BASIC LIFE SUPPORT – Salvare una vita in pochi step

Lo stress è da sempre una delle principali cause di insorgenza di numerose malattie cardiovascolari, metaboliche e così continuando. Va ad alterare la cosiddetta omeostasi, cioè l’insieme di quelle azioni svolte dall’organismo con il fine ultimo di mantenere l’equilibrio nell’organismo. In questo modo tutto può funzionare correttamente. La rianimazione cardiopolmonare, detta RCP, è quella procedura con la quale si può reagire tempestivamente affinché si possa contrastare l’infarto del miocardio.

  1. Perché è importante l’RCP
  2. Come agire 
  3. Quando interrompere la manovra?
  4. DAE
  5. RCP di successo
  6. L’importanza della conoscenza – Uno sguardo sui dati

Perché è importante l’RCP

Effettuare una buona RCP è di fondamentale importanza. Solitamente, l’ambulanza impiega circa 10-15 minuti per arrivare sul luogo. I primi minuti sono importanti poiché, con l’arresto circolatorio, si ha una circolazione sistemica poco efficiente e, per tale motivo, non potremo ossigenare correttamente il cervello. Infatti in pochi minuti si può arrivare al decesso.

Come agire

Per poter operare correttamente bisogna rispettare la linea guida del BLS, ovvero Basic Life Support, la quale indica le fasi da seguire nella maniera più fedele possibile. Innanzitutto, bisogna controllare la situazione, monitorarla e accertarsi che sia possibile operare in sicurezza. Dopo ci si accerta dello stato di coscienza del soggetto chiedendo come si sente. Successivamente si iper estende il capo, si verifica la funzione respiratoria e, se non respira e non risponde, far chiamare i soccorsi e trovare un DAE, il defibrillatore automatico esterno. Dopo si potranno effettuare 30 compressioni toraciche ponendo una mano sopra l’altra intervallate da 2 ventilazioni di soccorso. La posizione di braccia e mani è fondamentale: bisogna porre il calcagno di una mano al centro del torace della vittima (facendolo corrispondere alla metà inferiore dello sterno) e bisogna mantenere le braccia tese. Il torace della vittima deve abbassarsi fino a 5 cm al massimo e deve ritornare nel suo stato iniziale prima della prossima compressione toracica.

Immagine riassuntiva della RCP. Fonte

Quando interrompere la manovra?

Il trattamento non va interrotto fino allo sfinimento dell’operatore. È consigliabile dunque alternarsi con altre persone se presenti, soprattutto per evitare che venga fatta una RCP poco efficiente.

DAE

Il Defibrillatore Automatico Esterno può seguirci passo passo durante l’operazione e può erogare una scarica elettrica affinché possa far riprendere l’attività elettrica cardiaca. Dentro la custodia troveremo il defibrillatore, le placche e il filo da poter attaccare allo strumento. Nessuno deve toccare il soggetto durante l’ECG eseguito dallo strumento e quando dovrà erogare la scarica. Nel primo caso toccando il malcapitato potremmo alterare l’ECG, nel secondo invece rischiamo di causare un secondo infarto. Per usarlo è davvero semplice: si attacca la prima placca sotto la clavicola dx e la seconda nel fianco sx. Dopo potremo accendere il DAE. Prima di fargli fare un ECG e, successivamente, far erogare la scarica, urlare di allontanarsi dal soggetto. Dopo la scarica, è possibile ripartire con la RCP.

Un defibrillatore automatico esterno. Fonte

RCP di successo

Se il soggetto ricomincia a respirare normalmente ma permane in uno stato di incoscienza, è necessario porlo nella posizione laterale di sicurezza.

L’importanza della conoscenza – Uno sguardo sui dati

Secondo l’ISTAT, circa 45 mila persone l’anno muoiono in Italia per un arresto cardiaco improvviso. Per ogni minuto che passa si abbassa la possibilità di sopravvivere del 10%; di conseguenza i primi 10 minuti sono fondamentali. Statisticamente parlando, questi dati ci fanno capire come la conoscenza di queste manovre possano realmente salvare una persona.

Dario Gallo

Fonti:

Cos’è il “vaccino anti-infarto”? Al via la sperimentazione in Italia

Recentemente si è sentito parlare di un “vaccino anti infarto”. Di cosa si tratta? il farmaco in questione non è propriamente un vaccino, piuttosto una sequenza di RNA in grado di silenziare la proteina PCSK9, facendo così diminuire considerevolmente il colesterolo LDL. La sperimentazione di Inclisiran (il nome del farmaco), fa parte di un progetto internazionale noto come Victorion-2P. Viene prodotto dalla Novartis e sarà somministrato a circa 10 mila pazienti in tutto il mondo. Potrebbe essere una svolta storica per la medicina. Da qualche giorno, la sperimentazione è partita anche in Italia.

Perché il colesterolo LDL elevato, provoca l’infarto?

Attualmente come facciamo ad abbassare il colesterolo LDL?

Farmaci usati oggi

Il “vaccino anti infarto”

Funzionamento

Prospettive future

Perché il Colesterolo LDL elevato, provoca l’infarto?

Il colesterolo LDL, nel gergo colesterolo cattivo, è in grado di accumularsi nelle arterie. Questo causa infiammazione della parete arteriosa, richiamo del sistema immunitario ed in fine formazione della placca aterosclerotica. La placca, nel tempo, va a restringere il lume del vaso, facendo sì che subentri una relativa insufficienza di sangue quando ad esempio si fa uno sforzo (la così detta angina pectoris). Peggio ancora, può accadere che la placca si rompa, mandando pezzi di essa in circolo, andando ad occludere i vasi più piccoli a valle e causando così infarto o ictus. Visto che il colesterolo LDL è tra le principali cause della formazione della placca aterosclerotica, i medici negli anni hanno cercato di abbassarne i livelli sotto i 116mg/dl nelle persone sane. Nei soggetti con pregressi infarti, diabete o altre patologie concomitanti, sarebbe bene tenere questi livelli ancora più in basso, per evitare accidenti cardiovascolari.

Crediti immagine: Cardiologia Oggi

Attualmente come facciamo ad abbassare il colesterolo LDL?

Con Colesterolo LDL intendiamo una serie di lipoproteine, cioè proteine che trasportano i lipidi (o grassi). In particolare si tratta di una lipoproteinea a bassa densità (low density lipoprotein). Il colesterolo buono invece appartiene alle HDL (high density lipoprotein). Per abbassare la quantità di LDL che abbiamo nel sangue esistono diverse strategie. Innanzitutto, il primo approccio si identifica con il corretto stile di vita: si deve cercare si fare una dieta equilibrata e regolare attività fisica. Qualora questo approccio non fosse sufficiente a limitare i livelli di colesterolo cattivo, è possibile usare diversi farmaci. 

Farmaci usati oggi

Sicuramente i farmaci ad oggi più famosi contro il colesterolo sono le statine: esse inibiscono un enzima responsabile della sintesi endogena del colesterolo. In questo modo la quantità totale circolante (data da quello assunto con la dieta e quello sintetizzato dal nostro corpo),si abbassa.  Esse però hanno come effetto collaterale l’indolenzimento muscolare, per questo ,a volte, sono mal tollerate dai pazienti.
fibrati, invece,  agendo a livello del nucleo delle cellule, modificano il metabolismo lipidico. È importante non associare mai fibrati e statine, perchè si possono avere gravi danni ai muscoli. Tuttavia, qualora uno di questi due farmaci non fosse da solo in grado di ridurre il colesterolo, se ne possono associare altri: le resine e l’ezetimibe.
Le resine, legando gli acidi biliari, sequestrano parte degli steroli. Questo porterà ad una diminuzione dell’LDL, perchè il fegato tenterà di prenderlo dal sangue per formare gli acidi biliari mancanti.
L‘Ezetimibe, è un inibitore selettivo dell’assorbimento del colesterolo a livello intestinale. Anche l’Orlistat si basa sullo stesso principio. Associando questi farmaci, nella maggior parte dei casi, si è riusciti ad abbassare il colesterolo cattivo, evitando milioni di morti per infarto.

Crediti immagine: mypersonaltrainer

Il”vaccino anti infarto”

Dove sta la novità di questo nuovo farmaco? Nel fatto che ha una azione potentissima e può essere somministrato una volta ogni sei mesi (ecco perché è stato definito “vaccino”). Ci sono soggetti che presentano delle mutazioni per le quali i loro livelli di colesterolo risultano altissimi sin dalla giovane età. Questo comporta infarti anche a 20-30 anni e, i farmaci attualmente disponibili, non sono in grado di abbassare i livelli così tanto da salvare loro la vita. Una delle più famose di queste dislipidemie (malattie legate ad alterati livelli dei grassi ciroclanti) è l’ipercolesterolemia familiare.

Funzionamento

LInclisiran è un siRNA, ovvero un RNA silenziante, in grado di “spegnere” un determinato gene. Gli scienziati si sono concentrati sulla proteina PCSK9, il cui RNA messaggero viene silenziato, con una conseguente espressione della proteina ridotta o nulla.
Cosa comporta questo? PCSK9 serve a degradare il recettore delle LDL a livello epatico, in modo che il fegato non assorba tutto quello presente nel sangue (livelli bassi sono comunque utili al normale funzionamento dell’organismo). Nei pazienti con livelli estremamente alti, inibendo questa proteina, i recettori per il colesterolo LDL non verranno più degradati, facendo sì che il fegato assorba una grandissima quantità di colesterolo dal sangue. La somministrazione di Inclisiran, porta ad una riduzione del 50% del colesterolo circolante.

Crediti immagine: atbv.it

Un altro aspetto fantastico, è che il farmaco viene iniettato sottocute ogni 3-6 mesi. Questo comporta un’aderenza alla terapia migliore da parte dei pazienti che, magari superficialmente, possono dimenticare di assumere la pillola giornaliera contro il colesterolo. Insomma, questo farmaco, già sperimentato nel Regno Unito, promette di abbassare i livelli di Colesterolo facilmente, in maniera efficace e con attualmente effetti collaterali lievissimi, come irritazione nella zona di iniezione. Abbassare il colesterolo significa fare prevenzione e salvare milioni e milioni di vite, visto che abbiamo visto essere la principale causa di infarto.

Prospettive future

La sua scoperta è avvenuta grazie agli studi di farmacogenomica e farmacogenetica. Queste discipline si occupano di identificare i geni o le proteine responsabili di determinate patologie, costruire farmaci ad hoc per colpire i bersagli, e guarire il paziente affetto da una malattia specifica.
La medicina, col progredire della conoscenza, diventa sempre più personalizzata e con minori effetti collaterali, riuscendo a colpire un gene per un paziente, piuttosto che una particolare proteina per un altro.
Questo assicurerà una efficacia sempre maggiore dei trattamenti.

Roberto Palazzolo

Riparare il cuore dopo un infarto: è possibile grazie ai microRNA

Ogni anno, in Italia, si verificano circa 120 mila casi di infarto miocardico acuto, il classico “attacco di cuore”. La mortalità per questo evento si aggira mediamente intorno all’11%, percentuale più bassa che in passato ma ancora molto preoccupante: si tratta della prima causa di morte nei Paesi occidentali.  

L’infarto miocardico acuto è dovuto ad una ostruzione delle arterie coronarie che impedisce il trasporto di ossigeno e nutrienti alle cellule causandone la morte. Si stima che in corso di infarto possano essere perse da 1 a 4 miliardi di cellule cardiache che, a differenza di altre, non possono rigenerarsi e vengono sostituite da tessuto cicatriziale. 
L’esito è quindi una perdita permanente della capacità contrattile del cuore che predispone a una lunga serie di complicanze, anche dopo l’evento acuto, prima fra tutte lo scompenso cardiaco. 

Rigenerare il tessuto cardiaco è quindi l’obiettivo principale per migliorare la funzionalità cardiaca e prevenire ulteriori rischi. Per farlo, un team guidato da ricercatori italiani dell’Icgeb (Centro internazionale di ingegneria genetica e biotecnologia) di Trieste e della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ha utilizzato la terapia genica. I risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature. 

L’idea nasce dall’osservazione che molte specie animali come pesci e salamandre, in caso di danno muscolare, producono specifici microRNA (miRNA), piccole porzioni di RNA a singolo filamento capaci di modulare l’attività di alcuni geni. Diversi studi hanno dimostrato, ad esempio, che nel modello animale di Zebrafish alcuni miRNA portano alla riparazione del cuore danneggiato dall’infarto. Altre ricerche hanno perfino rivelato che alcuni miRNA umani possono stimolare la rigenerazione delle cellule cardiache nel topo infartuato. Ciò però non accade fisiologicamente nell’uomo. 

I ricercatori hanno quindi sperimentato se questo meccanismo fosse efficace nel maiale, modello clinicamente rilevante di grande mammifero, con un apparato cardiovascolare molto simile a quello umano. La molecola protagonista dello studio è il microRNA-199a, di origine umana. Per veicolare questa molecola nei miocardiociti dei maiali è stato sfruttato, con tecniche di ingegneria genetica, un particolare virus (virus adeno-associato di tipo 6), dentro il quale è stato trasferito il miRNA
La tecnica prevede poi che il virus, di per sé innocuo, sia inserito nei miocardiociti, dove permette l’azione del miRNA. 

A partire da un gruppo di 25 maiali, in ognuno di essi è stata indotta l’occlusione per 90 minuti di un’arteria coronaria, in modo da generare un infarto; dopo di che, il flusso sanguigno è stato ristabilito. I maiali infartuati sono stati quindi divisi in due gruppi: 

  • Il primo gruppo ha ricevuto il virus vettore del miRNA-199a; 
  • Il secondo gruppo è stato trattato invece con il virus “vuoto” ed è servito come controllo. 
10 minuti dopo la riperfusione, il virus è stato iniettato ai limiti della zona infartuata.

Due giorni dopo la procedura, le dimensioni della massa infartuata sono risultate invariate in entrambi i gruppi. Tuttavia, quattro settimane dopo, al 28° giorno, il tessuto cicatriziale nei maiali trattati con il miRNA si è ridotto di oltre il 50%. Ulteriori esami con risonanza magnetica cardiaca (cMRI) hanno inoltre dimostrato un importante recupero funzionale del cuore, con un incremento sostanziale della gittata cardiaca. 

Per avere ulteriori conferme, i ricercatori hanno studiato i miocardiociti con tecniche di biologia molecolare, e hanno dimostrato la presenza di Ki67 ed altri markers specifici di riparazione e proliferazione. Nell’insieme, questi risultati hanno rimosso ogni dubbio sull’azione rigenerativa mediata dal miRNA-199a tramite la regolazione dell’espressione genica. 
Dato ancor più importante è che le cellule in attiva moltiplicazione hanno mantenuto il contatto reciproco necessario per una corretta contrazione e per la trasmissione dell’impulso elettrico. Inoltre, non è stata rilevata l’espressione di alcuna molecola patologica (come ad esempio la β-miosina fetale, che si ritrova in caso di scompenso cardiaco). 

Questi risultati, anche fin troppo promettenti, sono stati però seguiti dalla morte improvvisa, senza alcun segno premonitore, di gran parte dei maiali trattati. In tutti i casi, dopo circa 7-8 settimane, si sono verificate delle aritmie cardiache fatali.
L’unica spiegazione plausibile a questi eventi è che l’intensa proliferazione dei miocardiociti, non uniforme nell’intero tessuto cardiaco, faciliti la formazione di circuiti di rientro. Si tratta di circuiti elettrici anomali all’interno del cuore che impediscono la trasmissione fisiologica, in un solo senso, dell’impulso elettrico, innescando una sorta di “micro-cortocircuito” che porta ad aritmie o, nei casi più gravi, ad arresto cardiaco. 

Questo effetto a lungo termine, come affermato dagli studiosi, è essenzialmente dose-dipendente, causato dall’impossibilità, attraverso l’iniezione di un virus, di controllare in modo preciso il dosaggio del miRNA. Il passo successivo, già eseguito sui topi, è l’utilizzo dei cosiddetti miRNA mimics, ovvero molecole sintetiche che possono essere dosate ed utilizzate come fossero un vero e proprio farmaco. 

I ricercatori hanno iniziato a testare questa tecnica di somministrazione nei maiali e sono fiduciosi di ottenere i primi risultati entro 6 mesi. Se tutto andrà bene, entro 5 anni potrà essere già conclusa la sperimentazione clinica sull’uomo. 

Davide Arrigo

Bibliografia:

https://www.nature.com/articles/s41586-019-1191-6