Periferia

Ticchettava con le dita sul sedile dello Shuttle 100 ascoltando nelle cuffiette uno dei soliti brani lamentosi e depressivi di Galeffi. La luna si riversava nel mare in una forma distorta, muovendosi ora di qua, ora di là, al ritmo della corrente, mentre tutto lo stretto era avvolto dalla lupatina. Le mille luci del centro, i viali addobbati a festa, il vociare irregolare, avevano lasciato spazio alla desolazione della periferia, dove le colline buie incombevano sulla strada che conduceva verso l’estremo lembo meridionale di Messina.

Due fidanzatini, forse nemmeno maggiorenni, chiamarono la fermata scendendo in corrispondenza di una palazzina gialla, lasciando sul bus solo lui, una ragazza dai capelli castani e un uomo di mezz’età, dai tratti orientali, che indossava un berretto rosso della stessa tonalità del giubbino e del pantalone.
Non seppe comprendere il motivo, ma quel tale gli mise paura, con i suoi occhi neri e vispi, il viso butterato, le dita macchiate di nero. Il suo torreggiare alle spalle di quella ragazzina amplificava il suo disagio.
Mancavano ancora diverse fermate alla sua destinazione, tuttavia una misteriosa forza interiore lo spinse a scendere non appena vide la ragazzina farlo, o meglio, non appena si accorse che il tizio col berretto rosso l’aveva seguita.
I tre percorsero un’ampia strada che costeggiava un campo di calcio in terra battuta, tenendosi ognuno ad una decina di metri dall’altro, finché la ragazzina non imboccò una viuzza laterale, scomparendo nel buio.

Fu a quel punto che il tale dai tratti orientali allungò il passo progressivamente, fino a mettersi a correre, lanciato all’inseguimento della ragazzina.
Non appena lo vide, non poté che fare lo stesso, anche se sapeva che si stava mettendo nei guai.
Ma cos’altro poteva fare? Ignorare quel timore che gli pesava sulla coscienza, magari scoprendo il giorno successivo che quella giovane era sparita o peggio? Non avrebbe potuto convivere con quel senso di colpa.
Imboccata la viuzza, una stretta lingua di pietre e sabbia che si incuneava nei vicoli di uno dei quartieri più poveri e malfamati della città, si rese conto che l’uomo con il berretto rosso era ormai ad un passo dalla ragazzina dai capelli castani.
A quel punto non poté più stare in disparte. Urlò alla ragazzina, la quale si voltò di scatto come anche il tizio orientale, che con fare rapido estrasse un coltellino dalla tasca sguainando la lama, che colpito dal bagliore lunare generò un caleidoscopio di riflessi.
Aveva mostrato coraggio, un coraggio fuori dal comune, ma adesso era lui ad essere inseguito. Ora l’uomo orientale puntava la sua lama verso di lui, mentre la ragazzina era come svanita nel nulla.
Corse a perdifiato verso la statale rischiando più e più volte di scivolare, ma riuscendo alla fine a seminare il malvivente.

Era ormai in salvo, quel suo stupido atto di eroismo aveva avuto successo. La ragazzina era salva, quel losco figuro non avrebbe avuto soddisfazione quella notte, tutto grazie a lui.
Ma c’era qualcosa di diverso rispetto al tragitto fatto all’andata. C’era un pulmino bianco parcheggiato in corrispondenza dello sbocco verso la strada principale.
Quando vi giunse qualcuno mise in moto, il pulmino emise due fasci di luce illuminando la notte, e d’un tratto il passaggio era stato bloccato. Due tizi scesero dal veicolo, mentre l’uomo col berretto rosso l’aveva ormai raggiunto, ma con sua somma sorpresa non era solo: c’era la ragazzina con lui, a cui l’uomo orientale allungò una banconota da cinque euro stropicciata e sporca di grasso.
I due che erano scesi dal pulmino lo aggredirono, gli legarono le mani dietro la schiena mentre quello col berretto rosso gli tappò la bocca impedendogli di chiedere aiuto.
Si dimenò, scalciò con forza, graffiò i suoi aguzzini, ma alla fine venne sopraffatto. Mentre le porte del pulmino gli si chiudevano di fronte, vide la ragazzina che sorrideva sadicamente valutando la fattura della banconota.

