Lorraine e l’angelo

Quando si pensa all’aldilà, che sensazione si prova? Cosa potrebbe mai esserci dall’altra parte? Paradiso o Inferno? Angeli o demoni? Almeno questo era ciò che si credeva in genere. Lorraine non conosceva la risposta esatta a quelle domande, né tantomeno sapeva perché mai una persona, soprattutto giovane, avrebbe dovuto chiederselo, con tutti gli interrogativi che già offriva la vita terrena. Come vive un ateo? Se lo chiede spesso, questo. Per lei è inconcepibile l’ateismo. Lei, che sin da piccola vedeva cose strane, assisteva a fenomeni inspiegabili, che nemmeno lei capiva all’inizio. Quando era piccola, aveva paura di ciò che vedeva. Nessuno le credeva, ovviamente. Pensavano fosse una pazza svitata, una da manicomio. Aveva comunque cercato di vivere una vita normale, si era fatta delle amiche. Certo, poi aveva conosciuto Ed, e tutto era cambiato. La sua vita non era mai stata semplice, sin dall’infanzia, e da quella volta in ospedale…

…- Scendi dalla macchina, Lorraine. Dai, che andiamo a trovare la zia-. La zia aveva avuto un problema di salute, Lorraine non sapeva per certo di cosa si trattasse, ma la mamma era andata in ospedale a trovarla, ed ora che la zia stava meglio, lei poteva andare a farle visita. Quel giorno, Lorraine aveva saltato la scuola. Questo non faceva felice sua madre, ma allo stesso tempo andare a trovare la zia era la cosa giusta. Entrarono nella hall, una sala grande, con tanti pazienti che attendevano il loro turno, chi per visitare parenti come loro, chi per farsi fare una visita. C’erano un paio di infermieri, che annotavano costantemente ogni informazione su un quaderno. Le mandarono in un reparto al piano superiore dell’ospedale, che da poco tempo si era ammodernato con l’aggiunta dell’ascensore. Lorraine non capiva come avessero fatto i pazienti precedenti a salire senza ascensore fino al 1935. Pigiò il bottone per il secondo piano, e salirono. Quel giorno sua madre indossava un abito lungo, stretto in vita, e con una lunga gonna che le scendeva fin quasi alle caviglie. Dalla vita in su, invece, indossava una camicia bianca, maniche lunghe, con sopra una giacca blu, chiusa fino al merletto che copriva il collo. –Buongiorno- Salutarono l’infermiera presente in reparto, che le condusse fino alla stanza dove stava la zia, che appena la vide, il volto le si allargò in un sorriso. –Ciao, Lorraine. Niente scuola oggi? Sei venuta a trovarmi con la mamma? Ma quanto sei cresciuta, e da quando avevi 5 anni che non ti vedo!! Quanti anni hai adesso?-. – Otto- rispose lei. – Stai crescendo in fretta!!- le disse la zia. – Non tanto da dormire sola di notte. Questa notte è corsa da me piangendo, perché ha avuto un incubo- disse sua madre. In effetti, ora che ci pensava, Lorraine soffriva spesso di incubi durante le notti, poi correva nel letto dei genitori. Non riusciva a capire il motivo di quegli incubi. E inoltre, a volte le sembrava di estraniarsi dalla realtà. Percepiva cose strane, aveva delle sensazioni. Era in grado di capire quando una persona stava per cadere ancora prima di vederlo con i propri occhi. Non sapeva come era in grado di farlo, né perché. La mamma non lo sapeva questo, Lorraine non voleva dirlo. Le avrebbe creduto? Aveva dubbi a tal proposito. A scuola, una mattina, era successo che durante una lezione di matematica, scorrendo le pagine del libro, aveva sollevato un attimo lo sguardo, con lo sguardo rivolto alla lavagna, per seguire la lezione della maestra. Fu allora che lo notò. Un’ombra nera si stagliava accanto alla maestra. Pensava a un