India: catastrofe ferroviaria. Deraglia un treno, centinaia i morti e feriti

288 morti e oltre 1000 feriti. È questo il tragico bilancio dell’incidente ferroviario che lo scorso venerdì, 2 giugno, ha sconvolto l’India e tutto il mondo.

Un disastro senza precedenti, verificatosi nello Stato di Orissa, quello che ha coinvolto un treno passeggeri che deragliando ha investito altri due convogli ferroviari, provocando questa immane tragedia nei pressi della città di Balasore.

Incidente ferroviario India – fonte: La Stampa

La tragedia

Secondo le prime ricostruzioni, poco dopo le ore 19, un treno passeggeri, il Coromandel Express con a bordo 1.250 persone, in viaggio tra le città di Shalimar a Chennai ha colpito un treno merci fermo in una stazione nella quale il Coromandel non doveva fermarsi. La violenza dell’impatto – oltre 130 km/h – ha fatto sì che quest’ultimo uscisse dai binari per scontrarsi, sfortunatamente, con un altro treno che viaggiava da Yeswanthpur verso Howrah e che sopraggiungeva, quindi, nella direzione opposta: l’Howrah Superfast Express che trasportava ben 1039 passeggeri.

I soccorsi

Lo scontro è stato devastante”.

Queste le parole di alcuni testimoni che si trovavano nei pressi dell’incidente e che hanno letteralmente visto volare e poi ribaltarsi le carrozze dei treni in questione. Uno scenario a dir poco apocalittico quello che si sono trovati davanti gli oltre due mila soccorritori che sono accorsi sul posto nelle ore successive l’impatto.

Detriti ovunque e corpi senza vita che adesso dovranno essere riconosciuti e riportati alle famiglie affinché venga data loro una degna sepoltura. Per capire la drammaticità dell’evento basti pensare che per trasportare questi ultimi, e anche i feriti, sono state mobilitate non solo tutte le ambulanze ma anche moltissimi autobus della zona.

Le parole del Premier

In seguito all’incidente, il primo ministro indiano Narendra Modi si è subito recato sul luogo e, successivamente, ha rilasciato le prime dichiarazioni tramite un tweet:

Le parole non possono catturare il mio profondo dolore. Ci impegniamo a fornire tutta l’assistenza possibile alle persone colpite. Lodo tutti coloro che lavorano 24 ore su 24, sul campo e aiutano nel lavoro di soccorso”.

Tweet Narendra Modi – fonte: Twitter

Modi ha anche affermato che le indagini saranno portate avanti dal Central Bureau of Investigation, la principale agenzia pubblica indiana di investigazioni che ha subito mobilitato i propri ispettori per verificare come siano andati realmente i fatti.

L’ipotesi dell’errore umano

Tuttavia, nelle ultime ore il The Times of India, citando un rapporto investigativo preliminare, ha riportato che alla base della collisione vi sia un “errore umano” nel sistema di segnaletica. Infatti, secondo il quotidiano indiano il Coromandel era stato autorizzato a circolare sul binario principale ma, successivamente, è stato deviato sulle rotaie dove si trovava il treno merci, andando così a scontrarsi con lo stesso.

Anche Ashwini Vaishnaw, il ministro indiano dei trasporti ferroviari, si è esposto rilasciando una dichiarazione all’Agenzia di stampa Ani:

Abbiamo identificato la causa dell’incidente e le persone responsabili“.

Soccorsi incidente ferroviario India – fonte: Il Post

I precedenti

Non è il primo incidente del genere che si verifica nel paese; la triste lista, purtroppo, è molto lunga.
Prima di questo, l’ultimo disastro ferroviario risale al novembre del 2016, in quell’occasione 147 persone morirono nel deragliamento di un treno nello Stato dell’Uttar Pradesh. Ancor prima nel 1999 due convogli si scontrarono vicino a Kolkata provocando la morte di almeno 285 persone; altre 350 morirono nel 1995 in seguito a un altro scontro a Nuova Delhi. Mentre nel 1981, in quello che viene ricordato come il “disastro ferroviario del Bihar”, sette carrozze di un treno che stava attraversando il ponte sul fiume Bagmanti caddero in acqua a causa di un ciclone, causando oltre 500 vittime.

La speranza non muore mai

In mezzo alle lacrime e alla disperazione di coloro che hanno perso un parente o un amico, tuttavia, c’è spazio anche per un piccolo miracolo. The Times of India, infatti, ha riportato la storia di Helaram Malik, padre di Biswajit Malik, un giovane ventiquattrenne che si trovava a bordo del Coromandel Express al momento dell’impatto. Appena appresa la notizia dell’incidente l’uomo ha viaggiato per ore fino ad arrivare sul luogo del disastro, ma una volta giunto a destinazione non ha trovato nessuna traccia del figlio, neanche all’ospedale. Affranto dalla disperazione si è recato così in obitorio per cercare la salma del giovane. Qui la sorpresa: nonostante le numerose ferite, il ragazzo – creduto deceduto – era ancora vivo pur se privo di sensi. Portato subito in rianimazione, dopo due giorni di cure le sue condizioni sono state dichiarate gravi ma stabili.

