I 10 comandamenti del pacco da giù

Mi trovo con un piede in una zona ed un piede in un’altra. Sono ad uno stallo, anzi, per dirla alla Enrico Ruggeri, ad un bivio. Diciamo che sono un semi – fuori sede, anche se il termine è improprio, dato che molto spesso viaggio tra Messina e Roma in vista di un trasferimento universitario che mi porterà a finire il mio percorso accademico nella capitale. Ogni mese, praticamente, sto a Roma circa 15 giorni, abitando lì anche la mia ragazza finisco per unire vacanza e dovere, essendo necessario informarsi per bandi, corsi e case.
Ogni volta che prendo un intercity, però, un particolare fondamentale non mi abbandona mai. No, non il ritardo di Trenitalia. Il cibo. Quando parto mia madre e mia nonna mi riempiono di roba tipica siciliana, messinese e catanese (per metà il mio cuore è sotto l’etna), e finisco sempre per occupare 4 posti, il mio assegnato e gli altri tre attorno a me, perchè addosso, tra i bagagli, ho anche i pacchi di braciole, biscotti, panini, affettati, sottovuoto e salse varie, sia in discesa che in salita, sia chiaro, perchè la famiglia della mia fidanzata è originaria della riva giallorossa dello stretto.
Si perchè ragazzi, dai, la porchetta del porchettaro non puoi non portartela a casa in camion carichi, o le bombe o i cornetti di Centocelle non puoi mica lasciarli lì, in balia della sorte. Sei proprio costretto a portarteli dietro. Chiedete a chi viaggia per studiare quale sia la sua più grande attesa e mai vi risponderà “l’occasione per tornare a casa” ma sempre “il pacco da giù”. Sia questo spedito o riportato nella città “straniera” al momento del rientro, il pacco da giù è fondamentale, senza non ti riconoscono come terrone, che poi è proprio bello vantarsi di esserlo. Anche perchè dico, c’è tutto un modo per mandare questo sacro graal della degustazione, un iter da seguire, e quindi questo editoriale, più che un articolo, vuole essere un vademecum, i 10 comandamenti del pacco da giù.
1- Deve essere oleoso. Così tanto oleoso che i pacchi accanto con dentro le scarpe, nella stiva di trasporto, devono diventare melanzanine da mettere nel panino al volo
2 – Deve essere compatto. Siccome te lo manderà tua mamma o tua nonna, vuole essere sicura che niente si rompa, quindi si, all’esterno sembrerà una scatola comune, ma dentro sarà tipo stretto neanche contenesse un vaso di porcellana
3 – Lo scotch deve rigorosamente essere marrone, qualunque sia il colore del cartone. Quel nastro adesivo da cui non esce nulla, neanche i sensi di colpa di tua madre o tua nonna quando pensavano che potesse entrarci altro, ma altro non hanno messo
4 – Dentro nessun imballaggio, la sicurezza è data dalla sua importanza. Il pacco da giù non arriva, cade dal cielo, così, senza capire niente, è leggero, aureo, angelico, non viene consegnato, ma in modo nobile consegnato, non vi è timbro postale ma sigillo del regno delle due sicilie
5 – Le bottiglie di sugo non devono essere state imbottigliate da meno di 6 mesi. Sappiatelo mittenti, le bottiglie di pomodoro fatte tipo 1 mese prima non sono bottiglie di pomodoro, servono solo per lavare per terra
6 – Le brioscia. Tante. Sopra Messina non comprendono cosa significhi riempire una brioche di gelato o inzupparla nella granita, al nord, addirittura, il cornetto viene chiamato brioche…insomma, capite bene che servono sempre, come cibo, spugnette per il bagno se troppo morbide o pietro pomice se diventano troppo dure
7 – Deve necessariamente essere scritto con una scrittura di giù. Vengo e mi spiego: la scrittura di giù sul pacco porta scritto robe tipo “Mio nipote Claudio Panebianco, Viale degli Aranci, 18, Roma” o un “posta veloce”, scritto veramente a mano, esperienza reale, sullo scatolo, come se servisse veramente per farlo diventare Bolt
8 – Fondamentali le melanzane, senza non si fa la parmigiana, non si fa la pasta con le zucchine fritte, SENZA NON SI FA LA VITA
9 – Le braciole, le braciole come Dio comanda. Perchè a Roma, ragazzi, o in altri parti d’Italia, le braciole sono polpette. “Padre, perdonali, perchè non sanno quello che fanno”
10 – La salsiccia. A caddozzi. Niente roba strana da aprire per essere cotta sul barbecue, niente macinato, il puro caddozzo siciliano, sia condito o meno, ma che sia sosizza. Tanta da poterci fare una collana. Due collane. Due collane ed una sciarpa. Tanta da utilizzarla come bracciale
Il pacco da giù non si aspetta. Il pacco da giù si evoca, come una divinità, pregando ogni giorno rivolti verso il pilone.
Claudio Panebianco

Abbatti lo stereotipo- Il terrone fuori sede

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Chi non ha un amico che studia lontano dalla sua calda e amata terra natia?

Dalle regioni più vicine fino ai freddi centri trafficati del nord, lo studente meridionale si insinua nella vita universitaria dei romani, dei polentoni ( chi più ne ha, più ne metta) regalando assaggi della terronia e creando, spesso, degli stereotipi che oggi, una volta per tutte, abbatteremo.

 

Ecco a voi i quattro cliché del terrone fuori sede:

  1. Le valigie piene di cibo. Leggende narrano che, per gli aeroporti italiani, viaggino solitarie e profumate, valigie cariche di braciole, di cannoli, di arancini ( o arancine, così nessuno si arrabbia). Probabilmente qualcuna ce ne sarà in circolazione, ma demitizziamo questi racconti: la verità è che il vero terrone, rientrando a casa per le vacanze, si rimpinza di questo cibo fino a scoppiare e, tornando su, il frigo è in dieta e le valigie sono solo piene di quei maglioni pesanti che al sud nessuno mai oserebbe indossare.
  2. La nonna al telefono, prima di salutare, dice: “ Hai mangiato?”. Beh sì, lo chiedono, ma non prima di aver fatto una serie di domande che la rassicurano sulla tua incolumità. Il questionario della nonna si struttura in: “ Hai chiuso la porta a chiave?”, “ Hai spento il gas?”, “Non è che cammini in strade buie ed isolate?” ed infine “ Hai mangiato, vero? Quando torni ti faccio mangiare io!”. Mi sembra doveroso, però, precisare che la telefonata è rigorosamente in dialetto .
  3. Uscire è transitivo. Touché. Regola grammaticale completamente introdotta da noi meridionali e che, con molta, troppa difficoltà, abbandoniamo. Ed ogni volta che il povero studente fuori sede prepara, per lui e per il coinquilino, il caffè ed urla “ È uscito il caffè”, le orecchie di un polentone sanguinano. Difficile sfatare questo mito, ma i terroni imparano in fretta: “uscire” come transitivo è off-limits.
  1. Ritardatari cronici. “ Fra un PAIO di minuti sono pronto” quel “paio” meridionale che va da una decina di minuti all’ora spaccata. Il terrone soggetto a questo pregiudizio, però, ormai è puntuale come un milanese, addirittura arriva in anticipo e, asserendosi paladino della giustizia sociale, sfata ogni cliché sulla non puntualità dei terroni.N.B.: il genere femminile, chiaramente, si astiene dallo smentire il mito della non puntualità.

     

     

    Terroni fuori sede, siete vittime di altri stereotipi? Scriveteci e li sfateremo tutti ( o almeno, ci proviamo).

     

    Jessica Cardullo