La Casa dei Prosciutti

La notte era gelida e tranquilla, come tutte le notti d’inverno della Val Bodenco. Spighe di grano fluttuavano al vento, rami di pino scrosciavano lenti, fari e lampioni illuminavano i campi e in lontananza un borbottio si approssimava a rompere il silenzio. Le auto sfrecciavano sulla statale, schegge di luce apparivano e sparivano in un istante, poi il buio inghiottiva di nuovo rapido case, siepi e campagne. Il borbottio incombeva ormai su Verrosio, diecimila anime stagliate sulle rive del fiume Multro, attraversando il centro da un capo all’altro, fino a stazionare in cima ad un grande spiazzo nei pressi di una lussuosa villa con un grande cartellone che recitava “La Casa dei Prosciutti”

Qui una luce rossa intermittente iniziò a roteare e il borbottio che s’era fatto boato iniziò ad essere incessante. Un rumore metallico dilaniò la notte e una palla di fuoco si levò al cielo, richiudendosi in una nuvola di polvere grigiastra. Sotto questa non era rimasto altro che un monolite d’acciaio accartocciato tra i carboni ardenti dell’erba bruciacchiata. A quel punto la quiete era tornata su Verrosio. Ma non sarebbe durata a lungo, non sarebbe sopravvissuta all’alba, quando i primi raggi di sole avrebbero mostrato l’entità della devastazione notturna.

Carlo Motta per campare scriveva romanzi, e nel tempo libero si dilettava ad assicurare criminali alla giustizia. Quella mattina era ancora nel letto di casa sua e si era svegliato scarico, privo d’immaginazione e di voglia di vivere. La chiamata del procuratore Angelo Pastore, suo vecchio amico nonché accanito lettore delle sue opere, giunse come una benedizione ad evitargli l’ennesima giornata di autocommiserazione e cibo spazzatura.

Parcheggiò la sua Smart Fortwo bianca nei pressi della sontuosa villa “Casa dei Prosciutti” della famiglia Ferrucci, giungendo sul luogo dell’incidente a piedi dopo aver evitato come la peste ogni possibile contatto con forze dell’ordine e curiosi. Non che fosse una rinomata celebrità, ma il rischio che qualcuno avesse letto le sue opere e riuscisse a identificarlo, c’era. E lui voleva scongiurarlo in ogni modo.

L’elicottero su cui viaggiavano Emilio Ferrucci e il suo pilota era disteso su uno spiazzo erboso, terra e cenere ricoprivano tutto per metri e metri, mentre le lamiere del veicolo si erano conficcate nel terreno rendendo complicate le manovre di recupero dei corpi.

«Questi ricchi hanno ben poco rispetto per la propria vita» disse Motta osservando la scena con le mani in tasca «Perché mai tornare a casa in elicottero? Non sanno che sono delle dannate macchine infernali? Ah, quanti danni che fa l’hybris»

«Alla buon’ora» lo rimbrottò il procuratore Pastore allargando le braccia spazientito.

«Questo sarebbe?» domandò un carabiniere che stava parlottando con Pastore.

«Un ficcanaso» rispose Motta dando una pacca sulla spalla al milite prima di inoltrarsi verso il luogo dell’incidente.

«E’ un mio amico scrittore. Nel tempo libero ci aiuta con le indagini» si giustificò Pastore.

«E’ un do ut des» esclamò Motta mentre il carabiniere e Pastore lo seguivano. «Io do una mano al procuratore e lui in cambio mi fornisce materiale per le mie storie».

«Sta scherzando ovviamente» disse il procuratore sorridendo nervosamente.

«Oh, giusto Angelo, devo ripetere la storiella che faccio tutto questo per dovere civico».

«Siete sicuro che possa esserci utile?» domandò scettico il carabiniere al procuratore mentre i tre si incamminavano nella sterpaglia.

«Avete la mia parola».

Giunti sul luogo dell’incidente Motta si mise le mani ai fianchi, guardò verso la casa dei Ferrucci, poi verso la carcassa dell’elicottero e ancora una volta verso la casa

«Scommetto che il morto è uno dei Ferrucci»

«Acuto osservatore» disse sarcastico il comandante dei carabinieri

«Perché, è così ovvio?» chiese Motta irritato

«Siamo nella loro proprietà»

«Se per questo tutta Verrosio è una loro proprietà. No, dico che il morto è un Ferrucci perché tutto il paese è venuto qui a curiosare»

«Si» confermò già esausto il carabiniere «La vittima è Emilio Ferrucci, il proprietario della famosa azienda “La Casa dei Prosciutti”»

«E il pilota?»

«Come scusi?»

«Il pilota dell’elicottero. È sopravvissuto?»

«No ovviamente. È morto nello schianto»

«Allora ci sono due vittime»

«Certo ma…»

«Certo ma il povero disgraziato non conta. Intendevate questo?» lo incalzò Motta a muso duro

«Fa sul serio?» chiese il carabiniere guardando prima Motta e poi Pastore

«Sto scherzando» esclamò lo scrittore esplodendo in una fragorosa risata «Volevo solo fare un po’ di demagogia spicciola»

«Ah ecco» rispose sollevato il comandante sistemandosi il colletto della divisa

«L’altro dov’è?»

«L’altro?»

«Non sono i due fratelli a gestire l’azienda Ferrucci? Emilio e Romano»

«Romano Ferrucci è morto l’anno scorso» rivelò il carabiniere

«Ah, molto bene» esclamò sorpreso Motta portandosi le mani alla bocca con fare pensieroso «Andiamo»

«Andare? Dove? Non ci dice nulla sulla scena?» domandò allarmato il comandante

«Un elicottero è esploso in volo»

«In volo?»

«In volo» confermò Motta indicando la sterpaglia

«Aspetti, non è esploso dopo essere precipitato?»