Giuseppe Cannistrà

Cina, crisi porta crisi: popolazione in calo (per la prima volta dopo 60 anni)

La Cina è nota per essere, forse ancora per poco, la Nazione più popolosa del Mondo. Detiene il primato grazie ai suoi 1 miliardo e 426 milioni abitanti ed è in “esiguo” vantaggio rispetto all’India, che con 14 milioni di persone in meno potrebbe presto scavalcarla. A far ipotizzare il cambio di posizioni è una notizia, neanche troppo straniante: la popolazione nella Terra del Dragone è per la prima volta in calo dal 1961.

Cerchiamo di capire il motivo della crisi, la sua misura attuale e la misura della sua proiezione.

Cina, a cosa è dovuta la contrazione demografica?

È probabile che vi sia più di una causale all’origine del cambio di rotta. I fattori considerati sono specialmente tre: c‘è chi, per spiegare il fenomeno, fa principalmente riferimento alla depressione economica; chi alla collaterale emergenza sanitaria; chi, infine, riconduce il perché agli effetti tardivi della politica abbandonata del “figlio unico”. È plausibile che la verità, come altri ancora sostengono, risulti dalla combinazione di più motivazioni.

L’incidenza del Covid-19

Di certo, il Sars-Cov-2 in Cina è stato (ed è) un potente agente funereo. Più che altrove. Il Paese asiatico è la patria del virus, l’incubatrice che per prima ne ha fertilizzato e sofferto l’incidenza. Il suo governo, tra l’altro, con poco buon senso, senza poter guardare ad esempi, ne ha mal gestito la propagazione.

Il vaccino Sinovac, prodotto e distribuito in valenza autarchica, sembra aver guarnito ben poco gli asiatici. Le ferree restrizioni, praticate a oltranza dalla fine del 2019 sino a poco tempo fa, hanno sì ridotto al minimo il numero di contagi, ma non hanno permesso l’immunizzazione naturale della popolazione.

Ed ecco che il leader cinese Xi Jinping si troverà a fare i conti con la situazione disastrosa ed, eventualmente, a rispondere delle conseguenze.

Sars-Cov-2
Sars-Cov-2. Fonte: 3M Science. Applied to Life.

Disastro economico-sanitario-demografico

L’amministrazione cinese ha spesso occultato o disordinato i dati sull’andamento della pandemia nel proprio Stato. Tuttavia, stime occidentali adducono che si dovrebbero calcolare nei milioni le vittime da Sars-Cov-2 dall’inizio della pandemia.

Come già scritto: una bassa percentuale della popolazione dispone di una protezione contro l’agente patogeno a causa dell’inefficienza del vaccino e dell’eccessiva politica “di chiusura”. Ora, quindi, la sanità è al collasso. Gli ospedali sono affollati oltremisura, i mezzi di contenimento scarseggiano, la sicurezza sanitaria svanisce nel valore di un’utopia.

Dal punto di vista finanziario… Durante il lungo periodo di filosofia “zero Covid”, quasi tutte le classi di lavoratori hanno sofferto le restrizioni di libertà. Nel momento attuale, in cui, in teoria, si sarebbe dovuta rilevare una ripresa, la forza lavoro sta subendo la frusta del Sars-Cov-2.

In definitiva: moltissimi deceduti hanno provocato un decremento nella popolazione; l’instabilità monetaria dissuade le famiglie dall’idea di allargarsi.

La politica del “figlio unico” come elemento

Introdotta nel 1979 per rallentare la crescita della popolazione, la politica “un solo figlio” è stata abbandonata nel 2016 e parallelamente sono stati introdotti incentivi a sostegno delle famiglie con due figli.

C’è ancora chi ritiene che le conseguenze di tale misura siano visibili solo oggi, a distanza di sette anni, e che in concorso con gli altri elementi abbiano dato origine al deficit demografico.

Cina, il crollo: nel presente e nel futuro

Secondo l’ufficio di statistica di Pechino, citato dal Sole 24 ore, la Cina avrebbe concluso il 2022 con 850mila abitanti in meno e sarebbe entrata “in un’era di crescita negativa della popolazione“. Sarebbe in aumento il tasso di mortalità, poiché i decessi avrebbero superato per la prima volta le nascite. Si individuano 7,37 morti ogni mille abitanti, diversamente dai 7,18 dell’anno precedente.

