Fantasmi

Nella mente
la malinconia,
a dover rimarginarsi
è rimasta la ferita.
Il nostro legame
l’ha portato via
il vento improvviso.
Hai colpito il mio cuore
e ne hai fatto polvere,
hai frantumato i ricordi
e li hai resi schegge.
Il lieto fine ormai
svanisce nell’oblio.
Non c’è più amore,
solo silenzio
e tanto rancore.
Siam due fantasmi
che hanno vissuto
un sentimento parallelo
che non s’incontra mai.

Alda Sgroi

immagine in evidenza: Illustrazione di Marco Castiglia

Una domenica pensante

Questa domenica
mi sento nemica
di me stessa
persa in un’essenza
di pensieri
negativi
ora e ieri
diventano il futuro
di un muro davanti a me
di felicità sempre a metà

Questa domenica
in una casa spenta
di anime ubriache
da utopiche realtà
di un troppo che si desidera
e di un poco che si detesta
il denaro sempre
resta la priorità
nella loro testa

Questa domenica
non cambia
il peso di un cuore appeso
in un sogno arreso
la mia domanda è lecita
un sole esiste
In un buio che persiste?

Questa domenica
pesco sogni
ma trovo sempre fallimenti
di sbagli ripetuti
e delusioni inevitabili
non cambia niente
in questa mente
che tutto crede
E niente sente

Miriana Postiglione

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Mare


Mare

inizio e fine di tutte le cose.

Culla della civiltà.

Da te, leggenda narra,

nacque la Dea Afrodite,

dea della bellezza

e dell’amore,

a testimoniare

la tua magnificenza

e grandezza.

Sei al centro delle

storie più grandi.

I tuoi fondali

nascondono

i più antichi segreti.

In te nasciamo,

in te vogliamo morire.

Chiara Fedele

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Ode

Combattere il disgusto di un nuovo acquisto
Il magnetismo di un tozzo di pane
Nutrito dalla farina di un altro sacco
Uso le poche parole che so
Che ho
Per giustificare la mia prepotenza
Nel dargli voce
Non hanno stile o
Grazia o arguzia
Sono trite e ritrite
Dentro lo studio di un
Macellaio
Sono lo strazio
Tra le urla di un vitello
E il silenzio di una
Vita avariata

Chiara Tringali

Caterina

Raccolse il cellulare, lo sbloccò e guardò.
Quando la vide il suo cuore sussultò, come era sempre stato.
Indossò le cuffie, lo faceva sempre quando voleva riflettere, sfogarsi o fuggire dalla realtà.
Si chiese se quello fosse amore, ma come poteva avere una risposta? Quando mai l’aveva provato? Quando mai l’aveva vissuto?
Cos’è l’amore? Domanda che una moltitudine di donne e uomini s’è posto almeno una volta nella vita in ogni epoca del mondo, chi trovando una risposta, chi non trovandola mai, chi prendendo la realtà traslandola a sogno.
Sapeva solo che quegli occhi scuri, quei ricci bruni, quelle dita screpolate e mangiucchiate, quel corpo scricciolo eppure così energico, quel sorriso pieno di sogni, quella voglia di vivere erano le cose più belle che avesse mai visto in vita sua.
E lui ne era degno? Era degno di tutto quell’amor di vivere?
Mille volte l’aveva sognata, mille e una s’era svegliato senza di lei, ma nemmeno per un secondo quel nome, Caterina, era scomparso dai suoi pensieri.
L’avrebbe mai incontrata? Le avrebbe mai parlato? Avrebbe mai avuto il coraggio di dire quel “ti amo”?
Forse anche quello era solo l’ennesimo sogno.
Aveva affogato quel sentimento, reprimendolo dietro un “non succederà mai”, ma passavano i giorni, le settimane e i mesi, ed esso riaffiorava più forte e doloroso di prima, e l’agro nella sua bocca constatando l’assenza di lei si faceva cento volte più aspro.
Affogare quel desiderio convivendo col rimpianto, con il “come sarebbe stato se…”, oppure accoglierlo accettando il rischio di veder appassire quel sogno come una foglia d’autunno?
Ancora una volta non trovò risposta, trincerandosi dietro un cuore virtuale che tra altri cento sarebbe andato perduto nell’anonimato.
Rabbia, tristezza, esasperazione, desiderio, attrazione ed esitazione, paura e voglia di rivelare ciò che provava.
Camminava tra decine d’emozioni come un equilibrista su una fune, un equilibrio che era al contempo rifugio e prigione.
E intanto la musica era finita, il suo cuore ancora sussultava, e quel nome gli sarebbe ancora balenato in testa, “Caterina”, finché non avesse deciso di abbandonare la prigione del silenzio, assaporando la libertà del reale, qualunque fosse il suo vero sapore.