«Oh, nient’affatto, basta guardare i resti dell’elica»

«E dove sono?» chiese il procuratore Pastore guardandosi intorno

«Non ci sono, per l’appunto» rilevò Motta «Se il velivolo si fosse schiantato l’elica sarebbe ancora qui intorno o addirittura ancora attaccata alla carcassa. Invece non c’è. L’elicottero è esploso in fase d’atterraggio, ma prima di toccare terra. E nella deflagrazione i detriti si sono sparpagliati in queste campagne»

«Allora non è un incidente. È un omicidio» esclamò sgomento il comandante dei carabinieri

«O un attentato» ipotizzò Pastore

«Un attentato? Oh no, no no, lo escludo» ribatté Motta

«Perché? I Ferrucci sono ricchi, potenti e molto odiati dopo quella storia della contaminazione degli affettati»

«La ritorsione del familiare di una vittima della contaminazione?» domandò il carabiniere

«Una vendetta»

«E perché non piazzarla all’ingresso della casa?» domandò Motta volgendo lo sguardo verso la sfarzosa villa dei Ferrucci «Perché ucciderne uno solo, quando il nostro terrorista avrebbe potuto ucciderli tutti? E come avrebbe piazzato la bomba sull’elicottero?»

«Magari si è infiltrato nella casa. Forse lavora lì dentro. Un cameriere, un autista, forse un conoscente del pilota»

«La domanda resta» si impuntò Motta con Pastore «Perché ucciderne uno solo quando poteva eliminarli tutti?»

«Era il capo dell’azienda, era un simbolo. Uccidere lui significa uccidere i Ferrucci»

«Ma ai tempi della contaminazione non era lui il capo, bensì il padre, Giovanni Ferrucci»

«Che è morto da anni» ricordò il comandante dei carabinieri

«E quindi di che razza di vendetta stiamo parlando? No, il nostro assassino non voleva uccidere un Ferrucci a caso o tutti Ferrucci, ma questo Ferrucci in particolare»

«Se non è la vendetta, allora il movente può essere passionale» disse Pastore

«Ma non diciamo sciocchezze!» esclamò Motta voltandosi di nuovo verso la scena dell’esplosione «Tuo marito o il tuo amante ti lascia e tu lo fai saltare in aria con dell’esplosivo? Un omicidio passionale richiede…passione! Insomma contatto fisico, se non addirittura visivo. Questo è un omicidio a distanza, compiuto con premeditazione, quindi a sangue freddo, e io conosco un solo movente più forte ma più razionale del sesso…»

«Il denaro» esclamò Pastore

«Esatto. Chi eredita tutta la baracca ora che Emilio è passato a miglior vita?»

«Sarebbe toccato al fratello minore, Romano»

«Che però è morto» disse il carabiniere

«E com’è morto?» domandò Motta

«Durante un lancio col paracadute, che però non si è aperto»

«Ma che famiglia sfortunata. Ancora una morte violenta, ancora un incidente…anzi, ancora un omicidio che si può camuffare da incidente»

«Allora anche Romano è stato ucciso?» chiese Pastore

«Probabile. Aveva figli?»

«Nessuno. C’era solo Lorenzo, ma è morto di overdose anni fa» li informò il carabiniere

«Quindi senza Emilio, Romano e Lorenzo, la società adesso appartiene alla vedova di Romano Ferrucci, cioè Amalia»

«Aveva il movente, aveva i mezzi e conosceva gli spostamenti sia del marito che di Emilio» affermò convinto il procuratore Pastore «Andiamo a prenderla»

Ritrovarono la signora Amalia seduta comodamente nella poltrona di casa sua, a disquisire in tono amabile con alcune giornaliste. Quando i carabinieri che scortavano Pastore e Motta le cinsero i polsi con le manette il suo volto divenne una maschera di cera, i suoi occhi si spensero mentre passavano in rassegna gli uomini che la stavano privando della libertà, ma nemmeno per un secondo ella perse la sua arrogante grandeur aristocratica. Entrò nella macchina della polizia come Maria Antonietta lo fece nella carrozza che l’avrebbe condotta sulla ghigliottina.

Non smise mai di proclamarsi innocente, e giurò che l’avrebbe ripetuto al processo. Un processo a cui però non arrivò mai. Si uccise mesi dopo tagliandosi i polsi con un cucchiaio di plastica accuratamente affilato. Quando Pastore chiamò Motta per informarlo della tragedia, questi era a casa sua, a scrivere la bozza di un giallo basato sulla vicenda di Emilio Ferrucci e della moglie intitolato “La Casa dei Prosciutti”.

«Povera donna» disse freddamente al telefono Motta a Pastore.

«Forse era davvero innocente».

«Forse. Ma tu ne sei certo, e hai i sensi di colpa».

«A differenza tua, ho una coscienza».

«Sei crudele».

«Per te questo è solo un gioco. Queste storie ti forniscono quei brividi che la tua creatività non riesce più a trasmetterti» disse furioso Pastore.

«Stai dicendo che sono uno scrittore fallito?»

«Sto dicendo che sei uno stronzo! Una donna è morta, Carlo, morta! E a te sembra non importare nulla…»

«Non me ne importa nulla perché non era una brava donna» si giustificò Carlo

«Come fai a dirlo?!»

«Una donna che aiuta il marito a fingere la propria morte, affinché questi elimini il fratello maggiore senza destar sospetti, non è poi una gran perdita per la società, ne converrai»

«Aspetta, cosa?»

«Sono abbastanza sicuro che Romano Ferrucci abbia ingannato anche lei, dopotutto»

«Romano Ferrucci? È Romano Ferrucci l’assassino di Emilio? Ma non era morto?»

«Chissà chi è morto davvero in quell’incidente col paracadute. Chissà se qualcuno è morto davvero quel giorno. L’unica testimone era Amalia. Ed ora anche lei è morta»

«Quindi Romano si mette d’accordo con la moglie, finge la sua morte e poi pianifica quella del fratello maggiore…» disse Pastore unendo i pezzi

«…la moglie eredita tutto e poi raggiunge il marito, con l’eredità dei Ferrucci, nel suo buon ritiro in chissà quale sfavillante isola caraibica» proseguì Motta «O almeno questo è il piano che Romano espone alla moglie per farle accettare il carcere. Lei era consapevole di finire tra i sospettati e di farsi pure qualche mese di galera, ma era certa che Romano sarebbe intervenuto per tirarla fuori. Una volta realizzato di essere stata ingannata, si è tolta la vita. Amava davvero Romano, a tal punto da diventarne complice. E non si è ammazzata per la reclusione, ma per aver compreso che il marito non l’aveva mai amata, che era stata solo una pedina nelle sue mani mentre lei gli era davvero devota»

«Una teoria affascinante, te lo concedo» rispose Pastore «Ma come la dimostriamo?»

