  e che non risultino già titolari di attività di impresa in esercizio alla data del 21 giugno 2017!

Le risorse disponibili stanziate sono pari a un miliardo e 250 milioni di euro ed i finanziamenti sono concessi fino ad un massimo di 50mila euro, o di 50mila euro per ciascun socio nel caso in cui l’istanza sia presentata da più soggetti già costituiti o che intendano costituirsi in forma societaria, fino ad un ammontare massimo complessivo di 200mila euro.

Il finanziamento è così articolato: 35% come contributo a fondo perduto erogato dal Soggetto gestore; 65% sotto forma di finanziamento bancario, concesso da istituti di credito in base alle modalità ed alle condizioni economiche definite dalla Convenzione. Dunque il finanziamento bancario deve essere rimborsato entro otto anni dall’erogazione del finanziamento, di cui i primi due anni di pre-ammortamento.

I settori nei quali le aziende si possono specializzare sono: industria, turismo, costruzione, audiovisivo, ICT, servizi, trasporti, energia, sanità, cultura, farmaceutico ed alimentare.

Dallo scorso 15 gennaio é possibile inviare la propria idea di azienda. Circa 6 mila le domande presentate e quasi 900 i progetti già presi in analisi da Invitalia. Se dovessero andare in porto questi progetti, momentaneamente si stima un incremento del lavoro di circa 4 mila posti, con un investimento pari a 55 milioni di euro. Le regioni con maggior numero di domande presentate sono: Campania(49,3%) , Sicilia (15,8%) e Calabria (13,2%).

Il settore turistico-culturale è il più rappresentato con quasi il 43% dei progetti, al secondo posto le attività manifatturiere (27%), quindi i servizi alla persona (13%). Il 37% dei proponenti si colloca nella fascia d’età 30-35 anni e il 38% di essi ha un elevato livello di istruzione (laurea, master, dottorato di ricerca). Significativa la quota di under 25, che arrivano al 32% del totale.

Un vero e proprio incentivo del governo per sviluppare economia e lavoro nel meridione limitando la famigerata fuga di cervelli. Il sud c’è , e risponde a gran voce presente. “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere ‘superato’.” Questo era Albert Einstein, il quale tirando le somme, e non era molto bravo a farlo, ci fa capire a noi terroni che la crisi tra le crisi, la più grande e la più difficile da combattere é la questione meridionale. Ed esiste dall’unità d’Italia, non dal 2008. Dopo un secolo e mezzo non si può più far finta di niente, dobbiamo mettere in crisi i meccanicismi mafiosi e classisti che ci hanno portato a questo punto. Dobbiamo restare. Dobbiamo tornare. Solo così avverrà la crisi delle crisi.  

Vincenzo Francesco Romeo