A detta di un studio, condotto delle Nazioni Unite, curato dal Dipartimento degli Affari Sociali ed Economici, l’India supererà la Cina nel 2023 diventando il Paese più popoloso del mondo. 

Il Presidente cinese, affrontando di petto la previsione, aveva già dichiarato lo scorso ottobre di voler adottare «una strategia nazionale pro-attiva» per incalzare il processo di natalità.

Gabriele Nostro

 

 

Nuova Dehli: settimana lockdown, ma non per il Covid

È di sabato 13 novembre la decisione del capo del governo di Nuova Delhi, capitale dell’India, di chiudere le scuole per una settimana e i cantieri per quattro giorni, a partire da lunedì 15 novembre.

Gli impiegati degli uffici pubblici svolgeranno le loro ore di lavoro in modalità smart, per cercare di ridurre l’elevata circolazione di automobili e mezzi pubblici. Anche le lezioni proseguiranno a distanza.

La causa di queste chiusure, questo “semi-lockdown“, ebbene, questa volta, non è da imputare al Covid-19, bensì all’inquinamento. Sebbene la situazione risulti molto complicata e il premier Arvind Kejriwal abbia avanzato l’ipotesi di passare a un lockdown totale della città, ciò potrebbe tradursi in una misura concreta, in realtà, solo dopo aver ascoltato il parere del governo federale.

Le città indiane sono ogni anno più inquinate

Ogni anno sono molte le città indiane costrette a combattere contro livelli di inquinamento atmosferico sempre più preoccupanti. Tra queste, Nuova Delhi è sicuramente una delle città in cui la situazione è gravissima. Secondo la SAFAR (una delle principali agenzie di monitoraggio ambientale dell’India), l’indice di qualità dell’aria della capitale è arrivato a “molto scarso”. In particolare, nelle aree urbane della città, la quantità di particolato nell’aria supera di sei volte la soglia di sicurezza. Il particolato indica tutto l’insieme di sostanze, liquide o solide, sospese in aria, la cui dimensione può variare da pochi nanometri fino a 100 µm. E’ proprio il particolato ad essere tra gli inquinanti più frequenti nelle zone urbane.

La decisione di fermare le attività, scolastiche e lavorative, è stata quindi obbligata. Secondo i dati diffusi da Kejriwal, i livelli di inquinamento sono arrivati ad un limite di rischio altissimo, ovvero al livello 437 su una scala di 500, secondo l’indice della qualità dell’aria.

La Porta dell’India nascosta dallo smog (fonte lastampa.it)

La pratica del debbio e le parole dell’attivista Aditya Dubey

Preoccupazione arriva anche dalle immagini dei satelliti della NASA. Da queste si può notare come, gran parte delle pianure dell’India settentrionale, siano coperte da una fitta e densa foschia.

A rendere tutto ancora più complicato è l’abitudine, che si ripete ogni inverno, da parte degli Stati confinanti, di bruciare i residui dei raccolti precedenti. Questa pratica viene chiamata “del debbio”: i contadini procedono a fertilizzare le campagne utilizzando i residui bruciati. I fumi causati da queste combustioni, spinti dal vento, arrivano fino a Nuova Delhi, con conseguente aumento dell’inquinamento atmosferico. A pronunciarsi sulla situazione è stata anche l’attivista Aditya Dubey, che ha presentato, alla Corte Suprema, una richiesta di lockdown totale nella capitale. Dubey si è inoltre rivolta al governo, invitandolo a mettere in atto delle misure per contrastare l’inquinamento sempre più crescente.

Più di un milione di vittime all’anno

A Glasgow, durante la COP26 tenutasi dal 31 ottobre al 12 novembre, lo Stato indiano ha annunciato di voler arrivare all’obiettivo zero emissioni nel 2070, dopo Cina, Usa e Europa. La volontà dell’India, però, è in netto contrasto con quella che è la realtà in cui il Paese si trova e con quello che dovrebbe essere il comportamento giusto da adottare. Solo a Nuova Delhi, ogni anno, le vittime dell’inquinamento sono più di un milione. Tra le cause principali troviamo malattie respiratorieinfarti, diabete, complicazioni polmonari e malattie infantili. Proprio in merito all’aumento delle malattie, il Times of India ha rilevato un numero sempre maggiore di persone nei pronto soccorso degli ospedali. Il dottor Suranjit Chatterjee, dell’ospedale Apollo, ha dichiarato:

“Stiamo ricevendo 12-14 pazienti ogni giorno in emergenza, soprattutto di notte, quando i sintomi causano disturbi del sonno e panico”.

Come se tutto ciò non bastasse, ogni anno si forma uno strato di schiuma, altamente tossica, sul fiume Yumana, affluente del Gange. All’interno della schiuma sono contenute alte quantità di ammoniaca e fosfati, due sostanze che possono causare problemi cutanei e respiratori. La crisi nella metropoli indiana potrebbe durare fino al 18 novembre, almeno secondo il Centro per il controllo dell’inquinamento.