effetto di luce, ma quando la maestra si spostò sotto la finestra per consentire loro di leggere la lavagna, l’ombra la seguì. Lorraine era stupita. Inoltre, l’ombra aveva assunto i contorni di una figura umanoide, cosa che non era possibile. La seguì con lo sguardo mentre si spostava sul muro, e si posizionava vicino al banco di un compagno. Dal muro si sollevarono due piccole nuvole nere, probabilmente braccia, e comparvero due mani nere, scarne, che si allungarono verso il banco, presero una gomma, e la tirarono addosso a un compagno. Lorraine corse fuori dall’aula improvvisamente, di fronte allo stupore dei compagni e della maestra stessa. L’aveva ritrovata una suora. Si era rifugiata in bagno, e piangeva. Sembrava uno dei suoi sogni. – Lorraine, non avere paura. La mamma mi ha raccontato del brutto sogno che hai fatto la notte scorsa. Non avere paura degli incubi, perché non possono farti nulla. Sii forte, torna in classe che la maestra è preoccupata-. Col tempo, Lorraine aveva provato ad essere forte, ma anche quando passava accanto alle compagne, quelle fuggivano da lei. Pensavano fosse pazza, probabilmente. E ora che sua madre e sua zia chiacchieravano, Lorraine si distrasse, uscì un attimo dalla stanza e vagò nel lungo corridoio del reparto. Il suono delle sue scarpe risuonò nel corridoio, fino a che non giunse a una stanza in cui riposava un anziano signore. Titubante, entrò, senza avere un motivo preciso. L’anziano riposava serenamente, ed era biancastro in volto. Un breve raggio di luce filtrava dalla piccola finestra, e illuminava un uomo seduto sulla sedia accanto al letto. L’uomo posò lo sguardo su di lei, e le parlò- Ciao, Lorraine.- la salutò. Lorraine non lo conosceva, e non sapeva come quell’uomo potesse conoscere il suo nome. Ma rispose timidamente al saluto. L’uomo, giacca e cravatta bianchi, ora giovane ora anziano (Lorraine non riusciva a capire che età potesse avere), le disse-Quest’anziano signore sta per lasciare l’ospedale, vuoi recitare una preghiera con me?- Lorraine annuì, pregarono insieme, e di nuovo l’uomo le rivolse la parola –Quando ne avrai bisogno, non esitare a chiamarmi- Lorraine non capiva come mai avrebbe dovuto rivolgersi a un tizio che nemmeno conosceva, però annuì comunque. -In realtà ci conosciamo già, ma questo lo capirai più avanti. Ci sono cose che non appartengono a questo mondo, e tu le dovrai affrontare.-  All’improvviso, quel bagliore di luce divenne accecante, e quasi Lorraine non ci vedeva più. Spostò leggermente la mano, e vide in piedi di fronte a lei, l’uomo che si stagliava ora a un metro da terra. Levitava, volava? Non credeva ai suoi occhi. Alzò lentamente lo sguardo, timorosa, e vide che il tipo indossava una tunica bianca(al posto dell’abbigliamento precedente) e dalle spalle si allargavano da ambo i lati due enormi ali bianche e candide, che toccavano le estremità della stanza, che a malapena le conteneva. Il volto era ora di un giovane ragazzo ora di un uomo di mezz’età(Questo non era cambiato). Capelli biondi, volto luminoso. Era un angelo quello che aveva davanti. L’anziano signore coricato sul letto non respirava più adesso, Lorraine capì. D’improvviso, come era comparso, l’angelo sparì in un bagliore…

… Da lì era cambiò ogni cosa, Lorraine comprese che ciò che vedeva e percepiva era reale, e anche se nessuno le credette andò avanti. A dire il vero, qualcuno che le credette ci fu. Un giovane ragazzo di nome Edward,che lei conobbe otto anni dopo, e assieme al quale avrebbe vissuto l’intera vita. Ma questo Lorraine ancora non lo sapeva.

