Trump firma i primi decreti esecutivi

Il neoeletto presidente Usa è già in azione: durante il giorno del suo ingresso ufficiale alla Casa Bianca ha firmato un centinaio di ordini esecutivi che cambieranno non solo il volto degli Stati Uniti, ma anche i rapporti di forza internazionali.

Shock and awe”(colpisci e terrorizza) è la strategia che risponde pienamente alla rapidità con cui Donald Trump ha messo alla prova la sua abilità esecutiva, risolvendo in velocità alcune controversie.

La maggior parte dei decreti è legata alle immigrazioni. La promessa della campagna elettorale delle “deportazioni di massa” è stata mantenuta.

 

Immigrazione e sicurezza nazionale

Operation Safeguard” è la notevole operazione che ha come obiettivo la rimozione di coloro che sono illegalmente negli USA. Le autorità statunitensi hanno arrestato 538 immigrati irregolari, e centinaia di loro sono stati deportati su aerei militari. Trump ha blindato il confine tra Stati Uniti e Messico, con l’invio al confine di circa 1500 militari; numero che si alzerà notevolmente, dal momento che il piano prevede l’invio di 10 mila uomini.

Deportation Flight Have Begun” (I voli di deportazione sono iniziati). Così su X il profilo della Casa Bianca annuncia le deportazioni dei migranti. Una foto che li mostra ammanettati e in catene, mentre vengono imbarcati su un aereo militare. “Chi entra illegalmente negli Stati Uniti andrà incontro a gravi conseguenze”, il messaggio del presidente Trump, pronto a sospendere il programma di ammissione dei rifugiati, precedentemente accolto sotto l’amministrazione Biden.

Contestualmente è stata ripristinata il controverso programma “Remain in Mexico”, che obbliga i richiedenti asilo a rimanere in territorio messicano durante l’elaborazione delle loro domande da parte delle autorità statunitensi. Queste misure, secondo Trump, mirano a “difendere il popolo americano” da minacce esterne e a contrastare l’immigrazione irregolare.

Gli ordini esecutivi firmati da Trump prevedono inoltre l’abolizione dello ius soli, bloccato temporaneamente da un giudice federale di Seattle, poiché considerato incostituzionale.

Insomma, “passi in avanti” che confermano un sovranismo e una legittimazione istituzionale della violenza.

 

Gli USA abbandonano l’OMS

Donald Trump ha messo in atto il processo di uscita degli Stati Uniti dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS). Una decisione motivata dal tycoon  “a causa della cattiva gestione da parte dell’organizzazione durante la pandemia di Covid-19, e della sua incapacità di adottare riforme urgenti”. La decisione, sottolineano gli esperti, avrebbe conseguenze molto negative sulla salite dei cittadini americani, isolando gli Stati Uniti ad accedere ai dati di interesse sanitario. La decisione del neopresidente è stata di esempio anche per il nostro Matteo Salvini, che ha depositato un ddl che punta a far uscire l’Italia dall’OMS. Per Salvini questa proposta potrebbe rappresentare un modo per ingraziarsi il presidente degli Stati Uniti, vista la simpatica alleanza instaurata tra il neo eletto e Giorgia Meloni.

Una decisione, quella degli USA, che colpisce duramente l’organizzazione dal punto di vista dei finanziamenti, dal momento che erano proprio di Stati Uniti a rappresentare i maggiori investitori.

 

 Il caso TikTok in USA

Temporanea l’interruzione della piattaforma cinese TikTok nella serata del 17 gennaio.  Il presidente Trump, grazie al suo intervento diretto, ha riaperto l’app agli utenti, circa dopo dodici ore di interruzione. Con l’ennesimo ordine esecutivo il presidente salva la piattaforma per 75 giorni.  L’interruzione era avvenuta a causa dell’entrata in vigore di una nuova legge, nata con lo scopo di bloccare il servizio in America. Legge che, nonostante l’aiuto tempestivo di Trump, non è stata cancellata. Il presidente ha comunque dichiarato di essere favorevole di un eventuale acquisto della piattaforma da parte del miliardario Musk. Questa possibile decisione eviterà il ban di TikTok dagli USA.

In ambito tecnologico, Trump avrebbe in programma un nuovo progetto di intelligenza artificiale. “Stargate” sarà il progetto che prevede investimenti per almeno 500 miliardi di dollari negli Stati Uniti. “Il progetto-ha annunciato Trump- si muoverà molto rapidamente, per creare più di 100.000 posti di lavoro americani”.

Elisa Guarnera

Protezione speciale, cos’è e perché il Governo vuole abolirla

Lo scorso 13 aprile, il governo italiano, per combattere il problema immigrazioni, aveva dichiarato uno “stato d’emergenza di sei mesi”, dopo l’arrivo di circa 32.769 persone nei primi mesi del 2023. Negli ultimi giorni, la maggioranza ha deciso di sostenere la proposta fatta da parte della Lega, in termini di modifica al così denominato Decreto Cutro.

L’emendamento presentato prevede una stretta alla “protezione speciale”, norma esistente solo da qualche anno. Quest’ultima è stata introdotta durante il Governo Conte-bis (2020) dall’allora Ministra Luciana Lamorgese. In precedenza, era presente una norma simile, denominata “protezione umanitaria”, ma nel 2018 è stata abolita dall’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini, nell’ambito dei cosiddetti “Decreti Sicurezza”.

L’eliminazione di questa specifica protezione è al momento oggetto di negoziato tra le forze politiche. La situazione sembrerebbe essere ancora provvisoria e in fase consultiva, ma sta generando ugualmente non poche polemiche. Di cosa si tratta? Vediamolo nel dettaglio.

Che cos’è la “protezione speciale”, che il governo vorrebbe abolire?

In Italia il diritto di asilo è garantito dall’art.10 comma 3 della Costituzione:

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Quando una persona straniera entra nel nostro paese, può provare ad ottenere la “protezione internazionale” in tre modi:

  1. Attraverso asilo politico, se teme di subire una persecuzione personale nel proprio paese.
  2. Attraverso la protezione sussidiaria, se teme di subire un danno grave nel proprio paese (come la morte o la tortura).
  3. Attraverso la protezione speciale, se questa persona è stata discriminata nel proprio paese per: etnia, religione, orientamento sessuale, opinioni politiche. Si teme che tornando si rischierebbe non la propria vita, ma una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata o familiare.

Quest’ultima categoria è molto più ampia rispetto alle precedenti. Nel 2022, i beneficiari della protezione speciale sono stati in tutto 10.865, circa uno su due dei permessi di asilo rilasciati. Un numero più elevato rispetto alle altre due tipologie.