La schiuma tossica sul fiume Yamuna (fonte teleambiente.it)

 

Beatrice Galati

Dopo nove anni la Corte suprema indiana chiude i procedimenti a carico dei marò

La Corte Suprema indiana ha dichiarato lo stop a tutti i procedimenti giudiziari a carico di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due fucilieri della marina italiana (o come notoriamente denominati “marò”) accusati nel 2012 dell’omicidio di due pescatori indiani.

Questi verranno poi ascoltati nelle prossime settimane in Procura, a Roma, ai fini delle indagini interne.

(fonte: il corriere)

La moglie di Latorre dichiara: «Carne da macello per la politica».

La storia dei Marò

I fatti di cui sono accusati Salvatore Girone e Massimiliano Latorre risalgono al 15 febbraio 2012 quando si trovavano sulla petroliera Enrica Lexie, battente bandiera italiana, al largo delle coste del Kerala, nel sudovest dell’India.

Sebbene fossero militari statali, facevano parte del corpo di protezione della nave come previsto da una legge italiana del 2011. A circa 20 miglia marittime dalla costa, la Enrica Lexie incrociò la rotta del peschereccio indiano St. Antony.

In quella zona vennero ritrovati due pescatori indiani (di 44 e 20 anni) morti, Valentine Jalstine e Ajesh Binki, freddati, mentre lavoravano sul loro piccolo peschereccio, a colpi di arma da fuoco.

I due fucilieri italiani, a bordo della petroliera Enrica Lexie, furono successivamente riconosciuti dai pescatori superstiti come coloro che avevano sparato ai loro compagni e quindi accusati di duplice omicidio.

La Enrica Lexie, fonte: Wikipedia

Latorre e Girone furono arrestati qualche giorno dopo e fatti alloggiare in una guest house della polizia locale.

I due marò si sono sempre dichiarati innocenti, spiegando di essersi limitati a sparare dei colpi di avvertimento a causa di alcune manovre, ritenute sospette, del peschereccio e dando la colpa del duplice omicidio ad un gruppo di non meglio precisati pirati. A questa si contrappone la versione degli indiani i quali affermano che la manovra del St. Antony nei pressi della Enrica Lexie fosse pacifica e finalizzata a segnalare la propria presenza alla petroliera italiana. Secondo tale versione inoltre non sono stati sparati colpi di avvertimento.

La reazione dei militari italiani, secondo l’India, sarebbe stata quindi esagerata e non aderente alle normali procedure, soprattutto perché i marinai del St. Antony non erano armati. Ciò ha comportato l’arresto e la detenzione dei due in India dove sono stati trattenuti per diversi anni. Questo almeno fino al 2014, quando dopo la richiesta dei legali di Massimiliano Latorre, colpito da ischemia durante la detenzione, la Corte suprema indiana ha accordato al militare il permesso di rientrare in Italia per motivi di salute.

Il Tribunale Internazionale del Diritto del Mare, con 15 voti a favore contro 6, il 24 agosto 2015 ha deciso per la sospensione delle procedure in corso tra Italia e India, nonché una loro astensione dal presentare misure potenzialmente aggravanti. È stato quindi stabilito che è compito dell’arbitrato internazionale all’Aja “giudicare nel merito del caso”, permettendo ai due militari di attendere l’esito dell’udienza in Italia per motivi umanitari.

 

Gli esiti della vicenda

Solo ieri, 14 giugno, si è arrivati ad un punto definitivo sulla questione marò: a darne notizia il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, su Twitter

La decisione della Corte Suprema indiana è arrivata dopo che lo Stato italiano aveva versato 100 milioni di rupie (pari a 1,1 milioni di euro) come risarcimento alle famiglie dei due pescatori indiani uccisi.

L’obbligo di risarcimento era stato deciso nel luglio del 2020 dalla Corte permanente di arbitrato dell’Aja, un’organizzazione che risolve arbitrati in ambito internazionale, che in quell’occasione aveva deciso di assegnare all’Italia la giurisdizione per giudicare i due fucilieri. La cifra è stata concordata successivamente dai governi di Italia e India.

La Corte Suprema indiana aveva rinviato la chiusura del caso lo scorso 19 aprile perché’ l’indennizzo non era stato ancora depositato. Nel corso dell’udienza il procuratore generale dello Stato, Tushar Mehta, aveva dichiarato che “l’Italia ha avviato il trasferimento di denaro”, aggiungendo però che la somma non era ancora disponibile. La Corte aveva poi deciso che il caso sarebbe stato chiuso solo dopo il deposito del risarcimento pattuito.

