Farmaci agnostici: il futuro dell’oncologia

Recentemente nel campo dell’oncologia sono stati introdotti dei nuovi promettenti farmaci detti “agnostici“. Come funzionano? Qual è la differenza rispetto agli altri farmaci attualmente in uso?

Per poter capire come funzionano, iniziamo col parlare del perché ci si ammala di cancro.

Perché ci si ammala di cancro?

Il cancro è ad oggi una patologia assai diffusa e l’incidenza dei tumori nei decenni è andata aumentando. Ma da cosa nasce un tumore?
I tumori sostanzialmente possono essere definiti come una crescita incontrollata di cellule “impazzite”.
Normalmente, infatti, tutti i nostri tessuti si rinnovano, le cellule vecchie vengono sostituite da cellule nuove. In questo modo il nostro organismo riesce a riparare i vari danni che subisce.

Tuttavia, quando una cellula non riesce più a percepire i segnali di “stop”, continua a dividersi e moltiplicarsi, invadendo i tessuti vicini e lontani. Per quale motivo accade?
Perché ha subito delle mutazioni tali da farle perdere i freni inibitori o potenziarne l’attività moltiplicativa.

Perché avvengono le mutazioni?

Le mutazioni che causano il cancro hanno molteplice origine.

Possono essere congenite, come in varie sindromi caratterizzate da aumentata incidenza di tumori (dovute a mutazioni nelle cellule germinali dei genitori).

Possono essere provocate da cattivi stili di vita, includendo fumo, alcolismo, obesità, sedentarietà, ecc. Tutte condizioni che fanno sì che vengano rilasciate sostanze “velenose” o pro- infiammatorie. Nel tempo, esse danneggeranno le cellule, spingendole a replicarsi di più, con più probabilità di mutare.

Fonte: medimagazine

Possono essere causate da agenti esterni come virus (epatite, HIV, HPV e altri), radiazioni ionizzanti, veleni, pesticidi ecc., che attraverso particolari meccanismi possono danneggiare il DNA della cellula.

Ancora, possono essere casuali, in quanto la massima parte delle nostre cellule si moltiplica ripetutamente nell’arco della nostra vita. Ad ogni moltiplicazione c’è un certo tasso di errore nel copiare il DNA della cellula progenitrice. Questo, moltiplicazione dopo moltiplicazione, può portare ad un accumulo di errori che prima o poi può esitare in cancro.

Aggiungiamo poi che, grazie ai progressi della medicina, la vita media ha subito un’enorme allungamento rispetto al passato (si è passati da un’aspettativa di vita media di 50 anni negli anni ’20, agli attuali 81-85 anni). Più viviamo, più è probabile subire mutazioni per i fattori sopra elencati.

L’oncologia come cura attualmente il cancro?

Il razionale della terapia in oncologia sta nell’eliminare tutta la massa tumorale. Questo lo si può fare con interventi chirurgici, in genere quando il tumore è agli stadi iniziali (per questo è importante la prevenzione, per “prendere un tumore in tempo”), oppure usando radioterapia, chemioterapia e farmaci biologici, insieme alla chirurgia o qualora il tumore sia inoperabile in quanto ha dato metastasi in zone del corpo difficili o impossibili da raggiungere.

Con la chemioterapia si vanno ad usare farmaci che colpiscono tutte le cellule che si moltiplicano velocemente.
Ecco perché si hanno degli effetti collaterali ai capelli, alla pelle, all’intestino e in altre sedi. Infatti, i tumori sono costituiti da cellule impazzite che si moltiplicano in fretta, per cui con questi farmaci si riesce a colpire abbastanza bene un tumore, seppur con i numerosi effetti collaterali.

Fonte immagine: medicina online

L’avvento della genetica, dei supercomputer e l’avanzamento della tecnologia hanno poi portato a creare dei farmaci chiamati “biologici”, in quanto costituiti da molecole in grado di interagire in modo mirato con i recettori e gli enzimi delle cellule tumorali.

Studiando per esempio i tumori del seno, si è visto che molti presentano la mutazione del recettore HER2, per cui per questi tumori si può usare un farmaco specifico che blocchi tale recettore (Trastuzumab), facendo sì che si abbiano meno effetti collaterali al resto del corpo.

Per ogni tumore, inoltre, l’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) redige delle linee guida da seguire (una per ognuno, che sia seno, colon, polmone, prostata, cervice, ovaio ecc.). Sono stilate seguendo le più moderne evidenze scientifiche in ambito internazionale (American Joint Committee on Cancer, PubMed ecc.).

Fonte immagine: AIOM

Se per esempio viene scoperto che per il tumore al colon ad un certo stadio è più efficace la combinazione chemio + farmaco molecolare + intervento, verrà raccomandato di seguire questo protocollo piuttosto che il precedente.

Cosa cambia con i farmaci agnostici?

Finora si è seguito il “modello istologico” nella cura dei tumori, ovvero dopo aver analizzato il tumore al microscopio, si identifica a che tipo di tessuto appartiene e si tratta di conseguenza.
Ma oggi in oncologia sta iniziando a prendere piede il “modello genetico”.

Analizzando infatti dei marker specifici, per ogni mutazione, come ad esempio il deficit di riparazione del mis-match repair DNA (dMMR), l’instabilità dei microsatelliti (MSI-H), l’espressione di molecole come PD-L1, si può capire quale categoria di pazienti risponderà o meno ad esempio all’immunoterapia, indipendentemente dalla sede del tumore.

Ancora, fusioni di geni NTRK1/NTRK2/NTRK3 sono dei grandi esempi di mutazione genetica “driver” (ovvero che dà inizio alla trasformazione tumorale della cellula). Inibendo questi geni, si hanno importanti risposte terapeutiche, indipendentemente dall’età del paziente e dal tumore di origine.

Tra i tanti nuovi farmaci disponibili troviamo ad esempio il Pembrolizumab. È un anticorpo monoclonale capace di bloccare l’azione di PD-L1, molecola attraverso cui i tumori riescono a sfuggire al sistema immunitario.
Questo farmaco si può usare nel tumore del polmone, nei tumori della testa e del collo, nei linfomi di Hodgkin, nel cancro dello stomaco e della cervice. Non importa la sede, ma solo la sovra-espressione del PD-L1, per poter iniziare la terapia.

Fonte immagine: alcase Italia

Ancora, il Larotrectinib, un inibitore delle tropomiosina chinasi TrkA, TrkB e TrkC. Viene usato in tutti i tumori con la fusione dei geni NTRK, tra cui polmone, melanoma, tumori gastrointestinali stromali, colon, sarcomi dei tessuti molli, tumori delle ghiandole salivari, ecc.
Non importa dove sia il tumore: se tra le sue mutazioni c’è la fusione dei geni NTRK, questa molecola funzionerà.

Conclusioni

I progressi della ricerca hanno portato la medicina a non dare più semplicemente cure uguali per certe malattie. Oggi si parla infatti di “Tailor made medicine” ovvero “medicina cucita sulla persona”.

Sia dal punto di vista biologico che psicologico, le persone, come le loro malattie, per quanto simili, hanno delle piccole differenze. Per curare al meglio ogni individuo è bene andarle a ricercare. In questo modo, si capirà quale sia la terapia migliore per quella malattia, ma soprattutto per quella singola persona.

Roberto Palazzolo

Un anticorpo monoclonale per la lotta al coronavirus

Recentemente la corsa al vaccino anti-SARS-CoV2 sembra aver ricevuto un’accelerata decisiva: in studi di fase tre, i due sieri delle case farmaceutiche americane Pfizer e Moderna sono risultati efficaci in più 90% dei casi. Ma, oltre al vaccino, ci sono altre vie che ci potranno aiutare ad uscire una volta per tutte da questa pandemia globale? La risposta è sì: il 28 ottobre è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine uno studio sull’utilizzo dell’anticorpo monoclonale LY-CoV555 (sempre di una casa farmaceutica americana, Ely Lilly). Questo riuscirebbe a ridurre l’ospedalizzazione dei malati Covid dal 70 al 90%.

Sede centrale di Eli Lilly ad Indianapolis (USA)

Prima di tutto: cos’è un anticorpo monoclonale?

Gli anticorpi o immunoglobuline sono glicoproteine prodotte normalmente dei nostri linfociti B, attivati a plasmacellule, in risposta all’incontro con antigeni patogeni. Gli anticorpi monoclonali hanno lo stesso obiettivo, ma li produciamo in laboratorio attraverso metodiche di ingegneria genetica.

Si tratta di una tecnologia nuova? No, tutt’altro. Dobbiamo la loro scoperta a Georges Koheler e Cesar Milner, che nel 1984 vinsero il Nobel per la medicina. La prima tecnica utilizzata per produrli è stata quella dell’ibridoma, che sfrutta cellule di origine murina e conta una serie di passaggi:

  1. Immunizzazione del topo attraverso l’iniezione dell’antigene verso cui vogliamo produrre gli anticorpi.
  2. Prelievo delle plasmacellule murine dalla milza.
  3. Fusione di queste cellule con cellule neoplastiche in coltura: si ottiene una cellula detta ibridoma, che produce una quantità elevata del nostro anticorpo.
  4. Quindi moltiplicazione dell’ibridoma in coltura.

Oggi esistono anticorpi monoclonali totalmente umani, così da superare completamente il rischio di immunogenicità.

Tipologie di anticorpi monoclonali in base alla composizione prevalentemente murina o umana

 

Alcuni esempi

Prima di parlare dello studio che ha dimostrato l’efficacia di LY-coV555 nei pazienti affetti da Covid-19, vediamo alcuni degli anticorpi monoclonali oggi utilizzati.

  • Omalizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro le IgE, ovvero le immunoglobuline coinvolte nelle reazioni allergiche. È indicato nel trattamento dell’asma allergico grave e dell’orticaria, quando le altre terapie non si sono dimostrate valide per il controllo della malattia.
  • Trastuzumab, anch’esso un anticorpo umanizzato, è rivolto contro il dominio extracellulare del recettore HER-2, utilizzato nei carcinomi mammari che lo iper-esprimono. Il settore oncologico è probabilmente quello in cui gli anticorpi monoclonali stanno portando le migliori innovazioni.
  • Infliximab è invece un anticorpo chimerico, il suo bersaglio è il fattore di necrosi tumorale e la FDA (Food and Drug Administration) lo ha approvato per alcune malattie autoimmuni, come il morbo di Crohn, la colite ulcerosa, la spondilite anchilosante, la psoriasi e l’artrite psoriasica.

Altro esempio è il Tocilizumab: questo agisce da immunosoppressore bloccando l’azione di una delle citochine chiave della risposta infiammatoria, ovvero l’interleuchina 6 (IL-6). È il gold standard nell’artrite reumatoide e, nel mese di aprile ad inizio della pandemia, era stato utilizzato con discreti risultati anche per il trattamento di alcuni pazienti affetti da Covid-19.

Il trial sull’anticorpo monoclonale LY-CoV555

LY-CoV555 ha un meccanismo d’azione molto semplice da spiegare, si tratta di un potente anticorpo anti-spike. Lega ad alta affinità il dominio della spike di SARS-CoV-2 che gli permette di penetrare nelle nostre cellule e lo neutralizza.

https://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-8285333/Antibody-prevents-COVID-19-virus-infecting-human-cells.html

Il trial della Ely Lilly ha coinvolto 452 pazienti provenienti da 41 centri degli Stati Uniti, tutti testati positivi al nuovo coronavirus e presentanti sintomi lievi o moderati. La popolazione in studio è stata suddivisa in due bracci: uno riceveva un’infusione endovenosa di LY-CoV555, mentre l’altro un placebo. Nel primo braccio possono essere distinti anche tre sottogruppi in base alla dose di farmaco ricevuta, rispettivamente 700 mg, 2800 mg e 7000 mg.

L’outcome primario dello studio era quello di calcolare la variazione della clearance virale all’undicesimo giorno rispetto al giorno dell’infusione. Entrambi i gruppi hanno mostrato un miglioramento, con una diminuzione media di -3,81 nell’intera popolazione dal valore basale. Coloro che avevano ricevuto il farmaco hanno mostrato un maggior decremento del gruppo “placebo”. In questo il sottogruppo ottimale è risultato essere quello con il dosaggio intermedio di LY-CoV555, ovvero 2800 mg.

Quali effetti su ricovero e sintomi? E quali effetti indesiderati?

Per quanto riguarda l’ospedalizzazione, al 29esimo giorno soltanto l’1,6% dei pazienti trattati era ancora in ospedale e di questi la maggioranza aveva un’età superiore a 65 anni ed un BMI superiore a 35, considerati comunque fattori di rischio aggiuntivi. Nel gruppo placebo il tasso di ospedalizzazione alla stessa data era invece del 6,3%.

Ulteriore risultato positivo riguarda i sintomi. Questi sono stati valutati clinicamente mediante uno score: ognuno stimato da 0 (nessun sintomo) a 3 (sintomi severi). Il punteggio totale raggiungibile era di 24 ed i principali sintomi considerati erano: tosse, perdita del respiro, febbre, fatica, mal di gola, mal di testa e perdita dell’appetito. LY-CoV555, a qualsiasi dosaggio, ha dimostrato di ridurre la durata del periodo sintomatico, come evidente nel grafico seguente.

Nel trial non si sono verificati effetti avversi gravi nei pazienti del gruppo “farmaco”, mentre per quanto riguarda gli effetti avversi non considerati gravi questi si sono manifestati nel 22,3%. Il più frequente riportato era la nausea (3,9%), seguita da diarrea (3,2%) e vertigini (3,2%).

Lo studio non ha coinvolto gravi ammalati e solo uno degli arruolati, appartenete al gruppo “placebo”, è finito in terapia intensiva. Altro punto a svantaggio di questa terapia è il costo degli anticorpi monoclonali e, come detto dalla virologa Ilaria Capua in una recente intervista, “è illusorio pensare che questa cura possa arrivare a tutte le persone in pochi mesi”Nel frattempo rispettiamo le regole, utilizzando le mascherine e mantenendo il distanziamento sociale.

Antonio Mandolfo

 

 

Bibliografia

https://www.infomedics.it/servizi/biotecnologie/la-storia.html

https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2029849

http://www.informazionisuifarmaci.it/omalizumab

#OttobreRosa: possibilità terapeutiche e nuove frontiere

Secondo gli ultimi dati il carcinoma mammario rappresenta il primo tumore ad essere diagnosticato nel sesso femminile. Puntiamo i riflettori sulle armi terapeutiche finora a disposizione e sulle più recenti acquisizioni nella lotta al tumore al seno. 

Chirurgia

Due approcci: l’uno conservativo con asportazione del solo nodulo tumorale e un’area di tessuto adiacente (quadrantectomia/lumpectomia), l’altro demolitivo con rimozione di tutta la mammella (mastectomia). La scelta dipende dal tipo di tumore, dalla localizzazione e dall’eventuale presenza di metastasi. Dopo l’intervento si procede con la rimozione dei linfonodi ascellari, primi a drenare il processo neoplastico, in caso di linfoadenopatie clinicamente rilevate, oppure di positività del linfonodo sentinella. Questa tecnica prevede l’esecuzione di una biopsia linfonodale e ricerca di eventuali metastasi mediante analisi istologica. L’intervento di ricostruzione può essere effettuato in un unico tempo operatorio oppure in differita. (1)

Chemioterapia

Numerose le molecole. Capecitabina, antracicline, ciclofosfamide, taxani, o derivati del fluoro come il 5-fluorouracile sono le principali. Il loro impiego in associazione tra loro (poli chemioterapia) ha dato maggiori soddisfazioni in termini di sopravvivenza rispetto alle monoterapie. Nella malattia iniziale la chemioterapia segue la chirurgia con lo scopo di ridurre le recidive (adiuvante o precauzionale). La malattia localmente avanzata definisce un tumore non destinabile subito a chirurgia a causa delle sue caratteristiche biologiche: quindi, la chemioterapia precede l’intervento chirurgico (neoadiuvante), riduce le dimensioni del tumore e lo rende operabile. L’obiettivo della malattia metastatica è quello di cronicizzare e migliorare la sopravvivenza. (2)

Ormonoterapia

Requisito fondamentale: il tumore deve esprimere i recettori ormonali per estrogeni ER+, progesterone PR+, o entrambi, i quali stimolano la crescita tumorale. In età riproduttiva la produzione estrogenica è di pertinenza ovarica. In post-menopausa gli estrogeni circolanti provengono dalla conversione periferica degli androgeni in estrogeni da parte degli enzimi aromatasi. Tre le categorie di farmaci. Agonisti di LHRH (Luteinizing Hormone Releasing Factor) bloccano il rilascio ormonale interferendo con l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi. I SERMs (Modulatori Selettivi dei Recettori Estrogenici), come tamoxifene e raloxifene, antagonizzano gli estrogeni sulla mammella, ma stimolano debolmente i recettori ormonali nell’endometrio e nell’osso, così da preservarne la mineralizzazione. Ancora, altre molecole come gli inibitori delle aromatasi (IA) e il fulvestrant. Obiettivo: bloccare gli estrogeni. In pre-menopausa usiamo agonisti di LHRH e SERMs (castrazione farmacologica), mentre gli IA correlano con la post-menopausa. E per le future gravidanze? La paziente potrà effettuare una procreazione assistita grazie alla crioconservazione degli ovociti prelevati prima dell’inizio delle cure.

Nuove prospettive

È possibile la prevenzione in donne sane ad alto rischio di carcinoma mammario invasivo positivo agli estrogeni legato ad una forte familiarità. Secondo le linee guida dell’AIOM (Associazione italiana di oncologia medica) dal 2017 l’AIFA ha inserito tamoxifene, raloxifene e IA tra i farmaci erogabili a carico del SSN da utilizzare nella prevenzione. (3)

Terapia biologica

Qual è il meccanismo d’azione della target therapy? Attaccare in modo specifico alcuni bersagli molecolari identificabili all’interno delle cellule tumorali. Questa selettività lascia del tutto inalterate le cellule sane, riducendo gli effetti collaterali della chemioterapia classica. Tante le molecole impiegate. Trastuzumab e Pertuzumab sono anticorpi monoclonali anti-Her2, recettore che promuove proliferazione cellulare e resistenza all’apoptosi, iperespresso in alcuni tumori. Risultati: riducono il rischio di ripresa di malattia, ridimensionano la massa neoplastica così da renderla operabile, e aumentano la sopravvivenza. Il Trastuzumab può essere utilizzato in combinazione con l’Emtansine, chemioterapico veicolato e rilasciato selettivamente nelle cellule tumorali solo dopo legame trastuzumab-Her2 promuovendo la morte cellulare. Il Bevacizumab impedisce la creazione di nuovi vasi sanguigni all’interno della neoformazione (azione anti-angiogenetica).

Nuovi impieghi

Non finisce qui. Nuovi farmaci (come il Lapatinib per la fase metastatica) agiscono in modo ancora più selettivo sulle cellule tumorali.

Al congresso ESMO (European Society for Medical Oncology) 2020 sono stati presentati i risultati di due studi clinici per tumori HR+ Her2-. Questi sono i più frequenti e gravati nel 20% dei casi da rischio di recidiva a 10 anni. Il primo, MonarchE, ha dimostrato come la molecola Abemaciclib (inibitore del complesso CDK4/6, regolatore della replicazione tumorale) se usata in associazione con l’ormonoterapia, rispetto alla sola terapia standard, riduce del 25% il rischio di recidiva e del 28% il rischio di metastasi. Non solo, il Solar-1 ha messo al centro la molecola Alpesilib per tumori con mutazione del gene PIK3CA (frequenza del 40% e prognosi peggiore). L’uso di alpesilib in combinazione con il fulvestrant, rispetto alla sola ormonoterapia, ha migliorato la sopravvivenza globale di 8 mesi. (4)

Cancro triplo-negativo e immunoterapia

L’immunoterapia viene qui impiegata contro il tumore triplo negativo (ER- PR- Her2-), oggi gravato dalla peggior prognosi. Qual è il suo concetto rivoluzionario? Rieducare il sistema immunitario a riconoscere e ad agire contro le cellule tumorali. Lo studio Pembrolizumab for Early Triple-Negative Breast Cancer (NEJM) offre nuove prospettive. È stato condotto su oltre 1200 pazienti con cancro triplo negativo. Le partecipanti hanno seguito un trattamento neoadiuvante per sei mesi e sono state suddivise in due gruppi. Il primo ha assunto chemioterapici e Pembrolizumab e il secondo chemioterapici e placebo. Di seguito la chirurgia e poi ancora Pembrolizumab e placebo. Il confronto è stato basato sull’analisi istologica del materiale prelevato durante l’intervento e sullo stato di salute delle pazienti. Risultati sbalorditivi: nel primo gruppo la sopravvivenza è quasi raddoppiata. Questo apre nuove porte nel trattamento del tumore al seno e migliori speranze di sopravvivenza per le donne con cancro triplo negativo. (5)

Elena Allegra

 

(1) https://www.aimac.it/libretti-tumore/cancro-mammella-seno/chirurgia-cancro-mammella

(2) https://www.aimac.it/libretti-tumore/cancro-mammella-seno/chemioterapia-cancro-mammella

(3) https://www.airc.it/cancro/affronta-la-malattia/guida-alle-terapie/la-terapia-ormonale-dei-tumori

https://www.airc.it/news/un-nuovo-punto-a-favore-della-ricerca-contro-il-tumore-al-seno-1020

(4) https://www.aimac.it/libretti-tumore/cancro-mammella-seno/terapia-biologica-cancro-mammella

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/oncologia/tumore-al-seno-hr-her2-cure-sempre-piu-mirate

(5) https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1910549

http://www.tumorealseno.info/html/cnt/it/chirurgia.asp

http://www.fertilitycenter.it/chirurgia/linfonodo-sentinella

http://web2.sacrocuore.it/oncologia/Negrar_26_maggio_2018/Turazza.pdf

http://www.giovannicondemi.it/blog/2017/06/21/fda-approva-primo-trattamento-del-cancro-per-qualsiasi-tumore-solido-con-una-specifica-caratteristica-genetica/

Terapia COVID-19: trattamenti attuali e novità promettenti con immunoterapia

L’infezione da SARS-CoV-2 mercoledì è stata dichiarata dall’OMS una pandemia. Il Sistema Sanitario Nazionale italiano potrebbe non reggere al crescere esponenziale dei numeri, si paventa soprattutto l’assenza di un numero di posti in terapia intensiva sufficienti a contrastare una pandemia.

Come agisce il SARS-CoV-2?

Nella nostra storia recente ci sono state tre epidemie correlate ad infezioni da parte di coronavirus:

  • SARS-CoV (Severe-Acute-Respiratory-Syndrome), 2002-03; 
  • MERS-CoV (Middle-East-Respiratory-Syndrome), 2012;
  • SARS-CoV-2, oggi. 

L’analogia nel nome con la prima epidemia, scoppiata ad Hong-Kong nel 2002, non è un caso perché anche SARS-CoV-2, come SARS-CoV, ha come primum movens dell’infezione il legame tra gli spikes dell’involucro glicoproteico ed il recettore enzimatico di membrana ACE2, mentre il MERS-CoV segue un’altra via.

ACE2 è un enzima che fa parte del sistema più importante di regolazione della pressione arteriosa, ovvero il sistema RAAS (Renina-Angiotensina-Aldosterone). ACE2 ed il suo omologo ACE hanno funzioni fisiologiche opposte: ACE2 ha azione vasodilatatrice ed antipertensiva, mentre ACE induce vasocostrizione operando sui recettori AT1.

Il RAAS può essere la chiave per il trattamento della COVID-19?

Purtroppo si tratta solo di ipotesi. Quando il virus penetra nelle nostre cellule, legandosi ad ACE2, porta con sé lo stesso recettore, comportando una down-regolazione della sua espressione e conseguentemente una riduzione dei suoi effetti vasodilatatori. Questa dis-regolazione del sistema RAAS sarebbe quindi, secondo diversi studiosi, uno dei fattori di rischio maggiori per l’aggravamento dei pazienti affetti da COVID-19.

A tal proposito una categoria di farmaci antipertensivi potrebbe migliorare il decorso della polmonite: gli inibitori selettivi del recettore AT1sartani. Questi hanno mostrato di aumentare l’espressione a livello cardiaco del recettore ACE2 dopo infarto del miocardio. L’effetto terapeutico è quello vasodilatatore, dato sia dal blocco diretto dei recettori AT1 sia dall’induzione dell’espressione di ACE2. La vasodilatazione a livello del circolo polmonare garantirebbe quindi un miglior rapporto ventilazione-perfusione e una diminuzione del rischio di insufficienza respiratoria. 

Prima di poter utilizzare i sartani, dovrebbero però essere eseguiti trial clinici per verificare il loro ruolo di “fattore protettivo”. Bisogna valutare l’incidenza della malattia nei pazienti che già ne facevano uso ed i loro reali effetti positivi sul decorso clinico.

Fonte: ANSA

Allora quali sono i farmaci che realmente vengono utilizzati oggi?

Nell’attesa di un vaccino, che non si renderà disponibile sicuramente prima di luglio, le principali armi per il trattamento della polmonite causata da SARS-Cov-2 a nostra disposizione sono i farmaci antivirali associati, in caso di necessità, all’ossigenoterapia. Fra gli antivirali quelli di prima linea sono non virus specifici, i più utilizzati sono i seguenti:

  • Ribavarina = analogo della guanosina contenente la base azota modificata, agisce inibendo la sintesi dei nucleosidi e utilizzata comunemente per il trattamento dell’epatite C, durante l’epidemia di SARS nel 2002-03 usata in alcuni casi ad Hong-Kong; 
  • Lopinavir e Ritonavir = entrambi degli inibitori delle proteasi virali, attivi contro il virus dell’HIV, operano impedendo che le poliproteine tradotte dal genoma virale vengano clivate a formare proteine funzionalmente utili all’attività del virus;
  • Remdesevir = analogo nucleotidico sviluppato per il trattamento del virus Ebola, per cui è stata successivamente dimostrata un’attività contro altri virus a RNA a singolo filamento come i coronavirus. La sua combinazione con l’interferone-beta (INFb) si è dimostrata adatta al trattamento della COVID-19. Per l’OMS è il miglior candidato per contrastare SARS-CoV-2 ed è il farmaco usato allo Spallanzani per i turisti cinesi trovati positivi a gennaio (i primi due casi in Italia).

Esistono anche degli antivirali coronavirus-specifici come gli inibitori della proteasi dei coronavirus; in questo gruppo rientrano la cinanserina, un vecchio farmaco conosciuto per la sua azione di antagonismo del recettore della serotonina, e i flavonoidi, dei composti di derivazione naturale con molte funzioni tra le quali quella antivirale ed antiossidante. Entrambi agiscono bloccando l’azione della proteasi chimotripsina-simile dei coronavirus e si sono dimostrati efficaci in passato nelle pandemie di SARS-CoV e MERS-CoV.

Immunoterapia: il Tocilizumab

Altra opzione terapeutica valida è l’immunoterapia: è di sabato scorso la notizia del suo primo utilizzo in Italia, a Napoli su due pazienti con polmonite severa. L’immunofarmaco in questione è il Tocilizumab, normalmente utilizzato nell’artrite reumatoide e gold standard nella cura della sindrome da rilascio citochimica nel trattamento con cellule CAR-T. Il Tocilizumab è un anticorpo monoclonale che agisce bloccando l’interleuchina 6, una delle principali citochine con attività proinfiammatoria; si tratta di un uso off-label, frutto della collaborazione tra oncologi ed infettivologi.  Gli effetti positivi si sono mostrati già nelle prime 24 ore così che da giovedì si è valutata la possibilità di estubare i due pazienti. Ora si valuta di estenderne l’utilizzo a più di 250 soggetti in condizioni critiche. L’inconveniente principale è rappresentato dal prezzo elevato, ma la nota casa farmaceutica Roche si è offerta di fornirlo gratuitamente in questo periodo di emergenza. 

Il nostro sistema immunitario si è dimostrato spesso la chiave giusta da inserire per un successo terapeutico e tutti noi speriamo lo sia anche questa volta.

Antonio Mandolfo

Bibliografia:

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1002/ddr.21656

http://apjai-journal.org/wp-content/uploads/2020/03/5_AP-200220-0773.pdf

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1002/jmv.25707

https://napoli.repubblica.it/cronaca/2020/03/08/news/napoli_coronavirus_farmaco_usato_su_due_casi-250676409/?ref=fbpr

Addio Lorenzo, morto il giovane medico affetto da linfoma che aveva raccolto i fondi per fare l’immunoterapia negli Stati Uniti

La speranza è l’ultima a morire e questo ragazzo, in tal senso, rappresenta un gran esempio.

Lorenzo Farinelli era un giovane medico di Ancona, che a poco più di 30 anni ha dovuto fare i conti con una diagnosi: linfoma diffuso a grandi cellule di tipo B. Lo scorso 1 Febbraio ci ha raccontato brevemente la sua storia in un video registrato dopo “tanta chemioterapia, radioterapia, e immunoterapia“, le quali si sono rivelate inutili per un tumore che si è mostrato resistente. Il suo appello è stato condiviso da associazioni, sportivi e politici di tutti i colori. Nonostante avesse “cominciato a perdere l’autonomia, l’uso delle gambe parzialmente, la capacità di andare in bagno da solo” il messaggio appariva ben chiaro: “Non è finita finché non è finita“. Lorenzo ha continuato a sperare e lottare fino alla fine, tanto da chiedere, attraverso il video, un supporto economico per viaggiare negli Stati Uniti ed accedere ad una terapia chiamata CAR (Chimeric Antigen Receptor) T Cell Therapy.

La metodica, che rientra nell’immunoterapia cellulare, è stata approvata nel 2017 negli Stati Uniti per il trattamento di tumori resistenti come quello di Lorenzo, e rappresenta, al momento, l’ultima speranza per tutte le persone nella sua condizione. Si sfruttano delle cellule citotossiche (linfociti T) del sistema immunitario del paziente stesso, le quali vengono estratte, modificate e reimmesse nel paziente. Queste cellule sono capaci attraverso un recettore “chimerico” di riconoscere dei segnali sulla superficie delle cellule tumorali e ucciderle selettivamente. Gli studi hanno mostrato, per la condizione di Lorenzo, una sopravvivenza a 5 anni del 60% dei pazienti sottoposti al trattamento, che altrimenti avrebbero avuto una prognosi molto sfavorevole. Si tratta comunque di una possibilità, molto costosa, ristretta a pazienti che non hanno beneficiato delle terapie classiche che al momento risulta approvata solo per due tipi di tumori. Dallo scorso anno esiste la possibilità teorica di somministrare la terapia anche in Europa nonostante la situazione sia burocraticamente nebulosa e i costi, particolarmente alti, a carico dei pazienti; ma questi sono comunque solo i primi passi.

Tuttavia dopo essere tornato a casa dall’ospedale in previsione della partenza, mentre erano in preparazione tutti i documenti per volare negli Stati Uniti, Lorenzo è morto l’11 Febbraio a causa di alcune complicanze legate alla sua condizione.

Nella lotta contro il tempo, questa volta, ha vinto il tempo. Piange la famiglia, piange Ancona, piange chiunque fosse a sostegno della causa, anche solo moralmente.

Come dichiarato nella pagina raccolta fondi, i soldi donati verranno devoluti in beneficenza per promuovere la ricerca o per supportare cause parallele a quella di Lorenzo. Perché, comunque, non si deve mai smettere di lottare e di sperare.

Ciao Lorenzo.

Antonino Micari

Qual è il futuro della lotta al cancro? – In esclusiva il Prof. Alberto Mantovani

“Immunità e salute: sfide, dal cancro ai vaccini”, questo il titolo della Lectio magistralis che il Professor Alberto Mantovani, Direttore Scientifico di Humanitas, Accademico dei Lincei e Socio corrispondente dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti, ha tenuto lunedì 26 Novembre nell’Aula Magna dell’Ateneo. Di fronte ad una platea affollata di medici, professori, specializzandi e studenti ha riassunto in una breve ma esaustiva trattazione, i traguardi di quello che lui ama ricordare come un “sogno”: l’immunologia applicata all’oncologia. Il Prof. Mantovani è lo scienziato italiano più citato al mondo, vanta pubblicazioni sulle maggiori riviste scientifiche mondiali, è stato insignito di numerosi riconoscimenti, tra gli ultimi il Premio Milstein, International Cytokine and Interferon Society, nel 2015, il Premio Roma allo sviluppo del Paese, nel 2016 ed il Premio Zanibelli – Leggi in salute, nel 2017, ma nonostante ciò ripete più volte di essere, citando Bernardo di Chartres, “un nano su spalle di giganti” . Noi di UniVersoMe siamo riusciti ad incontrare il Prof. Mantovani poco prima della lectio ed a fargli qualche domanda. Il professore ci ha risposto dedicandoci tutta la sua disponibilità ed esperienza.

Prof. Mantovani, i suoi studi hanno portato ad una nuova concezione della patologia neoplastica, mostrando come e quanto il tumore, per crescere, abbia bisogno di un microambiente favorevole e di un sistema immunitario “corrotto” in qualche suo elemento. Qual è il ruolo di questi due elementi nel cancro?

All’inizio del nuovo millennio l’essenza di essere cancro era stata cristallizzata in sei proprietà che avevano tutte a che vedere con la cellula tumorale. Gli immunologi, le persone come me, la pensavano un po’ diversamente. Nei primi anni del 2000 è stata accettata una visione un po’ diversa, per cui il microambiente e la nicchia ecologica in cui cresce la cellula tumorale vengono considerati di pari importanza alla cellula tumorale stessa. Ecco, della nicchia ecologica fanno parte, in particolare, componenti cellulari e molecolari della cascata dell’infiammazione. Io uso una metafora “se gli eventi genetici sono il cerino che accende l’incendio che chiamiamo cancro, i meccanismi dell’infiammazione sono la benzina che tiene acceso l’incendio”.

L’immunoterapia sembra essere la strada più promettente per una cura del cancro sempre più efficace. Tuttavia, ad oggi, lo è stata solo in un quinto dei casi dei pazienti eleggibili a questo tipo di terapia. Quali sono le strade percorse finora che hanno portato a questo piccolo ma fondamentale traguardo?

Abbiamo avuto accesso a questo nuovo mondo sostanzialmente attraverso due strade: uno è un cambio di paradigma, ovvero, come dicevo, si è accettato che il nostro sistema immunitario lavori tutto il giorno per eliminare cellule tumorali, e che il microambiente sia fondamentale per la crescita tumorale; la seconda è stata identificare i freni del sistema immunitario. Il sistema immunitario è come una straordinaria automobile, capace di viaggiare ad elevata velocità: per funzionare bene e non andare fuori strada ha bisogno di acceleratori che la fanno partire e correre, ma anche di freni che le consentono di rallentare e, quando è il caso, fermarsi. Al momento siamo capaci di togliere due tra i tanti freni al sistema immunitario (CTLA4 e PD-1/PD-L1 ndr) e questi sono bastati a raggiungere questo piccolo obbiettivo. Stiamo oggi esplorando un continente nuovo.

Ha definito, nel suo ultimo libro, il tumore come un “bersaglio mobile”. In che modo sarà possibile aumentare l’efficacia dei trattamenti ed aumentare il range di pazienti eleggibili alla terapia?

La cellula T ha molti altri freni, ed altre cellule possono essere frenate. Due nuovi freni sono stati scoperti qui in Italia. Uno nel laboratorio di Carlo Riccardi a Perugia, GITR, ed un uno nel mio, IL-1R8. Si sta affacciando in questo periodo un mio editoriale sul New England Journal of Medicine in cui prospettiamo una nuova “era” di immunocheckpoints sulla cellula T, che sono al momento una promessa per il futuro dell’immunoterapia. Abbiamo anche le cellule dell’immunità innata, in particolar modo i linfociti NK, che possono essere stimolati in senso anti-tumorale. Infine la regolazione delle cellule mieloidi le quali, modificate eliminando una proteina segnale “Don’t eat me signal” CD47, hanno dato risultati clinici straordinari.

Si può ipotizzare quindi un futuro vaccino anti-cancro?

Non un vaccino anti-cancro, ma diversi vaccini anti-cancro, personalizzati. Non dimentichiamo però che esistono già due vaccini: il vaccino contro il virus del papilloma umano (HPV) e contro l’epatite B (HBV) che sono sicuramente preventivi nei confronti del cancro della cervice uterina (ma non solo) e del fegato provocati da questi virus. La prossima speranza è quella di un vaccino contro l’Helicobacter Pylori, tra le maggiori cause di cancro allo stomaco. Questi sono vaccini preventivi. I vaccini terapeutici, quelli che invece potrebbero curare il cancro quando è già presente, sono una sfida per il futuro della ricerca.

Cento anni fa con l’avvento degli antibiotici, la medicina si è plasmata intorno allo schema contrai una malattia -> prendi un farmaco -> elimini l’agente patogeno. Una metafora talmente potete che per un secolo ha guidato la farmacopea secondo questa successione. Oggi però sembra che la gerarchia del paradigma terapeutico possa essere invertita in senso ascendente. Lei ritiene che il futuro della medicina sia quindi concentrarci su una triade cellula -> organismo -> ambiente ?

Certamente è il futuro, ma questo dovrebbe già essere il presente! 
Le risorse dedicate alla prevenzione sanitaria sono ancora insufficienti in tutto il mondo occidentale. Prevenzione che però va intesa in senso trasversale così come le malattie più frequenti oggi sono sostenute da meccanismi trasversali. Vi invito a leggere il lavoro CANTOS di Paul M. Ridker pubblicato su Lancet. Un trial-clinico per la prevenzione delle complicanze dei fenomeni aterosclerotici che mostra che bloccando l’interleuchina-1 con un anticorpo monoclonale diminuisce del 50% la mortalità di cancro del polmone, si riduce il rischio di gotta, artrite e tante altre condizioni.

Per me l’immunologia è la metanarrazione della medicina contemporanea. Se non esistessero il fumo attivo e quello passivo il cancro al polmone sarebbe un tumore raro. Io abito all’ottavo piano e se non ho le valigie prendo sempre le scale, mentre oggi i bambini si alimentano male e fanno una vita sedentaria già dalla tenera età, tanto che il 10% dei bambini italiani ad oggi è obeso e tutto questo lo pagheremo caro fra qualche anno.

In definitiva, anche se migliorare l’ambiente in senso più lato è la sfida del futuro, per iniziare bastano poche raccomandazioni che io riassumo nella formula 0-5-30:
– 0 sigarette
– 5 volte al giorno frutta e verdura fresca  
– 30 minuti al giorno di esercizio fisico.


Grazie ad i suoi studi oggi possiamo affermare che un ambiente infiammatorio favorisce la progressione del cancro. In termini evoluzionistici, lei come si spiega che un meccanismo innato difensivo come l’infiammazione abbia in questi casi un effetto negativo?

È stato pubblicato tempo fa un lavoro molto importante sul New England in cui veniva detto che “il cancro sono ferite che non si rimarginano”. Ci si riferisce al fatto che l’oncogenesi è un meccanismo di riparo dei tessuti che va fuoristrada. La riparazione dei tessuti è una priorità per l’organismo ma quando la stimolazione della crescita cellulare è esagerata l’ambiente infiammatorio ha una azione oncoprogressiva.

Nel suo libro “Non aver paura di sognare” stila un decalogo per gli aspiranti scienziati. Quali sono i tre punti che, secondo lei, sono necessari per i giovani che vogliono cimentarsi in questa avventura?

Il primo senza dubbio la passione. Sono innamorato del mio lavoro. Anche se sono vecchio (ride), ieri ho iniziato a lavorare nel primo mattino, dopo un’ora di corsa, ed ho finito alle 23, perché sono appassionato di ciò che faccio! Il secondo è il rispetto dei dati, ed è questo un messaggio che, chi fa medicina e chi fa scienza, deve sempre osservare. E’ in verità un messaggio che dò all’intera società, che avrebbe bisogno di imparare a tenere in considerazione i dati. In ultimo, non per importanza, la voglia di cambiare il mondo intorno a sè, e chi fa scienza e chi fa medicina deve aver voglia di cambiarlo.

Alessio Gugliotta,Antonio Nuccio

Immunoterapia: la nuova frontiera contro il cancro

Cosa si intende per tumore? Se cerchiamo in un qualsiasi dizionario troveremo la classica definizione: processo morboso di un organo caratterizzato da un aumento del suo volume. Ma questo non ci basta; infatti, una neoplasia è caratterizzata dall’aberrante ed eccessiva crescita delle cellule che compongono un tessuto e può avere una natura benigna o maligna. In quest’ultimo caso viene anche definita cancro, proprio per le sue proprietà infiltrative ed invasive dei tessuti limitrofi ma anche distanti, ed in questo caso parliamo di metastasi.

Le patologie neoplastiche sono tristemente note per la loro aggressività e soprattutto per le difficoltà che incontra la terapia nel combatterle. Chemioterapia e radioterapia, insieme all’approccio chirurgico sono le metodiche utilizzate nella maggior parte dei casi, ma non sono scevre di effetti collaterali.

Numerosi studi, però, stanno rivoluzionando la prognosi delle malattie neoplastiche. È stato dimostrato che i tumori hanno uno stretto rapporto con il sistema immunitario, il quale è in grado di condizionare la crescita e la malignità delle neoplasie.

Purtroppo, le cellule tumorali sono in grado di sopprimere la risposta immunitaria, causando lo “spegnimento” dei linfociti, fondamentali difensori del corpo umano.

I linfociti sono cellule del sistema immunitario in grado, attraverso vari meccanismi, di sconfiggere patogeni e garantire un corretto equilibrio tra tutte le cellule del nostro organismo. Essi hanno anche il compito di riconoscere ed eliminare cellule che hanno subito delle alterazioni, evitando la nascita di un tumore. Questo sistema di vigilanza, però, può essere eluso ed è uno dei tanti meccanismi che utilizzano le cellule neoplastiche per la loro sopravvivenza.


Abbiamo detto, quindi, che le cellule tumorali sono in grado di sp
egnere il sistema immunitario, evitando che quest’ultimo le attacchi. È possibile evitare ciò?

Proprio quest’anno il premio Nobel per la medicina è stato assegnato a due ricercatori impegnati nello studio dell’immunoterapia anticancro: James P. Allison e Tasuku Honjo. Entrambi hanno cercato di chiarire quali fossero i freni del sistema immunitario attivati dal cancro. Ci sono riusciti, individuando numerose proteine espresse sia dalle cellule tumorali che dai linfociti T che, se attivate, possono rendere anergiche le cellule immunitarie. Dette proteine vengono definitecheckpoint immunitari”, ovvero tappe fondamentali della regolazione della tolleranza immunologica. In poche parole servono per distinguere una cellula propria (self) da una estranea (non self).

Alcune delle proteine “freno” implicate nella inibizione della risposta immunitaria.

Andando avanti si sono chiesti se fosse possibile inattivare queste proteine, facilitando l’azione dei linfociti. Cio è possibile grazie all’uso degli anticorpi monoclonali.

Ma cosa sono gli anticorpi? Sono proteine adibite a varie funzioni di difesa, capaci di legare degli antigeni, cioè determinate porzioni di un agente estraneo presente nell’ospite.

Rappresentazione schematica della struttura di un anticorpo.

Se gli anticorpi vengono prodotti naturalmente dal nostro organismo, invece, gli anticorpi monoclonali vengono sintetizzati in laboratorio grazie all’ingegneria genetica, in particolare sfruttando la tecnica dell’ibridoma.

Utilizzando degli anticorpi monoclonali diretti contro le proteine “freno” la loro azione viene annullata, causando l’eliminazione da parte dei linfociti T delle cellule neoplastiche.

Ed è questo lo scopo dell’immunoterapia: potenziare il sistema immunitario dell’ospite affinché possa combattere il tumore in maniera mirata e precisa.

I risultati sono notevoli; nella maggior parte degli studi clinici i pazienti vedono un miglioramento della loro patologia, con effetti positivi maggiori soprattutto in soggetti affetti da tumori immunogenici, ovvero quelli che più facilmente evocano una risposta immunitaria. Tra questi possiamo citare il melanoma, una neoplasia molto aggressiva che origina dalla cute.

Ma l’immunoterapia offre altre opzioni; gli anticorpi monoclonali possono essere utilizzati per veicolare farmaci, tossine o isotopi radioattivi capaci sconfiggere le cellule neoplastiche. In questo modo, la molecola trasportata dall’anticorpo riesce ad uccidere in maniera specifica le cellule tumorali alle quali si lega.

Un’altra applicazione dell’immunoterapia anticancro è quella della immunizzazione attiva. Essa consiste nel somministrare al paziente degli antigeni tumorali, in modo da sensibilizzare il sistema immunitario verso determinate caratteristiche del tumore. Ciò porterebbe alla regressione del cancro, in quanto i linfociti T, riconoscendo le cellule tumorali sarebbero in grado di ucciderle.

Se tali intuizioni fossero corrette si assisterebbe alla nascita di veri e proprio vaccini anticancro.

Uno studio ha dimostrato che solo il 20% dei pazienti affetti da melanoma maligno presenta una regressione del tumore. I motivi ancora non si conoscono ma numerosi ricercatori si muovono in questa direzione.

Per quanto riguarda i nuovi farmaci antitumorali ne esistono vari, ed ognuno è specifico nella sua funzione. Si tratta di anticorpi monoclonali diretti verso precisi bersagli proteici (tra i quali i già citati “freni del sistema immunitario“). Trastuzumab, ad esempio, viene utilizzato nel cancro della mammella; Nivolumab, anticorpo monoclonale che inibisce il checkpoint immunitario PD1, viene usato nel trattamento del melanoma maligno.

Meccanismo d’azione di Trastuzumab

Se da un lato, però, l’immunoterapia presenta una notevole quantità di aspetti positivi (bassa tossicità dei farmaci, maggiore efficacia…) dall’altro i costi elevati sono un vero e proprio peso che grava sulla sanità pubblica. 

Di certo viviamo in un epoca in cui la ricerca e la medicina stanno facendo passi da gigante; ma riusciremo mai a parlare del cancro come una malattia rara? Se consideriamo i recenti studi e quelli in corso abbiamo ottime possibilità.

Carlo Giuffrida

Immunoterapia contro i tumori, Nobel ad Allison e Honjo!

Sono rivoluzionari ed inediti i passi avanti e le scoperte scientifiche in campo bio-medico, che sono valse all’americano James P. Allison ed al nipponico Tasuku Honjo il Nobel per la medicina.

Per la prima volta infatti, sono stati messi in evidenza dei meccanismi cellulari mediante i quali il nostro organismo contrattacca l’impazzimento delle unità biologiche che diventano cancerogene.

Nello specifico, i due medici rispettivamente del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center e dell’Università di Kyoto, hanno individuato le proteine di alcune cellule immunitarie che i tumori usano come bersagli da ingannare nel completamento dell’involuzione nociva.

La geniale teoria medico-scientifica sarebbe quindi l’attivazione di un freno biologico che permetta al nostro organismo, quando affetto da un degeneramento cancerogeno, di produrre delle proteine (CTLA-4) che attiverebbero il sistema immunitario per distruggere il tumore.

E’ stata inoltre documentata l’esistenza di un’altra proteina (PD-1), creata dal corpo umano quando “in ostaggio” da una massa tumorale, in grado di inviare segnali che il nostro sistema immunitario elabora come negativi.

L’immunoterapia dunque, si rende efficace nel tentativo di contrastare i complessi sistemi di decriptazione dei segnali inviati dalle cellule immunitarie per sconfiggere le masse cancerogene che tendono, ad eludere le nostre difese e a perdurare nella riproduzione di cellule maligne.

La ricerca contro il cancro si sta quindi sviluppando nell’ambito di armi mediche capaci di memoria, e quindi di riconoscere le degenerazioni delle cellule e i suoi “piani biologici di azione”.

Non solo immunoterapia, l’evoluzione scientifica si sta esplicando anche nel campo dell’angiogenesi e della fabbricazione di inibitori che impediscono che i tumori trovino nuovo nutrimento.

Resta ovviamente la certezza che i farmaci e le tecniche tradizionali come chemioterapia e radioterapia rimangono i piani terapeutici più attendibili ed efficaci almeno nel breve e medio periodo.

Gli aggiornamenti delle tecniche di cura prodotte dagli studiosi di immunoterapia si confermano, come nel 2013, in cima alla lista delle scoperte fondamentali alla luce degli incredibili successi ottenuti in sperimentazione.

Nonostante manchino ancora risultati definitivi, l’immunoterapia conferma la sua incisività curativa, del resto la speranza è l’ultima a morire.

Antonio Mulone