Tonga: un’isola distrutta e tanti nodi da sciogliere

Tra il 13 e il 15 gennaio 2022 si è verificato uno dei fenomeni vulcanici più potenti degli ultimi anni. Si tratta dell’eruzione del vulcano Hunga Tonga-Hunga Ha’apai, in prossimità delle Isole Tonga. L’esplosione che ne è conseguita è stata così violenta da interessare, con le sue onde d’urto, oltre metà del pianeta.

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INDICE

  1. La cintura di fuoco: perché proprio qui?
  2. Conformazione del vulcano
  3. L’eruzione
  4. Big one
  5. L’acqua come benzina per il vulcano
  6. Cosa ci aspettiamo nell’immediato futuro?

La cintura di fuoco: perché proprio qui?

L‘arcipelago di Tonga e l’omonimo vulcano sottomarino si trovano tra la Nuova Zelanda e le Fiji.
La zona è legata alla cintura di fuoco del Pacifico, l’area con la maggiore attività sismica ed eruttiva della Terra. Si calcola, infatti, che circa il 90% dei terremoti verificatisi sul nostro pianeta sia associato a questa regione, nata dal movimento di subduzione tra placche continentali e oceaniche.
Il vulcano, in particolare, è situato nel punto di giunzione fra due delle maggiori zolle descritte dalla tettonica delle placche, quella Pacifica e quella Indo-australiana. È proprio in questo punto che si forma il magma che, risalendo lungo la costa, origina una catena di vulcani.

 

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Conformazione del vulcano

Il vulcano Tonga ha una struttura molto estesa: è alto circa 1.800 m, ampio pressoché 20 Km. Si estende in gran parte sotto le acque oceaniche, emergendo solo di 100 metri.
Fenomeni eruttivi si verificano periodicamente. Gli ultimi eventi significativi, di entità minori se comparati con quelli dello scorso 15 gennaio, sono del 2009 e del 2014-2015. Già nel dicembre 2021 il vulcano ha iniziato a presentare fenomeni eruttivi, seppur moderati. Gli scienziati hanno scoperto, inoltre, l’esistenza di una caldera, una depressione a forma generalmente circolare, subito sotto il livello del mare, formatasi a causa dello svuotamento dopo un’eruzione.
Piccole eruzioni, di solito, si verificano ai bordi della caldera, mentre quelle maggiori hanno origine dal suo centro, rendendole più profonde. Il magma, dunque, si accumula fino a creare le condizioni ideali per una potente eruzione a partire dalla caldera.

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L’eruzione

Poco dopo le 5 del mattino di sabato 15 gennaio 2022 (ora italiana) una violenta eruzione ha cancellato Hunga Tonga-Hunga Haʻapai, un’isola vulcanica appartenente al Regno di Tonga. Questa è stata creata dall’eruzione dello stesso vulcano sottomarino tra il 2014 e il 2015 e dallo stesso è stata distrutta. Le foto satellitari, mostrano una nube di fumo estesa a coprire parte dell’arcipelago. Questa ha un diametro di circa 520 Km.
L’eruzione ha VEI 6( VEI: indice di esplosività vulcanica), superando addirittura quella famosa causata dal Vesuvio nel 79 d.C., catalogata con un VEI 5

Big one 

Lo scienziato Shane Cronin chiarisce su The Conversation che eruzioni di questa portata si verificano quasi ogni mille anni. Secondo i suoi studi, l’ultima sarebbe avvenuta nel Pacifico meridionale nel 1100 d.C. Per arrivare a tale conclusione, il gruppo di Cronin ha analizzato materiali provenienti dalle eruzioni nell’isola di Tongatapu, scoprendo due grandi fenomeni di questo genere. Per datarle è stato utilizzato il metodo del carbonio 14.
Dallo studio e dal confronto con gli eventi del 2009 e del 2014, Cronin segnala che l’evento del 15 gennaio 2022 rientrerebbe nella categoria dei big one. Tuttavia non risulta chiaro se si è trattato di un fenomeno di picco.

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L’acqua come benzina per il vulcano

L’esplosione dovrebbe in realtà essere affievolita dalla presenza di acqua. Quando il magma entra a contatto con questo fluido, anche a temperature molto elevate, si forma una sottile pellicola di vapore tra questo e il magma, così che venga isolato e raffreddato esternamente.
Questo processo non avviene quando dalla crosta il magma viene espulsa ricca di gas vulcanico. In questo caso, infatti, la lava entra velocemente nell’acqua, avendo un contatto diretto con quest’ultima e producendo esplosioni a catena. Un primo scoppio fa a pezzi il magma, i cui frammenti a contatto col liquido, producono nuove esplosioni e così via. 

Cosa ci aspettiamo nell’immediato futuro?

«Siamo nel mezzo di una importante sequenza eruttiva» sottolinea Cronin «e molti aspetti rimangono poco chiari, in parte perché l’isola è attualmente oscurata da nubi di cenere. Le ultime due eruzioni sono state molto forti. La prima ha prodotto nuvole di polveri che sono salite fino a 17 Km di altitudine. La seconda è stata ancora più violenta. Il pennacchio di cenere è salito fino a 20 Km. Ciò dimostra un’enorme potenza esplosiva, che non può essere spiegata dalla sola interazione magma-acqua. Questi segni suggeriscono che la grande caldera di Hunga si è risvegliata. Non è chiaro se quanto successo sia stato il culmine dell’eruzione o se si tratti solo di un primo botto».

Le parole dello scienziato fanno riflettere sull’eventualità del verificarsi di nuovi fenomeni di questo tipo in breve tempo. La speranza è che ciò non avvenga e che si possa, il prima possibile, raggiungere i territori interessati dall’eruzione per prestare soccorso e fornire aiuto alla popolazione.
Continua a stupire la potenza distruttiva del pianeta che ci ospita, che ci dona la vita decidendo poi di spezzarla.
Solo così possiamo capire di essere debolmente umani.

Alessia Sturniolo

Bibliografia

 

Il Pi greco parla la lingua dell’Universo

π.

Sedicesima lettera dell’alfabeto greco, un piccolo carattere che rappresenta parte della nostra cultura.

Questo simbolo, infatti, racchiude in sé una storia lunga millenni, colma di pensieri e uomini che si sono impegnati per quantificarlo, dandogli nuovi significati.

Il pi greco assume un ruolo importante in ambito matematico. Questo simbolo indica, infatti, una costante cui è stato attribuito un valore numerico. Si tratta di un numero irrazionale (cioè decimale illimitato non periodico) e trascendente (non è radice di nessuna equazione algebrica a coefficienti interi).

Il valore approssimato del pi greco. Fonte: codiceedizioni.it

π è l’iniziale di περίμετρος (“perimetro”) ed esprime il rapporto tra la lunghezza di una circonferenza e il relativo diametro.

Il π attraversa la nostra storia

Lo studio del π inizia in Egitto e prosegue nel tentativo di determinarne un valore sempre più preciso.

La più antica documentazione esistente sull’argomento ci è stata lasciata da uno scriba di nome Ahmes. Si tratta del Papiro di Rhind. Lo scritto recita: “Togli 1/9 a un diametro e costruisci un quadrato sulla parte che ne rimane; questo quadrato ha la stessa area del cerchio”. Il testo di Ahmes implica che il rapporto tra circonferenza e diametro è pari a 3,16049. Questo valore si discosta di meno dell’1% da quello vero, testimoniando una notevole precisione per il tempo.

Le formule contenute nel Papiro Rhind rappresentano anche il primo caso documentato di un tentativo di “quadrare il cerchio”, ossia di costruire un quadrato con la stessa area del cerchio.

Frammento del Papiro di Rhind, 1650 a. C. Fonte: mediterraneoantico.it

Gli studi riguardanti la circonferenza furono ripresi nel quarto secolo a.C. dai greci.