L’inchiesta italiana invece proseguirà nelle prossime settimane, quando il sostituto procuratore di Roma Erminio Amelio, titolare del fascicolo d’indagine- che in questi mesi ha analizzato gli atti inviati dal Tribunale internazionale dell’Aja- ascolterà le testimonianze dei due fucilieri. Le indagini dovrebbero comunque concludersi entro l’estate.

(fonte: agi)

“Interessante leggere i ringraziamenti del Ministro Di Maio nei confronti di chi ha lavorato sodo, ma prima di tutti è importante ringraziare i due soldati che si sono sacrificati alla sottomissione indiana per tanti anni, che mai più gli saranno restituiti”, dice all’ANSA Vania Ardito, moglie del fuciliere di Marina Salvatore Girone. “Adesso – aggiunge – auspichiamo in una rapida risoluzione per la conclusione definitiva del caso in Italia”. Conclude “finalmente si è concluso un caso che si sarebbe dovuto concludere in nove giorni ma ci sono voluti più di nove anni”.

“A Massimiliano è stata sempre negata la possibilità di dire la sua verità e la sua versione dei fatti, ma a breve potrà essere sentito dai pm della Procura di Roma, nei confronti della quale abbiamo la massima fiducia, e lì non ci sarà nessun segreto militare che tenga“, ha spiegato all’ANSA l’avvocato Fabio Anselmo, legale del fuciliere Latorre.

Manuel De Vita

India: boom di contagi. Usa e Ue istituiscono un piano di aiuti. Speranza firma l’ordinanza sullo stop agli arrivi dall’India

Acuta drammaticità nel continente asiatico. L’India diventa l’epicentro della pandemia, spaventano i numeri dei contagi e delle morti. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea inviano dispositivi salva vita.

Variante indiana –Fonte:bresciatoday.it

Durante le ultime settimane l’India è stata investita da un’incisiva aggressione di una nuova variante del coronavirus, che sembra più trasmissibile e pericolosa rispetto a quelle già note in circolazione. A rendere la situazione più critica risulta essere la totale perdita di controllo del contenimento della stessa, che ha portato le autorità locali a dover provvedere all’eliminazione dei corpi degli infetti lasciati per strada attraverso l’incenerimento dei cadaveri. Il Paese asiatico raggiunge così il quarto amaro record consecutivo per contagi giornalieri.

La variante indiana

Variante indiana con doppia mutazione –Fonte:agi.it

Già nota da diversi mesi, la variante indiana consiste in una tripla mutazione, ossia la fusione di tre diversi ceppi del Covid-19, che unendosi hanno dato vita ad un “doppio mutante” noto come B.1.617, la cui diffusione si ritiene essere partita dagli Stati come il Maharashtra, Delhi e il Bengala occidentale.

Inizialmente questa non ha destato particolari preoccupazioni degli esperti, ma a far capovolgere la situazione è stato il grave allarme dell’improvviso boom epidemiologico nel Paese subcontinentale. Si è registrato così il più elevato numero di morti giornalieri mai raggiunto pari a 2.767. Sebbene si tema che le cifre reali dei defunti siano ben più alte, la media statistica del Paese stima che nella capitale New Delhi avvenga un decesso ogni 4 minuti.

Covid-19, inviati respiratori in India –Fonte:bluewin.ch

Per quanto gli scienziati non abbiano ancora dati certi riguardo la contagiosità della nuova variante e della sua abilità di causare sintomi più o meno gravi, risulta accorato l’appello di massima allerta.

Il collasso della sanità

New Delhi diventa così teatro di ospedali i cui corridoi sono occupati da letti e barelle, le famiglie implorano la richiesta di assistenza ai loro cari e molti cittadini periscono sulla soglia della struttura sanitaria.

La variante indiana del Covid –Fonte:panorama.it

L’ambasciatore italiano nella capitale, Vincenzo De Luca sostiene che

“Il Paese sta vivendo un’impennata rapidissima. Le curve dei contagi sono schizzate all’insù prima nelle aree urbane e ora stanno crescendo anche in quelle rurali, mentre il sistema sanitario fatica a far fronte alla sfida della domanda di ricoveri e farmaci: l’India sta affrontando una fase di massima allerta e ha bisogno di una risposta e di una cooperazione globale”

Ciò ha contribuito a prorogare di una settimana il lookdown nella capitale, mentre si attendono gli aiuti promessi dalle Nazioni del globo. Risulta altresì chiaro come l’accorato invito abbia destato molta preoccupazione, dando il via ad una corsa di aiuti nel Paese, affinché la situazione fuori controllo possa rimarginarsi.

Aiuti internazionali: USA e UE

La mobilitazione degli Stati Uniti è avvenuta a seguito di un colloquio telefonico tra il Consigliere per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, Jack Sullivan, con la controparte di New Delhi.