«Dimostrare una teoria? Mio buon amico, questa è solo la trama del mio prossimo libro “La Casa dei Prosciutti”! Io non devo dimostrare niente, devo solo creare e scrivere. Ah già, e vendere. Dimostrare teorie è il tuo mestiere, non il mio. Io ti ho solo aiutato in cambio di una buona storia, come faccio sempre»

«E come trasformo la tua “buona storia” in un caso giudiziario? Come faccio ad incastrare Romano Ferrucci?»

«E dove sarebbe il divertimento se facessi io tutto il lavoro? Buona fortuna procuratore, sono certo che prenderai il tuo assassino. E chiamami se hai bisogno ancora di me. Sono sempre lieto di ascoltare una buona storia. Alla prossima!»

 

Giuseppe Libro Muscarà

India: catastrofe ferroviaria. Deraglia un treno, centinaia i morti e feriti

288 morti e oltre 1000 feriti. È questo il tragico bilancio dell’incidente ferroviario che lo scorso venerdì, 2 giugno, ha sconvolto l’India e tutto il mondo.

Un disastro senza precedenti, verificatosi nello Stato di Orissa, quello che ha coinvolto un treno passeggeri che deragliando ha investito altri due convogli ferroviari, provocando questa immane tragedia nei pressi della città di Balasore.

Incidente ferroviario India – fonte: La Stampa

La tragedia

Secondo le prime ricostruzioni, poco dopo le ore 19, un treno passeggeri, il Coromandel Express con a bordo 1.250 persone, in viaggio tra le città di Shalimar a Chennai ha colpito un treno merci fermo in una stazione nella quale il Coromandel non doveva fermarsi. La violenza dell’impatto – oltre 130 km/h – ha fatto sì che quest’ultimo uscisse dai binari per scontrarsi, sfortunatamente, con un altro treno che viaggiava da Yeswanthpur verso Howrah e che sopraggiungeva, quindi, nella direzione opposta: l’Howrah Superfast Express che trasportava ben 1039 passeggeri.

I soccorsi

Lo scontro è stato devastante”.

Queste le parole di alcuni testimoni che si trovavano nei pressi dell’incidente e che hanno letteralmente visto volare e poi ribaltarsi le carrozze dei treni in questione. Uno scenario a dir poco apocalittico quello che si sono trovati davanti gli oltre due mila soccorritori che sono accorsi sul posto nelle ore successive l’impatto.

Detriti ovunque e corpi senza vita che adesso dovranno essere riconosciuti e riportati alle famiglie affinché venga data loro una degna sepoltura. Per capire la drammaticità dell’evento basti pensare che per trasportare questi ultimi, e anche i feriti, sono state mobilitate non solo tutte le ambulanze ma anche moltissimi autobus della zona.

Le parole del Premier

In seguito all’incidente, il primo ministro indiano Narendra Modi si è subito recato sul luogo e, successivamente, ha rilasciato le prime dichiarazioni tramite un tweet:

Le parole non possono catturare il mio profondo dolore. Ci impegniamo a fornire tutta l’assistenza possibile alle persone colpite. Lodo tutti coloro che lavorano 24 ore su 24, sul campo e aiutano nel lavoro di soccorso”.

Tweet Narendra Modi – fonte: Twitter

Modi ha anche affermato che le indagini saranno portate avanti dal Central Bureau of Investigation, la principale agenzia pubblica indiana di investigazioni che ha subito mobilitato i propri ispettori per verificare come siano andati realmente i fatti.

L’ipotesi dell’errore umano

Tuttavia, nelle ultime ore il The Times of India, citando un rapporto investigativo preliminare, ha riportato che alla base della collisione vi sia un “errore umano” nel sistema di segnaletica. Infatti, secondo il quotidiano indiano il Coromandel era stato autorizzato a circolare sul binario principale ma, successivamente, è stato deviato sulle rotaie dove si trovava il treno merci, andando così a scontrarsi con lo stesso.

Anche Ashwini Vaishnaw, il ministro indiano dei trasporti ferroviari, si è esposto rilasciando una dichiarazione all’Agenzia di stampa Ani:

Abbiamo identificato la causa dell’incidente e le persone responsabili“.

Soccorsi incidente ferroviario India – fonte: Il Post

I precedenti

Non è il primo incidente del genere che si verifica nel paese; la triste lista, purtroppo, è molto lunga.
Prima di questo, l’ultimo disastro ferroviario risale al novembre del 2016, in quell’occasione 147 persone morirono nel deragliamento di un treno nello Stato dell’Uttar Pradesh. Ancor prima nel 1999 due convogli si scontrarono vicino a Kolkata provocando la morte di almeno 285 persone; altre 350 morirono nel 1995 in seguito a un altro scontro a Nuova Delhi. Mentre nel 1981, in quello che viene ricordato come il “disastro ferroviario del Bihar”, sette carrozze di un treno che stava attraversando il ponte sul fiume Bagmanti caddero in acqua a causa di un ciclone, causando oltre 500 vittime.

La speranza non muore mai

In mezzo alle lacrime e alla disperazione di coloro che hanno perso un parente o un amico, tuttavia, c’è spazio anche per un piccolo miracolo. The Times of India, infatti, ha riportato la storia di Helaram Malik, padre di Biswajit Malik, un giovane ventiquattrenne che si trovava a bordo del Coromandel Express al momento dell’impatto. Appena appresa la notizia dell’incidente l’uomo ha viaggiato per ore fino ad arrivare sul luogo del disastro, ma una volta giunto a destinazione non ha trovato nessuna traccia del figlio, neanche all’ospedale. Affranto dalla disperazione si è recato così in obitorio per cercare la salma del giovane. Qui la sorpresa: nonostante le numerose ferite, il ragazzo – creduto deceduto – era ancora vivo pur se privo di sensi. Portato subito in rianimazione, dopo due giorni di cure le sue condizioni sono state dichiarate gravi ma stabili.