Arrivano le proteste: la “protezione speciale” non esiste solo in Italia

Ho come obiettivo l’eliminazione della protezione speciale, perché si tratta di un’ulteriore protezione rispetto a quello che accade al resto d’Europa.

Questo sono le parole della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ritiene questa norma come un “unicum” italiano. Per la Lega di Salvini, è veicolo solo di «situazioni attrattive per l’immigrazione, che bisogna  azzerare».

Ma in realtà questa protezione, che in Italia spetta ai richiedenti asilo che non hanno le caratteristiche per ottenere né lo status di rifugiato né la protezione sussidiaria, è uno strumento presente e utilizzato anche in altri Stati.

Come ricorda Filippo Miraglia, vicepresidente e responsabile immigrazione dell’Arci, nell’UE ci sono 18 paesi su 27 che vantano una forma di protezione complementare a questa. Tra questi menzioniamo: la Francia, la Germania, il Regno Unito, la Spagna, il Belgio, la Croazia, la Danimarca, l’Estonia, la Finlandia, la Grecia, la Lettonia, la Lituania, la Polonia, il Portogallo, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Svezia, l’Ungheria. Ciò che cambia è solo la denominazione della norma e forse il fatto che vengano utilizzate queste protezioni più concretamente.

La segretaria del PD, Elly Schlein, ritiene che il tentativo del governo di abolire la protezione speciale sia una «vergogna» e aggiunge:

Siamo fermamente contrari e continueremo a batterci, affinché le politiche migratorie siano in linea con i diritti internazionali, con le carte internazionali a partire da quella di Ginevra sui diritti delle rifugiate e dei rifugiati. Abbiamo una posizione molto netta su questo!

Cosa prevede la rimozione e a cosa porterebbe?

Il numero di migranti in arrivo sicuramente non diminuirebbe, poiché non tutti conoscono queste differenze di status. Quello su cui si potrebbe influire è il numero di migranti che oggi in Italia vivono in modo regolare. Togliere questa protezione renderebbe migranti irregolari tutte quelle persone che ad oggi nel nostro paese hanno la possibilità di lavorare regolarmente, di inserirsi in circuiti di accoglienza, di imparare la lingua, di affittare case e molto altro.

I richiedenti asilo non saranno più ospitati nel Sistema accoglienza integrazione (Sai), che verrà riservato solo a chi ha già ottenuto lo status di rifugiato. L’hotspot di Lampedusa sarà affidato alla Croce Rossa Italiana. Verrà aggiunto un traghetto di collegamento con la Sicilia per trasferire i migranti che arriveranno sull’isola. I permessi di soggiorno per protezione speciale concessi per calamità o/e per cure mediche non potranno essere più convertiti in permessi di soggiorno per motivi di lavoro, ma queste sono solo alcune delle previsioni ancora oggetto di discussione.

In teoria, tutti questi migranti, risultando così irregolari, potrebbero essere rimpatriati, ma nella pratica i numeri dei rimpatri sono spesso molto bassi. Probabilmente, il loro destino sarà l’abbandono sul nostro territorio, in uno status di individui senza diritti e con il rischio di venire sfruttati. Sarebbe questo un grande passo indietro, invece che in avanti. In sostanza, il numero di migranti irregolari anziché diminuire, aumenterebbe. Potremmo dire che questa non sia proprio una soluzione efficace al problema dell’immigrazione. Ma quale sarà il responso? Staremo a vedere.

    Marta Ferrato

Immigrazione, il governo ha attivato lo “stato d’emergenza”. Che significa?

Dal giorno uno al giorno attuale di governo il tema dell’immigrazione s’è pian piano arroventato. Il “surriscaldamento” ha avuto inizio con i primi contenziosi Francia-Italia sulla gestione delle navi migranti, è proseguito con le particolari operazioni di distribuzione degli sbarchi operate dal Viminale e ha avuto il suo culmine nella triste tragedia di Cutro.

Quindi ora, dopo che ulteriori eventi “minori” hanno ricordato che nulla è stato risolto, l’amministrazione Meloni ha deciso di ufficializzare la questione come “un’emergenza”, aprendosi un fronte di nuove possibilità gestionali. Particolarmente, cosa comporterà la nuova definizione? Cos’è uno “stato d’emergenza”? E quante “emergenze” sono riconosciute tali nel panorama nazionale? Di seguito le risposte a ogni domanda.

 Immigrazione, mezzi speciali per “l’emergenza”

Riporta le informazioni Il Sole 24 Ore. Lo scorso martedì, in seno al Consiglio dei ministri, il governo ha deliberato lo stato di emergenza per l’intera Nazione a causa dell’incontrollabile incremento dei flussi di persone migranti attraverso le rotte del Mediterraneo. Almeno, questa è stata la motivazione formalmente concessa per attuare una modifica dello status quo, fondata principalmente su un dato: nel 2023 i migranti giunti in Italia sono 31.200, il +300% rispetto all’anno scorso.

La nuova definizione è stata voluta per sbloccare l’utilizzo di mezzi e poteri straordinari, utili ad affrontare la questione. L’atto amministrativo che la regola avrà valore almeno per sei mesi, oltre i quali potrà essere prorogato. L’effetto immediato della sua entrata in vigore è stata la liberazione di una tranche pari a cinque milioni di euro, subito disponibili per il contenimento della criticità.

La delibera stabilisce uno stanziamento di risorse finanziarie da destinare agli interventi urgenti. Istituisce inoltre, come fonte finanziaria da cui attingere, il Fondo per le emergenze nazionali, che può essere progressivamente incrementato nel corso della durata dello stato di emergenza. Il provvedimento può avere anche un rilievo solo locale o regionale. Quando è di tipo nazionale non può superare i dodici mesi ed è prorogabile per altri dodici mesi al massimo.

Dopo il primo stanziamento di cinque milioni, si prevede che l’esecutivo ne stanzierà altri quindici. Il totale sarà impiegato prevalentemente per creare nuovi posti d’accoglienza e favoreggiare azioni di rimpatrio.

Immigrazione
GNV Azzurra. Fonte: Giornale di Calabria

Storia delle “emergenze” in Italia, c’è un precedente sull’immigrazione

Riporta le informazioni Openpolis. In Italia al momento sono in vigore circa una ventina di provvedimenti di questo tipo. Ma, cosa più sconvolgente, dal 2013 ad oggi nel nostro Paese lo stato di emergenza è stato dichiarato ben 127 volte. In 102 casi si è trattato di danni causati da eventi meteorologici, in 8 di eventi sismici o di origine vulcanica, in 7 emergenze internazionali, in 6 di eventi ambientali e sanitari (tra cui l’emergenza Covid-19) e in 4 di emergenze non gestite direttamente dalla protezione civile.

Esiste anche un precedente in materia di migranti. Nel 2011, infatti, il governo Berlusconi aveva varato un piano di equa distribuzione nelle regioni dei profughi provenienti dal Nordafrica, fruendo della stessa base legislativa, allora leggermente diversa nella sostanza.

“Emergenze”: lo strumento normativo che le definisce

Lo stato d’emergenza nazionale è regolato dall’articolo 24 del Codice della Protezione civile sulla base di alcuni requisiti definiti nell’articolo 7:

Emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo“.

Gabriele Nostro

Lo “sbarco selettivo” dei migranti in Italia: il punto sulla situazione

In Italia si torna a parlare di immigrazione e aiuti umanitari e lo si fa di fronte ad una situazione urgente e delicata. Tutto ha inizio con varie operazioni di salvataggio in mare da parte di alcune Ong, che hanno accolto a bordo delle loro navi molte persone e successivamente hanno ricercato porti sicuri dove attraccare. Due di queste imbarcazioni, la Humanity 1 e la Geo Barents, sono arrivate al porto di Catania dove hanno ricevuto un accoglienza particolarmente fredda da parte del governo italiano. Il neo ministro dell’Interno Piantedosi ha, infatti, “aperto le porte” a donne incinte, bambini e persone che versavano in grave stato di salute, lasciando a bordo gli altri.

 

Il provvedimento interministeriale

Questo duro atteggiamento nei confronti dei migranti fa tornare alla mente il periodo nel quale il posto di ministro dell’Interno era occupato da Matteo Salvini. Proprio il segretario della Lega, attualmente ministro delle Infrastrutture e vicepremier, ha firmato un provvedimento interministeriale insieme allo stesso Piantedosi e al ministro della Difesa, Guido Crosetto.

Tale provvedimento impone l’obbligo per le navi di tornare in acque internazionali, con tutte le persone “non idonee” ai parametri di accoglienza a bordo. Attualmente però le imbarcazioni non accennano a lasciare il porto andando contro di fatto alla decisione del governo.

Inoltre, la Ong Sos Humanity, responsabile della Humanity 1, ha deciso di fare ricorso al Tar del Lazio. Di conseguenza, con molta probabilità, avrà inizio una vicenda giudiziaria tra le due parti.

Intanto, però, sulla nave divampano le proteste, con molte persone che hanno iniziato uno sciopero della fame, rifiutando il cibo che gli veniva fornito. Moti di protesta che sono presenti anche sulla “terra ferma” e vedono la partecipazione in prima linea di una voce politica che si è distinta particolarmente nelle scorse elezioni: Aboubakar Soumahoro.

Foto della Humanity 1. Fonte: roma.corriere.it

Il dibattito politico: il disordine del centro-sinistra

«Salirò sulla nave Humanity 1 nelle prossime ore se il governo Meloni terrà sospese le vite umane nelle acque territoriali italiane per propaganda ideologico-identitaria. Le vite umane si salvano. È finita la campagna elettorale. Governare è rispettare la Costituzione»

Questa la dichiarazione di Soumahoro. Il deputato dell’alleanza VerdiSinistra Italiana, che durante la scorsa campagna elettorale ci aveva abituati a parole incisive e forti, anche questa volta non è stato da meno. Questa “linea dell’intransigenza” però non è stata sposata da tutti i partiti dell’opposizione che, per l’ennesima volta, appare estremamente disunita.

Molti degli esponenti del centro-sinistra, infatti, hanno atteso parecchio prima di esprimersi in merito alla questione. Ad esempio l’ex premier Giuseppe Conte ha rotto da poco un silenzio durato due giorni. queste le sue parole:

«Questo governo scoprirà che il nazionalismo arrogante non porta da nessuna parte. Serve un coordinamento europeo per l’adozione di un meccanismo comunitario di gestione, accoglienza e redistribuzione dei migranti che raggiungono le coste europee. Dobbiamo incrementare le iniziative di cooperazione, nel segno di un partenariato fra eguali, con i Paesi terzi di origine e di transito delle rotte migratorie. Abbiamo bisogno di rafforzare il sistema dei rimpatri per i migranti che non hanno diritto ad alcuna protezione».

Sono state parecchie le critiche nei confronti dell’attuale presidente del Movimento 5 stelle a seguito di questa dichiarazione. Spicca tra queste il tweet di Carlo Calenda, leader del partito politico “Azione”:

Lo sbarco completato a Reggio Calabria

A poca distanza da Catania, presso il porto di Reggio Calabria, si è verificato uno scenario completamente diverso. La nave Rise Above dell’Ong lifeline ha attraccato al molo di ponente e tutte le persone a bordo sono sbarcate in completa sicurezza. Questa differenza di trattamento tra le imbarcazioni si è verificata, perché la missione umanitaria della Rise Above è stata considerata come un evento SAR  (acronimo di Search and Rescue). Ovvero, è stato un recupero pianificato, in accordo e coordinazione con le forze dell’ordine e le autorità italiane.

La nave Rise Above. Fonte: tgcom24.it

L’Ocean Viking e il rifiuto di attraccare

Risulta essere singolare il caso dell’imbarcazione Ocean Vikings. Osservando la situazione al porto di Catania, i comandanti della nave hanno deciso di non attraccare e di cercare altri porti che potessero garantire uno sbarco integrale e non “selettivo”.

«devono essere sbarcati senza ulteriori ritardi e senza distinzioni. L’attuale situazione di stallo è disumana, viola molteplici principi del diritto marittimo e umanitario. E mette ulteriormente a rischio persone che sono in urgente bisogno di protezione. Questo gioco politico non può continuare a violare il diritto dei naufraghi a sbarcare il prima possibile».

Queste le parole di Nicola Stalla, coordinatore dei soccorsi a bordo. Dopo aver chiesto aiuto anche a Spagna e Grecia la nave dell’Ong francese Sos Mediterranée ha ricevuto il via libera proprio della Francia dove sbarcheranno tutte le 234 persone a bordo.

Francesco Pullella

Roberta Metsola è il nuovo presidente del Parlamento europeo, il primo di nazionalità maltese. Dopo l’elezione, la polemica

La terza donna presidente, nella storia, scelta per la guida del Parlamento Europeo e la prima persona di nazionalità maltese: parliamo di Roberta Metsola, esponente dei Popolari (Ppe), è lei il successore dell’ex presidente europeo David Sassoli, scomparso pochi giorni fa dopo una lunga malattia. Eletta con 113 voti in più rispetto al suo predecessore, per di più nel giorno del suo quarantatreesimo compleanno, il 18 gennaio scorso, risulta essere anche il più giovane presidente donna dell’Assemblea di Strasburgo.

Roberta Metsola è la più giovane tra i presidenti della storia del Parlamento Ue (fonte: leggo.it)

L’elezione a Strasburgo è il coronamento di una carriera brillante

Le altre candidate erano la svedese Alice Kuhnke, per i Verdi, e la spagnola Sira Rego, per La Sinistra, che hanno ottenuto rispettivamente 101 e 57 sì. Ben 458 voti, invece, quelli a favore, su un totale di 617, per l’eurodeputata maltese Metsola. La sua elezione è stata improvvisa e necessaria per la scomparsa di Sassoli. In onore di quest’ultimo ha riservato il suo primo intervento appena dopo l’ottenimento della carica, durante la plenaria del 18 gennaio, pronunciando un discorso di commiato proprio in italiano:

“La prima cosa che vorrei fare, come Presidente, è raccogliere l’eredità che ci ha lasciato David Sassoli. Lui era un combattente per l’Europa. Credeva nel potere dell’Europa. Grazie David! Voglio che le persone recuperino un senso di fede ed entusiasmo nei confronti del nostro progetto. Credo in uno spazio condiviso più giusto, equo e solidale.”.

La politica è parte fondamentale dell’intera quotidianità della neopresidente: ironia della sorte, il marito, Ukko Metsola, è anche lui politico, europarlamentare (finlandese), con il quale ha avuto quattro figli. Una carriera, quella di Roberta Metsola, costellata da importanti traguardi, di cui quest’ultimo mandato europeo costituisce un coronamento. Ha mosso i suoi primi passi divenendo membro della formazione giovanile del Partito Nazionalista (Moviment Zgħazagħ Partit Nazzjonalista) e dell’European Democrat Students, per cui è stata anche segretario generale. Un’importante conferma del suo grande talento arrivò già il 12 novembre del 2020, quando, a soli 41 anni, divenne la prima vicepresidente vicaria del Parlamento Europeo.

 

Il discorso da neo presidente

Appena eletta, la Metsola, di fronte all’Assemblea ha tenuto un discorso con il quale ha toccato tematiche attualissime in Europa, come quella dell’antieuropeismo e della disinformazione, combattute tenacemente, come lei stessa ha ricordato, da Sassoli:

“Dobbiamo controbattere la narrativa antieuropeista che si diffonde così rapidamente. – ha dichiarato sempre in italiano – La disinformazione che si è diffusa durante la pandemia ha alimentato il nazionalismo, l’autoritarismo, il protezionismo. Sono illusioni false che non offrono soluzioni, perché l’Europa è esattamente l’opposto di questo.”.

 

(fonte: quifinanza.it)

Poi l’accento su clima e transizione energetica. Ha sottolineato l’importanza del “green deal”, del lottare uniti contro i cambiamenti climatici, anche sostenendo l’economia.

Ha parlato di immigrazione, dicendosi fiduciosa verso l’ipotesi di trovare, all’interno del Parlamento, entro i prossimi due anni e mezzo, un accordo, una maggioranza, trovata in realtà cinque anni fa, ma poi bloccata. Riguardo la proposta di alcuni Paesi membro dell’Ue, che chiedono di finanziare la costruzione di muri ai confini, la Metsola si è dichiarata contraria, pur riconoscendo che alcuni Stati vivono situazioni difficili e che per questo vanno comunque aiutati:

«Per me la protezione della vita viene prima di tutto. Non possiamo avere una politica di migrazione che non dà valore alla vita, ma nemmeno lasciare soli ad affrontare una sfida enorme i Paesi di frontiera. Gli altri Stati non possono abbandonarli, pensando che non sia anche un problema loro. – ha detto – Ci sono molti strumenti, ma non dobbiamo mai dimenticare che si tratta di esseri umani.».

Così, ha parlato anche delle Ong che intervengono nel Mediterraneo per salvare i migranti in pericolo e della necessità di trovare una soluzione al più presto, magari aprendo un dialogo approfondito con i Paesi di partenza, di transito e di arrivo dei flussi di immigrazione, per impedire che le partenze per l’Europa siano viaggi in cui le persone rischino la vita. Non più.

 

La polemica

Subito dopo l’elezione, sono arrivati i primi commenti dal mondo della politica, si è accesa inoltre la polemica, in particolare su certe dichiarazioni della Metsola in merito al diritto all’aborto. Dopo le vicende che hanno scosso l’Europa, in particolare, la Polonia, la presidente sembra voler cambiare linea, più precisamente, farsi portavoce del pensiero della maggioranza del Parlamento europeo, dichiarando che fino ad oggi si era schierata come sostenitrice delle posizioni antiabortiste perché largamente diffuse nel suo Paese, Malta, dove l’aborto è illegale:

«Da eurodeputata maltese, ho difeso una posizione nazionale. Ora che sono presidente del Parlamento europeo non voterò più su questo tema e difenderò all’esterno la posizione dell’istituzione da me guidata.».

Dunque, a Malta, la questione è più intricata di quanto sembri:

«C’è un protocollo – ha rivelato la Metsola – che noi tutti eurodeputati maltesi siamo costretti a seguire. Non bisogna votare provvedimenti che possano portare a un dibattito sull’aborto a Malta. Perché un dibattito su questo tema deve rimanere a livello nazionale. Ma adesso ho una responsabilità e per mantenere l’oggettività non voterò più su questi rapporti e su queste risoluzioni. Voglio difendere l’uguaglianza tra i sessi. E lo farò sempre e ovunque». Queste, dunque, le intenzioni del nuovo presidente.

Il presidente francese Emmanuel Macron, in merito a queste dichiarazioni, durante la plenaria ha suggerito, probabilmente riferendosi direttamente all’appena eletta presidente, di inserire nella Carta dei Diritti fondamentali europea il diritto all’aborto e la protezione ambientale: «A 20 anni dalla proclamazione della Carta, vorrei che fosse aggiornata con un riferimento esplicito all’ambiente e al riconoscimento del diritto all’aborto.».

I due sono stati insieme protagonisti di un’altra polemica, scoppiata in occasione della presentazione del semestre francese di presidenza Ue. Dopo aver letto un discorso durato due minuti e mezzo, il capo dell’Eliseo ha alzato i tacchi e ha abbandonato la sede francese del Parlamento europeo. Presente appunto anche la neo eletta Metsola, che ha seguito Macron. Diversi giornalisti hanno abbandonato in segno di protesta la sala stampa del Parlamento europeo di Strasburgo. La reazione a caldo della Federazione internazionale dei giornalisti è stata:

(fonte: europa.today.it)

“Non puoi dire che ti interessa la libertà dei media e poi non rispondere alle domande dei giornalisti alle conferenze stampa”

Ora tre donne guidano l’Europa

Con la nomina della maltese, sono diventate tre le donne che guidano le principali istituzioni comunitarie: oltre Metsola, Lagarde e Von der Leyen.

(fonte: parismatch.com)

Che sia stata eletta una donna per una carica tanto importante per la vita di milioni di persone, è sicuramente un dato positivo, una voce femminile in più. Però, ogni donna è diversa dalle altre e come ogni persona, indipendentemente dal genere, ha pregi e difetti e opinioni personali anche non rappresentative di tutto una categoria, se di categorie si può parlare.

Il presidente Metsola è una figura complessa come la complessa politica maltese, per la quale è una “nazionalista”, mentre lei si definisce democristiana. La sua ideologia sembra, in effetti, quelle di una persona di sinistra, anche alla luce delle ultime dichiarazioni. Le sue opinioni personali contrarie all’aborto rispecchiano, dunque, una mentalità ancora molto diffusa a Malta, ma l’impegno a rispettare la posizione del Parlamento europeo su ciò, come anche su altri temi, sembra molto concreto.

Almeno per ora, sembra che vi sia la volontà di continuare una missione che anche Sassoli aveva promesso di portare a termine, in nome di un’Europa più proiettata verso libertà, sicurezza e uguaglianza.

 

Rita Bonaccurso

 

Perché la von der Leyen propone di abolire il Regolamento di Dublino

 

“Salvare vite in mare non è un optional” “C’è una differenza fondamentale di come le destre guardano all’essere umano. Ci sono loro, che si confrontano con l’odio, e ci siamo noi. Ma l’odio non ha mai portato buoni consigli”

Queste le parole pronunciate dal presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, durante l’assemblea plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo il 16 settembre, in risposta alle contestazioni sollevate da Jorg Meuthen, leader del movimento tedesco xenofobo Alternativa” per la Germania. Proseguendo con l’annuncio dell’abolizione del Regolamento di Dublino, tramite l’introduzione di un nuovo sistema di governance europea, il quale avrà una struttura comune per l’asilo ed i rimpatri basato sul principio di solidarietà, principio cardine del benessere europeo.

La Convenzione di Dublino, sottoscritta nel 1990 da 12 stati dell’Unione Europea ed entrata in vigore il 1° settembre 1997 sotto forma di regolamento – vincolante, quindi, per tutti gli stati membri – stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato competente ad esaminare la richiesta di un cittadino di un paese terzo od apolide richiedente asilo e ad ospitarlo in attesa che la richiesta venga valutata dalle autorità competenti.

La ratio di tale regolamento era quella di adottare una politica comune di asilo andando ad evitare eventuali conflitti di competenza e responsabilità nel caso in cui un soggetto avesse effettuato domanda in diversi paesi. Questo si basava originariamente su due criteri per la determinazione dello stato responsabile della gestione della domanda:

  1. Criterio soggettivo degli stabili legami: lo Stato dove abitano legalmente i parenti stretti del soggetto o dal quale ha già ricevuto un permesso di soggiorno
  2. Criterio oggettivo del primo ingresso: in assenza di legami accertati, lo Stato che si fa carico della domanda e dell’accoglienza è il primo dove il richiedente asilo mette piede

Quest’ultimo però nel corso del tempo, sia per esigenze sociali, sia per esigenze economiche venne nettamente preferito al primo.

Problematiche Regolamento

Il regolamento tuttavia non fu esente da critiche, soprattutto dai paesi più vicini al Mediterraneo – ed in primis proprio l’Italia – i quali si facevano e fanno tutt’ora carico del numero affluente di sbarchi, spesso irregolari, oltrefrontiera e dell’accoglienza dei migranti presso i centri di accoglienza, costretti spesso a vivere in condizioni disumane. Possiamo dunque sottolineare tre effettive problematiche:

  • eccessivo onere a carico dei paesi di sbarco
  • sistema di ripartizione inefficiente
  • violazione dei diritti umani dei migranti

Riforme Regolamento

Le norme di Dublino non sembrano idonee alla realtà attuale dei fatti, ai recenti ed incontrollabili flussi migratori, anche perché furono pensate per un periodo storico, ove neppure l’Unione Europea esisteva ancora, in previsione di una sostanziale complicità e standard comuni in tutti i paesi dell’Unione. Tutto ciò ha portato l’esigenza di innovare il sistema mediante le riforme, seppur lievi, del 2003 e del 2013.

Il picco di migrazione si ebbe nel 2015 e ciò portò al progetto di riforma da parte della Commissione Juncker, in seno al Parlamento Europeo; nel 2017 vi fu, poi, l’approvazione di una proposta cui obiettivo principale era la sostituzione del “criterio del primo ingresso” con un meccanismo obbligatorio di ripartizione dei richiedenti asilo tra i 27 paesi dell’Unione, con conseguente maggiore condivisione dell’accoglienza.

Il numero massimo di soggetti da ospitare sarebbe stato stabilito da una quota rapportata al PIL e alla popolazione. Vi erano norme a tutela dei centri accoglienza quali la possibilità di indicare una preferenza in merito allo stato in cui essere ospitato.

La riforma venne approvata dal Parlamento Europeo ed accolta dalla Commissione Europea, di cui scrisse il testo base, tuttavia si bloccò in sede di Consiglio dell’Unione Europea, a causa dell’opposizione dei paesi dell’Est, da sempre contrari all’accoglienza migranti.

Nel 2018 vi fu un vano tentativo di riforma da parte della Bulgaria a cui però posero veto proprio i paesi di frontiera a causa delle perplessità in merito ai tempi di entrata in vigore.

La Nuova Proposta

La Commissione presenterà il 23 settembre di quest’anno una nuova proposta che sarà valutata dai governi nazionali nelle settimane successive. Tuttavia, non sono ben chiare le modalità in cui opererà tale riforma, poiché la presidente von der Leyen è apparsa molto vaga durante il suo discorso. L’unico elemento desumibile è la forte centralità della solidarietà obbligatoria, tramite un sistema più “umano” che comporti doveri ed obblighi in capo a tutti gli stati. Tuttavia, al par del tentativo di riforma 2017, il pericolo maggiore rimane il potenziale muro formato dall’opposizione dei paesi dell’Est, quali Ungheria e Polonia, ed i ricchi paesi, quali i Paesi Bassi, ove non sembra esservi stato alcun mutamento né di idee né tantomeno di governo

Per questo motivo la Commissione potrebbe optare per un compromesso:

chi non accoglie la sua quota di migranti, si occuperà degli oneri relativi ai rimpatri di chi non ha il diritto all’asilo (o un permesso di soggiorno regolare).

                                                                                                                                     Manuel de Vita

Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, a Messina con l’obiettivo di raccontare l’immigrazione in Europa

Si è tenuta nella giornata di ieri presso il Salone degli Specchi al Palazzo dei Leoni di Messina la presentazione del nuovo libro di Pietro Bartolo, “Le stelle di Lampedusa“. Durante l’incontro sono state mostrate molte immagini di speranza come quella che segue, ma anche molte altre foto che descrivono la crudeltà e la sofferenza che caratterizzano la tragedia dei migranti.

Pietro Bartolo, fonte: TPI

Pietro Bartolo è responsabile da trent’anni della prima accoglienza ai migranti nell’isola di Lampedusa, periodo in cui ha curato moltissimi naufraghi e ispezionato migliaia di cadaveri, diventando noto come “il medico del mare”. Autore, nel 2016, del libro tradotto in molteplici lingue “Lacrime di sale“, edito da Mondadori, che racconta su carta quella che è stata definita la più grande emergenza umanitaria del nostro tempo. Interprete nel film “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi che ha portato sul grande schermo la tragedia dell’immigrazione, vissuta in prima persona dagli abitanti di Lampedusa. Recentemente secondo eletto al Parlamento europeo nella circoscrizione insulare con oltre 135mila preferenze, di cui 115mila ottenute soltanto in Sicilia.

Il nuovo europarlamentare, in una giornata comunque programmata prima ancora che si definissero le candidature per le elezioni europee, ha incontrato nel corso della mattinata i ragazzi dell’istituto nautico “Caio Duilio”, del liceo “La Farina”, dell’istituto “Mazzini” e del Collegio Sant’Ignazio. L’incontro si inquadra in un progetto che punta alla sensibilizzazione dei giovani, che, come dichiarato dallo stesso Bartolo nel corso dell’incontro pomeridiano aperto a tutti, si ha l’intenzione di estendere quanto più possibile in Europa.

Nel pomeriggio l’evento è stato introdotto dal contributo di Davide Dinicola, diplomato al nautico di Messina, che ha raccontato di cosa lo ha spinto ad abbandonare lo yacht di Briatore per imbarcarsi, come primo ufficiale, nella nave Mare Jonio, che dallo scorso Ottobre naviga nel Mediterraneo per un’attività di monitoraggio, testimonianza e denuncia della drammatica situazione che coinvolge i migranti.

Successivamente l’intervento di Bartolo è stato un susseguirsi di immagini e storie, la storia di persone: non cose – come ribadisce il medico – persone che hanno delle sensibilità, hanno delle ambizioni, hanno delle speranze e hanno anche dei sogni, perché anche se sono neri hanno dei sogni, come noi.

Immagini di persone come le donne che raggiungono l’isola – se la raggiungono – con ustioni su ogni parte del corpo. Ustioni che non dipendono dal calore, ma ustioni chimiche, causate dalla miscela di acqua e di benzina che si accumula sulla superficie della barca e che, come dichiara l’autore, nel 90% dei casi causano la morte di queste donne, in quella che il medico chiama la malattia del gommone. Perché solo le donne? Perché gli uomini si dispongono sui bordi dell’imbarcazione, per proteggere gli anziani e le donne, più deboli, dal mare e dal freddo, come in una famiglia. Ultimamente molti si spaventano di salire su questi gommoni fatiscenti, sanno che possono morire da un momento all’altro. Allora gli scafisti per costringerli cosa fanno? Gli sparano, tanto sono neri, non hanno neanche lo status di esseri umani quindi lo possono fare“. Da qui l’immagine di un ragazzo che è andato verso questo destino, ma ha finto di essere morto, è stato caricato sulla barca ed è arrivato sull’isola, vivo.

Immagini di persone come quella della donna che stava per partorire, ma non c’era il tempo per raggiungere l’ambulatorio o l’ospedale a Palermo (perché i medici di Lampedusa garantiscono le cure solo in un poliambulatorio, tra l’altro senza neanche una sala parto). Allora la legatura del cordone ombelicale venne fatta con un laccio di scarpe, e la donna non si lamentò neanche per un attimo. Al momento del taglio uscì il “sangue, rosso, come il nostro“. Storie e immagini come quelle della donna che partorì in nave e si strappò una ciocca di capelli per legare il cordone.

Immagini di persone, uomini, bambini e donne, come quelle che il medico trovò ammassate nella stiva di una nave – sembrava di camminare su dei cuscini morte per asfissia, chiuse lì dentro.

Pietro Bartolo parla anche dell’incidente avvenuto nel 2013 che costò la vita a 368 migranti, mostra l’immagine delle bare che sembravano non finire, molte delle quali bianche. Ci ricorda che in realtà erano 367 barepoiché in quei sacchi c’era anche una donna che aveva appena partorito, con il suo bambino ancora legato a lei dal cordone ombelicale: decidemmo che fosse più giusto stessero insieme“.

Ma ci sono anche le cose belle. Come la storia della ragazza che era stata data per morta, ma di cui il medico percepì il polso, e allora di corsa in ambulatorio per massaggiarla, per fare l’adrenalina, e così il cuore ripartì. La ragazza è tornata a distanza di molti anni nella stessa isola a ritrovare chi la salvò. Storie come quelle della bambina di 4 anni che non mangiò i biscotti e li sbriciolò per darli alla madre, che non accettò in regalo un orsacchiotto perché ormai era già grande. Storie come quelle delle migliaia di persone salvate da morte certa grazie all’intervento di chi non si è mai arreso e non vuole arrendersi neanche di fronte alle possibili multe di 5000€ previste dal decreto Sicurezza bis – ma quei pescatori, a costo di pagare mutui di 80 anni, non verrebbero mai meno al loro dovere umanitario.

L’incontro si chiude tra gli applausi e la commozione generale, tra le urla che dicono “viva i lampedusani”, con i presenti consci di aver sentito storie e visto immagini che difficilmente verrebbero mostrate altrove. Un’esperienza che sicuramente porta a riflettere, al di là di ogni orientamento politico.

Antonino Micari

Al rettorato un seminario sul tema delle disuguaglianze e migrazioni forzate

Giovedì 16 maggio 2019. Messina. Accademia dei Pericolanti – Rettorato. Ore 15:00. Ѐ stato presentato il rapporto 2018 “Il diritto di asilo”.

Al tavolo dei relatori la prof.ssa Anna Maria Anselmo, vicedirettrice COSPECS, che ha fornito le categorie utili per contestualizzare il fenomeno; si è poi proseguito con l’intervento della curatrice del rapporto, Mariacristina Molfetta, presidente del Coordinamento “Non solo Asilo”. Infine, l’evento si è concluso con la presentazione di una ricerca sul campo di Tiziana Tarsia, sociologa, e Giuliana Sanò, antropologa, e due interventi che hanno descritto iniziative di partecipazione attiva con i rifugiati, gli studenti e gli operatori sociali del settore.

Più di 160mila sono gli immigrati che dall’inizio del 2016 sono sbarcati sulle coste italiane tutti ufficialmente in cerca di protezione internazionale. La politica da tempo è divisa sulla loro accoglienza e sulla presenza dei requisiti per la concessione dello status di rifugiato. Un dibattito spesso sin troppo polemico.

Infatti negli ultimi anni l’attenzione pubblica e politica, italiana ed europea, è stata fagocitata dall’ossessione delle migrazioni. Il tema è diventato la bussola delle campagne elettorali. Il futuro dell’Europa sembra tragicamente legato alla sua capacità di gestire, o meglio, respingere le migrazioni. Questo dibattito cieco e di cortissimo respiro non permette di ragionare con maggiore consapevolezza su questioni fondamentali che segneranno veramente il nostro futuro. E in particolare, la triade cambiamento climatico, migrazioni e disuguaglianza, si presenta come una questione che avrebbe bisogno di una maggiore attenzione per discutere di politiche e comportamenti sociali ed individuali.

Il fenomeno migratorio è complesso e le cause sono interagenti. Gli studiosi sottolineano che le migrazioni sono un modo per adattarsi al cambiamento e che quindi non vanno combattute, ma regolate e rese sicure con piani ad hoc.

Nello scenario mondiale, i Paesi che accolgono il maggior numero di rifugiati si trovano in regioni in via di sviluppo. La Turchia si conferma il Paese che ospita il maggior numero di rifugiati con 2,5 milioni di persone accolte, rispetto agli 1,6 milioni dello scorso anno; la Siria è il primo paese di origine con 4,9 milioni di rifugiati.

In questo quadro si chiede alle istituzioni e si propone alla società civile una riflessione sugli strumenti legali e sulle politiche internazionali e nazionali: affinché non siano discriminanti verso le persone in difficoltà o che hanno necessità di spostarsi, ma riconoscano il diritto ad una vita dignitosa di chi fugge dai sempre più frequenti disastri di varia natura; occorre creare nuovi regimi per regolare, regolamentare e rendere sicure e ordinate le migrazioni a livello internazionale e regionale, fondati sul riconoscimento dei diritti dei migranti.

Gabriella Parasiliti Collazzo

Migranti e il decreto legge

Venerdì 29 giugno, dopo 13 ore di colloqui, proposte e controproposte, è stato trovato l’accordo sui migranti.

L’annuncio dato dal presidente del consiglio europeo Donald Tusk, non era scontato perché l’Italia aveva delle notevoli perplessità sulle modalità di gestione di tale problematica.

MINACCIA ITALIANA:

L’Italia ha minacciato di bloccare la prima versione del testo discusso a Bruxelles durante il summit di giovedì 28 e venerdì 29 giugno. Una bozza riguardante la crescita, economia, innovazione e lavoro, saltando la questione migranti. Anche il documento preliminare di Tusk, che sul tema migranti si discuteva molto, è piaciuto poco al Premier Giuseppe Conte poiché, benchè trattasse la lotta all’immigrazione irregolare, i controlli ai confini e i rapporti con i paesi di provenienza dei migranti, non teneva sufficientemente conto dell’accoglienza e dell’integrazione.

Sui temi cruciali per trovare un accordo, vi è stato un dialogo, anche molto serrato,tra Francia e Italia, che ha permesso di correggere il tiro fino alla sottoscrizione dell’intesa.

INTESA EUROPEA:

I temi principali riguardano il controllo dei migranti con centri di sbarco al di fuori del territorio comune europeo. (gli Stati Ue possono creare degli hotspot nei propri confini)e il rifinanziamento del fondo per l’Africa, il cui apposito fondo fiduciario dovrebbe ricevere altri 500 milioni di euro. Le piattaforme di sbarco regionali non sono del tutto accantonate, il Consiglio Ue ha invitato la commissione europea a farsi carico di sondare la disponibilità di tutte le nazioni coinvolte, creando un ponte con l’Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) e l’organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Inoltre, occorre disincentivare le persone a imbarcarsi per viaggi pericolosi. Per far si che questa operazione riesca serve la cooperazione di tutti i paesi soprattutto quelli che si affacciano sulle rotte dei migranti.

 

 

 

 

 

GOVERNO ITALIANO:

Il premier Giuseppe Conte sostiene che l’italia non è più sola anche se ammette che avrebbe cambiato qualcosa. Matteo Salvini è meno ottimista: ai microfoni di Radio Capital, ha ribadito di non credere alle parole ma solo ai fatti, auspicando anche un investimento vero e mirato in Africa, fedele quindi a quell’”Aiutiamoli a casa loro”.

La bozza del decreto legge all’esame del pre consiglio dei ministri di oggi prevede che l’Italia donerà alla Libia 10 motovedette della guardia costiera e due unità navali della guardia di finanza.

Il decreto si compone di 4 articoli. Il primo stabilisce che è autorizzato, conformemente a specifiche intese con le competenti autorità libiche e nel rispetto delle vigenti disposizioni internazionali ed europee in materia di sanzioni, il ripristino in efficienza, l’adeguamento delle strutture e il trasferimento in Libia; l’articolo 1 del decreto prevede uno stanziamento di un milione e 150mila euro. Un milione e 370mila euro sono stanziati nell’articolo 2 per la manutenzione delle unità navali, per lo svolgimento di attività addestrative e di formazione del personale della guardia costiera e della marina libica, al fine di potenziarne le capacità operative nel contrasto all’immigrazione illegale e alla tratta di esseri umani.

Sul tema migranti sta rischiando di sfaldarsi la Germania di Angela Merkel. Ed è sul controllo delle frontiere che Macron, Conte e la Spagna sono arrivati ai ferri corti la scorsa settimana. Il vertice UE si è chiuso con un accordo debole, fatto di molti condizionali e poche certezze. Tanto che subito dopo la lunga trattativa, il presidente francese e il premier italiano hanno avuto uno scontro a distanza su chi dovrà aprire i nuovi centri di accoglienza per i profughi.

In tutto questo caos politico, con l’Italia che era andata a Bruxelles per chiedere maggior sostegno dopo essere stata lasciata per lungo tempo da sola, la Commissione Europea ha deciso di assegnare un bonus extra ad alcuni stati membri per far fronte alle sfide migratorie. E ha deciso di assegnarli solo a Spagna e Grecia che intascheranno 45,6 milioni di euro da dividere. Quella dell’UE non sembra una mano tesa verso l’Italia.

L’Open Arms sta andando a Barcellona per sbarcare 60 persone. Nel frattempo sono morte altre 63 persone, è una cosa inconcepibile!

Oscar Camps, fondatore ONG Open Arms, in un suo tweet scrive “è assolutamente illegale e fuori dal diritto marittimo internazionale quello che sta succedendo, spero che vengano individuate le responsabilità”.

Ieri si è registrato un nuovo naufragio al largo delle coste libiche e sono 63 i migranti che risultano dispersi. Il bilancio delle vittime aumenta, 170 morti in 48 ore. Sui social il ministro dell’interno Matteo Salvini ringrazia i Carabinieri di Palermo che hanno arrestato 17 persone per tratta di immigrati e traffico di armi. Il presidente del parlamento UE, Antonio Tajani, punta ad una soluzione europea del problema migrazione, e annucia che per risolvere ciò occorre fermare i flussi migratori in Libia, e proprio per questo nei prossimi giorni si recherà a Tripoli e nel Niger.

Selina Nicita

“Unita nelle diversità”,il motto dell’UE. Con le diversità siamo pronti, a quando l’unità?

turchiaaylan3 Settembre 2015. Una foto del corpo di Aylan, un bimbo siriano ritratto senza vita sulla riva di una spiaggia in Turchia sconvolge e commuove il mondo intero. All’indomani qualcosa pare smuoversi, persino le posizioni più conservatrici e inamovibili di alcuni rappresentanti dell’UE sembrano vacillare, fino a scostarsi (è questa l’impressione), da uno stato di inamovibile inerzia e dal ruolo di impassibili osservatori ,di fronte a disastri che ogni giorno sono sulle prime pagine di tutti i media.

L’Europa si unisce. Alcuni Stati, fino ad allora disinteressati nell’affrontare una questione così importante, improvvisamente cambiano etichetta al fenomeno migratorio che, ritenuto fino a quel momento un processo dannoso per la società da evitare quanto più possibile, diventa improvvisamente una necessità, una risorsa da far fruttare, un’occasione di rinnovamento culturale e sociale.

Bene verrebbe da dire, almeno da un punto di vista tutto italiano; “Finalmente l’Europa ci è vicina”, “Non toccherà più soltanto a noi affrontare una simile problematica”: questi ovviamente i pensieri che attraversano la mente dei più ottimisti. In Germania un gruppo di cittadini accoglie profughi in arrivo alla stazione di Monaco con un applauso. Improvvisamente la maggioranza dei governi, dei media, dell’opinione pubblica sembra abbracciare la causa dei profughi, o perlomeno sembra comprendere , per un istante, i reali motivi che spingono centinaia di miglia di persone a rischiare la propria vita in mare aperto. Appunto, per un istante. Tanto è durato il picco emotivo, così come i buoni propositi dell’Europa unita e l’attenzione dei media.

Torniamo ai nostri giorni, a quello che si sta vivendo in questo periodo, e scopriamo che gran parte dello spirito e delle iniziative tese alla tolleranza, alla vicinanza e all’ accoglienza dei profughi, da parte di alcuni Stati Europei, gli stessi che appena pochi mesi fa promettevano uno sforzo importante nell’affrontare una situazione divenuta ormai insostenibile, sono andate a farsi benedire. Ed ecco che Faymann, cancelliere austriaco, annuncia la sospensione dell’accordo di Schengen; il governo Danese approva (con l’appoggio  dell’opposizione socialdemocratica) una legge che prevede la confisca dei beni posseduti dai richiedenti asilo, per finanziare il loro soggiorno nei centri di accoglienza. La Slovacchia annuncia che ricorrerà alla Corte di Giustizia Europea per la proposta di redistribuzione dei profughi negli Stati all’interno dell’Ue; l’Ungheria fa sapere addirittura della propria intenzione di costruire una linea di filo spinato lungo tutto il confine con la Serbia. Ed ecco quindi, che non appena si smorzano un po’ i toni, i buoni propositi si sgretolano e i capi di Stato dei paesi europei non direttamente interessati dal flusso migratorio reindossano i loro splendidi paraocchi, e l’immigrazione ritorna ad essere un problema, quasi esclusivamente, di quegli Stati che rappresentano le vie di ingresso al vecchio continente, Grecia e Italia in primis.

Ma quali possono essere le cause di un cambio di atteggiamento così radicale in un lasso di tempo così breve? Certamente è innegabile che una parte di responsabilità sia da attribuire all’orribile strage di Parigi nel mese di Novembre, fino alle aggressioni verificatesi la notte di capodanno a Colonia, per le quali il primo arrestato è proprio un rifugiato algerino di 26 anni. Ed ecco che mentre 7 mila profughi manifestano proprio a Colonia in segno di disprezzo per l’accaduto e con l’obbiettivo di dissociarsene, riappare l’incubo xenofobia. Domenica 10 Gennaio, sempre nella città tedesca, infatti si è scatenata una vera e propria caccia allo straniero, con spedizioni organizzate sui social network. In Francia, invece, su Charlie Hebdo, il settimanale satirico, colpito anch’esso da un attacco terroristico nel gennaio 2015, appare una vignetta che tira in causa il piccolo Aylan, scrivendo che se fosse cresciuto sarebbe diventato nient’ altro che “un molestatore di sederi in Germania”.

E così, fra il susseguirsi di un evento e un altro, fra un cambio di faccia e un altro dell’Europa, fra un cambio di toni continuo dell’opinione pubblica e dei media, le cause che spingono queste persone ad affrontare la sfida del mare aperto rimangono, così come rimane l’impegno di migliaia di volontari sulle nostre coste, pronti a dare accoglienza ai sopravvissuti, perché purtroppo rimangono anche le migliaia di vite perse di uomini, donne e bambini coperti sì dalle onde del mare, ma soprattutto dall’indifferenza Europea.

Andrea Visalli