“Gli Stati Uniti sono profondamente preoccupati per la grave epidemia di Covid in India. Stiamo lavorando 24 ore su 24 per distribuire più rifornimenti e supporto ai nostri amici e partner in India mentre combattono coraggiosamente questa pandemia.”

L’America è pronta a spedire in India alcune materie prime necessarie per la produzione del Covishield, la versione indiana del vaccino AstraZeneca. L’esportazione di tali sostanze, secondo quanto riportato dal New York Times, riflette la decisione presa dall’amministrazione Biden che avrebbe abrogato il divieto di trasferimento di quegli elementi necessari per la creazione del farmaco. Altresì il Paese a stelle e strisce spedirà gli strumenti essenziali di prevenzione per gli operatori sanitari, come tute protettive e invierà le forniture di ossigeno fondamentali da adoperare nella terapia dei pazienti più gravi.

In India parte l’Oxygen Express –Fonte: it.finance.yahoo.com

Alla stregua delle decisione prese, la Presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen, secondo quanto espresso dall’Agence France-Presse (AFP), ha riferito che l’Unione Europea sta rassembrando tutte le risorse per rispondere prontamente alla richiesta di assistenza, attraverso un innovativo sistema di protezione civile dell’Ue. Si crea così un meccanismo che permette ai 27 Paesi membri dell’Unione di sincronizzarsi per intervenire in caso di emergenza. Secondo quanto riportato dal Commissario Ue per gli Aiuti umanitari Janez Lenarcic, tale coordinazione è già stata avviata dalle Nazioni coinvolte nell’accordo, per contributi di ossigeno e farmaci.

La risposta italiana alla variante

L’arrivo nella scorsa serata all’aeroporto di Fiumicino di un volo proveniente da Nuova Delhi, desta preoccupazione. I 214 passeggeri sono stati destinati a test e quarantena presso le strutture predisposte dalla cittadella militare della Cecchignola e nel Covid hotel di Roma.

Covid: arrivo volo dall’India –Fonte:ansa.it

L’appello promosso dal Presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, è volto a sollecitare l’attivazione di misure che fermino le partenze dal subcontinente indiano, invitando gli Stati membri alla realizzazione di iniziative che coordinino gli arrivi su tutto il territorio europeo. Il ministro della Salute Roberto Speranza, a seguito dell’impennata dei contagi prodotta dalla divulgazione della variante indiana, ha firmato una nuova ordinanza che indice il divieto di ingresso in Italia per coloro che hanno soggiornato nel Paese subcontinentale e nel Bangladesh negli ultimi 14 giorni.

Variante indiana, Speranza blocca l’ingresso in Italia –Fonte:corriere.it

Il documento prevede che i residenti in Italia potranno rientrare con tampone in partenza e all’arrivo e con obbligo di quarantena. Chiunque sia stato in India nelle ultime due settimane e si trovi già nel nostro Paese è tenuto a sottoporsi a tampone contattando i dipartimenti di prevenzione.

Tali restrizioni rimarranno attive fino al 12 maggio e sono volte ad irrigidire le misure di controllo, impedendo che il record negativo registrato in India possa ripetersi anche in Italia. Nonostante gli scienziati stiano lavorando ininterrottamente per studiare la “neonata variante”, Speranza ribadisce altresì la necessità di tenere alta la guardia fin quando non si avranno risposte più certe.

Giovanna Sgarlata

Nuovi scontri tra Cina e India: morti 20 militari indiani

Il 15 giungo nel Ladakh, territorio indiano tra le vette dell’Himalaya con temperature al di sotto dello zero, si è verificato un duro scontro tra i soldati cinesi e indiani, degenerato in una vera e propria carneficina. Secondo quanto riportato dal New Delhi i morti indiani sarebbero venti, mentre il numero delle vittime cinesi non è stato ancora confermato.
Ufficialmente non sono state utilizzate armi da fuoco e la battaglia si sarebbe consumata con pietre e bastoni trovati sul posto.

L’accaduto è preoccupante sotto diversi punti di vista: il primo per la dimensione dei paesi coinvolti, sia l’India che la Cina sono i paesi più popolosi al mondo con più di un miliardo di abitanti. Il secondo perché ambedue le nazioni sono guidati da regimi nazionalistici e dotati della bomba atomica.

Il ministro dell’Interno indiano Amit Shah e il ministro della Difesa Rajnath Singh , rassicurano

il sacrificio dei nostri militari non sarà vano. Per noi, l’unità e la sovranità del paese è la cosa più importante”.