Giuseppe Cannistrà

Tragedia sul set di ‘’Rust’’: Alec Baldwin spara ed uccide una donna. Nuovi dettagli sull’incidente

Giovedì 21 ottobre, Santa Fe, New Mexico: si consuma la tragedia sul set del film western ‘’Rust’’ – nel bel mezzo di prove con una pistola scenica – che ha visto coinvolto l’attore americano Alec Baldwin in un incidente fatale, costato la vita alla direttrice della fotografia del film e alcune ferite al regista.

Fonte: Sky TG24

Sono già passati diversi giorni dal tragico evento, ma dopo una prima ricostruzione della polizia locale – che suggerisce l’ipotesi di un mero incidente – nelle ultime ore, sono giunte nuove informazioni, che potrebbero dare un risvolto all’inchiesta. Dietro la tragedia si nasconderebbe, infatti, una catena di errori e tensioni, oltre al passato controverso di un membro della troupe.

Sospese le riprese del film (che sarebbero dovute terminare a novembre) almeno fino alla fine delle indagini.

Una prima ricostruzione della tragedia

Secondo le prime ricostruzioni, l’incidente è avvenuto verso le due del pomeriggio al Bonanza Creek Ranch, durante le riprese di alcune scene del film western “Rust”, di cui Baldwin è protagonista e co-produttore, insieme al regista Joel Souza.

Baldwin si stava esercitando prima di un ciak ad estrarre un’arma dalla fondina, quando, inaspettatamente, parte il colpo di un vero proiettile, mentre la pistola veniva puntata sulla telecamera. Nelle immediate vicinanze si trovavano la direttrice della fotografia 42enne Halyna Hutchins e Joel Souza, appena dietro di lei.

La direttrice della fotografia Halyna Hutchins e Joel Souza. Fonte: Ck12 Giornale

Il regista, rimasto ferito alla spalla dal colpo di pistola, è stato portato in ospedale e dimesso quella sera stessa. Tuttavia, non c’è stato niente da fare per Halyna Hutchins, ferita gravemente al petto e morta poco dopo in ospedale.

Souza ha raccontato di aver sentito “come il rumore di una frusta” e quindi “un forte colpo”, secondo quanto riportato da Reuters. Continua poi dicendo di ricordare la Hutchins cominciare alamentarsi di un dolore al petto e allo stomaco, oltre a dire di non sentire più le sue gambe.

Baldwin rammaricato e le dinamiche del colpo d’arma

“È stato un incidente, è stato un incidente”, alcune immagini del quotidiano locale mostrano un Baldwin sotto shock e in lacrime sul ciglio della strada all’uscita dell’ufficio dello sceriffo, poco dopo l’accaduto.
L’attore 68enne si era recato spontaneamente dalla polizia per rispondere a domande e fornire chiarimenti:

“Il mio cuore è spezzato – scrive l’attore sui social – Non ho parole per esprimere il mio shock e la mia tristezza per il tragico incidente che ha tolto la vita a Halyna Hutchins, moglie, madre e nostra collega profondamente ammirata”.

Alec Baldwin interrogato dopo la tragedia. Fonte: Tag43

Baldwin non era a conoscenza del fatto di stare utilizzando un’arma caricata con proiettili veri, nessuno è stato infatti accusato o arrestato fino a questo momento, anche se la polizia ha ritenuto necessarie indagini più approfondite sui fatti.

Baldwin avrebbe utilizzato un’arma che gli era stata consegnata dall’assistente alla regia David Halls, il quale aveva urlato ‘’cold gun’’ (letteralmente ‘’pistola fredda’’, termine molto utilizzato nel gergo cinematografico) per segnalare che la pistola potesse essere maneggiata in modo sicuro essendo scarica. Ma poco dopo l’incidente avrebbe rivelato tutto il contrario.

Accuse di negligenza contro l’aiuto regista

La società di produzione non si capacita di come un’arma che doveva essere caricata a salve (le cartucce a salve contengono polvere da sparo che produce una fiammata ma il proiettile vero è sostituito da cera o ovatta) abbia potuto uccidere.

Ci sono ancora diversi elementi da chiarire sull’incidente, come il tipo di proiettile contenuto nella pistola, chi l’avesse caricata e chi avesse le responsabilità di verificarne le condizioni. L’indagine è dunque ora concentrata sui proiettili partititi e, soprattutto, su chi avesse maneggiato l’arma prima dello sparo. Si devono inoltre verificare le responsabilità di David Halls, specie dopo quanto emerso da alcune testimonianze raccolte nei giorni scorsi sul suo passato cinematografico.

L’assistente alla regia, che ha, per ultimo, maneggiato la pistola prima dello sparo per mano di Baldwin sarebbe già stato due volte oggetto di reclami in passato, per via di gravi negligenze nel rispetto dei protocolli di sicurezza sull’uso di armi ed esplosivi. Lo racconta a CNN una pirotecnica e addetta agli oggetti di scena che nel 2019 aveva lavorato con lui in una serie di film horror, Into the Dark.

Altre ipotesi di responsabilità 

La responsabile armi, Hannah Gutierrez-Reed. Fonte: Corriere

Per molti la responsabilità risale direttamente alla società di produzione, accusata di assumere «persone non pienamente qualificate per un lavoro complicato e pericoloso» come quello del capo armaiolo «in una produzione che deve contenere molte scene di combattimento con armi da fuoco», ha scritto con rabbia Serge Svetnoy, riferendosi alla presunta inesperienza di Hannah Gutierrez-Reed, un’armaiola cinematografica di soli 24 anni. Era lei ad aver preparato la rivoltella e ad averla messa su un carrello con altre due armi.

Secondo una fonte citata dal sito ‘’The Wrap’’, la pistola era stata fra l’altro usata poche ore prima da alcuni membri della troupe con munizioni vere per fare “plinking“, termine utilizzato per indicare l’atto di sparare a lattine di birra o altri bersagli con pallottole vere.