“Da quanto tempo vivi qui?” gli chiese il tizio col berretto rosso dopo aver chiuso le porte.
“Da sempre” rispose lui.
“E non hai imparato che qui sopravvive solo chi si fa gli affari suoi?”

Il suono di una campana lo fece ridestare, qualcuno aveva chiamato la fermata. Una ragazzina dai capelli castani era scesa dal bus allontanandosi a passo svelto, mentre un tizio col berretto rosso si stava preparando per farlo alla successiva.
Tolse le cuffie, spense il telefono e riprese fiato una, due, tre volte, finché il batticuore non si placò, finché non realizzò che era al sicuro, e che anche quella sera sarebbe tornato a casa, in quella periferia così placida eppure così piena di insidie.

Giuseppe Libro Muscarà

*immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

La città sull’acqua

Era la città sul mare,

non aveva un nome

se non quello della nave

 

Era di strade galleggianti fatta

si ballava, si beveva e si mangiava

ondeggiando sulla marea più alta

 

Era la città sull’acqua,

non esisteva nulla intorno

nemmeno un’isola di terra astratta

 

Era piccola in confronto a qualunque ammiraglia

tredici piani all’interno tra la prua e la poppa,

gonfiava le sue vele immaginarie all’aria

e danzava sull’oceano di tappa in tappa

 

Una sinfonia sciabordante di schiuma

lascia una scia che si vede dall’alto

mille e una notte trascorrei dondolando

su una città che di sale profuma

 

Alessandra Cutrupia

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Scavo limbico

Leggerti è stato difficile

Una mente violata come una capsula del tempo 

Sepolta in giardino.

Ma non ti diseppellirò più

perché il passato merita il silenzio 

anche se le chete grida dei tuoi ricordi 

Si fanno sentire.

                  

               Carla Mascianà

Il Natale

Candida neve,
frettolosi passanti
corrono per strada.
Le luci delle vetrine,
quasi soffuse,
illuminano poco
la vecchia via.
Al centro s’innalza
un albero abbellito
con colori festosi.
Profumo di vischio,
di biscotti caldi
e di aria natalizia.
Il vagito di un bimbo,
il sorriso di un anziano,
il canto delle genti.
La cometa sfugge
all’occhio nudo
di chi non sa amare.
Atmosfera tanto attesa,
il Natale è alle porte.
Nel mondo
c’è chi soffre,
c’è chi lotta
e chi non si arrende,
ma il Natale cerca
di far ritrovare
i cuori della gente.
E potrà certo arrivare
solo una volta l’anno,
ma la magia
di questa festa
vive nel ricordo
di chi sa gioire.

Alda Sgroi

*Immagine in evidenza: illustrazione di ©Marco Castiglia*

Dramma d’amore

Io se sbaglio,                                        sbaglio con la mia testa
come al solito mio
il cuore mi calpesta
senza ragione cado in un oblio
la mia paura diventa un meccanismo di difesa
perché grande è stata la sofferenza
di questo addio

Io Assillandoti sto sbagliando,
ma il mio cuore grida il tuo nome
come un grido assordante
si trasforma in un dolore indelebile
averti perso diventa un presente diverso
ed il futuro mi spaventa
e penso come faccio adesso?
questa vita è imprevedibile
non sono una persona perfetta come Dio
errare è umano
per questo ascolto il mio io

Eravamo due sconosciuti
Conosciuti per caso
In un compleanno di mezza estate
Ora siamo due sconosciuti
Che non si parlano
In mezzo alla gente

Ora come ora vorrei tanti cambiamenti,
ma quanto è difficile andare avanti,
dimenticare qualcuno che prima era il tuo posto nel Mondo
e ora solo uno sconosciuto a cui non importa nulla di te,
come se quei tre anni non fossero esistiti mai.
Come se esistessero solo gli errori e le scuse fossero cancellate.