Il governo indiano indignato nei confronti di Pechino, lo accusa di avere infranto l’accordo preso pochi giorni prima “Un violento scontro si è verificato a seguito di un tentativo da parte cinese di cambiare unilateralmente lo status quo“, come afferma il ministro degli Affari Esteri.
L’agenzia di stampa indiana “Asian News International” ha riportato attraverso delle intercettazioni, che i morti e i feriti delle truppe cinesi sarebbero 43.
La Cina però non si espone, anche se Hu Xijin, direttore comunista del quotidiano “Global Times”, ha conferma che “anche la squadra cinese ha subito perdite”. Pechino ha accusato a sua volta Nuova Delhi di avere oltrepassato il confine cinese: il portavoce del ministero degli Esteri ha accusato gli avversari di avere oltrepassato il confine due volte lunedì “provocando e attaccando le unità cinesi e causando gravi scontri tra le forze di frontiera”.

 

 

 

 


Il passato burrascoso tra i due stati

Tra la catena montuosa del Karakorum e quella dell’Himalaya, c’è un territorio che da anni è al centro di un dibattito tra India e Cina. Le due Nazioni negli anni 50 hanno (apparentemente) mantenuto una relazione pacifica, grazie soprattutto alla moderazione indiana. Le relazioni diplomatiche vengono sancite nel 1950 da Nehru, che spinge per l’ammissione all’ONU nella Repubblica popolare della Cina. Successivamente il Tibet viene annessa da Pechino nel 1950-51, l’India non reagisce, ma la Cina non riconosce la sua frontiera con l’India. Nel 1954 l’Accordo di Panchsheel ha sancito una grande decisione da parte di Nuova Delhi: essa ha rinuncia a tutti i diritti che le sono stati concessi sul Tibet. I due stati nel corso degli anni hanno però continuato a rivendicare la propria porzione di terra.

Nel 1962, la Cina ha invaso formalmente i territori indiani, ed ha avuto un’ampia vittoria sull’esercito indiano. Proprio dopo quel conflitto è stata introdotta la “Linea di Attuale Controllo” (LAC), cioè l’ufficializzazione del confine orientale tra i due stati. Anche in questo caso, però, le decisioni non vengono accettate senza polemiche, perché il confine non era considerato rigido e netto ma pieno di zone il cui controllo era poco chiaro.

A ovest la Linea Johnson assegnava all’India il territorio ghiacciato dell’Aksai Shin, posto però dopo la linea di cresta e quindi difficile da difendere; ma ulteriori provvedimenti hanno inasprito i rapporti. A est la Linea MacMahon, era stata accettata dal Tibet in occasione della Convenzione di Simla del 1914, ma Pechino ha smesso di riconoscerla. Per garantire il proprio potere territoriale, i due paesi hanno iniziato a costruire strade e aeroporti lungo il confine e anche nelle zone formalmente sotto il controllo “nemico”, che però spesso venivano distrutte.

Dal 1981 i due paesi si sono incontrati periodicamente per affrontare il problema, ma ancora oggi non hanno trovato una soluzione.
A partire dagli anni novanta sono stati firmati vari accordi, che però non hanno impedito le incursioni e le lotte di confine. Nel 2013 e nel 2014, per due volte decine di soldati cinesi hanno oltrepassato la LAC per costruire campi e strade.

 Secondo il governo indiano, tra il 2016 e il 2018, l’esercito cinese ha superato il confine più di mille volte, senza però creare dei veri e propri scontri, almeno fino a lunedì 15 giugno. Il primo ministro indiano Narendra Modi ha ufficializzato l’incontro che si terrà venerdì 19 giugno, che vedrà impegnate tutte le forze politiche per discutere dell’accaduto. Anche la Casa Bianca si è espressa in merito sperando in una soluzione pacifica

L’India e la Cina hanno entrambe espresso il desiderio di una soluzione pacifica e noi la sosteniamo”, ha detto un portavoce del dipartimento di Stato degli Stati Uniti.

Il portavoce ha proseguito dicendo che sta seguendo la vicenda da “vicino” e ha espresso le condoglianze ai familiari dei militari indiani uccisi.

                                                                                                                                                                Paola Caravelli

https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/06/17/battaglia-himalaya-cina-india

http://www.storiain.net/storia/india-cina-un-confronto-a-geometria-variabile/

https://www.rainews.it/dl/rainews/media/scontro-al-confine-tra-india-e-cina-morti-almeno-20-militari-indiani-ffd825b8-ff08-4449-b2d4-711c8d01a2e8.html#foto-1

Epatite C. In Italia ti curi solo se sei grave

Sofosbuvir_bottle_with_pill_on_Gray-1940x1566Nuova Delhi,India. Dopo averla inizialmente rigettata, il 12 maggio scorso l’ufficio brevetti indiano ha accolto la richiesta per la concessione del brevetto sulla componente di base del farmaco Sofosbuvir alla Gilead Sciences, per la cura dell’Epatite C. Immediata la risposta di Medici Senza Frontiere attraverso le parole della sua esperta di salute pubblica: Questa decisione – ha detto Silvia Mancini- è una cattiva notizia per le persone affette da Epatite C”. L’India fino ad oggi è stato il maggior produttore di versioni generiche della miracolosa molecola di proprietà della Gilead grazie ad una serie di privilegi, concessi dalle grandi compagnie farmaceutiche per produrre farmaci che altrove sono protetti da brevetti. La compagnia americana negli Stati Uniti aveva inizialmente immesso sul mercato il farmaco a prezzi esorbitanti: 84 mila dollari per ciclo di trattamento, una cifra che era stata parzialmente ridotta grazie alle forme generiche sintetizzate in oriente. Insomma potrebbero aumentare ulteriormente le difficoltà per coloro che sono obbligati a convivere con questa patologia.

576px-Hepatitis_C_infection_by_source_(CDC)_-_it.svgL’Epatite C è una malattia infiammatoria del fegato, causata dal virus HCV. Ha una tendenza a cronicizzare e ad evolversi in cirrosi e carcinoma epatico. Le vie di trasmissione principali del virus sono diverse e questo persiste nel fegato di circa l’85% delle persone infette. L’infezione ad oggi può essere trattata con farmaci come l’interferone, la ribavirina ed il sopracitato sofosbuvir. Nome commerciale Sovaldi, il farmaco della Gilead Sciences anche in Italia è al centro di numerose polemiche sollevate da giornali, televisioni ed associazioni come la EpaC Onlus, da anni al sostegno dei malati di epatite.

chart_01Ogni anno in Italia muoiono circa 10 mila persone malate di Epatite C, nel nostro paese per anni ci si è ammalati per colpa di trasfusioni di sangue, per operazioni con strumenti non sterilizzati. Dal 2014 sono disponibili questi farmaci che assicurano nel 90-95% dei casi la guarigione dall’infezione del virus HCV : ma sono medicinali tanto cari che il Ministero della Salute ha deciso di garantire il trattamento solo ai malati gravi. Il rischio è che non somministrandolo a tutti i non curati si aggravino, infatti solo coloro i quali hanno una perdita di elasticità del fegato catalogata in stadi definiti F3 ed F4 hanno diritto ad accedere gratuitamente a questo incredibile prodotto, cioè quelli con una compromissione della funzionalità molto grave. Un ciclo di trattamento costa al Sistema Sanitario Nazionale ben 20 mila euro, ma non per questo può essere giustificata una simile prassi, dove i pazienti “meno gravi” devono aspettare fin tanto che le loro condizioni peggiorino.

L’Epatite C – ci spiega il Prof. Giovanni Raimondo Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Epatologia Clinica e Biomolecolare presso la A.O.U. Policlinico di Messina è stata molto diffusa in Italia in passato, quindi è ovvio che sia alto il numero dei malati cronici. Ciò che è stato stabilito dall’AIFA (Agenzia italiana del farmaco) è di curare prima i pazienti con la malattia avanzata, per poi passare a pazienti in stadi meno avanzati come quelli in stadio F2. Questi ultimi pazienti dovranno certamente essere curati, ma il grado della loro malattia non impone un trattamento immediato. Benché io – come tutti i miei colleghi – vorrei trattare subito tutti i pazienti, capisco che, dati i costi delle terapie specificamente dirette contro il virus C, sia necessaria una regolamentazione che renda sostenibile la spesa per il nostro Sistema Sanitario Nazionale che tutti noi dobbiamo salvaguardare.” 

Nessuno può fermare la voglia di guarire da una infezione virale e da una malattia cronica progressiva, tant’è che fino ad ora alcuni dei pazienti meno gravi sono ricorsi all’acquisto del farmaco generico in India o in Egitto. Sappiamo che dopo i trattamenti anti-epatite c, sarà la volta dei nuovi portentosi medicinali utilizzabili in campo oncologico, le “bombe intelligenti”. Se questa è la dinamica che dobbiamo aspettarci, avremo farmaci salvavita sempre più cari e sempre più difficili da avere per noi. È quindi una situazione senza via d’uscita?

Nell’attendere una svolta politica concreta nei confronti delle condizioni imposte da certe case farmaceutiche non possiamo che accodarci all’appello al governo di Ivan Gardini, Presidente dell’ EpaC  Onlus: È tempo di passare dal “se curare” al “quando curare”. È tempo che i pazienti possano programmare le loro terapie con i medici curanti , avere un riferimento temporale e scegliere l’ospedale che ha meno liste d’attesa. Ognuno di noi ha il diritto di curarsi e poter programmare la propria vita. Questo abbiamo chiesto alle Autorità e questo continueremo a chiedere finché non lo otterremo.

Alessio Gugliotta