Giuseppe Libro Muscarà

In questa terra arida

In questa terra arida
che era la mia vita,
hai scavato a fondo con le dita
una buca dritta e profonda,
che hai riempito con tanti
piccoli semi di te.

In questa terra arida
che era il deserto del mio cuore,
da quei piccoli semi di te
è nata, nel sole di maggio,
una distesa d’amore,
fatta di frutti e di fiori,
verde di speranza e
profumata di petricore.

In questa terra arida
era sbocciata la primavera,
ma ora è tornato l’autunno
che mi spoglia di ogni cosa,
lasciandomi inerme al gelo,
e nella solitudine del dolore,
vorrei solo essere ancora
quella nuda terra che t’accoglie.

 

Gaetano Aspa

 

Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Serpi d’Oleandro

La mia passeggiata era accompagnata dal vermiglio Oleandro e la sua bellezza mi ripagava di tutti gli sforzi fatti per raggiungerlo. Di consueto, quel luogo, era così privo di rumori che riuscivo a sentire il suono del mio battito, ma quel giorno qualcosa interruppe il mio rituale. Si trattava di una serpe che strisciava vicino agli eleganti fiori. Mi fermai un attimo a guardare questo quadro e ad un tratto tutto mi sembro più nitido: Entrambi eran portatori di veleno, ma uno dei due lo nascondeva meglio. Passandoci accanto nella mia abitudinaria quotidianità, non l’avrei mai notato, distratto dai suoi doni tra profumo ed incanto, non avrei dubitato di lui, continuando a regalargli il mio tempo, proprio come la persona che amavo.

Carla Mascianá

*Immagine in evidenza: Illustrazione di Marco Castiglia.

Parigi degli intelletti

Due amanti. Lui e lei. Vuoti, corpi miseri intrecciati, incastro perfetto.

Era Parigi, in una delle stanze sui tetti. Un piccolo appartamento polveroso, disordinato, rifletteva la casualità di quell’incontro. Due singoli a cui piaceva vincere o sapere di avere ragione. E fu una lotta senza il desiderio di distruggere l’altro.

Non era la città degli amanti, del romanticismo, dell’amore puro. Era la Parigi degli intelletti, la festa mobile cantata da Hemingway. E loro amavano di un amore narciso, a tratti egoista. Amavano sapere di essere ammirati, ascoltati.

O forse non amavano affatto, ma trovavano un senso strano di appagamento nel riempire le loro menti di strani giochi, parole combinate che loro stessi afferravano a fatica.

Lei era smarrita, distratta, tratta lontano dal mondo e da se stessa, non più messa a fuoco. Si cercava nel posto sbagliato, usando gli altri come specchio per ritrovare il riflesso che più le faceva comodo. Giocava a fare finta di sapere la direzione, ma guardava la bussola sbagliata. In lui aveva trovato il riflesso di quello che sperava di essere, ma sapeva di non essere mai stata davvero.

Tra loro non c’era mai silenzio quando erano anime. Poi diventavano corpi, muti, che si rincorrevano nel ricordo dei discorsi infiniti.

Erano in una Parigi che è stata, che non è più, sulle tracce di amori proibiti e di relazioni profondamente effimere, radicate nell’alchimia tra le menti. Non vi era amore neanche tra i più grandi… era forse una profonda ammirazione o la brama di possedere l’altro e rubare ciò che di buono c’era.

Due individui, separati, girovaghi tra la polvere dei ricordi, tendando di rincorrere o provare ad afferrare qualcosa che fugge senza sosta. Il passato, le memorie, i ricordi: denti di leone che si sgretolano appena ci si avvicina con troppa foga.

Erano solo corpi che percepivano loro stessi e che si erano trovati per caso o per fortuna in una delle stanze sui tetti. Nessuna domanda, nessun significato. Solo la Parigi degli artisti e due corpi che si cercano nei vuoti dell’opposto.

Giulia Cavallaro

Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Goccia nera

Ora è tardi, lo ammetto
sono stanco anch’io,
mentre guardo la finestra
con la pioggia che trema
in fondo a quella strada.

In piedi sul pendio
scorgo la luce che mi attraversa
e vorrei poter avere
quell’ultima carezza,
mentre scivolo giù insieme a te.

In questo limbo penso a cosa è giusto,
forse è giusto buttarsi
senza pensare più a niente,
neanche un pezzo di me
dentro ad una goccia nera.
Cade e non fa rumore.

Benedetto Lardo

Immagine in evidenza: illustrazione di Benedetto Lardo

Lascia che vada

La regina della notte fiorì. Gaia l’aveva accudita per anni in attesa di quel momento e adesso le donava la sua bellezza. Quando la vide, però, si accorse che non somigliava a ciò che aveva immaginato. Pensava sarebbe rimasta sorpresa dal fiore che, dondolando, si apriva e allargava. Credeva le sarebbe piaciuto il contrasto tra i petali delicati e la sua natura di spinosa pianta grassa. Adesso, invece, si rendeva conto che quel processo non aveva nulla di affascinante.
La guardò ancora per qualche minuto, solo perché un po’ si era affezionata. Presto, però, si addormentò sulla sedia in sala, mentre il fiore raggiungeva il massimo della sua espansione e, di nuovo, si chiudeva.

Quando il giorno dopo Amanda entrò in stanza la trovò ancora lì. Si avvicinò e le accarezzò i capelli. Terminavano sul collo e non poté trattenersi dallo spostare una mano in quel punto, mentre si abbassava e le baciava una guancia.
Gaia aprì gli occhi lenta e la sua ragazza rinacque un po’ mentre questi tornavano vispi.
“Com’era il fiore?” chiese.
“Bellissimo, l’ho guardato finché non è sfiorito”
Amanda non chiese altro perché, in fondo, non le importava granché di quel bocciolo ormai chiuso. Poneva quelle domande solo perché sperava di esserle un po’ più vicina, ma l’altra era sempre stata di poche parole.

Quando uscì di casa per andare a lavorare Gaia rimase sola e sollevata. Ancora in pigiama si affacciò al balcone che dava sulla strada. Si sedette fuori, ma la luce del sole la infastidiva e, quando intercettò lo sguardo di un bambino nella sua direzione, rientrò dentro casa e chiuse la porta.
Si rifugiò nella sua stanza, ma quel luogo portava troppi ricordi. Quelle mura parlavano di Amanda in ogni modo. Le ricordavano di lei che dormiva stanca dopo le sue giornate di lavoro. I capelli biondi si spargevano sulle lenzuola e in fronte le compariva sempre una rughetta concentrata. C’era, poi, Amanda innocente che usciva dalla doccia avvolta dall’asciugamano, la raggiungeva in stanza, si spogliava e rivestiva, come se Gaia non bruciasse dentro a guardarla. Erano loro che facevano torte e si rincorrevano per tutta la casa sporcandosi di cioccolata. Entravano, poi, nella loro stanza da letto. Gaia la seguiva finché non la bloccava tra il suo corpo e l’armadio. Amanda era completamente indifesa. I suoi occhi verdi luccicavano, mentre il petto si alzava e abbassava per la lotta appena avvenuta.

Gaia ripensava a tutto questo mentre l’ombra della sua ragazza entrava e usciva da quella porta. Sentiva le loro risate unirsi e ricordava cosa fosse stata per lei.
Era cambiata?
No, Gaia ne era certa. Amanda era ancora l’amore, ma lei non lo recepiva più come un tempo.

Si era invaghita della sua ragazza alle superiori.
Era in terzo liceo quando la vide per la prima volta passeggiare per i corridoi. Amanda non se ne era mai accorta, ma i suoi tratti erano combinati in un modo così particolare da farla risaltare sempre. A Gaia ricordava l’alba, con quei colori delicati che si riflettevano nella sua pelle, nei capelli e negli occhi che di scuro non avevano nulla, neanche quando la notte li copriva.
Per tutto il giorno non era riuscita a far altro che pensare a lei. Voleva conoscerla. Qualche settimana dopo la vide nel cortile della scuola. Accanto a lei sedeva una sua compagna di classe. Non avevano un rapporto stretto, ma mantenevano contatti pacifici. A volte si prestavano le penne o i fogli e non parlavano mai di qualcosa che permettesse loro di conoscersi davvero.
Quando iniziò la lezione successiva le si sedette accanto e si sforzò di essere loquace. Dopo più di una settimana era finalmente riuscita a organizzare un’uscita insieme a lei. Avevano deciso di portare un paio di amici a vicenda e Gaia si era discretamente assicurata che una ragazza in particolare fosse presente.

L’appuntamento tanto atteso si tenne in sabato primaverile. Gaia si accorse in quel momento di non riuscire quasi a parlare, ma non ebbe bisogno di fare molto. La ragazza le si avvicinò presentandosi e non passò molto tempo prima che iniziassero a conversare. Qualsiasi domanda trovava risposta da parte di Amanda. Non vi era un argomento su cui non avesse un’opinione che esprimeva col tono di chi era certo di non sbagliare. Dopo aver parlato si voltava verso Gaia e le chiedeva cosa ne pensasse, come se l’unico parere importante fosse il suo.
Dopo quella sera diventarono amiche, una gabbia dalla quale Gaia non seppe mai uscire. Il loro rapporto rimase inalterato finché non si diplomò, lasciando quella città e il suo primo amore.
Riuscì a laurearsi tra varie incertezze e tornò nella sua Palermo. Trovò lavoro e si stabilì in un piccolo appartamento, lo stesso che adesso condivideva con la sua ragazza.

Un giorno nella sua vita cambiò tutto. Gaia si svegliò stranamente presto e decise di far colazione fuori prima di andare a lavoro. Entrò in un piccolo locale in centro e si accomodò attendendo che il cornetto e il suo caffè fossero pronti.
Poco dopo la porta del bar si aprì. Si udì una voce chiedere una cioccolata calda. Gaia sorrise. Doveva essere proprio strana quella ragazza per ordinare una bevanda del genere con quel sole bruciante. In un angolo della sua memoria, però, qualcosa si mosse. Eppure, conosceva qualcuno con quella strana abitudine.
Si voltò veloce trovando ad attenderla degli occhi verdi e un sorriso che si allargava sempre più.
Amanda era rientrata a far parte della sua vita e Gaia la voleva lì, accanto a sé, ma non aveva la forza per trattenerla. La sua incapacità, però, era bilanciata dalla decisione dell’altra e, anche in questo caso, non dovette fare nulla.
Ricominciarono a uscire insieme, ma questa volta si vedevano da sole e parlavano a lungo, scoprendo di condividere gli stessi principi. Amanda si poneva ancora come chi possiede la verità assoluta, ma Gaia con calma spiegava le sue ragioni. La discussione proseguiva a lungo ed entrambe sfidavano la loro mente per trovare obiezioni e chiarimenti.

Una sera estiva Amanda la portò in un lido sul mare. Ballarono per molto tempo. Gaia non capiva più nulla. Aveva la possibilità di tenere vicino quella ragazza e ogni volta che i loro corpi si toccavano entrava in fibrillazione.
Quando si stancarono Amanda le prese la mano per condurla fuori dal locale. La portò a mare facendole vedere quanto fosse bella la luna. Gaia la guardò e, quando si voltò di nuovo, trovò la ragazza a osservarla. Anche lei ricambiò quello sguardo, mentre nella sua mente continuava a trovarla bellissima in ogni momento.
Vide, poi, che adesso la sua amica le osservava le labbra e non poté che imitarla. Quando Amanda tornò a immergersi nei suoi occhi li trovò, quindi, puntati in basso. Sorrise e le circondò la vita con le braccia attirandola a sé.
Il corpo di Gaia bruciava, non vi era una parte che non fremeva e il suo cuore sembrava impazzito. Amanda continuava a essere troppo vicina e infinitamente sensuale. Con una mano le accarezzava la guancia lasciando scie elettriche su ogni pezzo di pelle che toccava.
“Fallo” sussurrò sulla bocca di Gaia.
La ragazza, allora, avvicinò piano il volto al suo, quasi a volerle chiedere consenso per ogni centimetro che rubava. Posò, poi, le labbra su quelle di Amanda e si sentì felice come poche volte era stata. Una mano andò ad accarezzarle il collo da cui poteva sentire il cuore battere con forza.
Le labbra di Amanda erano zucchero e cercavano le sue con insistenza. Lei si donava felice e desiderava solo che quella ragazza prendesse tutto, come più preferiva.
Quella sera dormirono in spiaggia e si immersero ancora più a fondo l’una nell’altra. Gaia raccontò di quella cicatrice sul ginocchio che si era fatta da bambina, Amanda disse di come aveva perso e cercato l’amore per se stessa. Finirono, poi, per parlare del loro rapporto e Gaia ammise di non aver smesso di pensare a lei dal primo momento in cui l’aveva vista. Amanda confessò che quella sera nulla era accaduto per caso.

Dopo circa un anno decisero di iniziare la convivenza e scoprirono che il risveglio era più dolce quando la prima cosa che vedevano era l’altra accanto nel letto.
Gaia non sapeva dire con esattezza quando le cose avessero iniziato a cambiare. Notava solo che adesso guardandola non sentiva il solito formicolio. Quando Amanda la accarezzava e baciava il suo corpo sembrava fatto di stoffa morbida, ma inanimata.

Gaia guardava la sua relazione senza farne davvero parte e Amanda la portava avanti per entrambe. Si sentiva vuota e sempre stanca. Non le dava più gioia passare il tempo con nessuno. Si era spenta piano lasciando fuori dalla sua vita tutto. Non credeva, tuttavia, che sarebbe arrivata a escludere Amanda. Eppure, era successo.
Gaia si chiedeva se non fosse il caso di chiudere tutto, di lasciare che almeno la sua ragazza fosse felice con qualcuno che l’avrebbe amata più profondamente. Il suo egoismo le impediva, però, di valutare attentamente quella possibilità. Il pensiero di non averla in giro per casa era troppo doloroso. Preferiva quella specie di nulla che avevano, perché almeno c’era. Si trattava di una presenza leggera, quasi invisibile, ma continuava a volere quel sospiro.
Adesso i litigi non si accendevano più, si trasformavano in fastidi che somigliavano a baratri senza uscita. Gaia abbracciava la polvere che la sua storia continuava a depositarle addosso.

Era sera tardi quando il portone di casa si aprì. Amanda trovò Gaia accasciata sulla regina della notte. Le sue lacrime innaffiavano quel fiore, mentre lei donava il suo dolore, perché non aveva altro da dare. Le prese le mani nelle sue e la accudì. Gaia si fece cullare da quella stretta fredda che era la sua quotidianità.

Alessia Sturniolo

*immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia