Terapia nei pazienti affetti da HIV: un trattamento inusuale

Da due anni a questa parte l’emergenza Covid ha costretto a mettere in secondo piano ogni altra patologia infettiva e di altra natura, ha obbligato a stravolgere le priorità, procrastinando i routinari controlli ambulatoriali. Di fronte alla pandemia, una grave malattia infettiva sembra scomparsa ed invece continua ad insinuarsi, più di quanto immaginiamo.

  1. Dati epidemiologici
  2. Caratteri del virus
  3. Il materiale genetico
  4. Terapia
  5. Qual è il vantaggio della terapia?
  6. E’ possibile la guarigione definitiva?
  7. Le eccezioni della letteratura scientifica
  8. Conclusioni

 

Dati epidemiologici

Stiamo parlando dell’AIDS. Ad oggi le statistiche mondiali stimano 37,7 milioni di persone che convivono con l’infezione, di cui 36 milioni sono adulti e 1,7 milioni sono bambini con meno di 15 anni. A questi si aggiungono in media 1,5 milioni di nuove diagnosi annue. Ogni settimana vengono diagnosticate 5000 nuove infezioni da HIV in giovani donne tra 15-24 anni. Tuttavia il numero di nuovi casi è in progressivo calo grazie all’efficacia delle terapie antiretrovirali che da qualche anno a questa parte hanno reso la malattia curabile sebbene non guaribile. Su 36 milioni di infetti, 27.5 hanno accesso alle terapie, tra questi l’85% delle donne in gravidanza. Nel 2020 sono stati registrati 680.000 decessi, a fronte dei milioni di persone affette. Ricordiamo che l’infezione non è tipica delle aree dell’Africa Sub-Sahariana, è un problema mondiale. Le terapie antiretrovirali negli altri paesi hanno reso l’infezione meno galoppante.

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Caratteri del virus

Si tratta di un virus ad RNA, appartenente alla famiglia dei Retroviridae, specie Lentivirus. Presenta esternamente un envelope in cui possiamo riconoscere due glicoproteine di notevole rilevanza in quanto oggetto di studio negli anni per rallentare e bloccare il contagio di altre cellule. Le due glicoproteine sono la gp120 e la gp41. Gp120 funge da recettore per legare le cellule bersaglio. gp41 agisce in seguito al legame recettore-bersaglio favorendo la fusione delle membrane e permettendo al virus di penetrare nella cellula. La gp41 viene pertanto definita proteina di fusione.

Il materiale genetico

Il materiale genetico del virus è contenuto nella porzione centrale della particella virale, il cosiddetto core. All’interno troviamo l’RNA virale insieme agli enzimi fondamentali alla replicazione del virus. Tali enzimi sono trascrittasi inversa, proteasi e integrasi, bersagli della terapia antiretrovirale. Le principali cellule bersaglio del virus sono i linfociti CD4, più è alta la carica virale, più ne vengono distrutti. In passato spesso si arrivava spesso ad una condizione di immunodeficienza acquisita per valori di CD4 <200/mcL (v.n. 500-1200/mcL). Tale condizione era gravata da un elevato rischio di infezioni opportunistiche, come Citomegalovirus, polmoniti da Pneumocystis Jirovecii, oltre che di neoplasie, sarcoma di Kaposi e linfomi non-Hodking. Le infezioni cui erano soggetti questi pazienti, in quanto immunocompromessi, erano infezioni fortemente resistenti ai trattamenti, da qui l’elevato numero di decessi. Parliamo al passato in quanto abbiamo avuto la fortuna negli ultimi anni di poter affermare che l’HIV è un’infezione curabile.

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Terapia

Non abbiamo farmaci in grado di distruggere il virus, motivo per cui l’infezione non è curabile, ma sono disponibili oltre 20 farmaci in grado di ostacolarne la replicazione.

A seconda del meccanismo d’azione distinguiamo diverse classi di inibitori:

  • Nucleotidici e non nucleotidici della trascrittasi inversa;
  • Della proteasi;
  • Di fusione;
  • Dell’integrasi;
  • Del co-recettore CCR5.

La terapia è antiretrovirale di combinazione (cART) di più farmaci delle diverse classi. Si tratta di più compresse o spesso di una singola compressa racchiudente in sé i diversi principi attivi. La pillola deve essere assunta quotidianamente. Quanto più precocemente si inizia il trattamento, migliore sarà l’outcome. Si osserverà una riduzione della replicazione virale, recupero immunologico con ripresa del sistema immunitario, minor rischio di complicanze e basso tasso di trasmissibilità al partner. Le attuali linee guida raccomandano l’inizio del trattamento a tutti i soggetti con HIV indipendentemente dal quadro immunodeficienza-virologico.

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Qual’è il vantaggio della terapia?

La terapia antiretrovirale combinata consente di ridurre la carica virale, e se effettuata correttamente, possiamo arrivare ad un azzeramento della stessa, con zero rischi di trasmissione del virus. È considerata efficace se entro 3-6 mesi dall’inizio del trattamento la viremia si assesta stabilmente sotto le 50 copie/ml. Al di sotto di questa soglia si parla di viremia non rilevabile. Questo ha rappresentato la svolta nella storia naturale della patologia. La terapia garantisce pertanto protezione del partner, ha reso possibile il parto vaginale e l’allattamento. Perché la terapia sia efficace è pertanto fondamentale che venga assunta nei tempi e nelle dosi previste. Il salto della dose o la ritardata assunzione per un certo lasso di tempo consentirà al virus di riprendere a replicarsi e di infettare altre cellule. Per di più replicandosi aumenta la possibilità di selezione di copie resistenti ai farmaci con rischio di fallimento terapeutico.

E’ possibile la guarigione definitiva?

Poco meno di un mese fa giunge la notizia di una donna statunitense guarita da HIV. Evento più che raro, in quanto la letteratura scientifica documenta solo 3 casi di completa guarigione. Li hanno definiti “incidenti di percorso”. In tutti e tre i casi si trattava di soggetti affetti da patologie ematologiche sottoposte a trapianto di midollo da donatore compatibile. Il trapianto, come effetto collaterale, ha portato all’eliminazione del virus. Il segreto del successo sta in un’unica differenza tra donatore e ricevente, una mutazione di CCR5, recettore utilizzato dal virus per infettare le cellule. Il recettore CCR5 del donatore, essendo diverso da quello del ricevente, non viene riconosciuto dal virus opponendo resistenza all’infezione.

Le eccezioni della letteratura scientifica

Il primo caso risale al decennio scorso, il paziente di Berlino, è stato trattato con trapianto di midollo per una leucemia; ha vissuto 12 anni senza assumere antiretrovirali. Il secondo caso è stato un uomo affetto da linfoma non-Hodking che, a seguito di ripetuti cicli di chemio, ha necessitato di un trapianto di midollo. In entrambi i casi il trapianto ha portato al graft versus host disease, nonché una reazione autoimmune come effetto collaterale. L’ultimo caso è di una donna statunitense affetta da leucemia. La strategia adottata consiste in un’associazione tra un trapianto di cellule staminali prelevate da cordone ombelicale, da donatore parzialmente compatibile,  con una trasfusione di sangue di un parente. Si è riusciti così a minimizzare gli effetti collaterali. La paziente è sieronegativa da oltre 14 mesi.

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Conclusioni

Ad oggi, pertanto, possiamo capire come la terapia antiretrovirale abbia rappresentato la svolta nella storia naturale della malattia. E’ proprio l’efficacia della terapia che ha portato negli ultimi anni a sottostimare il rischio. L’infezione da HIV non è scomparsa, anzi è più presente di quanto possiamo immaginare, il virus è solo tenuto a bada. Sicuramente, almeno il mondo occidentale, non si trova di fronte alla mortale patologia di un tempo, ma ricordiamo che il virus è sempre pronto a prendere il sopravvento non appena la terapia non viene seguita adeguatamente. Accanto alla grande arma rappresentata dai farmaci antiretrovirali, il virus ci riserva tante altre sorprese. Gli ultimi tre casi citati sono la prova di come il virus possa essere completamente eliminato in determinate condizioni. La Scienza auspica pertanto di usufruire al meglio di una delle terapie più efficaci che abbiamo a disposizione, nell’attesa che l’eccezione possa diventare la regola!

Alessandra Nastasi

Per approfondire:

Gli zombie di Nairobi: le droghe per combattere fame e depressione

Nairobi, capitale del Kenya, è una tra le dieci città più grandi dell’intero continente africano, nonché la più grande della parte Orientale con una popolazione pari a 5 milioni di abitanti.
E’ tra le città più importanti dal punto di vista politico, culturale ed economico.
Nonostante sia conosciuta come la capitale mondiale del safari e per la sua ricchezza in tutta l’Africa, Nairobi ospita delle aree, come quelle di Kibera, Mathare, Korogocho in cui sono presenti le ‘’Slum’’, termine che indica le ‘’baraccopoli’’.
Lì vivono circa 2 milioni di persone tra bambini e adulti, in condizioni disumane, tra i rifiuti e la plastica, tra la mala vita e la droga dei poveri.

  1. Contesto sociale nelle Slum di Kibera
  2. Le Slum e la droga dei poveri
  3. La colla
  4.  I COV e le colle
  5. Composizione chimica delle colle
  6. Controindicazioni
  7. Il carburante per gli aerei
  8. Uso comune
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Contesto sociale nelle Slum di Kibera

Il nome di Kibera deriva dal nubiano ‘’foresta’’, in quanto presente una fitta area boschiva.
E’ una zona degradata, con una vasta gamma di malattie di tipo endemico, quali HIV, sifilide, malaria e colera. Il disagio è molto, il tasso di povertà elevato così come quello di abusi sessuali e droga.
Le donne “sedano” i loro piccoli così da potersi prostituire per guadagnare qualche soldo e, in queste aree, si vive con poco più di 60 centesimi al giorno.
I bambini vivono tra le discariche alla ricerca di cibo e imparando la legge del più forte, affidandosi già in tenera età ai malavitosi e alle droghe.

Le Slum e la droga dei poveri

Le Slum sono dunque dei luoghi di morte, vissuti da zombie viventi. Per ovviare alla fame, alla depressione e all’ansia, bambini, ragazzi e adulti inalano sostanze tossiche che prendono nel loro complesso il nome di ‘’droga dei poveri’’ o ‘’sniffing’’.
Si tratta della colla usata dai calzolai per riparare le scarpe e, più recentemente, di carburante per gli aerei venduto illegalmente a pochi centesimi.

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La colla

Già conosciuta per le numerose morti da polineuropatie nelle aziende del settore calzaturiero, la colla per le calzature è usata in diversi Paesi del mondo, specialmente in aree con un importante disagio economico e sociale come a Nairobi, come oppioide per i poveri.

I COV e le colle

Le colle contengono idrocarburi, cioè sostanze composte da idrogeno e carbonio. Gli adolescenti delle Slum inalano volontariamente i fumi di colle allo scopo di stordirsi. Infatti le colle rilasciano sostanze volatili o COV (composti organici volatili). Esempi di sostanze presenti nelle colle sono butanone, cloroformio e acetone. I principali componenti sono invece il benzene, toluene e xilene.

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Composizione chimica delle colle

Il benzene è il più importante idrocarburo aromatico, con formula C6H6. A temperatura ambiente e a pressione atmosferica costante si presenta come un liquido volatile, incolore e altamente cancerogeno.
Nell’uomo l’esposizione acuta ad elevate concentrazioni causa danni al sistema nervoso.
Il toluene deriva per sostituzione di un idrogeno con un gruppo metilico dal benzene e si presenta in forma liquida. Comporta irritazione agli occhi e al tratto respiratorio, nonché effetti sul sistema nervoso centrale. L’esposizione ad alti livelli potrebbe provocare aritmie cardiache e perdita di coscienza.
Lo xilene, comunemente chiamato xilolo, si può considerare derivato del benzene per sostituzione di due atomi di idrogeno con altrettanti gruppi metilici. Come i due idrocarburi sopra citati, anch’esso causa danni al sistema nervoso. Inoltre, l’esposizione ad alte concentrazioni causa carenza di coordinazione muscolare, vertigini, confusione e alterazioni dell’umore.

Inoltre, sono presenti altri additivi tossici, come metanolo o piombo. Gli idrocarburi ingeriti causano tosse e soffocamento, che consentono alla sostanza di penetrare nelle vie aeree e irritare i polmoni, determinando una condizione di polmonite chimica, che può causare una pneumopatia grave.

Controindicazioni

Questo tipo di uso di sostanze è definito come “huffing”, inalazione diretta da uno straccio imbevuto della sostanza o “bagging”, nel caso in cui l’aspirazione avvenga mediante l’uso di bottiglie di plastica. Questo tipo di inalazione può indurre un’anomalia letale del battito cardiaco o un arresto cardiocircolatorio, specialmente dopo uno sforzo o uno stress. I bambini e i ragazzi delle Slum di Nairobi si presentano come zombie viventi, con scarse capacità cognitive, ripetuti svenimenti e perdita di coscienza, mancato coordinamento degli arti, scarsa e vagheggiante deambulazione.

Il carburante degli aerei

Negli ultimi anni è stato illegalmente introdotto l’uso di un nuovo stupefacente, il carburante per gli aerei. Il costo è di circa 40 centesimi a bottiglietta e vi si accede senza alcun limite di età.
Composto principalmente di cherosene, metossimetanolo e diaminopropanolo, si annovera come nuova droga dei poveri.
Il cherosene o kerosene è ottenuto dalla distillazione del petrolio da 150 °C a 280 °C.
Contiene composti alifatici e aromatici ed è conosciuto principalmente per gli effetti indesiderati e inquinanti in ambiente marino. Come gli altri idrocarburi, è tossico e causa problemi respiratori e a livello nervoso.
Il Metossimetanolo è un alcol tossico e nocivo. Comporta patologie epatiche, respiratorie, ma soprattutto agli organi riproduttivi.

https://it.wikipedia.org/
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Uso comune

Solventi volatili di questo tipo sono presenti in numerosi prodotti per la casa, come adesivi, pittura, detergenti e spray.
Pertanto, bambini e adolescenti, ma anche adulti, possono reperirli facilmente e inalarli, anche se in concentrazioni minori.
Negli Stati Uniti, circa il 10% degli adolescenti ha inalato solventi.
Anche in Italia, in alcuni quartieri umbri, ma più in generale in aree povere del pianeta, sono stati introdotti colle e carburanti a base di kerosene come sostanze stupefacenti.

https://www.puntosicuro.it/
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Fortunatamente esistono associazioni, come Amani Onlus e Alice for Children, che si impegnano affinché ad almeno alcuni bambini di Nairobi sia permesso di vivere una vita dignitosa.

 

”Tacere è un più lento morire, un assenso che uccide è il male del nostro tempo. Ci sarà sempre un pretesto qualunque, una distrazione invitante per voltare le spalle e non guardare.”
The Sun, Le case di Mosul 

Francesca Umina

Bibliografia:

Tutti i cinesi sono uguali…ma da oggi qualcuno è meno uguale degli altri

La settimana scorsa He Jiankui, ricercatore presso l’Università di Scienza e Tecnologia di Shenzen, ha dichiarato riuscita la nascita di due gemelle, Lulu e Nana, i cui embrioni, fecondati in vitro, prima di essere impiantati sono stati modificati geneticamente al fine di conferire immunità dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV), responsabile dell’AIDS.

La notizia si è diffusa rapidamente in ambito mediatico ed è stata accolta con diffidenza sia dal pubblico che dagli esperti, presentando grosse ambiguità sia dal punto di vista etico che dal punto di vista della sicurezza a lungo termine, configurandosi più come un esperimento su degli esseri umani piuttosto che una rivoluzionaria esperienza scientifica.

Nonostante il fatto che l’esperimento non sia stato confermato da nessuna fonte indipendente, l’università dove ha avuto luogo si è prontamente dissociata dal lavoro di He, mentre la Commissione Sanitaria Nazionale cinese ha avviato un’indagine per verificare quanto effettivamente fatto dal ricercatore.

In particolar modo, per rendere le due gemelle resistenti all’HIV, lo scienziato ha attenzionato il gene che codifica per la proteina CCR5, un recettore che si localizza a livello della superficie esterna dei globuli bianchi, normalmente implicata nel buon funzionamento del sistema immunitario e che viene utilizzato dal virus per infettare le cellule e quindi determinare, nel tempo, la malattia.

A questo gene è associata una mutazione (CCR5-Δ32), presente, in omozigosi, in circa l’1% della popolazione di discendenza europea. Questa mutazione eliminerebbe parte della struttura del recettore e lo renderebbe non funzionante e incapace di interagire con HIV, rendendo pertanto il soggetto immune all’infezione. Il ricercatore avrebbe provveduto a effettuare una modifica di questo gene eliminando un tratto dello stesso ispirandosi al modello CCR5-Δ32, rendendo quindi le due gemelline teoricamente resistenti all’attacco del virus.

La tecnica utilizzata prende il nome di CRISPR/Cas9, e si basa su un sistema preso in prestito dai batteri che permette agli stessi di difendersi da attacchi da parte di virus, rappresentando quindi una sorta di sistema immunitario adattivo. I ricercatori, negli anni, hanno perfezionato sempre più la tecnica che è stata applicata su cellule di svariate specie, embrioni umani compresi. Essa permetterebbe di catturare una porzione di DNA tagliandola in uno specifico punto ed, eventualmente, sostituirla con una sequenza desiderata. Diamo il consiglio di vedere questo video che racconta graficamente il meccanismo attraverso il quale si verificano le modifiche, sicuri che sia molto più esplicativo di un racconto scritto.

He non si è fermato qui e lo scorso 28 Novembre, in un’aula stracolma di giornalisti e scienziati all’Università di Hong-Kong, ha rivelato che sarebbe in corso un’altra potenziale gravidanza il cui embrione è stato modificato geneticamente. Nell’occasione ha presentato l’esperimento utilizzando una serie di diapositive, dichiarandosi fiero di quanto fatto e precisando di essersi mosso indipendentemente dall’università e di essere conscio che il suo lavoro al momento non è stato sottoposto a peer-review (verifica di altri esperti del settore, prima della pubblicazione, sull’idoneità e correttezza di quanto fatto in laboratorio).

Approfondendo le implicazioni di tale sperimentazione sull’uomo, è innanzitutto utile analizzare perché la comunità scientifica ha giudicato folle e immorale il tentativo di He.

Le ragioni del rifiuto di utilizzare tali tecniche sulle linee germinative umane hanno innanzitutto basi scientifiche. Esistono infatti rischi legati a modifiche non volute in tratti errati del genoma, o al cosiddetto mosaicismo (ovvero può accadere che tutte le cellule bersaglio non presentino la stessa modifica).
Lo studio condotto da He e i suoi collaboratori è stato demonizzato anche perché incurante di possibili esiti imprevisti degli esperimenti; alcuni scienziati hanno sottolineato che la modifica del gene codificante per CCR5, proposta da He per “immunizzare” dal HIV, potrebbe ad esempio correlare con patologie cardiovascolari, motivo in più per non sperimentare tale modifica prima di avere la certezza dell’assenza di effetti collaterali.

Tuttavia, le ragioni ancor più limitative sono ragioni etiche.

Mettendo da parte il fatto che plasmare un essere umano allo stato di embrione, modificarne la natura prima ancora del suo sviluppo, costituisce una rivoluzione forse più culturale che scientifica, mettendo da parte anche gli aspetti religiosi, esistono motivazioni concrete per frenare, oggi, questi tentativi.

Il consenso è certamente un tema delicato che la bioetica si trova costretta ad affrontare ed abbraccia tematiche estremamente attuali quali l’eutanasia, l’aborto e nondimeno l’ingegneria genetica. Il problema di fondo della sperimentazione sull’uomo dell’editing genomico, dichiarato tra gli altri dal NIH, National Institute of Health, organo statunitense che si occupa di ricerca sulla salute, è che modifiche del genoma si trasmetterebbero alle generazioni future senza alcun loro consenso, con implicazioni etiche ed evolutive sulla razza umana estremamente profonde. Inoltre, non avendo la certezza dell’assenza di effetti imprevisti, è eticamente impossibile approvare a priori qualsiasi intervento sull’uomo. Almeno finché le tecniche non verranno perfezionate.

A tal proposito Werner Neuhausser, medico e ricercatore all’Università di Harvard nell’ambito delle cellule staminali, ha tutt’altro che condannato il lavoro di He, giudicandolo un passo sbagliato ma sulla giusta strada. Lo scienziato ha sottolineato che “il fatto che il primo caso di editing genomico sull’uomo sia risultato come un passo falso non deve assolutamente portarci a ignorare tali sviluppi, e la mancanza di trasparenza è stata la principale ragione di agitazione di fronte a tale sperimentazione”.

Questo tipo di tecnologia ha infatti un potenziale sorprendente. L’editing genomico potrebbe essere utilizzato ad esempio per preservare la salute di bambini condannati, a causa di mutazioni del DNA, a sviluppare tumori o patologie come la fibrosi cistica, l’emofilia o la distrofia muscolare di Duchenne. Non a caso Neuhausser sta lavorando ad Harvard anche per prevenire l’Alzheimer intervenendo su un gene, quello dell’ApoE, strettamente associato a tale demenza.
La sguardo dello scienziato volge ad un futuro in cui “le persone andranno nelle cliniche, saranno sottoposte a esami del genoma e avranno i bambini più sani che si possano avere”, un futuro in cui le stesse tecniche utilizzate da He, ma perfezionate, permetteranno di preservare le generazioni future anche dalle malattie più banali. Per far questo si stanno già sperimentando versioni di CRISPR modificate che permettono il base editing, ovvero la modifica di singole basi nei singoli filamenti di DNA.

È giusto opporsi a tentativi azzardati che violano l’integrità di una vita che nasce. È tuttavia certo che il tentativo di He, pur irresponsabile e incurante delle regole infrante, non deve ostacolare o rallentare gli scienziati nella ricerca di un progresso scientifico che può dare un contributo rivoluzionario alla medicina e al mondo, in un futuro forse non troppo lontano.

Antonino Micari, Davide Arrigo

HIV: l’editing genetico come possibile nuova terapia

002Kamel Khalili, questo il nome del ricercatore che, con il suo team della Temple University di Philadelphia, inaugura un nuovo capitolo nella storia della lotta all’AIDS: eliminare il genoma dell’HIV dalle cellule infette. Risale al 1981 la scoperta del virus dell’immunodeficienza umano, che scatenò una vera e propria pandemia, con una percentuale di mortalità dei pazienti affetti vicina al 100%. Da allora, il virus, ha contagiato circa 78 milioni di persone,un numero purtroppo in continuo aumento. Così, obiettivo principale della ricerca, divenne quello di eradicare l’infezione; ma ad oggi, i farmaci utilizzati sono in grado di “immobilizzare” il virus, ritardandone gli effetti, senza però eludere la cronicità della patologia.Eppure, pare esserci una nuova luce in fondo al tunnel, rappresentata da una tecnica d’ingegneria molecolare: l’editing genetico CRISPR/Cas9.

Inclusa da Science come una delle scoperte più importanti del 2015, CRISPR/Cas9 funziona come un “taglia e cuci”: in laboratorio viene creata una sequenza detta RNAguida che porta Cas9 alla sequenza genetica d’interesse, tagliando la parte di DNA indicata eliminandola, con l’opportunità anche di ripararla. Tenendo conto del funzionamento di questo sistema proteico, sono stati condotti degli esperimenti in vitro, con linfociti infetti dal virus HIV e, mediante dei vettori, con CRISPR/Cas9 si è riusciti ad eliminare il genoma virale dalle cellule umane, in modo preciso, senza danneggiare il DNA nei punti limitrofi all’escissione. Inoltre, è stato evidenziato che queste cellule “guarite” sono immuni a nuove infezioni da parte del virus.

Si tratta di traguardi d’immensa importanza, che fanno da apripista a nuove strategie terapeutiche, più valide e mirate, ma siamo ancora al punto d’inizio e la strada da percorrere è molto lunga. Se da un lato, infatti, questa tecnica d’ingegneria genetica permette di eliminare il virus dai linfociti, dall’altra appare comunque estremamente pericolosa, poiché non da tutte le cellule il genoma patogeno riesce ad essere rimosso e, a peggiorare questo dato, vi è l’evidenza di una grande abilità dell’HIV a sopravvivere mutando il suo genoma, sviluppando così nuove resistenze al sistema CRISPR/Cas9 che non riconosce più le sequenze genetiche indicate, pur mantenendo la capacità di replicarsi.

I ricercatori hanno dunque ancora molto lavoro da fare sull’editing genetico, che potrà essere un’arma terapeutica efficace non solo per i malati di HIV, ma anche per tanti altri pazienti affetti da patologie con base genetica.I rischi di utilizzare il sistema CRISPR/Cas9 sugli esseri umani sono ancora troppo alti pur tenendo conto dei risultati positivi ottenuti fino ad ora in vitro. Anche questa scoperta, non è immune a polemiche etiche, trattandosi di una vera e propria manipolazione del mattone della vita, che se attuata sulle cellule germinali, può anche essere ereditata.

Morgana Casella