Dieci racconti, dieci punti di vista sulla città. “Cara Messina ti scrivo…”

Attribuire il valore ad una città servendosi della scrittura. Giovanni Pascoli, citato ad apertura del volumetto, diceva: “dove è quasi distrutta la storia resta la poesia”.

In questi dieci racconti che si susseguono a guisa di snodi di un’unica, fondamentale, rappresentazione, drammatica e dialettica, della vicenda umana, le trame si organizzano per dare tutte risalto ai diversi modi di percepire l’ambiente in cui si muove affannosa l’esistenza.

Pubblicata nel 2013 per La Feluca Edizioni, casa editrice fondata dai fratelli Buttafarro, la raccolta miscellanea è articolata secondo un principio cronologico che parte da un quotidiano familiare e risale alle cronache perdute nelle macerie dei violenti terremoti fino a sconfinare nel mito di un lontano passato. Dieci scrittori di Messina convogliano la fantasia per offrire materia verbale ai pensieri e le memorie che agitano coloro che vivono o ritornano da lei. “Se questa città davvero la sia ama, bisogna avere l’animo di non abbandonarla al suo destino” afferma nella prefazione Giuseppe Ruggeri. Inseguendo tale desiderio si sviluppa Cara Messina ti scrivo... Gli scrittori, molti professionisti, insegnanti e medici, hanno dedicato ciascuno un tassello per restituire l’amore che li lega alla città. Non è un caso che queste sponde appaiano fin dall’atto di nascita di tutte le letterature, dalla vedetta dell’albero maestro della nave di Odisseo, un tutt’uno con la parola e il canto, e che Messina sia stata scelta da numerosi scrittori, in epoche più o meno vicine ai giorni nostri, come un faro che stringe nel suo abbraccio il prodigio di una natura affascinante e catastrofica.

Ad un tavolo all’aperto dell’Irrera, di metallo, con intorno quattro sedie pure di metalo, come si usava nei bar, un ragazzo ed una ragazza gustavano, con studiata lentezza, quasi a prolungarne il soave piacere, una “mezza caffè con panna” con la brioche calda e fragrante.  (Sogno … un mattino d’estate -P. Russo)

M. De Domenico, “Miele a Messina”, omaggio per la mostra di Milo Manara a Etnacomics ’14

Dietro ai racconti che l’antologia mette insieme si raccolgono storie che guardano indietro. Ci sono ferite che non si rimarginano, errori, compagnie di gioventù,  ricordi degli attimi andati, insieme ai gesti del presente, disseminati nei reticoli della planimetria cittadina. Anche la costa e gli schizzi delle onde del mare risalgono come elementi di un sogno e le calamità naturali, la pioggia e il sale della marina in estate sono un’eco nei passi dei suoi abitanti.

Michela De Domenico, “menza ca’ panna”

Così da un quadro intimo di vita familiare, in una sonnacchiosa camera assolata (“è tempo di sale sulla pelle, da leccare via furtivamente da una spalla o dal dorso di una mano, per sentire il sapore del mare che ci scorre nelle vene”) dopo una mattina in spiaggia in Piedi Grandi di Patrizia Vicari, la scena si sposta in un casolare dove è stato compiuto un delitto dai contorni indefiniti, descritto attraverso i tarli del protagonista che ritrova a Messina i legami di una antica amicizia nel racconto Quella sera nel bosco di Giuseppe Ruggeri. Il mare è poi il centro nella storia di Emilia Celi, Micia Stidda, figghia di lu mari, in cui una donna, innamorata della sua terra, si oppone alla costruzione del ponte: “e le spiagge, cosa ne sarà delle spiagge? Ci ha pensato? E i grandi pesci, che cercano le isole per andarci a fare l’amore cosa faranno quando l’ombra del ponte attraverserà l’acqua come un muro, portandole via la luce del sole?”. Di richiami sensuali si veste la scrittura preziosa di Incontro di Lino Soraci a cui fa da sfondo la tangenziale autostradale nel suo punto più panoramico: “per lenire lo sconforto procurategli dalle presenti miserie, prese a fantasticare sulla selvaggia bellezza con la quale la Sicilia doveva essere apparsa ai primi colonizzatori greci che vi avrebbero in seguito fondato città e templi bellissimi”.  Teenager protagonisti e motivi fantasy si trovano in Un desiderio per Messina di Elisabetta Venuti in cui una ragazza del Maurolico sogna di vedere rinascere Messina con una magia che tuttavia non offrirà i risultati attesi.

Per quella notte, l’occulta regia dello straordinario spettacolo di luci ed acqua dello Stretto aveva deciso di andare in scena nella versione da lui prediletta: mare piatto e nero come un rilucente piano d’ardesia sul quale scivolavano lievemente, senza lasciare spumose scie, le imbarcazioni di costante collegamento tra l’Isola e il Continete, le cui idronidamiche strutture erano appena rischiarate dal misterioso light design che una notturna e fantasiosa Fata Morgana s’ingegnava a proiettare su tutta quell’ampia veduta così naturalmente bella da sembrare, paradossalmente, un finto fondale di tela dipinto a mano da un esperto scenografo per le riprese di un film-kolossal. (Incontro – L. Soraci)

Michela De Domenico, “tomba del marinaio”

Ne Il viaggio del rimpianto di Vincenzo Ragno il pegno verso la propria città viene pagato nel modo più tragico. Maldicenze e peccati di gioventù si ritagliano uno spazio tra i fuochi d’artificio e la festa della Vara. Ancora il passato e la nuova conformazione della città a distanza di anni appaiono nel racconto Sogno… un mattino d’estate di Pasquale Russo. Un uomo si addormenta e immagina di essere ancora ragazzo, a bordo della sua utilitaria insieme alla compagna che sarebbe rimasta accanto a lui una vita, mentre percorrono il litorale: “Meta, le montagne di sabbia di Capo Rasocolmo. Si erano premuniti indossando i costumi da bagno sotto i vestiti. La ‘500 correva ed il vento caldo scompigliava i loro capelli, mentre si baciavano liberi e felici nel raggiante splendore della loro giovinezza e nella luce dei loro sogni”. Una vera e propria sezione a parte è costituita dai racconti che parlano del terremoto nei due racconti Potrebbe essere accaduto davvero di Ignazio Pandolfo e Sisma di Mario Oscar Venuti. Il primo, una narrazione divisa in tre episodi che descrive gli ultimi attimi ignari di due personaggi pochi istanti prima che la terra tremasse quel 28 dicembre del 1908 e l’approdo di una nave russa sullo Stretto. Un filo narrativo, una specie di corsa all’oro, unisce fantasiosamente l’evento sismico del 1783 e del 1908, nel secondo dei due racconti: “ un sussurro, portato dal vento, circa un patrimonio seppellito e difficilmente recuperabile rimbalza da orecchio a orecchio, di bocca in bocca, da balcone a balcone fino alla pubblica piazza”. L’ultima novella, Duello, di Alfredo Buttafarro si fa ancora più lontana, riportando, nella Messina del 1600, l’amore infelice, ma a lieto fine, di una ricca dama e un giovane, sullo sfondo dell’antica chiesa della Badiazza.

Eulalia Cambria

Un ringraziamento a Michela De Domenico per averci concesso i suoi disegni. Potete trovarne altri sù:

https://mycomicsjourney.wordpress.com

https://www.facebook.com/messinamycomicsjourney/

L‘illustratore di Pinocchio: disegni, poesie e scritti di Ugo Fleres

Ho tante smanie / sotto il cappello / leggo – e dimentico / scrivo – e cancello

Messina da Leggere si arricchisce di un nuovo tassello. Tracceremo in questa puntata un profilo biografico dedicato a Ugo Fleres: critico d’arte, ma anche romanziere, disegnatore e autore di versi.

L’ingegno multiforme di Ugo Fleres non ha conosciuto freni. La sua versatilità irriducibile gli ha permesso di muoversi come una scheggia impazzita percorrendo i più disparati territori dell’arte. Eppure non sono molti, nella sua terra natale, ad averne conservato il ricordo. Gli anni centrali della sua vita sono spesi tra gli incarichi affidati dal ministero dell’Istruzione e le frequentazioni, sfociate nell’incontro e amicizia con altri esuli siciliani, dei circoli letterari e giornalistici nella capitale.  E avendo bene in mente quell’ambiente Luigi Pirandello lo ricorda in una lettera, pervasa di un sentimento di malinconia, dell’ottobre del 1924: “Vivo a Roma quanto più posso ritirato; non esco che per poche ore soltanto sul far della sera, per fare un po’ di moto, e m’accompagno se mi capita, con qualche amico: Giustino Ferri o Ugo Fleres”. A Pirandello, Fleres, fece anche un ritratto, e svolse il ruolo di intermediario per introdurlo a Luigi Capuana. Lo stesso Capuana parlò di “abbandono alla fantasticheria riflessiva” nei riguardi dello scrittore messinese ed ebbe delle parole di elogio per le poesie contenute nella raccolta Sacellum (1889).

era un bel fanciullone nonostante la bionda lanugine di barba e il cappellone di castoro e il passo grave con cui girellava per l’Urbe (Luigi Pirandello, 1937)

Lasciata in gioventù Messina, dove nacque l’11 dicembre 1857, figlio di un procuratore legale originario di Savoca, dopo avere frequentato l’Istituto Tecnico, si stabilì, obbedendo al suo talento artistico, a Napoli, dove divenne allievo del pittore Domenico Morelli. Nella città partenopea si trattenne solo un paio di anni per trasferirsi presto a Roma. Qui riuscì a farsi strada, studiando i classici latini e greci, imparando lo spagnolo e il francese, iniziando a stringere contatti che lo porteranno a militare come illustratore nelle file di alcuni giornali. Negli stessi anni scrisse dei poemetti e una novella, Il cieco (1879), appuntandola in una sorta di diario personale. Nonostante la frequenza di lezioni all’università rimase fondamentalmente un’autodidatta. E fu grazie anche all’amico poeta G.A Costanzo che venne preso nel 1880 nella redazione del periodico letterario Capitan Francassa, dove pubblicò prose d’arte a cui associava spesso, celandosi dietro a una sequenza di pseudonimi bizzarri (Ariel, Fortunio, Fantasio o Leo Fergus, ad esempio) illustrazioni e disegni realizzati a penna e a matita. Contemporaneamente Fleres si dedicò anche all’attività di scrittore, lavorando allo stralunato scritto La musica dell’occhio.


Gli incontri con Luigi Pirandello si fecero nel tempo più frequenti. Pirandello lesse in vari momenti a Fleres Il Fu Mattia Pascal e i due, insieme, esplorano gallerie d’arte, musei, pinacoteche, per trarne spunti da utilizzare nella produzione letteraria. Contro le mode letterarie, in primo luogo il dannunzianesimo, ma anche il filone della Scapigliatura e in nome di una “sincerità” del fare letterario, fondarono anche una rivista, Ariel (1897-1898), periodico a cadenza settimanale. A presentare al pubblico il romanzo L’Anello è sempre l’amico agrigentino, nascosto dietro il nome d’arte di Giulian Dorpelli. In questo scritto Fleres racconta l’ambiente del teatro operistico alle soglie del ‘900 con tutti i suoi retroscena e i personaggi che vi gravitano; un parallelo, potremmo dire, del pirandelliano Quaderni di Serafino Gubbio operatore, dedicato alla nascente industria cinematografica. Ma il poliedrico messinese è passato alle memorie, soprattutto, per essere stato il primo ad avere dato fisicità e forma concreta al burattino di legno di Carlo Collodi nelle  Avventure di Pinocchio (1882) apparso sul Giornale per bambini. In origine, quello che poi sarà stampato come romanzo nel 1883, era uscito per metà a puntate con un altro nome, ed era stato sospeso quando l’autore, stanco del personaggio, aveva deciso di farlo morire. La prima vignetta si apre proprio sulla scena in cui Pinocchio, impiccato a una quercia, riprende a camminare e porta così avanti la storia. Oltre alle novelle, contenute in Profane Istorie, i romanzi (Vortice esce nel 1887), Fata Morgana (in cui scrisse anche in dialetto messinese) la passione predominante di Fleres resta l’arte, a cui si dedica con fervore, ottenendo, dopo la cattedra di storia dell’arte al Magistero, la nomina a direttore, agli inizi del ‘900, della Galleria nazionale di arte moderna di Roma, carica che mantenne, con qualche interruzione nel periodo della prima guerra mondiale, fino al 1933. Al Fleres si deve anche una interessante produzione nel campo del melodramma, con libretti per il teatro: da Uranio, La tazza per the, a Il trillo del diavolo, messo in musica dal Maestro Falchi.

                                                                                                                Eulalia Cambria