Roberto Fortugno

Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Istanbul

La città che odora di spezie
Di tè alla mela e baklava col miele

La città dei canti
all’ora della preghiera due moschee
rispondono al loro dio
La prima con sei minareti blu oceano
La seconda dei musulmani,
Santa Sofia
ricostruita sulle macerie dei cristiani.

Un acquedotto sotterraneo
rapisce i turisti
quanto il palazzo del Sultano
Colonne si estendono sull’acqua in un percorso di luci alla Cisterna

Una via di gioielli, pietre e spezie
è il Bazar egiziano,
più piccolo e più adorato
del Gran Bazar che non ha inizio né fine

La città di un Oriente
maldipinto di paura
Separata dal Bosforo in antica e nuova
Per chi non ha voluto
capirne la cultura
Istanbul rubi l’anima a chi ti assapora

Alessandra Cutrupia

*Immagine in evidenza: Illustrazione di Marco Castiglia

L’uomo nel carro

Villa Von Stein apparve all’improvviso all’orizzonte dopo che ebbero superato un ultimo tornante

Era una struttura immensa, incastonata tra le montagne, nascosta da una fitta boscaglia che copriva l’intero primo piano, circondandolo in ogni lato

“Un luogo tetro e dimenticato da Dio” disse Pietro, non più giovane scrittore sulla quarantina, mentre conduceva la sua 500 Nera Dolcevita attraverso quei colli aspri e selvaggi

“Ti è sempre piaciuto drammatizzare” rispose Antonella, sua moglie, più giovane di lui di cinque anni, dottoressa in archeologia.

“Drammatizzare è il mio mestiere.”

Si erano spinti fin lassù dopo aver ricevuto l’invito di Franz Von Stein, un anziano nobiluomo tedesco, che aveva deciso di trascorrere gli ultimi anni della sua vita nell’Italia che aveva conosciuto da giovanissimo

“Come se la situazione non fosse già abbastanza drammatica” riprese sua moglie con fare indispettito

“Suvvia, volevo creare un po’ d’atmosfera”

“Atmosfera? Essere convocati…”

“Invitati” provò a correggerla Pietro;

“Invitati…da un ex nazista nella sua lugubre tenuta di montagna per valutare i suoi preziosi trofei di guerra non crea già abbastanza atmosfera?”

“Innanzitutto non era un nazista…”

“Ah no? Nella sua biografia io leggo Colonnello tedesco dal ’43 al’45 sul fronte italiano”

“Non tutti i tedeschi erano nazisti” rispose Pietro scrollando le spalle “O almeno, lui non lo era”

“Pensa ciò che vuoi” tagliò corto lei come sempre faceva quando in realtà aveva voglia di mettersi ad urlare.

Giunti alla villa parcheggiarono l’auto in uno dei grandi giardini antistanti, poi vennero accolti da un maggiordomo alto e smilzo

“Herr Vitelli und Frau Germanà?” domandò questi tirandosi su gli occhiali con l’indice

“Siamo noi”

“Seguitemi”

Camerata Franz s’è circondato di teutonici” disse scherzando Pietro

“Che strano! Un inquietante ex nazista quasi novantenne…”

“Ha ottantasette anni…” la corresse Pietro.

“Ottantasettenne…che si circonda di suoi connazionali altrettanto inquietanti”

“E da me cosa vuoi? Sei tu quella ingaggiata dal vecchietto. Io sono qui solo come accompagnatore…”

“E allora perché ha nominato prima te?”

“Che cosa?”

“Perché ha detto Herr Vitelli und Frau Germanà e non il contrario?”

“Sono tradizionalisti qui. Non farti queste domande. Valuta i maledettissimi gingilli del vecchiaccio, prendi i cinquantamila che ci ha promesso e filiamo via.”

“Avrebbe dovuto dire “Frau Germanà und Herr Vitelli”…” mormorò ancora Antonella mentre entravano nella villa

“Già, ma dubito che da queste parti conoscano l’espressione parità di genere. E non a causa della scarsa padronanza dell’italiano.”

L’interno di Villa Grandi sembrava un enorme mausoleo della Seconda Guerra Mondiale comodamente racchiuso nel personale “buen ritiro” del Colonnello Von Stein

Elmetti arrugginiti, fucili d’ogni foggia, financo qualche granata in bella mostra, e questo solo nell’anticamera del primo piano.

“Inquietante…” mormorò ancora Antonella

“Sono solo armi.”

“Armi americane. E’ tutta roba che ha preso dai cadaveri dei suoi nemici. Riesci a pensare a quanta gente abbia sulla propria coscienza questo vecchio?”

La domanda rimase senza risposta, poiché si accorsero, con loro grande sorpresa, di essere gli ultimi arrivati all’asta indetta da Von Stein.

Non meno di una ventina di persone avevano già preso posto sulle tribunette allestite lungo la sala grande della villa, tutte o quasi coetanee del vecchio colonnello

Ma ciò che lasciò Pietro e Antonella senza fiato fu vedere cosa si trovava al centro della sala: un M4 Sherman o ciò che ne restava. La carcassa annerita di un vecchio carro armato americano degli anni’40, sulla cui carena era ancora ben visibile la stella bianca

“Herr Vitelli?”

Una voce debole e stridula, proveniente dal fondo della sala, richiamò la loro attenzione

Sordi rumori si fecero sempre più vicini, come il ticchettio di un vecchio orologio morente.

Franz Von Stein apparve di fronte a loro reggendosi a fatica al suo bastone, mentre una signora corpulenta sulla quarantina lo sosteneva dal braccio.

“È un piacere conoscerla…” sussurrò in perfetto italiano “…questa è sua moglie? Frau Germanà, ja?”

“È lei” confermò Pietro mentre Antonella annuiva timidamente

“Mi hanno detto grandi cose di lei” riprese Von Stein stringendo la mano prima a Vitelli e poi a sua moglie “Spero siano tutte vere”

“Lo speriamo tutti” disse un uomo con spalle larghe e postura militare.

“Ingaggiarla è stato assai oneroso.”

“I soldi non sono un problema, Ludwig, non per me” lo redarguì il vecchio.

“Papà, devi capire che…”

“No! No! No! Sei tu che devi capire!” esclamò Von Stein volteggiando il bastone e puntandolo verso l’uomo dalle spalle larghe “Questa casa, questo carro, tutto ciò che vedi e anche quello che non riesci a vedere appartiene a me! E mi apparterà finché non tirerò le cuoia. Poi potrai sperperarlo come meglio potrai. Ma fino ad allora, taci e sta al tuo posto, chiaro?”

“Certo padre…” mormorò con freddezza Ludwig Von Stein abbassando lo sguardo

“Ed ora, Frau Germanà, il carro…”

“Il carro?”

“Lo valuti, su!” la invitò il vecchio Colonello

“Non ho competenze in questioni militari” si schermì Antonella

“Quando analizza una biga d’epoca imperiale lo fa perché si intende di ippica? No di certo. Lo fa valutandone il valore storico. Ed io questo le sto chiedendo…”proseguì il colonnello in pensione dando alcuni pugnetti alla carena ferrata dello Sherman “…quanto vale un carro americano della Seconda Guerra Mondiale, dal punto di vista storico?”

“Ebbene…” rispose Antonella dopo aver deglutito intimorita “…dovrei guardare gli interni.”

“Facciamolo subito!” esclamò Franz Von Stein schioccando le dita verso il suo maggiordomo “Aprilo”

Il maggiordomo raggiunse il carro portando con sé una scaletta di legno, vi salì, e cominciò maldestramente a maneggiare il cupolino dello Sherman

“Levati!” urlò a quel punto Von Stein spingendolo via e prendendo il suo posto sulla scaletta “Qui dentro devo fare sempre tutto io…”

Nonostante l’età e il fisico precario, il vecchio colonnello riuscì rapidamente ad aprire il cupolino del carro

“Eccoci qua…Così…Ma che cosa!?”

Un tonfo sordo squassò la placida calma della sala grande. Il vecchio trasalì, scivolò all’indietro e cadde rovinosamente a terra

Suo figlio Ludwig fu il primo a raggiungerlo, seguito poco dopo dagli altri ospiti, inclusi Pietro e Antonella.

“Papà, papà…” ripeté l’erede dei Von Stein agitando il padre privo di conoscenza, mentre il maggiordomo tastava il polso del vecchio

“Mio signore, Herr Von Stein è morto.”

“E non è l’unico” disse Pietro guardando con disgusto all’interno del carro “C’è anche lui”

All’interno dello Sherman giaceva senza vita Daniel Von Stein, secondogenito del colonnello e fratello minore di Ludwig

“Il signor Von Stein è morto di crepacuore” dissero qualche ora dopo i medici accorsi nella villa.

“Alla vista del cadavere del figlio il suo cuore non ha retto” commentò Antonella.

“Ok, il vecchio è morto di crepacuore. Ma Daniel? Com’è morto?” domandò Pietro al medico legale.

“Asfissia.”

“Asfissia?”

“L’hanno chiuso dentro il carro” rivelò il medico

“La morte risale a circa 24 ore fa” aggiunse il collega

“Quindi possiamo escludervi dai sospettati” intervenne il commissario di Polizia Paride Ferri

“Sia voi due che i partecipanti all’asta siete liberi di andare. Il signor Ludwig invece…” proseguì Ferri voltandosi verso il rampollo dei Von Stein, il quale era tenuto sotto torchio da diversi agenti.

“Crede sia stato lui?” chiese Vitelli al Commissario

“E chi altri potrebbe essere stato? I romani dicevano cui prodest, e qui l’unico che trarrà vantaggio dalla morte del padre e del fratello è proprio Ludwig Von Stein.”

“Sembra proprio uno dei tuoi romanzi” sussurrò Antonella a Pietro

“Nei miei romanzi però i morti sono finti. E alla fine si scopre sempre chi è stato.”

“Lo sappiamo anche adesso.”

“Ma chi, Ludwig? E’ troppo scontato…”

“A volte la vita lo è. Non dev’essere tutto colpi di scena e cliffhanger. A volte banalmente è il figlio rancoroso con la famiglia che stermina la famiglia per prendersi l’eredità”

“E il movente?” domandò ancora Pietro alla moglie.

“La villa, il carro, i pezzi d’antiquariato e il mezzo miliardo di franchi svizzeri del vecchio sono un ottimo movente.”

“E tutte queste cose le avrebbe comunque ricevute. Se non oggi, tra qualche mese o anno. Era già l’erede universale dei beni del padre. Perché ucciderlo e rovinarsi con le proprie mani?”

“Stupidità?”

“Forse. Oppure…”

“Molto bene signori Vitelli, questa è una scena del crimine”li interruppe Paride Ferri.

“Dovreste andarvene, lasciate fare alla Polizia.”

E così fecero, lasciarono fare alla Polizia. La quale incriminò Ludwig Von Stein per l’omicidio del fratello Daniel, e sequestrarono tutti i beni del vecchio Franz

Il processo andò avanti per mesi, divenendo appuntamento fisso sulle prime pagine dei principali giornali, sia tedeschi, sia italiani, e si concluse con la condanna di Ludwig Von Stein a 26 anni di carcere, da scontare in Germania, sua patria d’origine.

Pietro e Antonella dimenticarono quel caso, proseguirono con le loro vite, affrontarono altri casi altrettanto se non più articolati.

