The Handmaid’s Tale: l’essere donna contro ogni oppressione


Show prodotto con abilità, capace di mantenere l’attenzione dello spettatore e ricco di colpi di scena imprevedibili – Voto UVM: 4/5

 

Nel 1987, Belinda Carlisle cantava che «il Paradiso è un luogo in terra». Se non ce l’avessero detto, non saremmo mai arrivati a credere che la canzone sarebbe diventata la colonna portante di una serie tv degli anni 2010.

The Handmaid’s Tale, conosciuta anche col nome Il racconto dell’ancella, è uno show televisivo ideato da Bruce Miller nel 2017 ed adattato dal romanzo omonimo di Margaret Atwood del 1984.

In una realtà distopica, il mondo si ritrova ad affrontare una gravissima crisi ambientale che ha ripercussioni anche sul tasso di natalità della popolazione, riducendolo quasi pari a zero. Gli Stati Uniti vengono allo stesso tempo soggiogati da un movimento teocratico che, ben presto, occuperà la maggior parte del territorio, instaurando così un totalitarismo di natura religiosa ispirata all’Antico Testamento, ossia Gilead.

Classi sociali

La Repubblica di Gilead è divisa, a livello sociale, in classi nettamente distinte l’una dall’altra ed all’interno di una scala gerarchica: i Comandanti,i vertici della Repubblica; le Mogli, appunto, le mogli dei comandanti (il loro colore distintivo che usano nel modo di vestire è il blu-verdastro); le Marte, ovvero le domestiche.

Infine vi sono le Ancelle, adibite esclusivamente alla procreazione. Vengono schiavizzate per dare ai Comandanti di famiglie sterili dei figli. Il loro colore è il rosso e, dal momento che non hanno diritto a mostrare i capelli, indossano una cuffia bianca che è diventata un segno distintivo della serie. Una volta divenute ancelle perdono diritto al loro nome, assumendo il patronimico del Comandante cui vengono assegnate (es. Diglen, appartenente al Comandante Glen). A vigilare e punire le ancelle “disobbedienti” sono poste le Zie, donne dal comportamento austero e di grande crudeltà, dotate di… Un taser!

Abbigliamento tipico delle ancelle – Fonte: indiewire.com

I personaggi nell’universo di Gilead

La storia gravita attorno al personaggio di June Osborne (Difred) – interpretata da Elizabeth Moss -, ancella del Comandante Fred Waterford (Joseph Fiennes) e della moglie Serena Joy (Yvonne Strahovski, che forse conoscerete già per il suo ruolo nella serie televisiva Chuck).

Prima di giungere a casa Waterford, June era intenta a scappare verso il Canada assieme alla figlia Hannah ed al marito Luke, che però era già stato sposato. In una società a struttura patriarcale e fortemente teocratica come quella di Gilead, ciò che costituisce “peccato” comporta anche gli estremi del reato, ragion per cui June viene catturata e ridotta alla condizione di ancella per via del crimine di adulterio da lei commesso.

Ogni mese, nel periodo di ovulazione dell’ancella, quest’ultima viene sottoposta ad un rito – non solo legalizzato, ma obbligatorio – durante il quale viene costretta a copulare (dunque, viene stuprata) col Comandante al fine di dargli un figlio mentre viene tenuta ferma dalla moglie. Nella società di Gilead, inoltre, non è contemplata la possibilità che l’uomo sia sterile; l’infertilità viene dunque sempre imputata alle donne.

Come si può ben vedere, le donne di Gilead si trovano in uno stato di sottomissione aggravato dal divieto di leggere e scrivere.

Difred, la protagonista, si ritrova catapultata in una realtà che mette a rischio la sua vita. Col passare degli episodi notiamo un cambiamento travolgente nella sua personalità: da un atteggiamento inizialmente ubbidiente June riuscirà a divincolarsi dalle grinfie del regime, soprattutto dopo aver saputo dell’esistenza di un’organizzazione segreta chiamata “Mayday” che pianifica di distruggere Gilead dall’interno.

Ma non lasciatevi ingannare: il percorso, anzi, la corsa verso la libertà sarà dura e piena di ostacoli, oltre che eventi spiacevoli, che influenzeranno notevolmente sulla condizione psicologica di June.

June, Serena e Fred Waterford in una scena della serie. Si noti il contrasto di colori tra il verdastro, simbolo di purezza, ed il rosso, simbolo d’impurità dell’ancella. – Fonte: purewow.com

«Nolite te bastardes carborundorum», recita una frase incisa sul legno di uno stanzino da parte della “precedente Difred”, l’ancella che era stata lì prima di June. Sarà proprio da questa frase in latino maccheronico (letteralmente: “non farti abbattere dai bastardi”) che la protagonista troverà la forza di ribellarsi agli abusi fisici e psicologici di Gilead.

La particolarità della serie sta in buona parte nella perfetta interpretazione di Elizabeth Moss che, con le sue espressioni colme di tensione e rabbia, ci permette di addentrarci nel mondo interiore di June, facendoci percepire pienamente il lento degrado a cui il suo spirito andrà incontro. Ciò che conta, però, è che non sarà sola. Moltissime ancelle ed altrettante Marte si uniranno alla sua corsa verso la libertà col medesimo principio ispiratore: non lasciarsi abbattere dai bastardi.

Uno dei rinomati “sguardi alla June Osborne”, dritto nella telecamera e nell’animo degli spettatori. – Fonte: indiewire.com

In generale, lo show è curato nei minimi dettagli e sostenuto da un cast di notevole bravura. I costumi risaltano all’occhio del pubblico per via delle forti tonalità in contrasto all’ambiente asettico dello sfondo. Si pensi ad un dipinto pieno di grigi ma da cui risaltano piccole macchie colorate in movimento.

La serie, composta al momento da quattro stagioni (di cui l’ultima è in onda proprio adesso), è disponibile sulle piattaforme di streaming Hulu e TimVision. Nel corso degli anni si è accreditata una sfilza di Emmy Awards e ben due Golden Globes, nel 2018, per Miglior serie drammatica e Miglior attrice in una serie drammatica (Elizabeth Moss).

Valeria Bonaccorso

11.22.63: ritorno al passato con J.J. Abrams e Stephen King

A novembre saranno trascorsi oltre cinquanta anni da quella mattina del ’63 a Dallas quando John Fitzgerald Kennedy venne assassinato da alcuni colpi sparati con un fucile fabbricato in Italia.

Uno spartiacque che ha innescato un inaspettato cambio di rotta dopo il quale si è fatto strada l’interrogativo su come sarebbero andate le cose se Lee Harvey Oswald – secondo la ricostruzione ufficiale – non fosse riuscito a portare a termine il suo disegno criminale facendo fuoco dalle finestre al sesto piano della Texas Book School Depository.

Il corteo che accompagnava Kennedy e la moglie Jackie avrebbe proseguito indisturbato nel suo bagno di folla e la tappa sarebbe stata registrata come un evento uguale ad altri nella campagna di consensi del presidente americano. Il fratello Bobby si sarebbe salvato? L’inasprimento della guerra del Vietnam che ha sottratto la vita a migliaia di esseri umani non ci sarebbe stato? E in che modo sarebbe sfociate le tensioni con la Russia? Non siamo in grado di rispondere, ma è certo che determinati turbamenti temporali possono provocare una catena di eventi che per molto tempo condizioneranno il corso della storia. 11.22.63 parla di questo. In parte. La vicenda ha al centro il Maine, da cui ha mosso i primi passi lo stesso Stephen King, e la vita di un insegnante di lettere, Jake Epping (James Franco).

Tra i corsi diurni e quelli alla scuola serale frequentati da Harry, bidello del liceo di Lisbon Falls, reduce dal trucolento stermino della sua famiglia per mano del padre nei primi anni ’60, e la tavola calda di Al Templeton, rinomata per i “Fatburger” venduti a un prezzo di pochi cent., Jake Epping conduce una normale esistenza. Un giorno nota qualcosa di strano in Al: l’amico si è ammalato improvvisamente, mentre un attimo prima era in ottima forma. Jake scopre allora che nella dispensa del ristorante c’è un varco temporale che porta sempre nello stesso luogo e nello stesso istante: il 21 ottobre del 1960. Non importa quanto a lungo si resta dall’altra parte, al ritorno nel presente saranno trascorsi sempre soltanto due minuti. Nessuno nel passato sembra accorgersene, eccetto l’uomo con una tessera gialla. Epping asseconda le volontà di Al e accetta di assumere un’identità nuova calandosi nei panni di Jake Amberson e varcando il portale dello scantinato per seguire le tracce dell’ex marine Lee Oswald attraverso i suoi spostamenti e fare luce sui suoi possibili contatti con la CIA, servendosi di un fascicolo che raccoglie ritagli di giornale dell’epoca, con il proposito di sventare l’assassinio di Kennedy. Ma il passato farà di tutto per non essere cambiato.

La miniserie del 2016, in 8 puntate, non è solo l’ennesimo contraltare filmico di una vasta letteratura di fantascienza incentrata sui viaggi del tempo, ma un attraversamento piuttosto convincente di un’america nel periodo di punta dell’esplosione del rock’n roll, pervasa dal cambiamento dei costumi del dopoguerra e divisa dai problemi razziali. Accanto agli abiti eleganti e i maglioni dai colori tenui, le automobili scintillanti e i registratori a bobina, si colgono le atmosfere della musica ai tempi del trionfo del vinile con una colonna sonora che spazia dai successi di Bobby Vinton (nel trailer), Sam Cooke e le Shirelles.

Anche se il libro è stato pubblicato nel 2011, l’intenzione di scrivere un romanzo dedicato all’omicidio del 35° presidente degli Stati Uniti è una pulce all’orecchio che ha ossessionato Stephen King fin dagli anni ’70. Inizialmente il progetto di trasferire la trama in un film sarebbe stato affidato alla regia di Jonathan Demme, successivamente il pilot venne girato da Kevin Macdonald.

James Franco, che invece originariamente sperava di trovarsi nelle vesti del produttore, sorpassato in questo da J.J Abrams che si assicurò per primo i diritti del libro, ha ottenuto poi il ruolo di attore protagonista. Inutile fermarsi a elencare le differenze rispetto al libro (a partire dalla data in cui il portale conduce nel passato, che, nel romanzo, è il 1958), né, in questa sede, indagare sulle fonti che una ricostruzione sull’assassinio di Kennedy ha privilegiato, senza anticipare altro, la serie è anche, in fin dei conti, la vittoria di un amore assoluto che neanche i paradossi temporali riescono a interrompere.

 

Eulalia Cambria