16 ottobre, protocolli di sicurezza e proteste

Nelle ultime ore, è stato anche reso noto che sul set si era già verificato almeno un altro incidente con le armi, avvenuto il 16 ottobre scorso: la controfigura di Baldwin avrebbe sparato accidentalmente due colpi di pistola che gli avevano detto essere scarica, mentre che diversi membri della troupe, tra cui Hutchins, si trovavano all’interno di un edificio usato per le riprese. Questi avevano poi immediatamente presentato un reclamo al responsabile della sicurezza sul set, che però in quel momento non era presente.

Per questo e per via delle pessime condizioni di lavoro durante le riprese, diversi membri della troupe hanno deciso di licenziarsi poche ore prima della morte di Hutchins.

Il dramma di Santa Fe ha rilanciato un dibattito sulla sicurezza delle troupe e l’uso delle armi sui set tanto che una petizione sul sito change.org ha già raccolto più di 27.000 firme richiedendo il divieto delle armi da fuoco durante le riprese, al giorno d’oggi non più necessarie.

Fonte: Corriere

Gaia Cautela

Tragedia della funivia Stresa-Mottarone: precipita una cabina con 15 persone. “I cavi dovevano durare otto anni”

La cabina della funivia Stresa-Mottarone precipitata (fonte: ilfattoquotidiano.it)

La tragedia della funivia Stresa-Alpino Mottarone peggiora, sale a quattordici il bilancio delle vittime. La procura di Verbania indaga per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose. Intanto a Stresa, oggi, è lutto cittadino: “Penseremo ai motivi della tragedia, ora piangiamo queste vittime”.

I cavi che dovevano durare otto anni

Anche se le dinamiche devono ancora essere ben definite, la causa diretta dell’incidente è uno dei cavi della funivia, che ha ceduto nel punto più alto del tragitto.

“La revisione generale che consiste in una severa revisione dell’intero impianto, dalle cabine ai carrelli, agli argani e alle apparecchiature elettriche, era stata realizzata nell’agosto del 2016. Da allora, ogni anno a novembre, si sono succeduti con regolarità i controlli alle funi. Sempre con esito positivo.”

Così si legge in una nota dell’azienda Leitner di Vipiteno – una delle più importanti aziende operanti nel settore dei trasporti a fune – che dal 2016 gestisce la manutenzione dell’impianto Stresa-Mottarone, mentre i controlli giornalieri e settimanali di esercizio fanno capo alla società di gestione Ferrovie del Mottarone.

La funivia, inaugurata l’1 agosto 1970, permette di fare un tour panoramico dal lido del Lago Maggiore alla vetta Mottarone. Il suo meccanismo prevede che, quando una cabina arriva in cima al suo tratto, l’altra sia a valle. Infatti, le cinque persone rimaste chiuse dentro la funivia domenica, sono state liberate dai vigili del fuoco con delle carrucole, sul lato opposto al punto in cui è avvenuta la tragedia.

Dopo l’inaugurazione, nel 1997, la fune portante e quella di traino erano state sostituite. Nel 2010 erano state cambiate le funi di soccorso su entrambi tronchi.

Un elemento che va, però, tenuto a mente è che l’impianto era stato messo fuori servizio fra il 2014 e il 2016, visto che gli interventi di manutenzione non erano sufficienti a garantire sicurezza. Nel 2016, fu effettuata una revisione generale proprio da Leitnerche da allora è incaricata di svolgere le manutenzioni – dopo la quale si è proceduto con la sostituzione dei motori, dei quadri elettrici, dell’apparato elettronico e dei trasformatori. Sono stati svolti anche dei lavori, per il costo di 4.4 milioni di euro, finanziati dalla Regione Piemonte e dal Comune di Stresa.

Prima di questa chiusura, un’altra venne effettuata alla fine degli anni ’90, ma l’unico episodio riconducibile a un qualche guasto risale al 2001, quando la funivia si bloccò nel primo tratto dopo la partenza da Stresa, motivo per cui era stato necessario l’intervento dei soccorritori per portare in salvo una quarantina di turisti.

 

Il giorno della tragedia

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

Dopo le recenti chiusure per il covid, la funivia era stata riaperta il 24 aprile e questa era una delle prime domeniche con molti turisti, soprattutto per le piacevoli condizioni meteo, grazie alle quali era possibile godere del panorama visibile dalle cabine.

E’ stato rivelato che qualcosa sembrava non funzionare già il giorno prima della tragedia. Alcuni testimoni raccontano di essere rimasti bloccati ad alta quota.

Domenica, la cabina è precipitata a causa della fune ha ceduto quasi alla vetta Mottarone, a 100 metri prima dell’ultimo pilone, in uno dei punti più alti, dove la funivia viaggia più staccata da terra. A bordo 15 persone, 13 quelle morte sul colpo.

“Due escursionisti hanno sentito un fischio e hanno visto questa cabina che di colpo ha iniziato a retrocedere fino al pilone dove è sbalzata a terra fermandosi solo contro degli abeti”. Lo ha raccontato la sindaca di Stresa, Marcella Severino, una delle prime persone a giungere sul Mottarone.

I soccorsi (fonte: ilfattoquotidiano.it)

“Non c’è l’obbligo personale di personale a bordo, ogni cabina è dotata di una telecamera e anche di un microfono. C’è il cavo portante su cui appoggia il carrucolino, c’è il cavo di traino e c’è anche il cavo di emergenza che corre sotto. È questo che non riesco a spiegarmi: non ha funzionato il sistema di sicurezza. Deve esser successo qualcosa di molto grave.” ha spiegato Sergio Bracco, volontario delle guardie forestali, il quale conosce bene l’impianto e il suo funzionamento.

Nel tardo pomeriggio, il bilancio delle vittime è salito a 14, uno dei bambini ricoverati al Regina Margherita di Torino per le gravissime lesioni riportate non ce l’ha fatta: il piccolo, 6 anni, era stato intubato in Rianimazione. Lotta fra la vita e la morte l’altro bambino, di 5 anni.

A mezzogiorno, l’arrivo dei soccorsi. I vigili del fuoco e il personale del Soccorso alpino si sono trovati di fronte una scena “devastante”, persone sparse intorno alla cabina schiantata. Questa, dopo l’impatto è rotolata sbalzando fuori alcuni corpi che al momento dei primi soccorsi non erano stati visti. Cinque salme sono state recuperate all’interno e otto nel bosco. I due bambini feriti sono stati portati in elicottero all’ospedale.

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

 

Le dichiarazioni

“La funivia non aveva mai avuto problemi. Va fatta chiarezza su cosa non ha funzionato in questa maledetta mattina.” – ha dichiarato la sindaca nel programma televisivo “Non è l’Arena”  – Il gestore mi ha detto che ha i documenti e i verbali di tutto, poi ci sarà chi dovrà fare tutti i controlli del caso.”

Il comandante del reparto operativo dei Carabinieri di Verbania, Giorgio Santacroce, ha invece affermato che ancora le indagini dovranno chiarire le dinamiche. Proprio per questo per oggi era stato già organizzato un tavolo per l’incontro tra le diverse forze dell’ordine, Protezione civile e il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini: “Domani mattina sarò a Stresa insieme al capo dipartimento della Protezione Civile Curcio per incontrare il prefetto e le altre autorità così da acquisire ulteriori informazioni su quanto accaduto e decidere il da farsi.”.

Messaggi di cordoglio dal premier Mario Draghi, ma anche dall’estero, dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in una nota ha voluto esprimere il dolore per l’accaduto:

«Il tragico incidente alla funivia Stresa-Mottarone suscita profondo dolore per le vittime e grande apprensione per quanti stanno lottando in queste ore per la vita. Esprimo alle famiglie colpite e alle comunità in lutto la partecipazione di tutta l’Italia. A questi sentimenti si affianca il richiamo al rigoroso rispetto di ogni norma di sicurezza per tutte le condizioni che riguardano i trasporti delle persone».

 

Rita Bonaccurso

 

Dramma in Israele: valanga umana durante una celebrazione religiosa, almeno 44 morti e centinaia di feriti. Problemi nell’organizzazione.

Nella notte tra giovedì e venerdì centinaia di persone sono rimaste coinvolte in un tragico incidente avvenuto in Israele durante le celebrazioni del Lag B’Omer, una festività religiosa ebraica. Almeno 44 i morti e circa 150 i feriti di una “valanga umana” che si è creata durante il pellegrinaggio al Monte Meron, presso la tomba del Rabbi Shimon bar Yoḥai, a cui hanno partecipato – si stima – più di 100,000 persone nella violazione delle norme anti-covid imposte dal governo israeliano.

Nonostante più del 56% della popolazione israeliana abbia ricevuto il vaccino, il rischio di contagio nel Paese rimane ancora possibile – soprattutto con riguardo alle ultime varianti per cui si consiglia la «massima allerta».

Quanto alle dinamiche, inizialmente si pensava ad un crollo di una tribuna allestita nel luogo in cui si teneva un concerto in onore della celebrazione, ma successivamente l’ipotesi è stata smentita. Le probabilità suggeriscono che sia stata la scivolosità della pavimentazione (causata da acqua ed altri liquidi rovesciati per terra) ad innescare l’incidente. Nonostante ciò, le forze dell’ordine stanno ancora indagando sulla ricostruzione dei fatti.

Il Lag B’Omer

La festività è stata istituita il 33° giorno dell’Omar (un’usanza con cui si contano i giorni che decorrono tra la Pasqua ebraica e la Pentecoste) in occasione dell’anniversario della morte del Rabbi Shimon bar Yoḥai (conosciuto come autore dello Zohar, il libro profetico ebraico). Durante questo giorno si ricordano i 24,000 allievi del Rabbi Akiva morti – secondo una versione – a causa di una misteriosa malattia oppure – secondo un’altra versione – durante la grande ribellione contro l’occupazione romana.

Trattasi solitamente di un momento di grande gioia e celebrazione, in quanto vengono sollevate le proibizioni dell’Omer e la popolazione ne approfitta per organizzare feste, matrimoni e falò in pubblica piazza. Come già accennato, migliaia di pellegrini si recano inoltre sul Monte Meron presso la tomba del Rabbi.

I problemi riguardanti l’organizzazione

Dal suo lettino d’ospedale, una delle vittime dell’incidente ha commentato l’avvenimento:

Le persone non respiravano, ricordo di aver sentito tantissima gente gridare: “Non riesco a respirare“.

Alcuni testimoni raccontano di essersi sentiti in un campo di battaglia, mentre alla televisione ricorrono immagini di decine di corpi ricoperti dai teli delle ambulanze.

(fonte: nytimes.com)

Un trauma incredibile per la comunità ebraica che solo nelle ultime settimane era riuscita a vedere uno spiraglio di libertà dall’emergenza pandemica. Tuttavia, un incidente del genere non è nuovo al Paese: già nel 1911 molte persone avevano perso la vita in circostanze simili. Adesso, però, si cercano i responsabili. La polizia è già al lavoro per la ricostruzione della vicenda – spiega Eli Levy, portavoce della polizia -, ma è ancora troppo presto per attribuire delle colpe o parlare di negligenza.

In realtà, già prima del disastro in molti avevano avvertito una forte preoccupazione. Di giovedì due persone sono state arrestate per aver ostacolato la polizia nel mantenere l’ordine ed il rispetto delle restrizioni, ma si tratta di sforzi inutili: la vastità della folla ha impedito qualsiasi intervento delle forze armate.

Ancor prima dell’inizio della celebrazione, il Ministro della Salute israeliano aveva espresso la propria perplessità circa l’evento che avrebbe accolto più di 500,000 pellegrini, definendolo una disgrazia che avrebbe potuto condurre ad uno scoppio del contagio da COVID-19, ma la realtà dei fatti è stata ancor più veloce ed atroce.

Aspre critiche erano già state rivolte nei confronti dell’organizzazione, che aveva istituito solo una stretta uscita da cui far affluire la folla. La disgrazia, sfortunatamente, era già stata annunciata da molte testimonianze.

Le parole degli esponenti politici

Sulla vicenda si sono già espressi moltissimi esponenti politici da tutto il mondo.

Sul fronte internazionale anche il Consigliere per la Sicurezza Nazionale statunitense, Jake Sullivan, ha espresso le proprie condoglianze per la comunità israeliana, così come l’Ambasciatore UE in Israele Emanuele Giaufret.

(fonte: twitter.com)

Profondamente afflitto dalla terribile notizia dei feriti e dei morti alla celebrazione del Lag Ba’Omer sul Monte Meron. Le mie più sincere condoglianze vanno alle famiglie delle vittime ed auguro una pronta guarigione a tutti coloro che sono rimasti feriti.

 

Valeria Bonaccorso

La parola all’ AIFVS : perchè “vittime e imputati” noi non ne vogliamo

Troppo sangue, troppi morti, troppi titoloni sui giornali che non servono a nulla. Le ultime notizie di cronaca portano nuovamente alla luce il problema della sicurezza stradale: problema forse troppe volte sottovalutato dall’atteggiamento ambiguo delle Istituzioni e, ovviamente, dall’incoscienza umana. Di chi sia la colpa a noi poco importa, ma ci siamo chiesti come ci si debba sentire a essere”vittima della strada”, poco tutelato, inadeguatamente risarcito e soprattutto, perennemente incerto sul fatto che la giustizia prima o poi farà il suo corso. Per tentare un analisi, anche in questo momento cosi difficile, abbiamo incontrato la signora Giuseppa Cassaniti Mastrojeni, presidente dall’AIFVS (Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada) che ha accettato di scambiare quattro chiacchiere con noi di UniVersoMe.

1. La vicenda di Lorena ci invita ancora una volta a riflettere su chi come lei è stata vittima dell’incoscienza altrui. Lei che opinione si è fatta?

Mi lasci dire innanzitutto che questi sono comportamenti irresponsabili, tenuti addirittura da un appartenente alle Forze dell’Ordine e che a maggior ragione vanno considerati come gravissimi e inescusabili. Toccherà al magistrato applicare la legge in maniera adeguata, tenendo conto della nuova legge in vigore (Legge 23 Marzo 2016 n. 41), in base alla quale bisognerebbe verificare quanto era il tasso alcolico nel sangue. Per l’AIFVS questo episodio si configura certamente come omicidio stradale: è vero che la ragazza è arrivata in ospedale con lesioni gravissime, ma è anche vero che queste lesioni si sono rivelate irreversibili e hanno portato alla morte. Questa è la realtà, non tergiversiamo con le parole: quel che è successo è un atto criminale, un crimine stradale.

2. L’AIFVS è stata, dalla sua fondazione, un punto di riferimento per tutti coloro che hanno perso qualcuno o sono state vittime della strada. Come giudica l’attività fin qui svolta?

Io sono Socio fondatore e lo sono diventata in conseguenza dell’uccisione di mia figlia Valeria, investita in Via Filippo Bianchi, da una macchina che andava a 130 km/h, in una zona dove il limite è 30. Ancora oggi ritengo che la giustizia non mi abbia tutelato, non abbia tutelato mia figlia e non punito nella maniera più giusta chi l’ha uccisa. In tutti questi anni abbiamo cercato di prevenire incidenti stradali come questi, fornire assistenza legale alle vittime e alle loro famiglie. Nel 1998 io ho fondato il primo Comitato e poi due anni dopo ci siamo costituiti come associazione. Fin dall’inizio quel che è stato presente ai nostri occhi è la sottovalutazione, da parte della giustizia, dell’omicidio stradale. Nel 2001 abbiamo fatto una proposta di legge, per chiedere che l’autore di simili atti, responsabile di quel comportamento che nella maggior parte dei casi ha “sradicato” un diritto appartenente ad altri, sia sanzionato in quanto “comportamento colposo”. Ci siamo però trovati di fronte sempre un atteggiamento molto scialbo da parte delle autorità e di questo mi rammarico molto.

3. Secondo lei lo Stato ha qualcosa da farsi perdonare?

E’ il motivo per il quale ci siamo costituiti come associazione. Lo Stato non è disposto al cambiamento, alla prevenzione, a costruire un serio sistema di sicurezza per gli automobilisti. Si tutelano sempre i poteri dei forti e mai quelli dei deboli: le faccio un esempio: la tendenza per quanto riguarda i risarcimenti in materia di sicurezza stradale è sempre quella di abbassare il livello,per fare anche un favore alle compagnie assicurative, e in questo modo di fatto si distorce l’episodio, lo si trasforma in qualcosa che ha poca importanza. Nessun governo fino a questo momento ha cambiato marcia: da Berlusconi a Renzi non è cambiato assolutamente niente. Se lo Stato non fa nulla dobbiamo pensarci noi, mobilitandoci, incoraggiando proposte e idee per cambiare questa situazione. Lo Stato e le associazioni devono collaborare: ognuno ha una funzione fondamentale nella società, quella di rappresentarla nel modo giusto.

4. E’ utile concentrare l’attenzione sul nuovo reato di “omicidio stradale “ (Articolo 589-bis del Codice Penale). Qual è il suo giudizio come presidente dell’AIFVS?

Dobbiamo aspettare ancora. La legge è stata approvata a Marzo. E’ importante verificare “come” questa legge verrà applicata, le sue definizioni giurisprudenziali insomma. La mia paura è che si vada sempre al ribasso con l’interpretazione. Ci sono valori importanti della quale bisogna sempre tenere conto: il diritto alla vita, alla salute, alla giustizia. I giudici devono seguire questa linea: approcciarsi ad un problema cosi grave non è uno scherzo, è una grossa responsabilità. L’omicidio stradale è un comportamento che integra una grave trasgressione, e come tale va trattata. Cosi la persona che ha commesso questo reato sentirà davvero il peso del suo sbaglio del suo errore. E’ un meccanismo semplice, basta avere il coraggio di attivarlo.

5. Le cito un dato presidente: secondo il Road Safety Performance Index Report in Europa nel 2015 ci sono stati 26.300 decessi a causa di incidenti stradali, + 1,3% rispetto all’anno precedente. Come giudica questo dato?

Io conosco anche il dato italiano: siamo a +1,3%, in linea con la media europea ma comunque preoccupante. Ribadisco il concetto: non c’è un impostazione corretta del problema. Che cosa bisogna fare in questi casi? Bisogna prevenire: noi non vogliamo un incidenti, non vogliamo vittime e imputati. Noi dobbiamo operare secondo l’obiettivo che si è posto il Parlamento Europeo nel 2011: “la visione zero”, la salvaguardia del diritto alla vita, della sicurezza di ogni persona. Ma cosa è prioritario oggi per il nostro governo? Le indicazioni in tal senso dovrebbero provenire dal centro. Senza di esse come si può anche solo concepire un progetto di salvaguardia per la sicurezza stradale? L’obiettivo europeo del resto è semplice: abbassare del 50% gli incidenti stradali entro il 2020. Ma sembra, da questi dati, che stiamo facendo passi indietro.

6. In conclusione c’è un messaggio che possiamo dare agli studenti, un monito dopo quest’ultima tragedia che ha colpito la nostra città?

Bisogna reagire, bisogna mobilitarsi affinchè la morte di Lorena non rimanga un episodio come tanti, come la morte di mia figlia. Si potrebbe pure pensare ad una manifestazione per ricordare questa ragazza. E’ vostro dovere mettervi in gioco e far sentire la vostra voce: non rassegnatevi a lottare per ciò che ritenete giusto. La vostra vita è preziosa come lo era quella di chi è morto sull’asfalto. Quel che mi auguro che proprio da voi parta la voce della giustizia, una giustizia seria e onesta, che valuti gli errori per quel che sono e assicuri la giusta pena a chi , per far valere un suo diritto, lo ha tolto ad un altra persona.

 

conferenza-cassaniti

L’eleganza di tacere

Sarà che a volte non ci penso. Anzi, sarà che non ci penso proprio. Sono quei casi della vita in cui ti dici “figurati se può foto-messinasuccedere a me”. Di amici, conoscenti, sulla strada ne ho visti morire un paio, non è un numero o un’esperienza di cui vantarsi, il dolore per carità non può essere relativizzato, ma sicuramente la sofferenza fa riflettere. Ho conosciuto decessi a 16 anni, a 19, a 21 e, adesso, a 23. Lorena probabilmente sabato non aveva chissà quali pensieri. Guidava una panda (diciamocelo Lorena, una frizione peggiore non potrebbe esistere) salendo da una via periferica della città, forse diretta verso la litoranea, per una di quelle sere d’estate collocate nel bel mezzo della sessione d’esami, tra prove date e prove ancora da dare. Quando ha imboccato l’incrocio, passando il punto dell’incidente, lei sicuramente neanche si sarà detta “figurati se può succedere a me”. Ha normalizzato il fatto che fosse tutto ok, che niente potesse ferirla, ma a quanto pare il concetto di normale è, adesso (e questo adesso dura da troppo), ribaltato. Per carità, quando si guida, dice mia nonna, ci vogliono gli occhi dietro, davanti e di lato, ma quando all’una e mezza di un sabato notte attraversi un incrocio deserto rispettando il codice della strada, non ti aspetteresti tutto questo. Normalità, a quanto sembra, è diventata sfrecciare a chilometri oltre il limite della legge in città, fare gare con altre auto, mettere a repentaglio la propria e l’altrui vita, tra l’altro avendo bevuto quel drink o quella birra di troppo che, quando si sta dietro ad un volante, dovrebbe essere solo un miraggio. Lorena era una studentessa dell’università di Messina, non ha mollato subito, ha tenuto duro alcuni giorni ma, alla fine, ci ha lasciati. Chi guidava l’Audi che l’ha travolta speronandola (fattelo dire, una signora macchina ma usata in maniera molto meno signorile) non ha considerato normale andare ad una velocità consentita, non ha considerato normale non bere prima di mettersi sul sedile, non ha considerato normale mandare a cagare (scusatemi, ma consideratelo normale) l’amico che gli avrà proposto “vediamo chi arriva prima”. Ha considerato normale pensare “figurati se può succedere a me”. Per carità, come detto sopra è la frase che gira a tutti in testa quando siamo giovani e ci sentiamo i padroni assoluti del mondo. “Figurati se può succedere a me. Tanto in strada non c’è nessuno”. Oso, anzi, esagero, ma credo che la frase pensata dal guidatore dell’Audi sia stata questa. Credere che in strada non ci sia nessuno è qualcosa di agghiacciante. Lorena non era nessuno, era un sorriso in macchina con le amiche, la radio a tutto volume e la testa già verso il mare, era semplicemente una ragazza che, quel nessun, non se lo meritava assolutamente. I fatti sono chiari: Lorena all’una e mezza del mattino ha imboccato l’incrocio tra torrente trapani e via Garibaldi, venendo travolta dal finanziere che, a folle velocità, ha distrutto la sua auto. I soccorsi immediati, i giorni di agonia ed infine la morte. E’ sbagliato in questi casi santificare, maledire, supporre e parlare. Il dolore merita silenzio. Il dolore merita soprattutto rispetto, quel rispetto che è mancato, che, “andando troppo piano”, si è andato a schiantare contro la vita. Una vita che però, anche se spezzata, aiuterà quella di altre persone, di altri che magari, in situazioni tragiche, avranno bisogno di una mano: gli organi di Lorena, infatti, verranno donati. Anche noi di UniVersoMe ci uniamo al silenzio, pochi pensieri sparsi, questi, che non valgono realmente quanto un cambio effettivo di rotta: dovremmo tutti cominciare a dirci “può accadere anche a me, soprattutto a me, di trovarmi da una o l’altra parte”. La vita non ha una valenza effettiva, allora diamo vita agli attimi non dimenticando che “figurati” e “nessuno” non sono termini comprensibili. A 16, a 19, a 21 ed a 23 anni.

I ragazzi di UniVersoMe