Parlamento Ue e lobbismo: Metsola corre ai ripari con un piano anticorruzione

Circa un mese dopo lo scandalo del Qatar per la presunta corruzione di alcuni eurodeputati e funzionari, la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola ha presentato una riforma delle regole interne su lobbying e trasparenza alla Conferenza dei Presidenti di giovedì scorso (alla presenza di tutti i leader dei gruppi politici rappresentati al Parlamento europeo).

La Presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola. Fonte: Linkiesta

Quello del “Qatargate”, in effetti, è passato alla storia come il più grande scandalo delle istituzioni comunitarie degli ultimi decenni ed è tutt’ora oggetto di una inchiesta della procura federale belga. Quest’ultima già a dicembre aveva convalidato l’arresto per 4 indagati chiave (di cui 3 italiani), mentre dopo una prima convalida del mandato di arresto europeo anche la moglie e la figlia dell’ex eurodeputato Panzeri verranno estradate in Belgio. Una vicenda ignobile che ha sin da subito spinto ai ripari una democrazia europea sotto attacco.

Il piano di riforma non è stato ancora annunciato pubblicamente, ma alcuni suoi punti sono stati resi noti dai siti di testate quali Politico, Euractiv ed EuObserver.

I principali punti del piano di riforma

La proposta principe di Metsola è quella di estendere a tutti i parlamentari europei l’obbligo di registrazione dei loro incontri con i lobbisti in un portale pubblico. A dire il vero possono già farlo, ma l’uso del portale – fino a questo momento – è di fatto obbligatorio solo per i parlamentari con incarichi rilevanti, come i presidenti di commissione o i relatori di un certo provvedimento; tutti gli altri sono invece liberi di scegliere su base volontaria. Inoltre, il piano della Presidente richiede a tutti i membri del Parlamento di dichiarare propri eventuali conflitti di interessi nel momento in cui diventano relatori di un certo provvedimento.

Altri punti del piano includono l’obbligo di registrare i lobbisti che rappresentano gli interessi dei paesi extraeuropei nell’apposito Registro per la trasparenza, un database dell’Unione europea in cui figurano tutti i principali organismi di lobbying (attualmente coloro che rappresentano un paese terzo riescono a schivare la registrazione grazie a diverse scappatoie). Questo funziona più o meno allo stesso modo al Congresso degli Stati Uniti, mentre tanti altri parlamenti, come quello italiano, non consentono attività di lobbying nelle sedi delle istituzioni (con conseguente maggiore opacità).

Sarà inoltre vietato ricoprire incarichi formali all’interno di una ONG agli assistenti parlamentari e ai funzionari del Parlamento: una norma che sembra scritta per evitare casi come quello di Francesco Giorgi, assistente storico di Antonio Panzeri, l’ex parlamentare che secondo la Procura federale belga ha contribuito alla messa in piedi di una rete di corruzione interna a favore del Qatar.

Tuttavia, il piano non prevede una norma aggiornata sul lavoro extra-parlamentare degli attuali parlamentari europei, nonostante circa un quarto di essi abbiano mansioni da liberi professionisti che creano conflitto di interessi permanente con il loro mandato politico.

Cosa non va nell’attività di lobbying del Parlamento UE?

Nelle istituzioni europee il lobbismo è un’attività legale e regolamentata, svolta da gruppi di interesse di varia natura che desiderano contribuire al processo democratico. Sia le ONG che gli esperti di trasparenza temono però da tempo che il Parlamento europeo sia eccessivamente vulnerabile alle influenze esterne. Ad esempio, da parte di Paesi non democratici o ostili ai progetti di integrazione europea che vogliono condizionarne le decisioni a proprio vantaggio, come secondo la Procura belga avrebbe fatto negli ultimi mesi il Qatar.

Le campagne di influenza straniera, in particolare, rappresentano una delle forme meno regolamentate di lobbying all’interno dell’Unione Europea e pertanto una delle più problematiche. Non è un caso se gli ex eurodeputati sono sempre particolarmente richiesti come lobbisti: per via dei loro ruoli precedenti, come l’italiano Antonio Panzeri, arrestato in seguito all’inchiesta del Qatar, possono entrare in Parlamento in qualsiasi momento senza doversi registrare come lobbisti.

Fonte: Euronews

«Il diritto internazionale prevede che i paesi possano influenzare i rispettivi processi decisionali», spiega Alberto Alemanno, esperto di trasparenza e fondatore dell’organizzazione The Good Lobby , «ma a livello europeo manca un regime che renda trasparente questa attività».

Nelle istituzioni europee il lavoro di lobbying è disciplinato da un codice di condotta abbastanza generico, e sebbene ogni istituzione europea si sia dotata nel tempo di un proprio codice etico e di trasparenza, storicamente il Parlamento europeo resta quello con le regole «decisamente più ridotte», spiega Alemanno:

«I parlamentari non hanno l’obbligo di dare conto di chi incontrano, né esiste un divieto di avere lavori paralleli: circa un quarto dei parlamentari europei mantiene incarichi da libero professionista, e questo crea un conflitto di interessi permanente».

Anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, è sembrata riferirsi a questo problema quando lunedì 12 dicembre, durante una conferenza stampa, ha detto:

«Per noi è importante non solo avere delle regole nette ma che le stesse regole coprano tutte le istituzioni europee, e che non esistano eccezioni».

L’estradizione di Silvia Panzeri

Sempre nell’ambito dell’inchiesta Qatargate, la Corte d’appello di Brescia ha deciso che Silvia Panzeri, figlia dell’ex eurodeputato Antonio, dovrà essere estradata in Belgio, dando così il via libera alla consegna della donna alle autorità del Paese, in attesa della decisione definitiva della Cassazione. La donna si trovava già ai domiciliari, come sua madre – Maria Colleoni, per la quale è arrivata anche l’autorizzazione all’estradizione – la procura di Bruxelles aveva chiesto l’estradizione dopo essere stata destinataria di un mandato di arresto europeo. Le due donne sono state accusate di associazione a delinquere, corruzione e riciclaggio di denaro.

Qatargate, ok all’estradizione di Silvia Panzeri. Fonte: tgcom24

Intanto su richiesta dell’autorità giudiziaria di Bruxelles all’Eurocamera è partita la procedura per la revoca dell’immunità di Marc Tarabella, eurodeputato eletto in Belgio, e Andrea Cozzolino, suo collega italiano. Toccherà alla commissione Juri (aiuta il Parlamento a elaborare una posizione informata sulle questioni giuridiche) prendersi carico del dossier nei prossimi giorni, mentre il Parlamento europeo continua a pensare a come evitare casi simili in futuro.

Fonte: Transparency.org

Fra l’altro il gruppo parlamentare dei Socialisti e Democratici, il più colpito dallo scandalo, sta già pensando a regole più severe, sicché non è nemmeno certo che il piano presentato da Metsola venga approvato così com’è. Anche la ONG Transparency International ha diffuso un commento alla proposta alquanto critico:

«Il piano continua a basarsi interamente sull’auto-imposizione. Sappiamo che questa dinamica non funziona: serve un coinvolgimento di enti esterni e indipendenti a tutti i livelli del processo di riforma», a riprova del fatto che il confine fra diplomazia e influenza è sottile, e a volte non così chiaro da tracciare.

Gaia Cautela

Caso Emanuela Orlandi, il Vaticano riapre l’inchiesta

Dopo le inchieste della magistratura italiana del 1983 e 2008, entrambe archiviate rispettivamente nel 1997 e 2015, si ritorna a parlare del caso del rapimento di Emanuela Orlandi dopo circa 40 anni dall’accaduto. Il promotore di giustizia del Vaticano, Alessandro Diddi, ha infatti riaperto le indagini. Ha inoltre dichiarato che, con l’aiuto della Gendarmeria, provvederà a riesaminare tutti i dati, le testimonianze, le segnalazioni e i documenti raccolti in precedenza ma tenterà di stabilire nuove piste di indagine per cercare di far chiarezza su uno dei casi di cronaca più oscuri e discussi dello scorso secolo.

La vicenda

Era il 22 Giugno del 1984 e l’allora quindicenne Emanuela Orlandi, figlia di un dipendente del Vaticano, aveva lasciato l’abitazione per recarsi in Piazza Sant’Apollinare per seguire delle lezioni di musica in  programma dalle 16 alle 19. In quell’occasione però accadde qualcosa: circa 10 minuti prima della fine delle lezioni Emanuela, tramite una cabina telefonica, si mise in contatto con la sorella maggiore Federica dicendole che un uomo le aveva proposto di svolgere attività di volantinaggio per un’azienda di cosmetici, la Avon Cosmetics. La sorella ovviamente le ha consigliato di tornare a casa e di parlarne con la madre ma la quindicenne, dopo quel pomeriggio, non farà più ritorno nella sua abitazione. Il padre nelle ore successive, preoccupato per la mancanza di notizie relative alla figlia, andò prima a chiedere informazioni presso la scuola di musica per poi procedere alla denuncia per scomparsa presso il Commissariato “Trevi”.

Da quel momento in poi la famiglia non ebbe più notizie. Nonostante sfrenate ricerche e grande mobilitazione nei giorni successivi all’accaduto arrivarono solo delle chiamate anonime che non hanno ottenuto altri risultati se non quello di complicare ulteriormente la vicenda.

La richiesta di aiuto dei familiari. Fonte: wikipedia.org

L’attentato a Papa Giovanni Paolo II e i possibili collegamenti

Le possibili piste di indagine risultarono molto fumose e confusionarie sin da subito. Non fa eccezione quella che secondo alcuni inquirenti collegherebbe in maniera diretta il tentato assassinio di Giovanni Paolo II al rapimento della quindicenne. Il nesso tra le due vicende comincia ad assumere credibilità quando il 5 Luglio del 1983 la sala stampa del Vaticano ricevette delle telefonate anonime che facevano riferimento ad uno “scambio di prigionieri”: Emanuela Orlandi in cambio Mehmet Ali Ağca, l’uomo che nel 1981 provò ad uccidere con due colpi di pistola Papa Wojtyła.

Tutt’ora è difficile capire il significato di quelle telefonate e cogliere la rilevanza di determinate informazioni. Il comportamento di Ali Ağca negli ultimi anni – adesso è un uomo libero, vive in Turchia – ha alimentato ancor di più i dubbi. Una volta scarcerato ha iniziato ad avere contatti con il fratello di Emanuela, Pietro, comunicandogli ripetute volte di sapere la verità. In una recente apparizione in una trasmissione televisiva ha dichiarato:

«Se il Vaticano vuole domani Emanuela ritorna. Per 40 anni è stata nelle mani di persone affidabili che non hanno fatto nessun male ad Emanuela. Ve lo garantisco.»

Il fratello della ragazza, da sempre impegnato in prima linea al fine di scoprire la verità, ha affermato di non credere più alle parole di Ali Ağca dato che si sono dimostrate spesso false, infondate e contraddittorie.

Pietro Orlandi, fratello di Emanuela. Fonte: RomaIt.it

Le ombre del Vaticano

C’è chi sostiene che questa improvvisa riapertura dell’inchiesta da parte del Vaticano non sia una casualità. In queste ultime ore la Santa Sede è stata al centro di numerose polemiche. Dopo la morte del Papa emerito Joseph Ratzinger, il segretario di quest’ultimo, padre Georg Gaenswein, si è lasciato andare a dichiarazioni dal tono accusatorio nei confronti di Papa Francesco. Tra i due il rapporto non sembra essere idilliaco e Gaenswein nel suo ultimo libro dal titolo “Nient’altro che la verità” ha «vuotato il sacco». Ecco cosa scrive facendo riferimento all’attuale pontefice:

«A volte, specialmente durante il suo periodo come emerito (di Papa Benedetto XVI), mi sono trovato in situazioni difficili; momenti in cui ho detto: Santo Padre, questo non può essere! Non riesco a farcela! La Chiesa corre contro un muro di mattoni! Non lo so: il Signore dorme, non c’è? Che cosa sta succedendo?»

La situazione negli ultimi giorni sta andando a distendersi complice anche l’incontro privato tra l’ex segretario del Papa emerito e Papa Francesco che parrebbe essere stato risolutorio. Permane comunque il dubbio riguardante l’ordine di far ripartire le indagini poiché potrebbe rappresentare il tentativo da parte dello stato pontificio di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica su qualcosa di positivo. Sembrerebbero dar credito a questa ipotesi anche le parole dell’avvocatessa della famiglia Orlandi, Laura Sgrò:

«Siamo contenti dei nuovi accertamenti. Abbiamo presentato due denunce, la prima nel 2018 e la seconda nel 2019. Non so su quale base abbiano aperto, lo abbiamo appreso dagli organi di stampa. Siamo curiosi di saperne di più anche noi. Reputo che la famiglia Orlandi sarebbe dovuta essere avvisata un po’ prima.»

Nonostante rimangano i dubbi sull’effettiva motivazione per cui il già citato promotore di giustizia del Vaticano abbia deciso di interessarsi alla vicenda proprio in questo momento particolarmente turbolento, si riaccende la speranza che giustizia venga fatta per Emanuela Orlandi.

Francesco Pullella

 

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Parlamento UE sotto accusa: mazzette da parte del Qatar. In manette la vice Kaili e tre italiani a capo di ONG

Domenica quattro persone affiliate al Parlamento Europeo sono state arrestate con l’accusa di corruzione e riciclaggio di denaro a seguito di un’inchiesta della procura belga riguardante un’attività di lobbying condotta, come si presume, da parte del Qatar, paese che sta ospitando i Mondiali di calcio 2022 e che si trova già sotto pesanti accuse per violazione dei diritti umani.

I soggetti che si trovano sotto arresto sono Eva Kaili, politica greca e vicepresidente del Parlamento Europeo (adesso sospesa); Pier Antonio Panzeri, ex europarlamentare dei Socialisti e Democratici tra il 2004 e il 2019; Francesco Giorgi, compagno di Kaili, assistente parlamentare e fondatore della ong Fight Impunity; Niccolò Figà-Talamanca, a capo della ong No Peace Without Justice. Sottoposte al mandato di arresto europeo anche la moglie e la figlia di Panzeri, col vincolo di associazione a delinquere.

(La vicepresidente dell’Europarlamento Eva Kaili / fonte: euranet_plus @ Flickr.com)

L’inchiesta

Lo scorso 9 dicembre due giornali belgi, Le Soir e Knack, hanno scritto che la procura federale belga stesse mandando avanti già da luglio un’indagine su un giro di corruzione e riciclaggio che si sarebbe svolto proprio dentro il Parlamento Europeo, con vari protagonisti tra cui «quattro italiani». Il procuratore federale Eric Van Duyse, a Knack, avrebbe poi parlato genericamente di «uno Stato del Golfo» senza volerne rivelare l’identità, ma tutti i sospetti sono inevitabilmente caduti sul Qatar.

L’accusa a questo Paese sarebbe di aver tentato per mesi di influenzare le decisioni economiche e politiche del Parlamento UE tramite il versamento di ingenti somme o regali a terze parti con un grande ascendente sul Parlamento.

Per questa ragione, il 9 dicembre (giorno in cui, quasi paradossalmente, si festeggia la Giornata Internazionale contro la Corruzione), la procura belga ha operato sedici perquisizioni nelle case degli assistenti dei vari membri del Parlamento indagati, dove sono stati sequestrati computer e smartphone ed, in un caso, anche seicentomila euro in banconote.

Il Qatar nel mirino

Le ragioni per cui, tra tutti i Paesi del Golfo, i sospetti siano caduti proprio sul Qatar sono intuibili: questo Paese negli anni scorsi è infatti riuscito ad ottenere l’assegnazione dei Mondiali di Calcio 2022, ma non senza importanti polemiche. Perplessità si sono trasformate in vere proteste quando è stato fatto presente il poco riguardo che questa nazione avrebbe dei diritti umani, in particolare delle categorie più deboli come quelle rappresentate dalla comunità LGBTQ+.

Non meno importante, un grande scandalo ha riguardato la costruzione dei vari stadi dove oggi vengono ospitate le partite di calcio. Migliaia di morti sul lavoro sarebbero avvenute durante questa fase, per non parlare delle esimie condizioni in cui la manodopera era costretta a lavorare.

(fonte: carlosmorejon.net)

In sostanza, il Qatar avrebbe tutto l’interesse a dare una “rinfrescata” alla propria immagine, facendosi promuovere proprio da soggetti vicinissimi alle cause per i diritti umani e mostrarsi come uno Stato – addirittura – democratico. Ed infatti, numerose personalità coinvolte nell’inchiesta avevano rilasciato dichiarazioni pubbliche a sostegno del Qatar che destavano non poco sospetto. La stessa vice Eva Kaili, dopo un incontro col Ministro qatariota del Lavoro, aveva detto che «Il Qatar sarebbe stato in prima linea per i diritti dei lavoratori».

Ad ogni modo, un esponente ufficiale del Qatar ha negato qualsiasi coinvolgimento del suo governo nella vicenda, affermando di aver sempre agito secondo i dettami delle norme internazionali.

L’importante ruolo delle ONG

Ciò che rende ancor più complessa la vicenda sarebbe l’utilizzo, per gli scopi illeciti degli indagati, delle rispettive posizioni di forza e di garanzia di cui godevano, nonché delle due ONG No Peace Without Justice, capitanata da Niccolò Figà-Talamanca, e Fight Impunity, presieduta da Antonio Panzeri. La sede di quest’ultima è stata oggetto di perquisizione da parte della polizia belga.

In particolare, Fight Impunity è un’organizzazione che si propone l’obiettivo di «promuovere la lotta contro l’impunità per gravi violazioni dei diritti umani e crimini contro l’umanità avendo il principio di responsabilità come pilastro centrale dell’architettura della giustizia internazionale». Molti sono i nomi che hanno deciso di abbandonare a seguito dello scandalo: da Federica Mogherini, ex Alta Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, all’ex primo ministro francese Bernard Cazeneuve, all’ex Commissario Europeo per le Migrazioni Dimitris Avramopoulos, fino alle eurodeputate Cecilia Wikström ed Isabel Santos.

(Logo di Fight Impunity / fonte: fightimpunity.com)

Molti di questi soggetti erano esclusivamente membri onorari dell’organizzazione, non avendo al suo interno alcun ruolo effettivo.

Quanto a No Peace Without Justice, membro di spicco (e fondatrice) è la politica italiana Emma Bonino, a sua volta membro onorario di Fight Impunity, che però non si è espressa sull’accaduto.

Lo sconforto della politica

Fino a prova contraria, per tutti i soggetti sotto arresto vige la presunzione d’innocenza. Eppure, la vicenda si presta già ad essere «il più grande caso di presunta corruzione interna al Parlamento UE degli ultimi decenni», come affermato dal Direttore della Trasparenza Internazionale dell’Unione Michiel van Hulten. E rivela a Politico:

Il Parlamento ha creato una cultura dell’impunità, con una combinazione di regole finanziarie e controlli lassisti ed una totale mancanza di supervisione etica indipendente.

Infine, la Presidente del Parlamento Roberta Metsola ha affermato che «l’Assemblea si schiera fermamente contro la corruzione e sta attivamente cooperando con le forze dell’ordine e le autorità giudiziarie per favorire il corso della giustizia».

Valeria Bonaccorso

Inchiesta su Capitol Hill, i testimoni: Trump tentò un golpe grazie ai gruppi di estrema destra

Nel gennaio 2022 negli Stati Uniti è stata aperta un’inchiesta parlamentare per indagare sui fatti del 6 gennaio 2021, quando migliaia di persone hanno fatto irruzione a Capitol Hill, sede del Congresso. Dal 9 giugno sono iniziate le audizioni pubbliche utili a presentare i risultati dell’inchiesta. Quanto emerso dalla stessa potrebbe stupire: se, dapprima, si pensava che l’assalto fosse opera di un gruppo di seguaci della teoria QAnon, adesso si fa sempre più concreto il possibile coinvolgimento dell’ex Presidente Donald Trump in un vero e proprio tentativo di ribaltare i risultati delle Presidenziali 2020.

il presidente della Commissione istituita ad hoc Bennie Thompson, deputato democratico, ha detto chiaramente che l’assedio è stato «il punto culminante di un tentato golpe» e che «Donald Trump ha istigato la folla a marciare verso il Campidoglio per sovvertire la democrazia americana».

Donald Trump incitò i suoi fan a marciare sul Capitol

L’ex Presidente avrebbe addirittura aggredito un agente alla guida della limousine presidenziale afferrando il volante per tentare di raggiungere i manifestanti. Questo è quanto emerge dalla testimonianza di Cassidy Hutchinson, testimone chiave che ha lavorato per l’ex capo dello staff Mark Meadows.

(Cassidy Hutchinson. Jacquelyn Martin via AP Photo)

A tal proposito, i Servizi Segreti hanno rilasciato una dichiarazione in cui hanno affermato di «aver cooperato pienamente con la Commissione e che continueranno a farlo». Per questo – continuano – «abbiamo intenzione di rispondere formalmente alle nuove informazioni rivelate durante l’audizione non appena potranno accoglierci».

Non finisce qui: Trump sapeva che c’erano persone armate e con giubbotti anti proiettili al comizio che aveva organizzato il 6 gennaio, poco prima di incitare la folla dei suoi fan a marciare sul Capitol. Inoltre, chiese di rimuovere i «fottuti metal detector» al suo raduno, affermando che i suoi fan non gli avrebbero fatto del male.

Un altro dato emerso dalle audizioni consiste nel fatto che Trump era a conoscenza della regolarità dello svolgimento delle elezioni, per cui era stato invitato a non parlare più di “brogli” e “frodi elettorali”. L’ex procuratore generale William Barr ha aggiunto che se «davvero Trump crede in quelle cose, allora è completamente fuori dalla realtà». Anche la figlia Ivanka Trump ha fatto sapere di essere d’accordo con Barr.

Minacce all’ex vice Mike Pence

Emerge dalle audizioni un altro dato: la vita dell’ex vicepresidente Mike Pence potrebbe essersi trovata in grave pericolo nel periodo successivo alle Presidenziali. Infatti, quando si è rifiutato di dare seguito al piano sull’interruzione della certificazione dei voti del collegio elettorale (e quindi di ostacolare la salita di Biden), Trump avrebbe scatenato la folla contro di lui attraverso vari tweet pubblicati sia mentre gli assalitori stavano marciando verso il Campidoglio, sia quando erano già dentro.

(Gage Skidmore via Flickr)Un documento riservato dell’FBI, in cui vengono riportate le parole di un informatore all’interno dei Proud Boys (una milizia di estrema destra fondata nel 2016), ha rivelato che «se ne avessero avuto l’opportunità, i membri del gruppo avrebbero ucciso Mike Pence». Non sorprende che diversi manifestanti abbiano intonato cori inneggianti all’impiccagione di Pence.

Intimidazioni anche contro i testimoni

Al termine delle testimonianze, Liz Cheney, membro repubblicano della Camera dei Rappresentanti, ha presentato possibili prove di intimidazione dei testimoni e ostruzione alla giustizia.

Il Presidente vuole che ti faccia sapere che sta pensando a te. Sa che sei leale.

Sarebbe uno dei messaggi ricevuti dai testimoni.

Un precedente antidemocratico?

Nonostante l’attacco a Capitol Hill sia sventato, negli Stati Uniti si continua a temere per il destino dell’assetto costituzionale. Anche alla luce degli ultimi eventi, tra cui l’overturning della RoevsWade e la conseguente abrogazione della tutela costituzionale del diritto all’aborto, si inizia a pensare (in realtà, già da prima) che questa broken democracy rischi veramente di vivere una deriva autoritaria. Soprattutto, i timori riguardano la possibilità che, in assenza di punizioni reali per i membri dell’Ufficio Presidenziale che hanno provato a coprire il tutto o vi hanno addirittura partecipato, si possa creare un precedente antidemocratico destinato a ripetersi in futuro.

Che l’ex Presidente adesso indagato non abbia imparato molto dalla vicenda, lo si nota anche dalle sue ferme intenzioni di ripresentarsi alle prossime Presidenziali.

Immagine in evidenza: Tyler Merbler via Wikimedia Commons.

Valeria Bonaccorso

Scala dei Turchi, volontari ripuliscono la scogliera dalle macchie rosse. Il Procuratore di Agrigento: “Grazie a la meglio gioventù”

La Scala dei Turchi è stata ripulita da tecnici e decine di volontari dopo meno di 24 ore. La scogliera di marna bianca che si erge a picco sul mare lungo la costa di Realmonte, in provincia di Agrigento e candidata come patrimonio dell’Umanità dell’Unesco era stata imbratta da ignoti nella giornata di sabato. Per rimediare al danno, tecnici e volontari già dalle prime luci dell’alba di domenica hanno prima aspirato la polvere rossa per poi ripulire l’area con l’aiuto di una idropulitrice. “La Regione Siciliana – ha commentato il governatore Nello Musumeci – si è subito attivata, assieme al Comune, con le sue strutture sul territorio, per mettere in sicurezza la Scala dei Turchi e ripulire l’area danneggiata, dopo il vile atto di vandalismo”. Il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, ha commentato

Ripulire la Scala dei Turchi è una bella pagina della “meglio gioventù” siciliana

 

Scala dei Turchi deturpata con polvere rossa da intonaco. (fonte: fanpage.it)

Che cosa è successo alla Scala dei Turchi

La Scala dei Turchi di Realmonte si è ancora una volta trasformata in bersaglio di atti vandalici. Secondo i primi accertamenti eseguiti dai tecnici della Soprintendenza ai Beni Culturali di Agrigento sembra che nella notte tra il 7 e l’8 Gennaio alcuni vandali abbiamo sparso della polvere di ossido di ferro, che si colora di rosso a contatto con l’acqua e diventa liquida come vernice. Il tutto è avvenuto in un’area limitata all’accesso dei non addetti proprio per salvaguardare un bene a rischio idrogeologico e candidato a divenire patrimonio Unesco dal 2007.

Nel frattempo la procura di Agrigento ha aperto un fascicolo a carico di ignoti per danneggiamento di beni avente valore paesaggistico e sono stati disposti esami sul materiale e indagini sulle rivendite dei materiali usati per risalire ai possibili responsabili.

Il contenzioso giudiziario e la querelle

La Scala dei Turchi in passato è stata al centro di un lungo contenzioso giudiziario, tra il Comune di Realmonte e il proprietario di alcune particelle catastali, Ferdinando Sciabbarrà, che aveva portato anche al sequestro del sito da parte della magistratura. Sciabbarrà, nonostante una multa di quasi 10mila euro e un’inchiesta penale nei suoi confronti per occupazione di suolo demaniale e violazioni in materia di sicurezza e tutela di beni ambientali, si è visto restituire una parte della scogliera dal giudice che ha riconosciuto le sue ragioni. Di recente tramite i suoi legali si è dichiarato disposto anche a cedere il bene a condizione che diventi una riserva naturale. Un’altra ipotesi è che la Scala dei Turchi venga acquisita direttamente al patrimonio della Regione “impegnata da qualche anno assieme ad altre istituzioni – come ha sottolineato il presidente Nello Musumeci -, nella tutela e nella salvaguardia dell’integrità di questo meraviglioso angolo della Sicilia”.

Due anni fa la Scala dei Turchi fu al centro di una singolare querelle: il Comune di Realmonte ipotizzava di cedere i diritti d’immagine del bene ambientale. La bozza pervenuta al primo cittadino prevedeva che il comune in cambio della proprietà piena della Scala dei Turchi avrebbe concesso per settant’anni il 70% dei “diritti d’immagine” ai privati per servizi giornalistici, cinematografici e pubblicitari che riprendono quel tratto della collina di marna.

Polvere rossa da intonaco sulla marna bianca che ha deturpato la Scala dei Turchi ad Agrigento (fonte: ansa.it)

La Scala dei Turchi, meta del turismo internazionale

Descritta in modo vivido da Camilleri ne “La prima indagine di Montalbano”, cantata da Colapesce e Di Martino in “Luna araba” e raccontata da Giuseppe Tornatore in “Malena”e da Pif in “In guerra per amore”, la Scala dei Turchi è meta turistica da 700mila visitatori internazionali annuali. Prende il nome dai pirati Saraceni, impropriamente chiamati Turchi dalle popolazioni locali, che nel ‘500 usavano approdare sulla particolare formazione rocciosa per saccheggiare i villaggi della costa come l’attuale Realmonte.

“Il profilo della parte più alta della collina di marna candida s’incideva contro l’azzurro del cielo terso, senza una nuvola, ed era incoronato da siepi di un verde intenso. Nella parte più bassa, la punta formata dagli ultimi gradoni che sprofondavano nel blu chiaro del mare, pigliata in pieno dal sole, si tingeva, sbrilluccicando, di sfumature che tiravano al rosa carrico. Invece la zona più arretrata del costone poggiava tutta sul giallo della rina” (Camilleri)

 

Elidia Trifirò 

L’antitrust francese sanziona Google con una multa da 200 milioni di euro: i motivi e i nuovi impegni del colosso statunitense

Fonte: Startmag

Dopo il caso Facebook nel Regno Unito e in UE, i garanti della concorrenza si abbattono ancora una volta sulle Big Tech: Lunedì 7 giugno, l’autorità di vigilanza sulla concorrenza francese – informalmente chiamata “Antitrust“- ha inflitto una multa di 200 milioni di euro al colosso Google, per aver abusato del suo potere di mercato nel settore della pubblicità online.

Si tratterebbe, a livello globale, di uno dei primi casi antitrust nel settore del cosiddetto digital advertising. L’azienda statunitense ha comunque accettato di pagare la multa, promettendo inoltre di impegnarsi affinché simili abusi non si ripetano più.

L’inchiesta Google per abuso di posizione dominante

L’inchiesta avviata dalla Autorité de la Concurrence (Antitrust francese) ha rilevato la riservazione di un trattamento preferenziale da parte di Google ad uno dei principali sistemi di vendita della pubblicità, DoubleClick for Publishers, da esso posseduto, il quale consente di vendere i propri spazi pubblicitari a editori di siti e applicazioni. Il colosso USA avrebbe poi garantito vantaggi anche alla sua piattaforma di venditaAdX“, che invece gestisce le aste utilizzate dagli editori per vendere agli inserzionisti impressions o inventari pubblicitari.

Tale favoreggiamento dei propri servizi, insieme con l’incoraggiamento agli inserzionisti di comprare pubblicità direttamente da Google, avrebbe dunque finito col danneggiare i servizi rivali, motivo per cui erano già partite delle denunce da parte di alcuni grossi editori, tra cui Newscorp e l’editore del Figaro.

Isabelle de Silva. Fonte: Le Revenu

‘’La sanzione di Google ha un significato molto speciale perché è la prima decisione al mondo che esamina i complessi processi delle aste algoritmiche attraverso i quali funziona la pubblicità online. L’indagine particolarmente rapida ha rivelato processi attraverso i quali Google, basandosi sul suo notevole dominio negli ad server per siti e applicazioni, ha superato i suoi concorrenti sia su ad server che su piattaforme SSP. Queste pratiche molto gravi hanno penalizzato la concorrenza nel mercato emergente della pubblicità online e hanno permesso a Google non solo di mantenere ma anche di aumentare la sua posizione dominante. Questa sanzione e questi impegni consentiranno di ristabilire condizioni di parità per tutti gli attori e la possibilità per gli editori di sfruttare al meglio i propri spazi pubblicitari.’’, ha dichiarato Isabelle de Silva, presidente dell’Autorità della concorrenza francese.

Gli accordi con l’authority francese

Google ha accettato le sanzioni dell’autorità Antitrust senza alcuna contestazione, dopo che quest’ultima aveva verificato la pratica concorrenziale del motore di ricerca, chiedendo il rispetto di determinate condizioni.

L’azienda di Mountain View ha quindi annunciato miglioramenti dell’interoperabilità tra i servizi Ad Manager con Ad server e piattaforme di terze parti, spiegando come non verranno più riservate corsie preferenziali per l’acquisto degli spazi pubblicitari dagli editori nel momento in cui tutti i compratori riceveranno accesso agli stessi dati delle aste. Oltre a ciò, i publisher saranno liberi di negoziare termini o prezzi specifici direttamente con altre piattaforme lato vendita (SSP), senza alcun impedimento.

Tali impegni, secondo quanto dichiarato dall’Antitrust, hanno permesso la riduzione dell’entità della multa.
Nonostante vincolanti solo in Francia (per tre anni), i provvedimenti presi da Google potrebbero diventare un modello per consentire all’azienda di risolvere dispute simili anche altrove.

L’indagine europea del 2019

Google aveva già attirato l’attenzione dell’Antitrust francese nel 2019, sempre nel settore della pubblicità online: allora il motore di ricerca era stato sanzionato per concorrenza sleale con una multa da ben 150 milioni di euro.

Fonte: Wired

La multa si riferiva a Google Ads, vale a dire il servizio che consente di inserire degli spazi pubblicitari all’interno delle pagine di ricerca Google. Questo perché secondo l’autorità francese, la società statunitense aveva agito in maniera poco chiara nei confronti degli inserzionisti, accusata, in particolare, di aver sospeso o bloccato ingiustificatamente alcuni di loro, e di avergli oltretutto imposto condizioni particolarmente svantaggiose.

«Google ha potere di vita o di morte per molte società che vivono di pubblicità», ha detto durante una conferenza stampa Isabelle de Silva, a capo dell’autorità. «Noi non contestiamo a Google il suo diritto di imporre regole. Ma le regole devono essere chiare e uguali per tutti gli inserzionisti».

A quel punto Google spiegò che il caso aveva riguardato Gibmedia, un’azienda che usufruiva della piattaforma con inserzioni pubblicitarie discutibili e a volte ingannevoli. L’account di quest’ultima era stata sospeso proprio per tali ultime ragioni.

Il caso Facebook

Qualche giorno fa, la Commissione europea ha aperto un’indagine antitrust formale – simile a quella più recente di Google – su Facebook, per valutare se il social network avesse violato le regole di concorrenza dell’Ue mediante l’utilizzo di dati pubblicitari raccolti specialmente dagli inserzionisti, per competere con loro nei mercati dove Facebook è attivo, come ad esempio gli annunci economici.

Fonte: Everyeye Tech

Facebook potrebbe, ad esempio, ricevere specifiche informazioni sulle preferenze dei suoi utenti dalle attività degli annunci dei suoi concorrenti, per poi usare quei dati per adattare al meglio il suo servizio di annunci Marketplace.

‘’Nell’economia digitale di oggi, i dati non dovrebbero essere utilizzati in modi che distorcono la concorrenza”, ha detto Margrethe Vestager, vicepresidente della Commissione Ue e responsabile della concorrenza.

Un portavoce di Facebook commenta così l’indagine antitrust aperta dalla Commissione Ue:

“Continueremo a collaborare pienamente alle indagini per dimostrare che non hanno fondamento. Lavoriamo per sviluppare costantemente servizi nuovi e migliori che possano soddisfare le esigenze in evoluzione delle persone che usano Facebook. Marketplace e Dating offrono alle persone più scelta ed entrambi i prodotti operano in un contesto altamente competitivo, che presenta altri grandi player”.

Gaia Cautela

Giovedì 28 il webinar “Giornalismo d’inchiesta e studenti: la stampa universitaria sulle spalle dei giganti”

Il giornalismo di ieri e di domani si incontrano nell’oggi e più precisamente giovedì 28 gennaio alle 10.30, nel corso del webinar organizzato da UniVersoMe, insieme all’Università di Messina, con “Noi Magazine” nell’ambito del progetto di partecipazione all’inserto di Gazzetta del Sud; l’evento sarà accessibile tramite la piattaforma Microsoft Teams e visibile in contemporanea sulle pagine Facebook ufficiali dei partner dell’evento.

Durante il seminario si ripercorreranno le gloriose orme del passato del giornalismo d’inchiesta e si riattualizzeranno, cercando un punto di incontro tra le ondate del mondo dell’informazione che in certi ambiti risultano discordanti e distanti.

Dov’è finito il giornalismo investigativo? Quali sono i suoi prototipi per il futuro prossimo? In che modo il giornalista del presente – e del futuro – può ritrovarsi nel suo ruolo democratico e riemergere dalle ceneri del sensazionalismo e dell’omogeneità?

L’incontro vedrà come ospite Giulio Francese, presidente del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti Sicilia, e come relatori il prof Giovanni Moschella, prorettore vicario UniMe e Presidente del Centro Studi sulle Mafie, Alessandro Notarstefano, Direttore responsabile di Gazzetta del Sud e Vincenzo Ciraolo, Segretario dell’Organismo Congressuale Forense. I lavori saranno introdotti dai saluti del Rettore Salvatore Cuzzocrea e del Presidente della Società Editrice Sud (SES) Lino Morgante; la diretta sarà poi moderata moderata dal Coordinatore generale di UniVersoMe, Emanuele Chiara e dalla giornalista di Gazzetta del Sud Natalia La Rosa, responsabile dell’inserto “Noi Magazine”; l’evento online si svilupperà anche attraverso gli interventi della responsabile Unit creativa e rubrica Eventi di UVM, Cristina Geraci e della responsabile della rubrica di Attualità, dott.ssa Martina Galletta.

Un carnet di ospiti e relatori che analizzeranno storicamente, sociologicamente e giuridicamente il giornalismo d’inchiesta, prezioso quanto raro alleato della società democratica e lo metteranno a confronto con le sue espressioni del presente.

La storia conta straordinari padri del giornalismo investigativo, uno fra tutti Mario Francese, “Il giornalista con la schiena dritta” – come recitava il titolo del primo convegno in suo onore organizzato da UVM nel 2019 –  di cui la testata universitaria vuole onorare ancora una volta il ricordo organizzando un nuovo incontro – questa volta online – con il figlio Giulio, in una data vicina al 26 gennaio, giorno in cui si ricorda la sua scomparsa.

Locandina dell'evento

Nella ricerca degli esempi da seguire si approfondirà il ruolo del giornalismo universitario – anch’esso raro e straordinario- il quale oggi assurge a un ruolo di avanguardia nella lotta alla disinformazione che affligge le nuove generazioni. Una sfida che anche UniVersoMe si impegna a vincere controbilanciando lo scetticismo e l’apatia informativa dei più giovani con una spinta verso l’impegno attivo negli ambiti dell’informazione, sia da redattori che da lettori.

L’evento darà accesso al riconoscimento di 0,25 CFU per gli studenti iscritti all’Università di Messina previa compilazione in entrata e uscita dell’apposito format che verrà fornito nel corso dell’incontro.

Martina Galletta

Il caso Suarez e l’esame irregolare per la cittadinanza italiana

Il caso Suarez, giocatore uruguaiano, attaccante dell’Atlètico Madrid e della nazionale uruguaiana non è passato di certo inosservato poiché si aggiunge a una coda di casi che non fanno altro che far apparire l’Italia come un paese dove valgono due pesi e due misure, in funzione di una rete di interessi maggiori.

Questa volta al centro del dibattito c’è il giocatore Luis Suarez, il quale promesso alla Juventus, sarebbe stato ottenuto con una truffa. Il decreto sicurezza –  voluto fortemente dall’ex ministro degli interni Salvini e diventato legge nel 2019 –  introduce, infatti, il requisito della conoscenza della lingua italiana (Esame B1), per poter conseguire la cittadinanza. L’attaccante, dunque, per poter essere acquistato dalla Juventus, ha sostenuto un esame di conoscenza della lingua ma pare che questo non si sia svolto nelle modalità previste dalla legge. Un’esame definito come “farsa” con “previa consegna” dei contenuti della prova al calciatore, secondo la procura di Perugia.

Luis Suarez, le tappe del caso: la cittadinanza e la trattativa con la Juventus, che poi lo ha scaricato. Ora l'inchiesta sull'esame di italiano - Il Fatto Quotidiano

Inchiesta della procura della Federcalcio

La procura della Figc ( Federazione Italiana Giuoco Calcio) ha aperto un’inchiesta a proposito. Nè Suarez nè i membri del suo entourage risultano al momento indagati. Il giocatore barcellonese circa cinque giorni fa aveva sostenuto il B1 di italiano, presso l’Università per stranieri di Perugia, superandolo. Lorenzo Rocca, professore ed esaminatore dell’esame “farsa”, aveva dichiarato alla stampa la capacità di Suarez di comprendere con facilità la lingua italiana e farsi comprendere. Una versione che però è risultata contraddittoria, rispetto alle parole di Stefania Spina, direttrice del Centro di valutazione e certificazione linguistica dell’Ateneo, la quale non consapevole di essere intercettata dalla guardia di finanza di Perugia aveva sostenuto il 12 settembre, l’incapacità del giocatore di coniugare verbi o semplicemente parlare l’italiano.

Gli indagati

Tra gli indagati risultano Stefania Spina, Lorenzo Rocca, il direttore generale Simone Olivieri, un’impiegata dell’università, la rettrice Giuliana Grego Bolli, quest’ultima accusata anche di concorso in corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio. Dalla nota del magistrato Cantone, si legge l’ipotesi di come gli argomenti d’esame fossero stati stabiliti in precedenza con il giocatore, attribuendo un punteggio ancora prima dello svolgimento della prova linguistica. Prova che sarebbe durate solamente 10 minuti per la parte orale, un tempo molto ridotto da quello previsto dalle modalità d’esame per il conseguimento del B1.

“Ma te pare che lo bocciamo!”,  “con dieci milioni a stagione di stipendio non glieli puoi far saltare perché non ha il B1” sono queste le parole di Spina intercettate dalla guardia di finanza.

Il comandante della guardia di finanza perugina, Selvaggio Sarri ha spiegato che è stata “la Juventus, attraverso il suo staff, a rivolgersi all’Università per Stranieri per sapere se ci fosse la possibilità di far svolgere a Suarez l’esame”. Il colonnello Sarri ha fatto presente la fuoriuscita dall’indagine di contatti tra lo staff della Juventus e la direzione dell’Ateneo di Perugia, dove quest’ultima non ha tardato a sottolineare“la correttezza e la trasparenza delle procedure seguite per l’esame sostenuto dal calciatore Luis Suarez”.

A tal proposito anche il segretario della Lega Matteo Salvini si è espresso a Mattino Cinque dichiarando:

“Se qualcuno ha truccato un esame deve essere licenziato in tronco, anche per rispetto alle migliaia di studenti che si impegnano. L’università è una cosa seria e non si può permettere che la sua immagine di eccellenza venga infangata da questa vicenda”.

La vicenda di Suarez  può essere inserita in un quadro generale più ampio. Sono tantissimi gli stranieri oggi, che per ottenere la cittadinanza italiana si impegnano nell’apprendimento della lingua, attraverso corsi, libri, dedizione, sacrifici e quant’altro. Ma avvenimenti come questo fanno riflettere su come in Italia si è tanto bravi a dar voce alla meritocrazia con le parole, per poi essere in un secondo momento smentita attraverso i fatti concreti, creando differenze sociali, tensioni e malessere nella società.

Eleonora Genovese

Non è colpa nostra! Community Talk LGBTQ+ e 1°AperInchiesta sulla violenza

Si terrà giovedì 24 settembre, dalle ore 18:00 fino alle ore 20:00, presso la sede di Cambiamo Messina dal Basso (Via Mario Giurba 15), il Community Talk LGBTQ+ sulle varie forme di violenza. Al termine dell’evento, dalle ore 20:00 alle ore 23:00, il caffè letterario COLAPESCE (Via Mario Giurba 8/10) ospiterà l‘AperInchiesta che approfondirà l’argomento di discussione.

Nella nostra città la violenza omolesbobitransfobica è preoccupantemente diffusa ma ugualmente silenziata: passano sotto silenzio atti di bullismo, aggressioni e minacce, ma anche e soprattutto discriminazioni e stereotipi che avvolgono tutta la nostra quotidianità. Dopo alcuni fatti di victim blaming che ci hanno colpito da vicino, abbiamo deciso che è arrivata l’ora di affrontare la questione!

Cos’è il Community Talk?

È un’assemblea rivolta non solo alle/agli attivisti della nostra associazione ma a tutta la comunità LGBTQ+ in città per affrontare le questioni che ci riguardano collettivamente.

Cos’è l’AperInchiesta?

È un evento che si svolge sotto forma di domande davanti ad un aperitivo: esploreremo insieme un argomento e come questo riguarda noi e la nostra vita di tutti i giorni. In forma anonima tramite bigliettini o, per chi se la sente, intervenendo durante l’evento. Insieme poi discuteremo dei risultati emersi!

Me Too

Racconta con un video o un messaggio la tua storia, che tu abbia subito o assistito ad una violenza omolesbobitransfobica! Contro il rimosso della violenza, costruiamo una comunità forte e unita!
Dove mandare il tuo video: Instagram Liberazione Queer+ Messina, Facebook Liberazione Queer+ Messina.
Mappa per raggiungere Cambiamo Messina dal Basso

Mappa per raggiungere Colapesce

Per maggiori informazioni link all’evento: Non è colpa nostra! // #CommunityTalk LGBTQ+ e 1°AperInchiesta sulla violenza @Messina