Miriana Postiglione

*Immagine in evidenza: Illustrazione di Marco Castiglia

Scolopendra

Dicembre
e illuminavi
i viali di
stinti ricordi
ognuno
del secondo precedente

Ho provato
a incollarli
con il biadesivo
a inalare
il liquido di sviluppo
a cercarti
nei più cremisi angoli
della camera oscura
Volevo leggere le pellicole
come foglie di tè
per far finta di conoscerti
per nome

Il passato
è una catena arrugginita
ancorata
alla mia carotide
e il tuo
è un tiro alla fune
unilaterale

Chiara Tringali

*Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Il passaggio

Si alzò dal letto svogliato quella giornata. Quei giorni gli sembravano passare senza che neanche se ne accorgesse, tra rotture e amici lontani che non senti mai.
L’aroma del caffè lo aiutò un po’ a riattivarsi, quel poco che gli bastava per andare avanti. Portò la tazzina alle labbra. Lasciò andare un sospiro. Guardò fuori dalla finestra e vide uno stormo di uccelli danzare nel cielo in cerchio.
«Accese la tv mentre incominciava a vestirsi per la giornata. Il telegiornale oggi era monotematico.
Da due anni a questa parte siamo stati abituati a strani eventi che hanno coinvolto ogni persona al mondo. Sono dopo tutto questo tempo ancora un mistero per qualunque scienziato sul pianeta. Abbiamo continuato a vivere le nostre vite in maniera normale e le autorità ci hanno assicurato che le analisi di questi eventi ciclici. Ciononostante molti pensano che questi eventi abbiano un significato maggiore: le autorità religiose riuniscono i fedeli in preghiera, mentre sette stanno nascendo ovunque convinte che tutto questo sia un messaggio da chissà dove che annuncia la fine del mondo o l’inizio di uno nuovo».

Prese le chiavi e uscì di casa. Chiuse il vecchio portone dietro di sé spingendolo con forza. Non ricordava dove aveva lasciato la macchina la sera prima. Si strinse nel cappotto per evitare il freddo umido e si mise a camminare. Arrivato alla macchina aprì di corsa lo sportello e si ficcò dentro sfregandosi le mani.
Mise in moto e andò via. La strada era vuota ma si notava una certa agitazione e le volanti della polizia erano più presenti del solito. Qualcuno urlava per strada e persone vestite in maniera stravagante andavano in giro in gruppo.

La giornata fu abbastanza complicata. C’era forte nervosismo tra i suoi colleghi e si percepiva una forte aura di tensione. Tornò a casa più stanco del solito, passando per vie sempre più piene di paura e urla.
Il cielo era sempre più pieno di stormi che coprivano il cielo. Il sole stava cominciando a calare oltre l’orizzonte.
L’aria sembrava più pesante.

Andò in cucina per vedere con cosa cenare, ma aperto il frigo vuoto gli passò la voglia di cucinare e si buttò a letto. Da lì vedeva la finestra e il cielo rosso, con le nuvole sfumate dal tramonto e mosse via dal vento.
Si alzò per respirare un po’ d’aria fresca, e si mise ad osservare i tetti delle case: da alcuni partivano delle colonne di fumo, su altri si raggruppavano persone con lo sguardo rivolto in su.
Su una delle case vide una persona da sola, con lo sguardo rivolto all’orizzonte. Lo osservò per un po’, immobile nonostante il vento e il freddo.
Il sole toccò la linea del mare. Lo vide alzare il braccio destro verso l’alto e cambiare in viso: occhi spalancati, bocca aperta.

L’aria sembrò fermarsi immediatamente, tutto sembrava immobile. Poi di colpo venne il boato.
Un suono lancinante, sia armonia che caos. Il sole sembrava diventare sempre più rosso e muoversi verso l’alto, mentre quella melodia continuava a salire d’intensità.
Le nuvole cominciarono a muoversi verso il sole durante la sua risalita, e mentre questo raggiungeva lo zenith, quelle si andavano a mettere in cerchio tutto attorno.
Una grande sfera rossa osservava tutto l’alto, e le nuvole che lo circondavano in cerchio cominciarono ad allontanarsi. Ora le stelle brillavano in cielo con al centro un sole rosso che ricopriva quasi completamente la volta. La melodia di prima era adesso diventata il suono assordante della stella che bruciava.

Alcuni dei puntini in cielo sembrò che cominciassero a calare: delle piccole stelle incandescenti, di una pallida luce bianca, cominciarono a calare verso la superficie. Si arrestarono alte nel cielo ma adesso abbastanza vicine che il loro suono armonico raggiungeva la terra. Il suono si intensificò e la loro superficie cominciò a creparsi.
Da quelle sfere uscirono delle ali dello stesso colore abbagliante. I gusci caddero verso il suolo, senza mai arrivare però al suolo. Dei serpenti alati stavano adesso nei punti dove erano prima quelle stelle cadute. Stavano immobili, con le ali spiegate ma con il corpo in posizione fetale.

Restarono così per qualche secondo, poi cominciarono a riunirsi in cerchio esattamente al centro del gigantesco sole rosso. Il rumore che emettevano cambiò e divenne una vera melodia: un suono rivolto a qualcosa, struggente, che sovrastava qualsiasi altra cosa.

Le creature andarono contro la stella diventando impercettibili mentre si muovevano verso l’alto. Si vide solo una piccola e minuscola increspatura sul rosso quando sparirono del tutto.
Tornò il crepitio del sole, e questo sembrò avvicinarsi e ricoprire il mondo.
Tutto divenne bianco, mentre tutto veniva inghiottito.

Non seppe cosa successe tra il momento della visione e il momento in cui si rese conto di vedere di nuovo il mondo come era prima. Si rese solo conto che ad un certo punto il cielo era azzurro e che le rondini tornavano di nuovo verso sud. Si sentivano sirene in lontananza, scoppi.
Andò sul tetto. Il mare era rosso sangue, le onde si sbattevano contro la spiaggia.

Matteo Mangano

Immagine in evidenza: Illustrazione di Marco Castiglia

Lorraine e l’angelo

Quando si pensa all’aldilà, che sensazione si prova? Cosa potrebbe mai esserci dall’altra parte? Paradiso o Inferno? Angeli o demoni? Almeno questo era ciò che si credeva in genere. Lorraine non conosceva la risposta esatta a quelle domande, né tantomeno sapeva perché mai una persona, soprattutto giovane, avrebbe dovuto chiederselo, con tutti gli interrogativi che già offriva la vita terrena. Come vive un ateo? Se lo chiede spesso, questo. Per lei è inconcepibile l’ateismo. Lei, che sin da piccola vedeva cose strane, assisteva a fenomeni inspiegabili, che nemmeno lei capiva all’inizio. Quando era piccola, aveva paura di ciò che vedeva. Nessuno le credeva, ovviamente. Pensavano fosse una pazza svitata, una da manicomio. Aveva comunque cercato di vivere una vita normale, si era fatta delle amiche. Certo, poi aveva conosciuto Ed, e tutto era cambiato. La sua vita non era mai stata semplice, sin dall’infanzia, e da quella volta in ospedale…

…- Scendi dalla macchina, Lorraine. Dai, che andiamo a trovare la zia-. La zia aveva avuto un problema di salute, Lorraine non sapeva per certo di cosa si trattasse, ma la mamma era andata in ospedale a trovarla, ed ora che la zia stava meglio, lei poteva andare a farle visita. Quel giorno, Lorraine aveva saltato la scuola. Questo non faceva felice sua madre, ma allo stesso tempo andare a trovare la zia era la cosa giusta. Entrarono nella hall, una sala grande, con tanti pazienti che attendevano il loro turno, chi per visitare parenti come loro, chi per farsi fare una visita. C’erano un paio di infermieri, che annotavano costantemente ogni informazione su un quaderno. Le mandarono in un reparto al piano superiore dell’ospedale, che da poco tempo si era ammodernato con l’aggiunta dell’ascensore. Lorraine non capiva come avessero fatto i pazienti precedenti a salire senza ascensore fino al 1935. Pigiò il bottone per il secondo piano, e salirono. Quel giorno sua madre indossava un abito lungo, stretto in vita, e con una lunga gonna che le scendeva fin quasi alle caviglie. Dalla vita in su, invece, indossava una camicia bianca, maniche lunghe, con sopra una giacca blu, chiusa fino al merletto che copriva il collo. –Buongiorno- Salutarono l’infermiera presente in reparto, che le condusse fino alla stanza dove stava la zia, che appena la vide, il volto le si allargò in un sorriso. –Ciao, Lorraine. Niente scuola oggi? Sei venuta a trovarmi con la mamma? Ma quanto sei cresciuta, e da quando avevi 5 anni che non ti vedo!! Quanti anni hai adesso?-. – Otto- rispose lei. – Stai crescendo in fretta!!- le disse la zia. – Non tanto da dormire sola di notte. Questa notte è corsa da me piangendo, perché ha avuto un incubo- disse sua madre. In effetti, ora che ci pensava, Lorraine soffriva spesso di incubi durante le notti, poi correva nel letto dei genitori. Non riusciva a capire il motivo di quegli incubi. E inoltre, a volte le sembrava di estraniarsi dalla realtà. Percepiva cose strane, aveva delle sensazioni. Era in grado di capire quando una persona stava per cadere ancora prima di vederlo con i propri occhi. Non sapeva come era in grado di farlo, né perché. La mamma non lo sapeva questo, Lorraine non voleva dirlo. Le avrebbe creduto? Aveva dubbi a tal proposito. A scuola, una mattina, era successo che durante una lezione di matematica, scorrendo le pagine del libro, aveva sollevato un attimo lo sguardo, con lo sguardo rivolto alla lavagna, per seguire la lezione della maestra. Fu allora che lo notò. Un’ombra nera si stagliava accanto alla maestra. Pensava a un effetto di luce, ma quando la maestra si spostò sotto la finestra per consentire loro di leggere la lavagna, l’ombra la seguì. Lorraine era stupita. Inoltre, l’ombra aveva assunto i contorni di una figura umanoide, cosa che non era possibile. La seguì con lo sguardo mentre si spostava sul muro, e si posizionava vicino al banco di un compagno. Dal muro si sollevarono due piccole nuvole nere, probabilmente braccia, e comparvero due mani nere, scarne, che si allungarono verso il banco, presero una gomma, e la tirarono addosso a un compagno. Lorraine corse fuori dall’aula improvvisamente, di fronte allo stupore dei compagni e della maestra stessa. L’aveva ritrovata una suora. Si era rifugiata in bagno, e piangeva. Sembrava uno dei suoi sogni. – Lorraine, non avere paura. La mamma mi ha raccontato del brutto sogno che hai fatto la notte scorsa. Non avere paura degli incubi, perché non possono farti nulla. Sii forte, torna in classe che la maestra è preoccupata-. Col tempo, Lorraine aveva provato ad essere forte, ma anche quando passava accanto alle compagne, quelle fuggivano da lei. Pensavano fosse pazza, probabilmente. E ora che sua madre e sua zia chiacchieravano, Lorraine si distrasse, uscì un attimo dalla stanza e vagò nel lungo corridoio del reparto. Il suono delle sue scarpe risuonò nel corridoio, fino a che non giunse a una stanza in cui riposava un anziano signore. Titubante, entrò, senza avere un motivo preciso. L’anziano riposava serenamente, ed era biancastro in volto. Un breve raggio di luce filtrava dalla piccola finestra, e illuminava un uomo seduto sulla sedia accanto al letto. L’uomo posò lo sguardo su di lei, e le parlò- Ciao, Lorraine.- la salutò. Lorraine non lo conosceva, e non sapeva come quell’uomo potesse conoscere il suo nome. Ma rispose timidamente al saluto. L’uomo, giacca e cravatta bianchi, ora giovane ora anziano (Lorraine non riusciva a capire che età potesse avere), le disse-Quest’anziano signore sta per lasciare l’ospedale, vuoi recitare una preghiera con me?- Lorraine annuì, pregarono insieme, e di nuovo l’uomo le rivolse la parola –Quando ne avrai bisogno, non esitare a chiamarmi- Lorraine non capiva come mai avrebbe dovuto rivolgersi a un tizio che nemmeno conosceva, però annuì comunque. -In realtà ci conosciamo già, ma questo lo capirai più avanti. Ci sono cose che non appartengono a questo mondo, e tu le dovrai affrontare.-  All’improvviso, quel bagliore di luce divenne accecante, e quasi Lorraine non ci vedeva più. Spostò leggermente la mano, e vide in piedi di fronte a lei, l’uomo che si stagliava ora a un metro da terra. Levitava, volava? Non credeva ai suoi occhi. Alzò lentamente lo sguardo, timorosa, e vide che il tipo indossava una tunica bianca(al posto dell’abbigliamento precedente) e dalle spalle si allargavano da ambo i lati due enormi ali bianche e candide, che toccavano le estremità della stanza, che a malapena le conteneva. Il volto era ora di un giovane ragazzo ora di un uomo di mezz’età(Questo non era cambiato). Capelli biondi, volto luminoso. Era un angelo quello che aveva davanti. L’anziano signore coricato sul letto non respirava più adesso, Lorraine capì. D’improvviso, come era comparso, l’angelo sparì in un bagliore…

… Da lì era cambiò ogni cosa, Lorraine comprese che ciò che vedeva e percepiva era reale, e anche se nessuno le credette andò avanti. A dire il vero, qualcuno che le credette ci fu. Un giovane ragazzo di nome Edward,che lei conobbe otto anni dopo, e assieme al quale avrebbe vissuto l’intera vita. Ma questo Lorraine ancora non lo sapeva.

Roberto Fortugno

Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Istanbul

La città che odora di spezie
Di tè alla mela e baklava col miele

La città dei canti
all’ora della preghiera due moschee
rispondono al loro dio
La prima con sei minareti blu oceano
La seconda dei musulmani,
Santa Sofia
ricostruita sulle macerie dei cristiani.

Un acquedotto sotterraneo
rapisce i turisti
quanto il palazzo del Sultano
Colonne si estendono sull’acqua in un percorso di luci alla Cisterna

Una via di gioielli, pietre e spezie
è il Bazar egiziano,
più piccolo e più adorato
del Gran Bazar che non ha inizio né fine

La città di un Oriente
maldipinto di paura
Separata dal Bosforo in antica e nuova
Per chi non ha voluto
capirne la cultura
Istanbul rubi l’anima a chi ti assapora

Alessandra Cutrupia

*Immagine in evidenza: Illustrazione di Marco Castiglia

L’uomo nel carro

Villa Von Stein apparve all’improvviso all’orizzonte dopo che ebbero superato un ultimo tornante

Era una struttura immensa, incastonata tra le montagne, nascosta da una fitta boscaglia che copriva l’intero primo piano, circondandolo in ogni lato

“Un luogo tetro e dimenticato da Dio” disse Pietro, non più giovane scrittore sulla quarantina, mentre conduceva la sua 500 Nera Dolcevita attraverso quei colli aspri e selvaggi

“Ti è sempre piaciuto drammatizzare” rispose Antonella, sua moglie, più giovane di lui di cinque anni, dottoressa in archeologia.

“Drammatizzare è il mio mestiere.”

Si erano spinti fin lassù dopo aver ricevuto l’invito di Franz Von Stein, un anziano nobiluomo tedesco, che aveva deciso di trascorrere gli ultimi anni della sua vita nell’Italia che aveva conosciuto da giovanissimo

“Come se la situazione non fosse già abbastanza drammatica” riprese sua moglie con fare indispettito

“Suvvia, volevo creare un po’ d’atmosfera”

“Atmosfera? Essere convocati…”

“Invitati” provò a correggerla Pietro;

“Invitati…da un ex nazista nella sua lugubre tenuta di montagna per valutare i suoi preziosi trofei di guerra non crea già abbastanza atmosfera?”

“Innanzitutto non era un nazista…”

“Ah no? Nella sua biografia io leggo Colonnello tedesco dal ’43 al’45 sul fronte italiano”

“Non tutti i tedeschi erano nazisti” rispose Pietro scrollando le spalle “O almeno, lui non lo era”

“Pensa ciò che vuoi” tagliò corto lei come sempre faceva quando in realtà aveva voglia di mettersi ad urlare.

Giunti alla villa parcheggiarono l’auto in uno dei grandi giardini antistanti, poi vennero accolti da un maggiordomo alto e smilzo

“Herr Vitelli und Frau Germanà?” domandò questi tirandosi su gli occhiali con l’indice

“Siamo noi”

“Seguitemi”

Camerata Franz s’è circondato di teutonici” disse scherzando Pietro

“Che strano! Un inquietante ex nazista quasi novantenne…”

“Ha ottantasette anni…” la corresse Pietro.

“Ottantasettenne…che si circonda di suoi connazionali altrettanto inquietanti”

“E da me cosa vuoi? Sei tu quella ingaggiata dal vecchietto. Io sono qui solo come accompagnatore…”

“E allora perché ha nominato prima te?”

“Che cosa?”

“Perché ha detto Herr Vitelli und Frau Germanà e non il contrario?”

“Sono tradizionalisti qui. Non farti queste domande. Valuta i maledettissimi gingilli del vecchiaccio, prendi i cinquantamila che ci ha promesso e filiamo via.”

“Avrebbe dovuto dire “Frau Germanà und Herr Vitelli”…” mormorò ancora Antonella mentre entravano nella villa

“Già, ma dubito che da queste parti conoscano l’espressione parità di genere. E non a causa della scarsa padronanza dell’italiano.”

L’interno di Villa Grandi sembrava un enorme mausoleo della Seconda Guerra Mondiale comodamente racchiuso nel personale “buen ritiro” del Colonnello Von Stein

Elmetti arrugginiti, fucili d’ogni foggia, financo qualche granata in bella mostra, e questo solo nell’anticamera del primo piano.

“Inquietante…” mormorò ancora Antonella

“Sono solo armi.”

“Armi americane. E’ tutta roba che ha preso dai cadaveri dei suoi nemici. Riesci a pensare a quanta gente abbia sulla propria coscienza questo vecchio?”

La domanda rimase senza risposta, poiché si accorsero, con loro grande sorpresa, di essere gli ultimi arrivati all’asta indetta da Von Stein.

Non meno di una ventina di persone avevano già preso posto sulle tribunette allestite lungo la sala grande della villa, tutte o quasi coetanee del vecchio colonnello

Ma ciò che lasciò Pietro e Antonella senza fiato fu vedere cosa si trovava al centro della sala: un M4 Sherman o ciò che ne restava. La carcassa annerita di un vecchio carro armato americano degli anni’40, sulla cui carena era ancora ben visibile la stella bianca

“Herr Vitelli?”

Una voce debole e stridula, proveniente dal fondo della sala, richiamò la loro attenzione

Sordi rumori si fecero sempre più vicini, come il ticchettio di un vecchio orologio morente.

Franz Von Stein apparve di fronte a loro reggendosi a fatica al suo bastone, mentre una signora corpulenta sulla quarantina lo sosteneva dal braccio.

“È un piacere conoscerla…” sussurrò in perfetto italiano “…questa è sua moglie? Frau Germanà, ja?”

“È lei” confermò Pietro mentre Antonella annuiva timidamente

“Mi hanno detto grandi cose di lei” riprese Von Stein stringendo la mano prima a Vitelli e poi a sua moglie “Spero siano tutte vere”

“Lo speriamo tutti” disse un uomo con spalle larghe e postura militare.

“Ingaggiarla è stato assai oneroso.”

“I soldi non sono un problema, Ludwig, non per me” lo redarguì il vecchio.

“Papà, devi capire che…”

“No! No! No! Sei tu che devi capire!” esclamò Von Stein volteggiando il bastone e puntandolo verso l’uomo dalle spalle larghe “Questa casa, questo carro, tutto ciò che vedi e anche quello che non riesci a vedere appartiene a me! E mi apparterà finché non tirerò le cuoia. Poi potrai sperperarlo come meglio potrai. Ma fino ad allora, taci e sta al tuo posto, chiaro?”

“Certo padre…” mormorò con freddezza Ludwig Von Stein abbassando lo sguardo

“Ed ora, Frau Germanà, il carro…”

“Il carro?”

“Lo valuti, su!” la invitò il vecchio Colonello

“Non ho competenze in questioni militari” si schermì Antonella

“Quando analizza una biga d’epoca imperiale lo fa perché si intende di ippica? No di certo. Lo fa valutandone il valore storico. Ed io questo le sto chiedendo…”proseguì il colonnello in pensione dando alcuni pugnetti alla carena ferrata dello Sherman “…quanto vale un carro americano della Seconda Guerra Mondiale, dal punto di vista storico?”

“Ebbene…” rispose Antonella dopo aver deglutito intimorita “…dovrei guardare gli interni.”

“Facciamolo subito!” esclamò Franz Von Stein schioccando le dita verso il suo maggiordomo “Aprilo”

Il maggiordomo raggiunse il carro portando con sé una scaletta di legno, vi salì, e cominciò maldestramente a maneggiare il cupolino dello Sherman

“Levati!” urlò a quel punto Von Stein spingendolo via e prendendo il suo posto sulla scaletta “Qui dentro devo fare sempre tutto io…”

Nonostante l’età e il fisico precario, il vecchio colonnello riuscì rapidamente ad aprire il cupolino del carro

“Eccoci qua…Così…Ma che cosa!?”

Un tonfo sordo squassò la placida calma della sala grande. Il vecchio trasalì, scivolò all’indietro e cadde rovinosamente a terra

Suo figlio Ludwig fu il primo a raggiungerlo, seguito poco dopo dagli altri ospiti, inclusi Pietro e Antonella.

“Papà, papà…” ripeté l’erede dei Von Stein agitando il padre privo di conoscenza, mentre il maggiordomo tastava il polso del vecchio

“Mio signore, Herr Von Stein è morto.”

“E non è l’unico” disse Pietro guardando con disgusto all’interno del carro “C’è anche lui”

All’interno dello Sherman giaceva senza vita Daniel Von Stein, secondogenito del colonnello e fratello minore di Ludwig

“Il signor Von Stein è morto di crepacuore” dissero qualche ora dopo i medici accorsi nella villa.

“Alla vista del cadavere del figlio il suo cuore non ha retto” commentò Antonella.

“Ok, il vecchio è morto di crepacuore. Ma Daniel? Com’è morto?” domandò Pietro al medico legale.

“Asfissia.”

“Asfissia?”

“L’hanno chiuso dentro il carro” rivelò il medico

“La morte risale a circa 24 ore fa” aggiunse il collega

“Quindi possiamo escludervi dai sospettati” intervenne il commissario di Polizia Paride Ferri

“Sia voi due che i partecipanti all’asta siete liberi di andare. Il signor Ludwig invece…” proseguì Ferri voltandosi verso il rampollo dei Von Stein, il quale era tenuto sotto torchio da diversi agenti.

“Crede sia stato lui?” chiese Vitelli al Commissario

“E chi altri potrebbe essere stato? I romani dicevano cui prodest, e qui l’unico che trarrà vantaggio dalla morte del padre e del fratello è proprio Ludwig Von Stein.”

“Sembra proprio uno dei tuoi romanzi” sussurrò Antonella a Pietro

“Nei miei romanzi però i morti sono finti. E alla fine si scopre sempre chi è stato.”

“Lo sappiamo anche adesso.”

“Ma chi, Ludwig? E’ troppo scontato…”

“A volte la vita lo è. Non dev’essere tutto colpi di scena e cliffhanger. A volte banalmente è il figlio rancoroso con la famiglia che stermina la famiglia per prendersi l’eredità”

“E il movente?” domandò ancora Pietro alla moglie.

“La villa, il carro, i pezzi d’antiquariato e il mezzo miliardo di franchi svizzeri del vecchio sono un ottimo movente.”

“E tutte queste cose le avrebbe comunque ricevute. Se non oggi, tra qualche mese o anno. Era già l’erede universale dei beni del padre. Perché ucciderlo e rovinarsi con le proprie mani?”

“Stupidità?”

“Forse. Oppure…”

“Molto bene signori Vitelli, questa è una scena del crimine”li interruppe Paride Ferri.

“Dovreste andarvene, lasciate fare alla Polizia.”

E così fecero, lasciarono fare alla Polizia. La quale incriminò Ludwig Von Stein per l’omicidio del fratello Daniel, e sequestrarono tutti i beni del vecchio Franz

Il processo andò avanti per mesi, divenendo appuntamento fisso sulle prime pagine dei principali giornali, sia tedeschi, sia italiani, e si concluse con la condanna di Ludwig Von Stein a 26 anni di carcere, da scontare in Germania, sua patria d’origine.

Pietro e Antonella dimenticarono quel caso, proseguirono con le loro vite, affrontarono altri casi altrettanto se non più articolati.

Finché un giorno, a bordo della loro 500 Nera Dolcevita non udirono alla radio che il testamento di Franz Von Stein era stato miracolosamente ritrovato proprio il giorno successivo alla chiusura del processo di Ludwig.

“Con un colpo di scena degno del miglior thriller hollywoodiano, il testamento del magnate Franz Von Stein, morto di infarto due anni fa, è riemerso tra le carte dell’ufficio ormai abbandonato dell’ex colonnello della Wermacht, gettando un’ombra sinistra sul metodo investigativo del Commissario Ferri”

“Lasciate fare alla Polizia” lo schernì Pietro.

“Zitto! Lasciami ascoltare” lo redarguì Antonella alzando il volume della radio.

“Dal testamento, emerge la figura di Thomas Kramer quale unico beneficiario delle ricchezze di Von Stein.”

“Thomas Kramer? Chi è Thomas Kramer?” si domandò sua moglie.

“Il maggiordomo di Villa Von Stein sarà felice di sapere che l’uomo che per tanti anni ha accudito, si è rivelato essere così generoso nei suoi confronti.”

Pietro ed Antonella si guardarono per qualche secondo, poi scoppiarono a ridere sguaiatamente.

“Allora è vero che il colpevole è sempre il maggiordomo…”

Giuseppe Libro Muscarà

Immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia