BioNTech, potenziale vaccino per la Sclerosi Multipla

Crediti immagine: Ansa

È dell’8 Gennaio 2021 la pubblicazione, da parte di BioNTech sulla rivista Science, di un vaccino sperimentale per la cura della Sclerosi Multipla. Esso si basa sulla tecnologia del vaccino a RNA, seguendo la scia dei recenti vaccini adoperati per il Covid19.

Cos’è la Sclerosi Multipla?

È una malattia infiammatoria cronica demielinizzante che colpisce il sistema nervoso centrale. Si ha la formazioni di placche negli assoni (“i cavi” del nostro cervello), che compromettono la trasmissione nervosa. Questo comporta stanchezza, affaticabilità, disabilità, paralisi dopo molti anni e nelle forme più gravi morte, per le conseguenze dell’immobilità.

Non esistono già farmaci per questa malattia?

I farmaci attualmente in uso per la malattia non sono curativi, bensì la trattano, rendendola una patologia cronica con la quale si è costretti a convivere. Essi sono immunomodulanti e immunosoppressori, che variano dai cortisonici agli anticorpi monoclonali.

Purtroppo però, nonostante la terapia, nel lungo termine (20 anni circa) le forme progressive porteranno comunque a disabilità neurologica il malato.

Aree del cervello danneggiate dalla Sclerosi Multipla, viste in RMN. Crediti immagine: Associazione Italiana di Neuroradiologia Interventistica

In cosa consiste il “vaccino” di BioNTech?

Considerando che la malattia ha una probabile origine immunitaria, vista l’efficacia degli immunomodulanti, gli scienziati hanno pensato di “resettare” il Sistema Immunitario che attacca gli assoni.

Per fare questo, bisogna introdurre nel corpo umano gli Antigeni (le molecole bersaglio) che sono vittime dell’attacco del sistema immunitario e far sì che esso sviluppi una “Tolleranza” nei confronti di questi.

È possibile indurre la Tolleranza Immunitaria attraverso dei vaccini Non Infiammatori, per cui il sistema immunitario, anziché allarmarsi e produrre anticorpi contro una determinata molecola, la consideri “amica”, come fosse del corpo umano, e smetta di attaccarla.

C’è qualche collegamento con il Vaccino per il Covid19?

Anche se il Covid19 e la Sclerosi Multipla sono due malattie distinte e separate, i due vaccini hanno molto in comune: sono vaccini a RNA.

Un vaccino a RNA dà le istruzioni alla cellula su come deve costruire l’Antigene, ovvero la molecola che dovrà essere attaccata dal sistema immunitario. Quest’ultimo, una volta che la molecola è stata prodotta, noterà che essa è qualcosa di estraneo al corpo e costruirà gli anticorpi per combatterla.

Prima del Covid19, i vaccini a RNA non erano mai stati testati sulla popolazione umana, in quanto si usavano dei vaccini contenenti già l’antigene verso cui si voleva costruire la risposta immunitaria.

Il problema dei vaccini tradizionali è che sono molto costosi, sia in tempo che in ricerca, da produrre. Si deve infatti produrre la giusta proteina, inserirla in virus innocui per l’uomo in quanto disattivati e successivamente iniettare il Vaccino.

Quello a RNA ha come svantaggio il fatto di richiedere basse temperature di conservazione, ma è molto veloce ed economico da produrre, potendo bypassare la ricerca del virus adatto da usare come vettore e potendo invece semplicemente mettere in una particella le informazioni necessarie alla cellula per costruire l’antigene di cui abbiamo bisogno.

La spinta tecnologica data dal Covid19

Senza la necessità di un urgente vaccino contro il virus SARS-Cov2, i vaccini ad RNA avrebbero impiegato ancora anni prima di essere approvati per la sperimentazione umana. Lo stato emergenziale ha fatto sì che tutti i rallentamenti burocratici, come la ricerca di fondi, venissero bypassati.

Inoltre, dopo un’iniziale sperimentazione animale, si è passati subito a quella umana, cosa che di norma richiederebbe anni.

Fortunatamente, ad oggi non ci sono stati effetti collaterali significativi usando questo tipo di vaccino a RNA, così come usando quello a RNA della casa farmaceutica Moderna.

Questo comporta un grande impulso verso la ricerca su vaccini a RNA per altre patologie.

Infatti, essendo facili ed economici da produrre, si potranno ideare vaccini verso una quantità innumerevole di patologie. Senza l’incertezza di una lenta approvazione per la sperimentazione umana, inoltre, le case farmaceutiche saranno molto più interessate alla produzione di questo tipo di farmaci.

La BioNTech ha così sperimentato sui topi questo potenziale vaccino per la Sclerosi Multipla.

L’esperimento

In alcuni topi con Encefalite Autoimmune, l’equivalente della Sclerosi Multipla dell’uomo, l’inoculazione del vaccino ha mostrato non solo un arresto della progressione della malattia, ma perfino un miglioramento delle capacità motorie dei topi malati. Questo perché, grazie al vaccino, il loro Sistema Immunitario ha smesso di riconoscere come “nemici” gli antigeni dei neuroni, facendo così cessare l’infiammazione a carico di essi.

Il vaccino funziona.

Risultati dell’esperimento. Crediti immagine: Science

La sperimentazione continuerà sugli animali, per riprodurre questi risultati incoraggianti. Si spera, in un futuro prossimo, che possa essere testato sugli esseri umani affetti da Sclerosi Multipla, potendo così guarirli per sempre da questa patologia.

Prospettive per il futuro

Sono moltissime le patologie autoimmuni verso le quali ad oggi non esiste cura.

Ricordiamo il Lupus, l’Artrite Reumatoide, la Sindrome di Sjögren, il Diabete Mellito di tipo 1, solo per fare qualche esempio.

Purtroppo ad oggi la terapia di queste gravi malattie si basa solamente sulla cura dei sintomi, o sul tenere a bada il Sistema Immunitario mediante cortisonici o altri immunomodulanti.

Questo, però, espone ad effetti collaterali come infezioni, maggiore incidenza di tumori e squilibri ormonali e glicemici.

Foto di una paziente affetta da Lupus Eritematoso Sistemico. Crediti immagine: MDS Manuals

Se questo vaccino funzionerà, sarà possibile curare definitivamente e senza gravi effetti collaterali tutte queste malattie.

Conoscendo infatti l’antigene verso cui si instaura l’autoimmunità, si potrebbe costruire un vaccino ad hoc per instaurare la Tolleranza Immunitaria, guarendo così il malato.

Conclusioni

Il Covid19, nonostante i milioni di vittime e la crisi economica e sociale che ha causato, potrebbe averci fatto un regalo meraviglioso.

Esso infatti ha permesso di concentrare ingenti risorse economiche ed umane per lo sviluppo, con velocità senza eguali, di una cura efficace.

Ciò da un lato dimostra che, con la collaborazione internazionale e l’intenzione di spendere in ricerca, è possibile raggiungere traguardi miracolosi.

Dall’altro ci apre le porte verso una nuova tecnologia, quella dei Vaccini a RNA, che potrebbero in futuro guarire molte patologie ad oggi incurabili.

                                                                                                                                                      Roberto Palazzolo

Tutti i cinesi sono uguali…ma da oggi qualcuno è meno uguale degli altri

La settimana scorsa He Jiankui, ricercatore presso l’Università di Scienza e Tecnologia di Shenzen, ha dichiarato riuscita la nascita di due gemelle, Lulu e Nana, i cui embrioni, fecondati in vitro, prima di essere impiantati sono stati modificati geneticamente al fine di conferire immunità dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV), responsabile dell’AIDS.

La notizia si è diffusa rapidamente in ambito mediatico ed è stata accolta con diffidenza sia dal pubblico che dagli esperti, presentando grosse ambiguità sia dal punto di vista etico che dal punto di vista della sicurezza a lungo termine, configurandosi più come un esperimento su degli esseri umani piuttosto che una rivoluzionaria esperienza scientifica.

Nonostante il fatto che l’esperimento non sia stato confermato da nessuna fonte indipendente, l’università dove ha avuto luogo si è prontamente dissociata dal lavoro di He, mentre la Commissione Sanitaria Nazionale cinese ha avviato un’indagine per verificare quanto effettivamente fatto dal ricercatore.

In particolar modo, per rendere le due gemelle resistenti all’HIV, lo scienziato ha attenzionato il gene che codifica per la proteina CCR5, un recettore che si localizza a livello della superficie esterna dei globuli bianchi, normalmente implicata nel buon funzionamento del sistema immunitario e che viene utilizzato dal virus per infettare le cellule e quindi determinare, nel tempo, la malattia.

A questo gene è associata una mutazione (CCR5-Δ32), presente, in omozigosi, in circa l’1% della popolazione di discendenza europea. Questa mutazione eliminerebbe parte della struttura del recettore e lo renderebbe non funzionante e incapace di interagire con HIV, rendendo pertanto il soggetto immune all’infezione. Il ricercatore avrebbe provveduto a effettuare una modifica di questo gene eliminando un tratto dello stesso ispirandosi al modello CCR5-Δ32, rendendo quindi le due gemelline teoricamente resistenti all’attacco del virus.

La tecnica utilizzata prende il nome di CRISPR/Cas9, e si basa su un sistema preso in prestito dai batteri che permette agli stessi di difendersi da attacchi da parte di virus, rappresentando quindi una sorta di sistema immunitario adattivo. I ricercatori, negli anni, hanno perfezionato sempre più la tecnica che è stata applicata su cellule di svariate specie, embrioni umani compresi. Essa permetterebbe di catturare una porzione di DNA tagliandola in uno specifico punto ed, eventualmente, sostituirla con una sequenza desiderata. Diamo il consiglio di vedere questo video che racconta graficamente il meccanismo attraverso il quale si verificano le modifiche, sicuri che sia molto più esplicativo di un racconto scritto.

He non si è fermato qui e lo scorso 28 Novembre, in un’aula stracolma di giornalisti e scienziati all’Università di Hong-Kong, ha rivelato che sarebbe in corso un’altra potenziale gravidanza il cui embrione è stato modificato geneticamente. Nell’occasione ha presentato l’esperimento utilizzando una serie di diapositive, dichiarandosi fiero di quanto fatto e precisando di essersi mosso indipendentemente dall’università e di essere conscio che il suo lavoro al momento non è stato sottoposto a peer-review (verifica di altri esperti del settore, prima della pubblicazione, sull’idoneità e correttezza di quanto fatto in laboratorio).

Approfondendo le implicazioni di tale sperimentazione sull’uomo, è innanzitutto utile analizzare perché la comunità scientifica ha giudicato folle e immorale il tentativo di He.

Le ragioni del rifiuto di utilizzare tali tecniche sulle linee germinative umane hanno innanzitutto basi scientifiche. Esistono infatti rischi legati a modifiche non volute in tratti errati del genoma, o al cosiddetto mosaicismo (ovvero può accadere che tutte le cellule bersaglio non presentino la stessa modifica).
Lo studio condotto da He e i suoi collaboratori è stato demonizzato anche perché incurante di possibili esiti imprevisti degli esperimenti; alcuni scienziati hanno sottolineato che la modifica del gene codificante per CCR5, proposta da He per “immunizzare” dal HIV, potrebbe ad esempio correlare con patologie cardiovascolari, motivo in più per non sperimentare tale modifica prima di avere la certezza dell’assenza di effetti collaterali.

Tuttavia, le ragioni ancor più limitative sono ragioni etiche.

Mettendo da parte il fatto che plasmare un essere umano allo stato di embrione, modificarne la natura prima ancora del suo sviluppo, costituisce una rivoluzione forse più culturale che scientifica, mettendo da parte anche gli aspetti religiosi, esistono motivazioni concrete per frenare, oggi, questi tentativi.

Il consenso è certamente un tema delicato che la bioetica si trova costretta ad affrontare ed abbraccia tematiche estremamente attuali quali l’eutanasia, l’aborto e nondimeno l’ingegneria genetica. Il problema di fondo della sperimentazione sull’uomo dell’editing genomico, dichiarato tra gli altri dal NIH, National Institute of Health, organo statunitense che si occupa di ricerca sulla salute, è che modifiche del genoma si trasmetterebbero alle generazioni future senza alcun loro consenso, con implicazioni etiche ed evolutive sulla razza umana estremamente profonde. Inoltre, non avendo la certezza dell’assenza di effetti imprevisti, è eticamente impossibile approvare a priori qualsiasi intervento sull’uomo. Almeno finché le tecniche non verranno perfezionate.

A tal proposito Werner Neuhausser, medico e ricercatore all’Università di Harvard nell’ambito delle cellule staminali, ha tutt’altro che condannato il lavoro di He, giudicandolo un passo sbagliato ma sulla giusta strada. Lo scienziato ha sottolineato che “il fatto che il primo caso di editing genomico sull’uomo sia risultato come un passo falso non deve assolutamente portarci a ignorare tali sviluppi, e la mancanza di trasparenza è stata la principale ragione di agitazione di fronte a tale sperimentazione”.

Questo tipo di tecnologia ha infatti un potenziale sorprendente. L’editing genomico potrebbe essere utilizzato ad esempio per preservare la salute di bambini condannati, a causa di mutazioni del DNA, a sviluppare tumori o patologie come la fibrosi cistica, l’emofilia o la distrofia muscolare di Duchenne. Non a caso Neuhausser sta lavorando ad Harvard anche per prevenire l’Alzheimer intervenendo su un gene, quello dell’ApoE, strettamente associato a tale demenza.
La sguardo dello scienziato volge ad un futuro in cui “le persone andranno nelle cliniche, saranno sottoposte a esami del genoma e avranno i bambini più sani che si possano avere”, un futuro in cui le stesse tecniche utilizzate da He, ma perfezionate, permetteranno di preservare le generazioni future anche dalle malattie più banali. Per far questo si stanno già sperimentando versioni di CRISPR modificate che permettono il base editing, ovvero la modifica di singole basi nei singoli filamenti di DNA.

È giusto opporsi a tentativi azzardati che violano l’integrità di una vita che nasce. È tuttavia certo che il tentativo di He, pur irresponsabile e incurante delle regole infrante, non deve ostacolare o rallentare gli scienziati nella ricerca di un progresso scientifico che può dare un contributo rivoluzionario alla medicina e al mondo, in un futuro forse non troppo lontano.

Antonino Micari, Davide Arrigo

Qual è il futuro della lotta al cancro? – In esclusiva il Prof. Alberto Mantovani

“Immunità e salute: sfide, dal cancro ai vaccini”, questo il titolo della Lectio magistralis che il Professor Alberto Mantovani, Direttore Scientifico di Humanitas, Accademico dei Lincei e Socio corrispondente dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti, ha tenuto lunedì 26 Novembre nell’Aula Magna dell’Ateneo. Di fronte ad una platea affollata di medici, professori, specializzandi e studenti ha riassunto in una breve ma esaustiva trattazione, i traguardi di quello che lui ama ricordare come un “sogno”: l’immunologia applicata all’oncologia. Il Prof. Mantovani è lo scienziato italiano più citato al mondo, vanta pubblicazioni sulle maggiori riviste scientifiche mondiali, è stato insignito di numerosi riconoscimenti, tra gli ultimi il Premio Milstein, International Cytokine and Interferon Society, nel 2015, il Premio Roma allo sviluppo del Paese, nel 2016 ed il Premio Zanibelli – Leggi in salute, nel 2017, ma nonostante ciò ripete più volte di essere, citando Bernardo di Chartres, “un nano su spalle di giganti” . Noi di UniVersoMe siamo riusciti ad incontrare il Prof. Mantovani poco prima della lectio ed a fargli qualche domanda. Il professore ci ha risposto dedicandoci tutta la sua disponibilità ed esperienza.

Prof. Mantovani, i suoi studi hanno portato ad una nuova concezione della patologia neoplastica, mostrando come e quanto il tumore, per crescere, abbia bisogno di un microambiente favorevole e di un sistema immunitario “corrotto” in qualche suo elemento. Qual è il ruolo di questi due elementi nel cancro?

All’inizio del nuovo millennio l’essenza di essere cancro era stata cristallizzata in sei proprietà che avevano tutte a che vedere con la cellula tumorale. Gli immunologi, le persone come me, la pensavano un po’ diversamente. Nei primi anni del 2000 è stata accettata una visione un po’ diversa, per cui il microambiente e la nicchia ecologica in cui cresce la cellula tumorale vengono considerati di pari importanza alla cellula tumorale stessa. Ecco, della nicchia ecologica fanno parte, in particolare, componenti cellulari e molecolari della cascata dell’infiammazione. Io uso una metafora “se gli eventi genetici sono il cerino che accende l’incendio che chiamiamo cancro, i meccanismi dell’infiammazione sono la benzina che tiene acceso l’incendio”.

L’immunoterapia sembra essere la strada più promettente per una cura del cancro sempre più efficace. Tuttavia, ad oggi, lo è stata solo in un quinto dei casi dei pazienti eleggibili a questo tipo di terapia. Quali sono le strade percorse finora che hanno portato a questo piccolo ma fondamentale traguardo?

Abbiamo avuto accesso a questo nuovo mondo sostanzialmente attraverso due strade: uno è un cambio di paradigma, ovvero, come dicevo, si è accettato che il nostro sistema immunitario lavori tutto il giorno per eliminare cellule tumorali, e che il microambiente sia fondamentale per la crescita tumorale; la seconda è stata identificare i freni del sistema immunitario. Il sistema immunitario è come una straordinaria automobile, capace di viaggiare ad elevata velocità: per funzionare bene e non andare fuori strada ha bisogno di acceleratori che la fanno partire e correre, ma anche di freni che le consentono di rallentare e, quando è il caso, fermarsi. Al momento siamo capaci di togliere due tra i tanti freni al sistema immunitario (CTLA4 e PD-1/PD-L1 ndr) e questi sono bastati a raggiungere questo piccolo obbiettivo. Stiamo oggi esplorando un continente nuovo.

Ha definito, nel suo ultimo libro, il tumore come un “bersaglio mobile”. In che modo sarà possibile aumentare l’efficacia dei trattamenti ed aumentare il range di pazienti eleggibili alla terapia?

La cellula T ha molti altri freni, ed altre cellule possono essere frenate. Due nuovi freni sono stati scoperti qui in Italia. Uno nel laboratorio di Carlo Riccardi a Perugia, GITR, ed un uno nel mio, IL-1R8. Si sta affacciando in questo periodo un mio editoriale sul New England Journal of Medicine in cui prospettiamo una nuova “era” di immunocheckpoints sulla cellula T, che sono al momento una promessa per il futuro dell’immunoterapia. Abbiamo anche le cellule dell’immunità innata, in particolar modo i linfociti NK, che possono essere stimolati in senso anti-tumorale. Infine la regolazione delle cellule mieloidi le quali, modificate eliminando una proteina segnale “Don’t eat me signal” CD47, hanno dato risultati clinici straordinari.

Si può ipotizzare quindi un futuro vaccino anti-cancro?

Non un vaccino anti-cancro, ma diversi vaccini anti-cancro, personalizzati. Non dimentichiamo però che esistono già due vaccini: il vaccino contro il virus del papilloma umano (HPV) e contro l’epatite B (HBV) che sono sicuramente preventivi nei confronti del cancro della cervice uterina (ma non solo) e del fegato provocati da questi virus. La prossima speranza è quella di un vaccino contro l’Helicobacter Pylori, tra le maggiori cause di cancro allo stomaco. Questi sono vaccini preventivi. I vaccini terapeutici, quelli che invece potrebbero curare il cancro quando è già presente, sono una sfida per il futuro della ricerca.

Cento anni fa con l’avvento degli antibiotici, la medicina si è plasmata intorno allo schema contrai una malattia -> prendi un farmaco -> elimini l’agente patogeno. Una metafora talmente potete che per un secolo ha guidato la farmacopea secondo questa successione. Oggi però sembra che la gerarchia del paradigma terapeutico possa essere invertita in senso ascendente. Lei ritiene che il futuro della medicina sia quindi concentrarci su una triade cellula -> organismo -> ambiente ?

Certamente è il futuro, ma questo dovrebbe già essere il presente! 
Le risorse dedicate alla prevenzione sanitaria sono ancora insufficienti in tutto il mondo occidentale. Prevenzione che però va intesa in senso trasversale così come le malattie più frequenti oggi sono sostenute da meccanismi trasversali. Vi invito a leggere il lavoro CANTOS di Paul M. Ridker pubblicato su Lancet. Un trial-clinico per la prevenzione delle complicanze dei fenomeni aterosclerotici che mostra che bloccando l’interleuchina-1 con un anticorpo monoclonale diminuisce del 50% la mortalità di cancro del polmone, si riduce il rischio di gotta, artrite e tante altre condizioni.

Per me l’immunologia è la metanarrazione della medicina contemporanea. Se non esistessero il fumo attivo e quello passivo il cancro al polmone sarebbe un tumore raro. Io abito all’ottavo piano e se non ho le valigie prendo sempre le scale, mentre oggi i bambini si alimentano male e fanno una vita sedentaria già dalla tenera età, tanto che il 10% dei bambini italiani ad oggi è obeso e tutto questo lo pagheremo caro fra qualche anno.

In definitiva, anche se migliorare l’ambiente in senso più lato è la sfida del futuro, per iniziare bastano poche raccomandazioni che io riassumo nella formula 0-5-30:
– 0 sigarette
– 5 volte al giorno frutta e verdura fresca  
– 30 minuti al giorno di esercizio fisico.


Grazie ad i suoi studi oggi possiamo affermare che un ambiente infiammatorio favorisce la progressione del cancro. In termini evoluzionistici, lei come si spiega che un meccanismo innato difensivo come l’infiammazione abbia in questi casi un effetto negativo?

È stato pubblicato tempo fa un lavoro molto importante sul New England in cui veniva detto che “il cancro sono ferite che non si rimarginano”. Ci si riferisce al fatto che l’oncogenesi è un meccanismo di riparo dei tessuti che va fuoristrada. La riparazione dei tessuti è una priorità per l’organismo ma quando la stimolazione della crescita cellulare è esagerata l’ambiente infiammatorio ha una azione oncoprogressiva.

Nel suo libro “Non aver paura di sognare” stila un decalogo per gli aspiranti scienziati. Quali sono i tre punti che, secondo lei, sono necessari per i giovani che vogliono cimentarsi in questa avventura?

Il primo senza dubbio la passione. Sono innamorato del mio lavoro. Anche se sono vecchio (ride), ieri ho iniziato a lavorare nel primo mattino, dopo un’ora di corsa, ed ho finito alle 23, perché sono appassionato di ciò che faccio! Il secondo è il rispetto dei dati, ed è questo un messaggio che, chi fa medicina e chi fa scienza, deve sempre osservare. E’ in verità un messaggio che dò all’intera società, che avrebbe bisogno di imparare a tenere in considerazione i dati. In ultimo, non per importanza, la voglia di cambiare il mondo intorno a sè, e chi fa scienza e chi fa medicina deve aver voglia di cambiarlo.

Alessio Gugliotta,Antonio Nuccio

Da Messina al Premio Nobel: l’avventurosa vita di Ilya Metchnicov, pioniere della patologia generale

1)Monumento a Metchnicov opera dello scultore sovietico Leonid Shervud, 1934 .
Monumento a Metchnicov opera dello scultore sovietico Leonid Shervud, 1934 .

Messina, dicembre 1882. È una bella giornata invernale, l’aria è limpida e il sole splende sul meraviglioso panorama dello Stretto. Sulla spiaggia del quartiere marinaro del Ringo cammina, lungo la battigia, un uomo solitario. Si chiama Ilya Ilich Metchnicov, ed è uno zoologo di origini russe che si è trasferito lì da poco.

 Nel suo laboratorio privato, allestito in una casa poco lontana dalla spiaggia, Metchnicov conduce ricerche sulle larve trasparenti di stella marina. Proprio in questi giorni, mentre osserva le piccole cellule mobili che si muovono all’interno delle larve al microscopio, ha una brillante intuizione: queste celluline mobili gli ricordano molto quelle che circolano nel sangue e nei tessuti degli esseri umani e degli altri mammiferi.

 E se fosse possibile studiare il modo in cui queste cellule reagiscono ad un attacco dall’esterno?

 È questo che si chiede, incuriosito ed eccitato, il biologo russo mentre cammina lungo la spiaggia messinese. Poi, di colpo, gli viene una idea per mettere alla prova la sua ipotesi: torna in casa, e, dopo aver prelevato alcune spine da un albero nel giardino, le conficca sotto la pelle di alcune delle sue larve trasparenti. Dopo una notte insonne, il mattino successivo Metchnicov torna al suo microscopio e quello che vede lo lascia attonito: le cellule mobili, come soldatini di un microscopico esercito, sono accorse intorno alla lesione e circondano in gran numero la spina. Colto dallo stupore, forse lo scienziato riesce appena ad immaginare che quella di quel mattino invernale è la scoperta che gli cambierà la vita.

 Una vita tutt’altro che semplice e tranquilla, la sua: nato nel paesino russo di Ivanovka (oggi in Ucraina) nel 1845, fin da bambino Metchnicov dà prova del suo genio e del suo interesse verso le scienze naturali. A 16 anni pubblica il suo primo articolo scientifico, a 21 si laurea in Biologia all’Università di Kharkov ( dando tutte le materie in soli due anni, contro i quattro previsti dall’ordinamento), a 23, dopo importanti esperienze di ricerca in Germania e a Napoli, è già professore universitario ad Odessa.

Ilya Ilich Metchnicov
Ilya Ilich Metchnicov

 

 Poi la tragedia: nel 1873 la prima moglie, di cui Metchnicov era follemente innamorato, al punto da sposarla nonostante fosse ammalata di tubercolosi, muore. È un periodo drammatico per la vita privata del giovane scienziato, che per prendersi cura della moglie malata aveva dovuto affrontare un periodo di ristrettezze economiche, prostrato anch’egli da una salute cagionevole e dal progressivo indebolimento della vista, che avrebbe potuto compromettere le sue ricerche. Metchnicov non riesce a riprendersi dallo shock e cerca di uccidersi con una overdose di morfina: ma, fortunatamente per lui (e per noi) scampa al suicidio e torna a Odessa. A salvarlo, ci pensano la passione per il suo lavoro e la gioia di un nuovo amore per una giovane studentessa, Olga Belokopitova, che diventerà la sua seconda moglie, la sua biografa, compagna di ricerche e di vita fino alla fine dei suoi giorni.

 Ma le difficoltà per lui non sono finite: nel 1882 Metchnicov, a seguito di screzi accademici, decide di dimettersi lasciando l’Università di Odessa. Si imbarca così, con la moglie, su una delle tante navi mercantili che all’epoca avevano rapporti commerciali con la città di Messina, deciso a rifarsi una vita nella città dello Stretto. Ma la carriera scientifica per lui è tutt’altro che finita e nel dicembre 1882 arriva la sua grande scoperta: le cellule circolanti presenti nel sangue e nei tessuti dei mammiferi, che Metchnicov ribattezza col nome greco di “fagociti”, cellule che mangiano, hanno per l’organismo una funzione difensiva dagli attacchi dall’esterno. Una serie di successivi esperimenti lo porta quindi a definire quella che sarà la prima teoria della fagocitosi: cioè che l’infiammazione non è altro che il meccanismo con cui il nostro organismo porta i fagociti nella sede di lesione, affinchè possano “mangiare” batteri ed eventuali corpi estranei.

 La scoperta della fagocitosi costituisce l’atto di nascita della moderna immunologia, e rappresenta per noi uno dei capisaldi dell’allora nascente Patologia generale, la scienza che studia il “perchè” e il “come” delle malattie, ossia le cause e i meccanismi con le quali esse alterano il funzionamento dell’organismo. Nonostante questo, all’epoca fu accolta con notevole scetticismo dalla comunità scientifica, che solo da poco tempo aveva iniziato a concepire il fenomeno dell’infiammazione come qualcosa di positivo per l’organismo e che ancora riteneva che le cellule del sangue facilitassero l’infezione da parte dei batteri e degli agenti patogeni, anzichè contrastarla. Persino il commediografo George Bernard Shaw, nella sua commedia “Il dilemma del dottore”, si prende burla di questa teoria nel personaggio di un medico che propone come cura a tutti i mali la “stimolazione dei fagociti”. Solo dopo anni di tentate confutazioni e vittoriose dimostrazioni la teoria di Metchnicov riesce ad ottenere il sostegno che meritava e Metchnicov, giunto alla fama, riceve nientemeno che da Louis Pasteur l’offerta di lavorare con lui a Parigi, città ove si trasferisce nel 1887.

Targa commemorativa apposta sul luogo in cui si trovava la casa/laboratoio di Metchnicov. Messina, 1988.
Targa commemorativa apposta sul luogo in cui si trovava la casa/laboratorio di Metchnicov. Messina, 1988.

 Nel 1908, insieme a Paul Ehrlich, riceve il Premio Nobel per la Fisiologia e Medicina ed è a Parigi che, ricco, famoso e acclamato, il grande scienziato si spegne nel 1916.

 Anche se per caso, dunque, la città di Messina è stata il teatro di una delle scoperte più importanti della storia della scienza e della medicina: oggi, infatti, sul luogo in cui si trovava la casa del grande scienziato russo, nel quartiere del Ringo, a pochi passi dalla chiesa di Gesù e Maria del Buon Viaggio, è possibile ammirare una targa che ne commemora la vita e le scoperte.

Gianpaolo Basile

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Monument to I. Mechnikov. 1934

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