Finché un giorno, a bordo della loro 500 Nera Dolcevita non udirono alla radio che il testamento di Franz Von Stein era stato miracolosamente ritrovato proprio il giorno successivo alla chiusura del processo di Ludwig.

“Con un colpo di scena degno del miglior thriller hollywoodiano, il testamento del magnate Franz Von Stein, morto di infarto due anni fa, è riemerso tra le carte dell’ufficio ormai abbandonato dell’ex colonnello della Wermacht, gettando un’ombra sinistra sul metodo investigativo del Commissario Ferri”

“Lasciate fare alla Polizia” lo schernì Pietro.

“Zitto! Lasciami ascoltare” lo redarguì Antonella alzando il volume della radio.

“Dal testamento, emerge la figura di Thomas Kramer quale unico beneficiario delle ricchezze di Von Stein.”

“Thomas Kramer? Chi è Thomas Kramer?” si domandò sua moglie.

“Il maggiordomo di Villa Von Stein sarà felice di sapere che l’uomo che per tanti anni ha accudito, si è rivelato essere così generoso nei suoi confronti.”

Pietro ed Antonella si guardarono per qualche secondo, poi scoppiarono a ridere sguaiatamente.

“Allora è vero che il colpevole è sempre il maggiordomo…”

Giuseppe Libro Muscarà

Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Fantasmi

Nella mente
la malinconia,
a dover rimarginarsi
è rimasta la ferita.
Il nostro legame
l’ha portato via
il vento improvviso.
Hai colpito il mio cuore
e ne hai fatto polvere,
hai frantumato i ricordi
e li hai resi schegge.
Il lieto fine ormai
svanisce nell’oblio.
Non c’è più amore,
solo silenzio
e tanto rancore.
Siam due fantasmi
che hanno vissuto
un sentimento parallelo
che non s’incontra mai.

Alda Sgroi

immagine in evidenza: Illustrazione di Marco Castiglia

Una domenica pensante

Questa domenica
mi sento nemica
di me stessa
persa in un’essenza
di pensieri
negativi
ora e ieri
diventano il futuro
di un muro davanti a me
di felicità sempre a metà

Questa domenica
in una casa spenta
di anime ubriache
da utopiche realtà
di un troppo che si desidera
e di un poco che si detesta
il denaro sempre
resta la priorità
nella loro testa

Questa domenica
non cambia
il peso di un cuore appeso
in un sogno arreso
la mia domanda è lecita
un sole esiste
In un buio che persiste?

Questa domenica
pesco sogni
ma trovo sempre fallimenti
di sbagli ripetuti
e delusioni inevitabili
non cambia niente
in questa mente
che tutto crede
E niente sente

Miriana Postiglione

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Mare


Mare

inizio e fine di tutte le cose.

Culla della civiltà.

Da te, leggenda narra,

nacque la Dea Afrodite,

dea della bellezza

e dell’amore,

a testimoniare

la tua magnificenza

e grandezza.

Sei al centro delle

storie più grandi.

I tuoi fondali

nascondono

i più antichi segreti.

In te nasciamo,

in te vogliamo morire.

Chiara Fedele

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Ode

Combattere il disgusto di un nuovo acquisto
Il magnetismo di un tozzo di pane
Nutrito dalla farina di un altro sacco
Uso le poche parole che so
Che ho
Per giustificare la mia prepotenza
Nel dargli voce
Non hanno stile o
Grazia o arguzia
Sono trite e ritrite
Dentro lo studio di un
Macellaio
Sono lo strazio
Tra le urla di un vitello
E il silenzio di una
Vita avariata

Chiara Tringali

Caterina

Raccolse il cellulare, lo sbloccò e guardò.
Quando la vide il suo cuore sussultò, come era sempre stato.
Indossò le cuffie, lo faceva sempre quando voleva riflettere, sfogarsi o fuggire dalla realtà.
Si chiese se quello fosse amore, ma come poteva avere una risposta? Quando mai l’aveva provato? Quando mai l’aveva vissuto?
Cos’è l’amore? Domanda che una moltitudine di donne e uomini s’è posto almeno una volta nella vita in ogni epoca del mondo, chi trovando una risposta, chi non trovandola mai, chi prendendo la realtà traslandola a sogno.
Sapeva solo che quegli occhi scuri, quei ricci bruni, quelle dita screpolate e mangiucchiate, quel corpo scricciolo eppure così energico, quel sorriso pieno di sogni, quella voglia di vivere erano le cose più belle che avesse mai visto in vita sua.
E lui ne era degno? Era degno di tutto quell’amor di vivere?
Mille volte l’aveva sognata, mille e una s’era svegliato senza di lei, ma nemmeno per un secondo quel nome, Caterina, era scomparso dai suoi pensieri.
L’avrebbe mai incontrata? Le avrebbe mai parlato? Avrebbe mai avuto il coraggio di dire quel “ti amo”?
Forse anche quello era solo l’ennesimo sogno.
Aveva affogato quel sentimento, reprimendolo dietro un “non succederà mai”, ma passavano i giorni, le settimane e i mesi, ed esso riaffiorava più forte e doloroso di prima, e l’agro nella sua bocca constatando l’assenza di lei si faceva cento volte più aspro.
Affogare quel desiderio convivendo col rimpianto, con il “come sarebbe stato se…”, oppure accoglierlo accettando il rischio di veder appassire quel sogno come una foglia d’autunno?
Ancora una volta non trovò risposta, trincerandosi dietro un cuore virtuale che tra altri cento sarebbe andato perduto nell’anonimato.
Rabbia, tristezza, esasperazione, desiderio, attrazione ed esitazione, paura e voglia di rivelare ciò che provava.
Camminava tra decine d’emozioni come un equilibrista su una fune, un equilibrio che era al contempo rifugio e prigione.
E intanto la musica era finita, il suo cuore ancora sussultava, e quel nome gli sarebbe ancora balenato in testa, “Caterina”, finché non avesse deciso di abbandonare la prigione del silenzio, assaporando la libertà del reale, qualunque fosse il suo vero sapore.

Giuseppe Libro Muscarà

In questa terra arida

In questa terra arida
che era la mia vita,
hai scavato a fondo con le dita
una buca dritta e profonda,
che hai riempito con tanti
piccoli semi di te.

In questa terra arida
che era il deserto del mio cuore,
da quei piccoli semi di te
è nata, nel sole di maggio,
una distesa d’amore,
fatta di frutti e di fiori,
verde di speranza e
profumata di petricore.

In questa terra arida
era sbocciata la primavera,
ma ora è tornato l’autunno
che mi spoglia di ogni cosa,
lasciandomi inerme al gelo,
e nella solitudine del dolore,
vorrei solo essere ancora
quella nuda terra che t’accoglie.

 

Gaetano Aspa

 

Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Serpi d’Oleandro

La mia passeggiata era accompagnata dal vermiglio Oleandro e la sua bellezza mi ripagava di tutti gli sforzi fatti per raggiungerlo. Di consueto, quel luogo, era così privo di rumori che riuscivo a sentire il suono del mio battito, ma quel giorno qualcosa interruppe il mio rituale. Si trattava di una serpe che strisciava vicino agli eleganti fiori. Mi fermai un attimo a guardare questo quadro e ad un tratto tutto mi sembro più nitido: Entrambi eran portatori di veleno, ma uno dei due lo nascondeva meglio. Passandoci accanto nella mia abitudinaria quotidianità, non l’avrei mai notato, distratto dai suoi doni tra profumo ed incanto, non avrei dubitato di lui, continuando a regalargli il mio tempo, proprio come la persona che amavo.

Carla Mascianá

*Immagine in evidenza: Illustrazione di Marco Castiglia.