Antifonte e Brisone di Eraclea, in particolare, tentarono di trovare l’area di un cerchio usando il principio di esaustione.

Archimede, un paio di secoli dopo, usò lo stesso metodo concentrandosi, però, sui perimetri anziché sulle aree. Stimò per la circonferenza una lunghezza compresa tra il perimetro di un poligono inscritto e uno circoscritto.
Archimede riuscì, quindi, stabilì che il π doveva trovarsi tra 3,1408 e 3,1428.
Successivamente  rese pubbliche le sue scoperte nel libro “Misura del cerchio”.

Parte della Scuola di Atene di Raffaello in cui viene rappresentato Archimede intento a disegnare un cerchio. Fonte: www.arte.it

Anche in Cina, molti matematici si prodigarono nel calcolo del valore del pi greco. L’astronomo Tsu Chung Chi e suo figlio, in particolare, dedicarono molti anni allo studio di questa costante. Usarono nei loro studi dei poligoni, inscritti nella circonferenza, con innumerevoli lati. L’operazione fu immane, ma gli permise di giungere a un risultato che si discosta dal valore reale solamente per una cifra su un miliardo.

Altro studioso interessatosi alla determinazione del valore di questa costante fu Ludolph Van Ceulen, il quale arrivò tramite il metodo di Archimede, incrementando, però, di molto il numero di lati, a calcolare 35 cifre decimali del π. Quando morì, nel 1610, decise di far incidere la nuova versione del π sulla sua tomba.

La tomba di Ludolph Van Ceulen. Fonte: Wikipedia.it

Dobbiamo aspettare l’avvento dei calcolatori moderni per avere a disposizione sempre più cifre decimali di questa costante. Il sito angio.net/pi, per esempio, ha un database che raccoglie 200 milioni di cifre del π ed è possibile inserire una combinazione di numeri per sapere dove questa si trova. Essendo un numero irrazionale, infatti, esso ha infinite cifre decimali che non si ripeteranno mai uguali ed è quindi possibile trovare una qualsiasi sequenza di numeri, da qualche parte, al suo interno.

Il fascino del π

Il pi greco, però, non è presente solo nella matematica e in tutte quelle scienze che se ne servono.  Rappresenta una costante della natura stessa. Lo ritroviamo nel pallone calciato in rete, nella ali degli aerei, nell’iride dei nostri occhi o, ancora, nella doppia spirale del DNA. È anche per questo che si continua lo studio sulle cifre decimali del pi greco (attualmente siamo arrivati a 5 mila miliardi di numeri dopo la virgola) nella ricerca di regolarità, sequenze ripetute o altre sorprese del numero.

È possibile, inoltre, trovarlo guardando le stelle in cielo. Lo ha fatto Robert Matthews, della University of Aston in Birmingham, combinando un set di dati astronomici con la teoria dei numeri. Matthews ha calcolato le distanze angolari tra le 100 stelle più luminose del cielo e le ha usate per generare un milione di coppie di numeri casuali, giungendo a stimare per il π un valore di 3,12772, che si discosta di appena lo 0,4% da quello reale.

Emerge anche dalle acque dei fiumi. Ad accorgersene è stato il matematico Hans-Henrik Stolum, che in uno lavoro pubblicato su Science nel 1996 ha analizzato la sinuosità di fiumi e torrenti, scoprendo che questi scorrono seguendo una geometria frattale, caratterizzata dall’“alternanza di configurazioni ordinate e configurazioni caotiche”. In particolare, è possibile approssimare il rapporto tra la lunghezza di un fiume dalla sorgente alla foce e quella in linea d’aria a pi greco. La sinuosità media di un fiume è, dunque, molto vicina a 3,14.

Nella matematica e nella fisica pi greco è praticamente ovunque. Compare all’interno di equazioni e formule fondamentali, nei moti ondosi, nel movimento dei pianeti, nelle collisioni tra le particelle elementari. Lo ritroviamo anche nella meccanica, nell’energia sprigionata dagli urti.

π: dalla fisica alla musica

Il π, in realtà, fa ormai parte anche della cultura pop moderna. Esiste, ad esempio, una disciplina sportiva, non ufficiale, che consiste nel decantare a memoria quante più cifre decimali del π. Akira Haraguchi, ingegnere giapponese, è il campione assoluto di questo sport. È riuscito a memorizzare ben 100.000 cifre.

Esiste anche uno stile di scrittura, chiamato Pilish, in cui la lunghezza delle parole utilizzate corrisponde alle cifre del π.

Esempio di pilish. Fonte: pbs.twimg.com

Un’iniziativa molto curiosa è stata, invece, quella di Daniel McDonald che ha tentato di riportare in musica le cifre del π. Ha creato la melodia associando un numero ad ogni nota nella Scala Armonica Minore di La.
Successivamente ha suonato la melodia con la sua mano destra mentre l’armonia veniva creata dalla sinistra.
È possibile trovare il video della composizione al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=OMq9he-5HUU.

Potremmo pensare di definire il pi greco come il compagno della nostra evoluzione, simbolo di progresso. Dalla prima intuizione ad oggi, il suo studio ci permette di comprendere meglio la realtà che ci circonda. Più scrutiamo a fondo, più notiamo una sorta di armonia nella natura che dal più piccolo elemento si ripercuote nei grandi corpi gassosi che soggiornano la volta celeste.
Quella stessa è presente anche in noi, piccola rappresentazione della complessità delle stelle, e in ogni petalo, nella curvatura di un onda. Il pi greco contribuisce a permetterci di capirla in un percorso che probabilmente sarà infinito, proprio come le sue cifre.

Alessia Sturniolo

Bibliografia

Tempeste geomagnetiche: il sistema Sole-Terra tra incanto e tragedia.

Il sistema che porta alla formazione di una tempesta geomagnetica è ricco di dettagli e, con essi, si realizzano alcuni dei fenomeni di cui sempre più spesso sentiamo discutere.

La scoperta da cui tutto prende forma

Secondo alcuni studiosi, una delle caratteristiche peculiari del Sole è il suo campo magnetico, il denominatore comune di molti degli eventi riguardanti la sua attività.
Fu George Hale, nei primi del Novecento, a comprenderne per la prima volta l’esistenza. Egli osservò che il Sole era permeato a tutte le scale da tale campo e che la sua manifestazione più evidente risiedeva nelle macchie solari. Esse erano note per la loro forte attività magnetica e per la diversa emissività termica rispetto alle regioni che le circondano, giungendo alla conclusione che il Sole fosse una stella magnetica
È l’osservazione delle macchie solari che permette di fare previsioni sull’arrivo o meno di una tempesta geomagnetica.

Fonte: conoscenzalconfine.it

Cos’è una macchia solare?

Le macchie solari sono gigantesche strutture magnetiche che appaiono sul disco solare come regioni scure. La loro costituzione è molto particolare.
La parte più interna e più scura è caratterizzata da temperature più basse rispetto a quelle raggiunte nelle regioni più esterne che risultano essere più luminose (6000 K).  Sono varie le situazioni a cui il campo può essere soggetto. Ad esempio, in alcuni casi potrebbe essere influenzato da accumuli di plasma caldo che prendono il nome di “light bridges”, e che si pensa rappresentino segnali di decadimento della macchia. E ancora, potremmo osservare intrusioni di “umbral dots”, anche questi luoghi dove il plasma emerge per poi ricadere in basso.

Il Sole: una fonte di variabilità

Il moto del Sole attorno al suo asse di rotazione non è uniforme. Conosce diverse velocità a seconda di quale punto si consideri. Questo fa sì che il campo magnetico si avvolga con più rapidità attorno all’equatore, raggiungendo un momento in cui, per la forte intensità, il plasma che lo circonda viene “espulso”, formando così una sotto-densità. Il plasma in questa zona avrà una densità più bassa di quello che la ricopre: esso galleggerà sino alla fotosfera. È qui che creerà le macchie solari. Le variazioni che coinvolgono il campo magnetico solare si ripercuotono sull’intero sistema, il quale lega ciò che avviene sul Sole a ciò che potrebbe avvenire sulla Terra.

 

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Fonte: focus.it

Oltre le macchie solari: altri cambiamenti osservati

Ulteriore conseguenza delle variazioni è osservabile nella forma della corona solare, che passa dall’essere regolare nei periodi di minima attività solare, all’essere irregolare e abbastanza estesa in quelli di massima. Questa  instabilità porta al rilascio di grandi quantità di energia. È ciò che avviene attraverso i “flares” (brillamenti), seguiti da un eventuale espulsione della massa coronale nello spazio interplanetario.
Questo evento avviene durante un massimo solare, e in prossimità delle macchie solari. Un ciclo solare comincia con un numero minimo di macchie, che aumenteranno sino al massimo, per poi ridiminuire.
Se teniamo conto del numero delle macchie presenti possiamo comprendere quanto sia possibile che si realizzi una nuova espulsione.

 

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Fonte: kasi.re.kr 
Fonte:blueplanetheart.it

Verso la formazione della tempesta geomagnetica

Il flusso di particelle cariche prodotto dal Sole (“vento solare”)  riesce ad annullare la “schermata” magnetica della Terra. Penetra nell’atmosfera terrestre e si producono le GIC, le correnti elettriche indotte geomagneticamente.
Queste fluiranno nelle zone con conducibilità elevata e ad alta latitudine.
Ma le conseguenze di una tempesta geomagnetica potrebbero essere talmente dannose che anche i Paesi localizzati a latitudini medio-basse hanno ormai iniziato a seguire gli studi in merito.

Fonte: geoscienze.blogspot.com

Gli impatti sulla natura e sulla quotidianità

L’impatto che la tempesta geomagnetica può avere su alcuni animali interessa il loro senso dell’orientamento.
Lo scorso 19 giugno è stata osservata la scomparsa di alcune centinaia di Columbidi dal Sud del Galles e dal Nord-Est dell’Inghilterra. Non sono mancati coloro che hanno ricondotto tale fenomeno a una tempesta geomagnetica.
Una situazione simile si ebbe nel 2015, quando due tempeste disorientarono alcuni cetacei del Mare del Nord, facendoli arenare.

Recente è poi la notizia di una tempesta abbattutasi sull’America Latina lo scorso 29 ottobre, causando un potente black-out radio. Per il giorno seguente era stata annunciata la cosiddetta “tempesta di Halloween”, che si sarebbe abbattuta sull’Europa alla velocità di 1.260 km/s.

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Fonte: meteoweb.eu

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Fonte: meteo.com

Le grandi tempeste geomagnetiche del passato

Nel 1859 la tempesta di Carrington portò a un guasto dei telegrafi durato 14 ore e alla produzione di un’aurora boreale che fu visibile in aree inusuali, come a Roma e a Cuba.
Altra tempesta molto forte fu quella del 1989, in Québec: la popolazione restò al buio per giorni.
Ancora, nella notte tra il 18 e il 19 settembre 1941, si registrò una delle tempeste geomagnetiche più violente a basse latitudini. Nel clima teso della Seconda Guerra Mondiale, in cielo apparvero aurore in diversi luoghi del mondo. Molte navi, illuminate dalle aurore, furono scoperte, e si pensa che per tale motivo un sommergibile tedesco riuscì ad affondare la nave canadese SC44 Corvette HMC Levis.

 

Riproduzione artistica delle macchie solari sull’Illinois State Journal,21 settembre 1941. Fonte: blueplanetheart.it

L’aurora boreale

L’ aurora boreale, australe o polare,  è un fenomeno ottico dell’atmosfera terrestre. Esso è caratterizzato principalmente da bande luminose di diverse forme e colori rapidamente mutevoli, che suscitano nello spettatore stupore e meraviglia. Si formano dall’interazione tra le particelle cariche di origine solare con gli strati più esterni dell’atmosfera; una tempesta geomagnetica rappresenta quindi il momento perfetto per la loro comparsa.
Alcuni studiosi pensano che proprio la presenza di un’aurora boreale sia stato uno dei motivi per cui il Titanic affondò.

«Non c’era la Luna, ma l’aurora boreale risplendeva come raggi lunari sparati all’impazzata dall’orizzonte settentrionale»

Queste furono le parole scritte da James Bisset, ufficiale della RMS Carpathia, una delle navi giunte in aiuto.
La ricercatrice Mila Zinkova  ritiene inoltre che la tempesta di cui si discute potrebbe aver interferito con la bussola della nave.

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Fonte: viagginews.com

Conclusioni

Oggi si sta provando ad approfondire il più possibile le dinamiche delle tempeste geomagnetiche, a tutte le latitudini. Si sta capendo come a esserne coinvolto sia tutto il mondo. Studiarne più a fondo gli effetti rappresenta il solo modo per proteggere la Terra.

 

Giada Gangemi

Sergio Mattarella e il suo ultimo ‘’Ventaglio’’: le origini della cerimonia ed il discorso sulla pandemia

Si è svolta nella serata di ieri, mercoledì 28 luglio, la tradizionale cerimonia di consegna del ‘’Ventaglio’’ – l’ultimo del suo settennato – al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, da parte del Presidente dell’Associazione Stampa Parlamentare, Marco Di Fonzo, alla presenza dei componenti del Consiglio direttivo, degli aderenti all’Associazione e di personalità del mondo del giornalismo.

Il presidente Mattarella alla cerimonia del Ventaglio. Fonte: Interris.it

Durante l’evento – che si tiene annualmente tra la fine di luglio e i primi giorni di agosto presso Palazzo del Quirinale, Palazzo Montecitorio e Palazzo Madama in vista della chiusura per la pausa estiva dei lavori parlamentari – il Presidente Mattarella ha pronunciato un discorso di rimando al tema pandemia intriso di messaggi politici, rimarcando l’importanza della vaccinazione in quanto dovere civico-morale. Successivamente, la consegna del Ventaglio realizzato da Virginia Lorenzetti, studentessa dell’Accademia di Belle Arti di Roma.

Alle origini del ‘’Ventaglio’’ ed il concorso

7 luglio 1893: il Presidente della Camera Giuseppe Zanardelli ricevette dai giornalisti un ventaglio con le loro firme, un regalo pensato per combattere il caldo afoso dell’aula. Un momento che nei decenni è divenuto una cerimonia ufficiale a tutti gli effetti, con il coinvolgimento delle tre massime cariche dello Stato e l’Associazione Stampa Parlamentare.

Se il dono ricevuto da Zanardelli si limitò ad essere un semplice ventaglio di carta, dal 2007 in poi un concorso riservato agli studenti delle Accademie di Belle Arti consente ogni anno di selezionare il migliore design e realizzazione di tre oggetti. Una delle vincitrici di quest’anno è Virginia Lorenzetti, realizzatrice del ventaglio per il presidente della Repubblica Sergio Mattarella dall’Accademia di Roma:

“È emozionante vedere un mio lavoro in un contesto così importante. Ho partecipato spesso a mostre, perché amo confrontarmi con altri artisti, collaborare agli allestimenti, ma questo era uno dei miei primi concorsi davvero importanti”, ha confessato la studentessa ventitreenne all’HuffPost.

Il doppio binario per fronteggiare la crisi

Nel messaggio rivolto al Paese, il Presidente Mattarella ha avvisato circa la prepotente attualità dell’emergenza Covid, definendola come un incubo «che non è ancora alle nostre spalle» e contro il quale, «con uno sforzo straordinario di collaborazione globale», sono stati individuati «due filoni» per incamminarci verso l’uscita dalla crisi.
Il doppio binario di cui parla il Presidente si riferisce alla campagna di vaccinazione ed alla «scelta di mettere in campo ingenti sostegni pubblici per contenere le conseguenze delle chiusure e dei distanziamenti a livello economico, produttivo e occupazionale», sostenendo così gli sforzi di Draghi ed i temi del suo incarico come premier.

Mattarella ricorda che il virus è mutato, rivelandosi ancora più contagioso:

“Più si prolunga il tempo della sua ampia circolazione più frequenti e pericolose possono essere le sue mutazioni. Soltanto grazie ai vaccini siamo in grado di contenerlo. Il vaccino non ci rende invulnerabili ma riduce grandemente la possibilità di contrarre il virus, la sua circolazione e la sua pericolosità. Per queste ragioni la vaccinazione è un dovere morale e civico“, ha detto durante il suo discorso.

 La priorità ad una vita scolastica regolare

In uno scenario disastroso sotto numerosi punti di vista e oramai ben conosciuto dagli italiani, Mattarella ha deciso di evidenziare in particolar modo le conseguenze pagate dal mondo scolastico:

La pandemia ha imposto grandi sacrifici in tanti ambiti. Ovunque gravi. Sottolineo quelli del mondo della scuola. Ne abbiamo registrato danni culturali e umani, sofferenze psicologiche diffuse che impongono di reagire con prontezza e con determinazione. Occorre tornare a una vita scolastica ordinata e colmare le lacune che si sono formate. Il regolare andamento del prossimo anno scolastico deve essere un’assoluta priorità“.

Fonte: ANSA.it

E sempre sul tema del pesante impatto della pandemia, continua dicendo:

“Nessuna società è in grado di sopportare un numero di contagi molto elevato, anche nel caso in cui gli effetti su molta parte dei colpiti non fossero letali. Senza attenzione e senso di responsabilità rischiamo una nuova paralisi della vita sociale ed economica; nuove, diffuse chiusure; ulteriori, pesanti conseguenze per le famiglie e per le imprese”.

Prima di tutto, il ”bene comune del Paese”

Nel corso dell’incontro con la stampa parlamentare, Mattarella ha anche manifestato l’auspicio di una ritrovata consapevolezza e responsabilità collettiva in nome del bene comune della nazione e a difesa dell’autentico senso di libertà:

“Conto che le forze politiche, di fronte a un tempo che sembra volgersi verso prospettive migliori, continuino a lavorare nella doverosa considerazione del bene comune del Paese. Conto che non si smarrisca la consapevolezza della emergenza che tuttora l’Italia sta attraversando, dei gravi pericoli sui versanti sanitario, economico e sociale. Che non si pensi di averli alle spalle. Che non si rivolga attenzione prevalente a questioni non altrettanto pressanti.”

“Auspico fortemente che prevalga il senso di comunità, un senso di responsabilità collettiva. La libertà è condizione irrinunziabile ma chi limita oggi la nostra libertà è il virus non gli strumenti e le regole per sconfiggerlo. Se la legge non dispone diversamente si può dire:” In casa mia il vaccino non entra”. Ma questo non si può dire per ambienti comuni, non si può dire per gli spazi condivisi, dove le altre persone hanno il diritto che nessuno vi porti un alto pericolo di contagio; perché preferiscono dire:” in casa mia non entra il virus”.

Un invito al rispetto degli impegni di spesa

Sul versante degli impegni di spesa il Presidente ha ricordato che:

“Dall’Unione Europea, sono in procinto di giungere le prime risorse del programma Next Generation. Gli interventi e le riforme programmate devono adesso diventare realtà. Non possiamo fallire: è una prova che riguarda tutto il Paese, senza distinzioni. Quando si pongono in essere interventi di così ampia portata, destinati a incidere in profondità e con effetti duraturi, occorre praticare una grande capacità di ascolto e di mediazione. Ma poi bisogna essere in grado di assumere decisioni chiare ed efficaci, rispettando gli impegni assunti“.

Fonte: DiarodelWeb.it

L’appello alla professionalità dei giornalisti

Rivolgendo poi l’attenzione ai giornalisti, Il capo dello Stato augura infine a sé stesso che nel semestre bianco (il periodo di tempo corrispondente agli ultimi sei mesi del mandato del Presidente della Repubblica Italiana), politica e mass-media evitino di chiamarlo «fantasiosamente» in causa, costringendolo a smentire le fake news sul Quirinale, come la notizia di una sua ricandidatura:

Nel “giornalismo affiora, talvolta, l’assioma che un’affermazione non smentita va intesa come confermata”. “Ad esempio, vista la diffusa abitudine di trincerarsi fantasiosamente dietro il Quirinale quando si vuole opporre un rifiuto o di evocarlo quando si avanza qualche richiesta, il Presidente della Repubblica sarebbe costretto a un esercizio davvero arduo e preminente: smentire tutte le fake news, fabbricate, sovente, con esercizi particolarmente acrobatici. Faccio appello, dunque, alla professionalità dei giornalisti e alla loro etica professionale“.

Gaia Cautela

I parlamentari d’Italia eletti a Messina: Francesco Crispi

Torna il filone legato ai Parlamentari d’Italia eletti a Messina con il primo Presidente del Consiglio meridionale della storia del Regno: il siciliano Francesco Crispi, candidato ed eletto nel collegio plurinominale (sono eletti diversi -non soltanto uno- candidati) di Messina alle elezioni della XVII legislatura, il 23 novembe 1890.

Come succede ancora oggi con il meccanismo delle pluricandidature, l’allora Presidente del Consiglio fu eletto anche in altri quattro collegi siciliani -tra cui quello di Palermo-; per questo motivo qualche mese dopo a Messina si svolsero le elezioni suppletive, vinte da Ernesto Cianciolo, deputato della città dello Stretto dalla XVII alla XX legislatura.

Origini e gioventù

Francesco Crispi nasce nel 1818 a Ribera, paese nei pressi di Agrigento, da una famiglia di origini albanesi. Il nonno Francesco era di Palazzo Adriano, cittadina costruita alla fine del XV secolo da esuli albanesi in fuga dai turco-ottomani.

Nel 1829 Crispi diventa alunno del famoso seminario italo-albanese di Palermo; durante questo periodo -grazie alla supervisione del cugino Giuseppe, rettore del seminario- riceve una formazione prettamente classica e si appassiona fortemente alla Storia.

Dopo qualche anno si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo e qualche anno dopo conosce Rosina D’Angelo, sua futura moglie.

Nel 1839 una tragedia scuote la vita di Crispi: la moglie -già madre della prima figlia Giuseppa- muore poco dopo aver dato alla luce il secondogenito Tomasso, che sarebbe morto qualche giorno dopo essere nato; nel mese di dicembre dello stesso anno anche Giuseppa perde la vita.

Qualche mese prima della grave tragedia familiare, Crispi aveva fondato un giornale, “L’Oreteo”; tramite questa esperienza era entrato a contatto con il mondo politico del tempo e, soprattutto, con gli ambienti antiborbonici.

Dopo aver conseguito la laurea nel 1843, tenta l’avvocatura a Napoli, considerata a quel tempo tra le città più liberali della penisola.

L’elezione di papa Pio IX (1846) aveva fatto crescere il fermento negli ambienti liberali e rivoluzionari  di cui faceva parte Crispi, tantochè nel 1847 viene mandato a Palermo per organizzare -appunto- la rivoluzione in Sicilia.

Francesco Crispi- Fonte: agi.it

La rivoluzione siciliana

La sommossa contro i Borboni scoppia il 12 gennaio del 1948 ed il governo provvisorio, presieduto da Ruggero Settimo, assegna a Crispi la guida del Comitato della Difesa.

Dopo i primi successi in campo militare, i comitati vengono riorganizzati diventando una sorta di ministeri provvisori e Crispi viene posto al comando del comitato di “Guerra e Marina”.

Contestualmente fonda il suo secondo giornale, chiamato “L’Apostolato, per esprimere le proprie tesi riguardo il futuro prossimo dell’Isola. Crispi sosteneva che la soluzione migliore sarebbe stata quella federale e sottolineava l’importanza di dare una base legale alla rivoluzione siciliana; in tal senso propone il ripristino della vecchia Costituzione siciliana del 1812.

Queste posizioni, che abbracciavano una svolta federalista, creano non pochi attriti tra Crispi e i componenti dei comitati rivoluzionari, fautori di una soluzione totalmente indipendentista.

Il 29 marzo del 1849 i Borboni sferrano un nuovo attacco per reimpossessarsi della Sicilia. I comitati rivoluzionari  -a causa di numerose spaccature interne- si fanno trovare impreparati ed il 14 aprile l’ammiraglio Baudin offre, a nome del governo francese, una mediazione per la pace;  la Camera siciliana è fondamentalmente costretta ad accettare, viste le pesanti sconfitte militari subite.

Crispi amareggiato e contrario alla pace si imbarca su una nave diretta a Marsiglia, lasciando provvisoriamente la Sicilia.

Francesco Crispi (1818-1901) a metà ottocento – Fonte: wikipedia.org

La spedizione dei Mille  e la svolta “unitaria “

Dopo aver girovagato per l’ Europa, tra Piemonte, Malta e Londra, Crispi intensifica la sua corrispondenza con Mazzini e con altri esuli di parte democratica; questo lo porta ad abbandonare l’ideale dell’autonomismo siciliano ed ad abbracciare la soluzione unitaria.

Nel 1860 contribuisce significativamente a convincere Garibaldi riguardo la spedizione dei Mille: Crispi è -difatti- la mente politica della spedizione, sia per la sua esperienza da amministratore sia per la sua idea di ritardare l’annessione dei territori conquistati fino alla liberazione di Roma e Venezia.

Proclamata l’Unità, viene eletto alla Camera dei deputati; inizialmente tra le fila dei mazziniani, successivamente aderisce alla Sinistra storica, ritenendo ormai la Monarchia unica garanzia di unità. Con la caduta della Destra storica diventa Presidente della Camera (1876) e, successivamente, Ministro degli Interni (1877), carica da cui si dimette per l’accusa di bigamia, avendo sposato Lina Barbagallo nel ’78 e Rosalia Montmasson nel ’54 a Malta.

La “spedizione dei Mille” in un celebre quadro di Guttuso – Fonte: quotidiano.net

Gli ultimi incarichi e la morte

Torna al Ministero degli Interni nel 1887 nel governo di Depretis, al quale succede poco dopo come Presidente del Consiglio. Al governo sostiene la Triplice Alleanza e combatte fortemente la Francia; inoltre è promotore dell’espansione coloniale italiana in Etiopia (trattato di Uccialli del 1889), rivelatasi fallimentare in seguito alla pesante disfatta di Adua.

Mosso da una forte considerazione di sè e dell’ Italia, ma racchiuso dentro ideali ormai in via di superamento, Crispi esaurisce le sue forze in vani conati di grandezza, anticipando, in un certo senso, motivi ripresi successivamente dal nazionalismo e dal fascismo.

Muore a Napoli ad 83 anni nel 1901, dopo anni di sofferenze e gravi problemi alla vista.

 

                                                                                                                                                   Emanuele Paleologo

Fonti:

it.wikipedia.org

treccani.it

dati.camera.it/apps/elezioni

 

I parlamentari d’Italia eletti a Messina: Giuseppe Mazzini

Torna il filone legato ai Parlamentari d’Italia eletti a Messina con una personalità di grande spicco, uno dei Padri del Risorgimento italiano: stiamo parlando di Giuseppe Mazzini.

Primi anni di vita

Nato a Genova il 22 giugno del 1805, già da ragazzino manifesta un forte interesse per le tematiche politiche e sociali. Dopo essersi iscritto all’Università- prima alla facoltà di medicina e poi a quella di legge- nel 1827 pubblica il suo primo scritto, un saggio letterario dal titolo “Dell’amor patrio di Dante “.

Giuseppe Mazzini- Fonte: Cronologia.it

Il legame con la Carboneria

Poco dopo aver conseguito la laurea entra a far parte della Carboneria, un’ associazione segreta rivoluzionaria nata nella prima metà dell” ‘800 nel meridione italiano. Basandosi su ideali liberali, i Carbonari si battevano affinché i governi assoluti, in cui il potere del sovrano era privo di limiti, si trasformassero in governi costituzionali; negli anni ’30, con l’influenza politica del filosofo Filippo Buonarroti, si fecero strada all’interno della Carboneria anche ideali repubblicani, democratici – con il riconoscimento della sovranità popolare – e socialisti.

Esilio a Marsiglia e fondazione della “Giovine Italia

Il 13 novembre 1830 Mazzini  viene arrestato a Genova per la sua affiliazione alla Carboneria. Successivamente, per mancanza di prove, viene rilasciato, costretto, però, a scegliere tra il “confino” e l’esilio; Mazzini sceglie l’esilio e si trasferisce a Marsiglia, in Francia.

Nel 1831, con la collaborazione di altri esuli, dà vita ad una nuova formazione politica chiamata la “Giovine Italia”. Questa differiva per alcune caratteristiche dalla Carboneria : gli obiettivi politici erano pubblici, pur agendo in clandestinità; inoltre Mazzini voleva superare uno dei limiti della Carboneria ,ovvero la mancanza di un forte appoggio da parte della popolazione. Contestualmente al movimento politico infatti, nasce una rivista – anch’essa chiamata la Giovine Italia – con l’obiettivo di far avvicinare quante più persone agli ideali ed ai progetti mazziniani.

L’iniziativa ha buon successo e ben presto l’associazione si estende anche nell’ambito militare. Per la sua attività rivoluzionaria, Mazzini viene condannato a morte in contumacia il 26 ottobre 1833 dal Consiglio Divisionale di Guerra di Alessandria.

La Repubblica Romana

Sulla scia dei moti rivoluzionari del 1948 che coinvolsero tutta l’Europa, a seguito di una rivolta interna nei territori dello Stato Pontificio, Papa Pio IX  è costretto alla fuga. Il 9 febbraio 1849 nasce la Repubblica Romana. Il patriota Goffredo Mameli telegrafa a Mazzini: “Roma Repubblica, venite!”. Il 9 Marzo Mazzini entra a Roma e poco dopo entra a far parte del triumvirato che governerà la Repubblica Romana con Aurelio Saffi e Carlo Armellini. L’esperienza romana dura poco: il  4 luglio 1849 l’intervento militare di Napoleone III costringe i patrioti alla resa.

“Morte di Luciano Manara” di Filippo Vittori (Museo del risorgimento, Milano)- Fonte: beniculturali.it

L’elezione alla Camera nel collegio di Messina

Dopo aver contributo all’unificazione dell’Italia, osteggiando, però, i Savoia e la Monarchia, Mazzini va nuovamente in esilio a Londra.

Ma il 25 febbraio 1866 accade un evento inatteso: Giuseppe Mazzini viene eletto alla Camera dei deputati nel collegio elettorale Messina I con 476 voti al ballottaggio dell’elezione supplettiva della IX legisaltura (la II del Regno d’Italia). Ovviamente la notizia desta scalpore, soprattutto per le due condanne a morte sopracitate, che rendevano il patriota Genovese ineleggibile.

A Firenze – allora capitale del regno – la Giunta si trova in difficoltà nel decidere se convalidare o respingere l’elezione di Mazzini. L’opinione pubblica si spacca in due, nonostante il movimento repubblicano facesse sentire la propria voce inneggiando fortemente ad una amnistia e alla conseguente ratifica dell’elezione.

Il 2 marzo del medesimo anno è lo stesso Mazzini, tramite una lettera inviata e pubblicata su numerose testate giornalistiche italiane, ad esprimersi su quanto accaduto. Nella lettera l’esule ringraziava animosamente i cittadini messinesi, ma rifiutava la poltrona per non dover giurare fedeltà alla Monarchia italiana.

Nonostante la formale rinuncia di Mazzini, il governo italiano avrebbe dovuto comunque esprimersi ufficialmente sull’elezione messinese. Su un totale di 298 votanti ben 191 deputati si dichiaravano contrari annullando, di fatto, la volontà dell’elettorato della città dello Stretto.

Sessanta giorni dopo la città di Messina, chiamata alle urne per scegliere un nuovo deputato, rielegge, contro ogni previsione, Giuseppe Mazzini. Dopo una nuova discussione il 18 Giugno la Camera annulla nuovamente l’elezione, chiamando ancora una volta i cittadini messinesi alle urne.

Il 18 novembre la caparbia città peloritana elegge per la terza volta Mazzini con la quasi totalità dei consensi, piegando definitivamente il governo italiano al suo volere. Tre giorni dopo, infatti, la Camera convalida l’elezione decretata dai messinesi.

Villa Mazzini di Messina- Fonte: picclick.it

Il rientro in Italia e la morte

Mazzini ovviamente non cambia la propria posizione in merito all’elezione avvenuta a Messina e non farà  mai parte del Parlamento italiano; tuttavia, grazie alla battaglia vinta dalla città, ottiene un salvacondotto per fini politici.

Nonostante questa deroga, quando il patriota genovese tenta di raggiungere la Sicilia, per abbracciare la popolazione che con fermezza ed orgoglio l’aveva eletto deputato, viene arrestato a Palermo, per via della condanna a morte che non era mai stata cancellata.

Dopo alcuni anni nuovamente in esilio, Mazzini muore sotto falsa identità a Pisa nel 1872.

La città di Messina ad imperitura memoria ha dedicato al Padre del Repubblicanesimo il parco centrale della città e una scuola, situata vicino Piazza Duomo.

Il busto di Mazzini, all’interno della Villa a lui deicata a Messina – Fonte: wikipedia.org

       

Emanuele Paleologo

 

Fonti:

sicilians.it

treccani.it

dati.camera.it/apps/elezioni

 

 

 

Rosario Livatino verso la beatificazione, la Chiesa: “È martirio”

(fonte: grandangoloagrigento.it, it.wikipedia.org)

Si apre la strada alla beatificazione del magistrato Rosario Livatino, ucciso dalla mafia nel 1990 ad Agrigento a soli 38 anni.

A confermarlo il decreto riguardante “il martirio del Servo di Dio Rosario Angelo Livatino”, approvato da Papa Francesco ed emanato in data 21 dicembre 2020. Tale decreto accerta che l’assassinio sia avvenuto in odium fidei, cioè per via di un disprezzo della forte fede del magistrato, e che per questo debba ritenersi un martirio.

Ciò, nel moderno processo di beatificazione, apre una seconda via rispetto al procedimento che prevede la dimostrazione di miracoli avvenuti in vita.

La vita e l’attività contro la mafia

Rosario Livatino nacque nel 1952 a Canicattì, provincia di Agrigento, e studiò Giurisprudenza laureandosi col massimo dei voti. Durante la giovinezza visse attivamente in parrocchia e neanche da adulto perse la propria dedizione, fermandosi ogni giorno a visitare il Santissimo Sacramento mentre si recava a lavoro.

La sua perspicacia, l’ingegno e la capacità di comprendere le sottili logiche della Stidda (organizzazione criminale in azione nel territorio agrigentino, in contrasto con Cosa Nostra) gli permisero di arrivare ben presto a ricoprire il ruolo di Giudice della sezione penale del Tribunale di Agrigento.

Durante questo incarico si occupò, con varie sentenze, di colpire la Stidda tramite restrizioni di libertà e confische dei beni. Per tali motivi divenne un elemento scomodo, ma risultò determinante alla sua eliminazione il fatto che fosse «inavvicinabile, irriducibile a tentativi di corruzione proprio a motivo del suo essere cattolico praticante». Difatti, la forte incorruttibilità dovuta alla fede cattolica rappresenta il movente dell’omicidio.

Ciò che si legge nel decreto da poco emanato trova conferma anche nelle testimonianze degli assassini, in particolare quella di Gaetano Puzzangaro, uno dei killer mafiosi. È stato confermato l’odium fidei anche in base alle ricostruzioni dell’originale piano, che prevedeva che Livatino venisse ucciso davanti alla chiesa in cui era praticante.

(fonte:sikelianews.it)

Il martirio e le parole del Papa

Livatino venne invece ucciso il 21 settembre 1990 sulla strada statale 640 mentre si recava a lavoro, ad Agrigento, del tutto consapevole di quale sarebbe stato il suo destino. Il decreto sopracitato afferma che il magistrato sia giunto all’accettazione del possibile martirio tramite un percorso di maturazione nella fede. Ciò lo indusse a rifiutare la scorta e, come sostiene il decreto, forse anche le nozze.

L’acquisizione del titolo di Martire, così come di quello di Servo di Dio, sono il frutto di un lavoro lungo quasi trent’anni; un processo diocesano iniziato pochi anni dopo la morte del magistrato, nel 1993, con la raccolta di testimonianze e documenti che ne garantissero le fondamenta, e terminato nel 2018.

Già il Papa Giovanni Paolo II, durante il suo celebre discorso di condanna alla mafia del 1993, lo definì «martire della giustizia e indirettamente della fede». Papa Francesco (che già nel 2014 aveva scomunicato i mafiosi) affermerà nel 2019 che

Livatino è un esempio non soltanto per i magistrati, ma per tutti coloro che operano nel campo del diritto: per la coerenza tra la sua fede e il suo impegno di lavoro, e per l’attualità delle sue riflessioni.

(fonte:pinterest.it, ansa.it, it.wikipedia.org)

Oggi possiamo dire con certezza che Livatino fu senz’altro diretto martire della giustizia e della fede, due elementi che provò per tutta la vita a coniugare e praticare assieme. Così recita una sua riflessione, quotata anche da Papa Francesco:

Decidere è scegliere; e scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto, per il tramite dell’amore verso la persona giudicata. E tale compito sarà tanto più lieve quanto più il magistrato avvertirà con umiltà le proprie debolezze, quanto più si ripresenterà ogni volta alla società disposto e proteso a comprendere l’uomo che ha di fronte e a giudicarlo senza atteggiamento da superuomo, ma anzi con costruttiva contrizione.

 

Valeria Bonaccorso

Accordo tra Emergency di Gino Strada e Protezione Civile, si punta al riscatto della sanità calabrese

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

Gino Strada e la sua ONG ‘Emergency’ hanno siglato l’accordo con la Protezione Civile nel pomeriggio del 17 novembre, subito dopo le dimissioni precoci dell’ormai ex-commissario Gaudio.

Eugenio Gaudio, medico ed ex rettore dell’università Sapienza di Roma, ha rassegnato le dimissioni un giorno dopo essere stato designato come commissario per la sanità della Regione Calabria lo scorso 16 novembre. “Per motivi di famiglia”, spiega a Repubblica, “Mia moglie non desidera trasferirsi a Catanzaro e vorrei evitare una crisi familiare”.

L’accordo mira alla gestione dell’emergenza sanitaria che affligge la Calabria ormai da anni, ma che si è intensificata per via del Covid.

Inizieremo domani mattina a lavorare a un progetto da far partire al più presto

ha scritto Strada, fondatore dell’ONG, sul proprio profilo Facebook la sera del 17 novembre.

Sembra che il governo Conte-bis, dopo due buchi nell’acqua (di cui abbiamo parlato qui), sia riuscito a soddisfare i desideri dei cittadini (e di parte della sinistra) che vedevano il filantropo al centro della gestione emergenziale in Calabria.

E’ infatti risaputo che il sistema sanitario della regione si trovi al collasso a causa di debiti e corruzione, per cui la vera sfida del fondatore di Emergency sarà – oltre alla battaglia contro il coronavirus – quella di restituire dignità alla sanità della regione.

Parole dure da destra a sinistra

Di diverso avviso sarebbero gli esponenti di destra profondamente critici della figura di Gino Strada, tra cui spicca il presidente della regione Nino Spirlì, che nella trasmissione di Radio 24 ‘La Zanzara’ ha rivolto parole durissime nei confronti della possibilità di un nuovo commissario: “Non arriva la nomina di Strada perché dovranno passare sul mio corpo per fare le nomine, non abbiamo più bisogno di commissari”.

Anche Matteo Salvini, leader di Lega Nord, ha espresso la propria opinione su Twitter, incoraggiando che la scelta ricadesse sul professor Pellegrino Mancini, responsabile per i trapianti della regione Calabria.

Diamo ai calabresi la dignità di gestire il loro presente, la loro salute e il loro futuro.

Successivamente ha richiesto le dimissioni del Ministro Speranza tramite Twitter.

Via Cotticelli, via Zuccatelli, ora via anche Gaudio. Attendiamo se ne vada anche Speranza.

Tra lo scetticismo degli esponenti di destra e le proteste dei sindaci calabresi – che hanno manifestato la volontà di recarsi a Roma per mettere fine ad un commissariamento lungo più di dieci anni -, altri hanno invece espresso tutto il proprio sostegno al progetto di Strada.

Andrea Scanzi, giornalista, ha definito sulla propria pagina Facebook il filantropo come “una delle persone più oneste, appassionate e competenti di questo Paese”, tessendone le lodi in un lungo post e non perdendo l’occasione per sbugiardare alcune voci sul suo conto che lo ritrarrebbero come un “comunista” (in senso dispregiativo).

Chi è davvero Gino Strada

Originario di Milano, è un medico, filantropo ed attivista fondatore dell’ONG ‘Emergency’ che dal 1994 si occupa della riabilitazione delle vittime della guerra e delle mine antiuomo.

(fonte: globalist.it)

Tra il 1989 e il 1994 vive diverse esperienze come medico di guerra in zone di conflitto come Pakistan, Somalia ed Afghanistan e questo lo spingerà a fondare l’associazione umanitaria assieme alla moglie Teresa (persa nel 2009); ma lo spingerà inoltre a rigettare profondamente il concetto di guerra ed avanzare aspre critiche nei confronti di uomini di politica tendenti ad atteggiamenti belligeranti: entrano nel suo mirino figure come Silvio Berlusconi, Enrico Letta, Matteo Renzi, Mario Monti e Giuseppe Conte.

Tuttavia, per difendersi da attacchi che lo ritraevano come un pacifista radicale e moralista, ha espressamente affermato di non essere pacifista – solo contro la guerra.

In attesa di nuovi sviluppi e con una situazione sempre più incontrollabile, Strada sembra essere l’ultima speranza per molti calabresi, mentre altri rimangono disillusi su un possibile miglioramento della situazione.

 

Valeria Bonaccorso

 

La Cina stringe su Hong Kong, quattro deputati dell’opposizione destituiti

Duro colpo per la democrazia di Hong Kong: nella settimana del 9 novembre quattro deputati democratici dell’opposizione sono stati destituiti con l’accusa di aver praticato un “ostruzionismo” che avrebbe messo a rischio la sicurezza nazionale.

(fonte: ilpost.it)

La motivazione

La colpa dei quattro membri dei parlamento sarebbe di aver richiesto che i governi esteri sanzionassero gli atteggiamenti repressivi delle forze armate di Hong Kong e di Pechino.

L’accusa del “non patriottismo” degli oppositori è stata vista dalla popolazione di Hong Kong (già incredibilmente provata) come una scusa del Comitato Centrale Comunista per sbarazzarsi degli elementi ‘scomodi’ e ‘filo-indipendentisti’ del sistema; un sistema che già da anni risente delle spinte centralizzanti ed autoritarie del governo cinese.

Tuttavia, il tentativo di sfaldare la posizione dei democratici sembra non essere andato a buon fine: a seguito dell’accaduto, i restanti 15 deputati dell’opposizione hanno rassegnato le dimissioni al Legislative Council, l’organo legislativo di Hong Kong composto da 70 seggi di cui ben 29 (un buon numero, se si considera che la metà dei seggi è sempre riservata ad esponenti filo-cinesi) erano stati conquistati dai democratici nelle elezioni del 2016.

Di questi, circa 8 sono stati espulsi già negli scorsi anni per i medesimi motivi.

Da quanto risulta, la governatrice Carrie Lam (fortemente vicina al governo cinese) non prospetta delle elezioni suppletive ed afferma che il LegCo possa perfettamente funzionare anche senza un’opposizione – che, solitamente, nei sistemi democratici rappresenta l’ago della bilancia necessario all’equilibrio dei poteri in campo.

Il provvedimento è stato adottato per via di una risoluzione del C.C.C. che consente di destituire i membri del parlamento ritenuti un pericolo per la sicurezza nazionale senza bisogno di passare da un tribunale.

L’episodio è stato commentato dagli oppositori in protesta:

E’ il giorno più triste, Hong Kong da oggi mostra al mondo che non esiste più il principio Una Cina, Due Sistemi

(Corriere della Sera)

Ma in cosa consiste il principio “Una Cina, Due Sistemi”? Per comprenderlo, è giusto ripercorrere la storia di Hong Kong dai suoi inizi.

(i quattro deputati destituiti – fonte: corriere.it)

Un Paese, Due Sistemi

La regione autonoma è composta dall’isola principale (chiamata appunto Hong Kong), dalla penisola di Kowloon, dai cosiddetti Nuovi Territori e da più di 200 altre isole, di cui la più grande è Lantau. Colonia britannica fino al 1997, passò poi sotto il controllo della Cina pur mantenendo, inizialmente, un forte margine di autonomia in campo economico, amministrativo e giurisdizionale.

Tale autonomia fu sancita dal principio Una Cina, Due Sistemi contenuto nella Dichiarazione congiunta sino-britannica firmata nel 1984: da un lato viene ribadita l’unità nazionale della Cina, dall’altro viene riconosciuta l’autonomia di Hong Kong.

In particolare, la Dichiarazione prevedeva il passaggio di tutti i territori di Hong Kong sotto il potere della Cina a partire dal primo luglio 1997 e l’impegno di quest’ultima a mantenere invariato il sistema economico e politico della città per almeno 50 anni, fino al 2047, per garantire un passaggio tranquillo al sistema comunista cinese.

Tuttavia, la regione autonoma si presenta diversa rispetto alla Cina continentale sotto molti aspetti; questo, assieme agli interventi molesti ed anticipati del regime, ha reso molto difficile l’integrazione dei quasi 7 milioni di abitanti di Hong Kong col resto della popolazione cinese, facendo prospettare più una “colonizzazione” che un’integrazione.

Col passare del tempo, la Cina è riuscita ad infiltrarsi nel sistema economico, politico e giudiziario della regione tramite una serie di atti volti a violarne l’autonomia. Le reazioni non sono mancate.

La protesta degli ombrelli

Nell’estate del 2014 venne approvata una riforma elettorale che prevedeva, a partire dal 2017, la pre-approvazione del Comitato elettorale (un collegio di 1200 persone pesantemente controllato dal governo cinese) di un massimo di tre candidati per il ruolo del Capo dell’esecutivo, che una volta eletto dalla popolazione sarebbe stato formalmente approvato dal governo centrale.

Tale riforma costituiva una forte limitazione della libertà politica ed il malcontento si trasformò presto in reazioni dapprima pacifiche, peraltro comunque represse dalle forze armate tramite l’uso di spray al peperoncino e cannoni ad acqua – da qui l’uso degli emblematici ombrelli, utilizzati come scudi per difendersi dagli attacchi dei poliziotti e che ancora connotano le lotte della popolazione.

Tra i manifestanti, emerse subito la gioventù studentesca rappresentata da Joshua Wong. Ad oggi, allo studente è vietata la possibilità di candidarsi alle elezioni poiché ritenuto pericolo nazionale.

A partire da questa protesta (che terminò con 955 persone arrestate), gli scontri s’intensificarono sempre più fino a giungere alle sedi governative.

Le ultime proteste

A giugno 2019, Hong Kong si è resa protagonista di nuovi scontri civili scoppiati a seguito di una proposta di emendamento a una legge sull’estradizione che, se approvata dal Parlamento locale, avrebbe consentito di processare nella Cina continentale gli accusati di alcuni gravi reati.

Migliaia di persone sono scese in piazza per impedire l’approvazione dell’emendamento che, se strumentalizzato, potrebbe permettere alla Cina di utilizzarlo contro i suoi oppositori.

Infine, da maggio 2020, in piena pandemia di coronavirus, i manifestanti si sono ritrovati in un centro commerciare per richiedere le dimissioni della governatrice Carrie Lam. Anche in questo caso gli scontri sono terminati in una forte repressione degli agenti di polizia, che hanno arrestato più di 200 persone con l’accusa di assembramento.

(fonte: scmp.com)

Pare che gli ultimi avvenimenti non lascino ad Hong Kong spiraglio di democrazia e la fine del sogno capitalista sembra sempre più vicina: ciò non smentisce, però, la tenacia della popolazione a preservare la propria libertà di autodeterminazione.

 

Valeria Bonaccorso 

Il musicale dell’Ainis in protesta. L’intervista: “Vogliamo quel 25%. La videocamera uccide la musica.”

(fonte: gazzettadelsud.it)

Arrivano nuove reazioni alle misure restrittive imposte, a partire dal 24 ottobre, dall’ultimo DPCM e dalle ordinanze dei vari consigli regionali. Avevamo già parlato qui delle proteste dei lavoratori; oggi sono le scuole a prendere la parola.

In particolare, gli studenti dell’indirizzo musicale del Liceo Emilio Ainis di Messina si sono assentati per due giorni, 26 e 27 ottobre, dalle lezioni in via telematica in segno di protesta contro la D.A.D. (Didattica a Distanza). Hanno inoltre emesso un comunicato, firmato da 87 degli studenti in questione, che è stato pubblicato da diverse testate giornalistiche.

Per approfondire meglio la questione, abbiamo deciso di ascoltare i pareri di alcuni dei diretti interessati.

Come nasce l’iniziativa

“Tengo a sottolineare che è un iniziativa degli studenti del musicale e non sono stati affatto indirizzati dai docenti. Dal punto di vista logistico, ci sono delle discipline che presuppongo il contatto diretto con lo strumento, della presenza dell’insegnante che fa strumento o musica d’insieme, forme laboratoriali per cui hanno delle difficoltà in più.”

Afferma il professore Cesare Natoli, insegnante di storia e filosofia presso l’indirizzo musicale del Liceo Ainis.

“Noi viviamo di musica e fare una lezione di strumento in D.A.D. non è la stessa cosa. In primo luogo perché sarebbe necessaria una strumentazione costosissima, dal momento che le classiche attrezzature tendono a ‘tagliare’ frequenze, sia alte che basse, per comprimere il suono. Dunque, non si sentirebbe allo stesso modo. Le materie che più ne risentono, oltre Strumento, nell’ambito musicale sono – ad esempio – tecnologie musicali. Anche Teoria di analisi e composizione è una materia che necessita di un approccio di presenza.”

Aggiunge lo studente Emanuele Arena, rappresentante degli studenti del Liceo Emilio Ainis.

Le richieste degli studenti

Quando gli abbiamo chiesto a cosa mirasse la loro iniziativa, la risposta è stata secca:

“Noi puntiamo tutto su quel 25%. Uno schermo, una videocamera uccidono la musica.”

Ed in effetti, il 25% è la percentuale che il DPCM aveva concesso per le lezioni in presenza. Gli istituti superiori siciliani si sono tuttavia dovuti conformare all’ordinanza regionale del presidente Musumeci che prevede un 100% di D.A.D. fino al 13 novembre. La richiesta è proprio quella di adeguarsi alla normativa nazionale. D’altro canto, una recente comunicazione del Presidente Regionale prevede che, per motivi logistici di particolare esigenza (e potrebbe rientrarvi il caso del liceo musicale) e per gli studenti con gravi disabilità sia possibile svolgere la didattica in presenza. Sarebbe per loro un risultato già significativo.

Alla protesta dei ragazzi si sono uniti anche molti genitori e professori, che continuano ad accompagnarli in questa situazione di criticità. A tal proposito, il professor Natoli, portavoce del gruppo ‘Scuola in presenza’, assieme ai colleghi intende organizzare una manifestazione di protesta che si svolgerà – nel rispetto delle misure anti-covid – giorno 7 novembre presso Piazza Unione Europea (Municipio). I dettagli sono reperibili sull’omonimo gruppo Facebook. Essa intende coinvolgere il mondo della scuola (docenti, studenti, personale ATA, genitori), dell’università e gli operatori culturali del teatro e della musica (ricordiamo le associazioni concertistiche messinesi come l’Accademia Filarmonica, la Filarmonica Laudamo e l’Associazione Bellini. Questi ultimi settori, colpiti dall’ultimo DPCM, sono stati costretti a chiudere dopo aver compiuto molti sacrifici per adattarsi alle misure anti-virali promosse negli ultimi mesi dal Ministero della Salute e dal comitato tecnico scientifico.

“Il fatto che siano stati minati i centri di cultura come i teatri, per noi che amiamo la musica e lo spettacolo e tutto ciò che è annesso, è stato un colpo. Noi rendiamo di questo, dopotutto.”

Continua Emanuele, tenendo in considerazione anche i risvolti che tali misure potrebbero avere sul futuro lavorativo di questi studenti.

(fonte: tg24.sky.it)

Il futuro della società e l’importanza dell’arte

Il professore si abbandona poi ad una riflessione: “Quale umanità stiamo difendendo?”, si domanda, prendendo spunto dalla riflessione di uno dei maggiori filosofi italiani, Giorgio Agamben.

“Il bios, il restare in vita, è senza dubbio sacrosanto. Tuttavia, non possiamo limitarci solo a questo poiché l’umano eccede il bios, va oltre il semplice restare in vita. Se tutto il resto viene trascurato, allora ci stiamo degradando. Il covid, probabilmente, ha semplicemente scoperchiato la questione. Ma si tratta di un processo che affonda le proprie radici lontano nel tempo.”

(fonte: stateofmind.it)

Nell’esprimere la propria preoccupazione per il futuro della cultura e dell’uomo come animale sociale, il professore ha offerto anche una propria visione di quelli che potranno essere i possibili scenari di una società post-covid. Ad una visione (considerata ‘idilliaca’) del ritorno alla normalità si accosta la possibilità che, da scelte così drastiche e necessarie, derivino conseguenze altrettanto importanti anche per la vita in società.

“Bisogna fare in modo che l’emergenza rimanga emergenza”

Ossia che non si trasformi in normalità. Fondamentale è ben soppesare i rischi derivanti da un non adeguato controllo dell’epidemia ai rischi derivanti da altre cose, come le questioni legate allo sviluppo relazionale dell’individuo.

Ed in tal senso, si sa, l’arte ha la straordinaria capacità di unire oltre ogni barriera.

“L’arte è libertà d’espressione.”

Afferma, infine, Emanuele alla domanda su cosa essa rappresenti per un qualsiasi ragazzo.

Guai a dimenticare il valore dell’arte, linguaggio universale capace di unire i popoli laddove l’incomprensione li divide.

 

Valeria Bonaccorso