La regina del delitto

Per qualcuno i libri sono da sempre stati dei grandi amici, per altri invece lo sono diventati durante la – ormai alle spalle – quarantena, scandita da giorni passati dentro casa alla irrefrenabile ricerca di un passatempo. Ma sia nel primo che nel secondo caso, in molti converranno che un notevole fascino hanno da sempre rivestito i romanzi gialli.

 

Un po’ tutti noi siamo – o siamo stati – attratti da questo intrigante genere letterario; ma cos’è che suscita questo interesse?

Sarà forse il costante desiderio di giustizia, vivo all’interno di ognuno di noi e che viene soddisfatto dalla continua ricerca della verità; o sarà forse quella consapevolezza di ottenere una certezza nel finale, nel quale l’investigatore svela il colpevole, ma smaschera anche le menzogne ed ipocrisie di tutti gli altri soggetti coinvolti nel racconto, più o meno collegati al colpevole; ma, sicuramente, altro fattore determinante è la tendenza del lettore ad accettare la sfida intellettiva lanciata dallo scrittore.

Saremo in grado di arrivare prima dell’investigatore alla soluzione dell’efferato crimine?

D’altronde, a chi non piacciono le sfide?

È proprio grazie ad una sfida, se oggi il mondo dei gialli vanta nel proprio repertorio una delle più grandi scrittrici di tutti i tempi. Si narra infatti che Agatha Christie decise di dare avvio alla sua brillante carriera, scrivendo il suo primo romanzo giallo, “The mysterious Affair at Styles”, pubblicato nel 1920, proprio per dar risposta alla sorella, la quale cercava di spronarla sostenendo che non fosse capace a cimentarsi in questo genere.

 

Hercule Poirot

Fu anche nel 1920 che esordì il singolare investigatore Hercule Poirot, ideato dalla mente della scrittrice, e dotato di inconfondibili caratteristiche, che lo rendono unico nel suo genere. “L’omino belga” dai folti baffi e dal viso ovale, amante del buon cibo e della precisione, e dotato di un cervello pieno di “celluline grige” che gli permettono di risolvere i casi più difficili, è presente in ben 33 romanzi della Christie, ed uscirà definitivamente di scena in “Sipario”, sottotitolato appunto “L’ultimo caso di Poirot”.

Curioso è anche il rapporto tra la “regina del giallo” e l’infallibile investigatore. Infatti, oltre ad esserci una grande amicizia, è la stessa Agatha a confessare «in alcuni momenti ho anche odiato Poirot»; di fatto, sebbene avesse uno spiccato fiuto per i delitti, non gli mancava di certo una buona dose di vanità e arroganza. Anche dal punto di vista narrativo si differenziano notevolmente: contrariamente alla scrittrice, che si diverte a disorientare le idee dei suoi lettori con suspense e colpi di scena, Hercule Poirot non bara mai.

Miss Murple

Ma dalla brillante mente di Agatha Christie nacque un altro personaggio altrettanto ammirato dal suo pubblico, Miss Marple, che fa la sua prima apparizione nel romanzo “La morte nel villaggio” del 1930, e compare in altri 11 romanzi e 20 racconti.

Miss Marple, a differenza di Hercule Poirot, non è un’investigatrice di professione, ma una simpatica donna anziana, nubile, con capelli bianchi ed occhi azzurri, amante del giardinaggio e di birdwatching, ma soprattutto della “natura umana”, che osserva con cura e attenzione dal suo piccolo villaggio inglese dove vive, nonché palcoscenico dei diversi casi in cui viene coinvolta.

Le personalità dei due personaggi sono completamente diverse, forse è proprio per questo che Agatha Christie decide di non farli mai incontrare; Miss Marple si presenta infatti come una donna mite, altrettanto furba e molto ironica, molto distante dal classico modello di “investigatore”, e particolarmente amata dalla stessa scrittrice.

 

Una caratteristica, che riscontriamo in particolar modo in due dei suoi romanzi (“Dieci piccoli indiani” e “Assassinio sull’Orient-Express”) entrambi grandi successi, è l’enigma della camera chiusa. Questo termine fa riferimento ad un sottogenere di romanzo poliziesco, che indica un delitto commesso in un luogo circoscritto, inaccessibile dall’esterno e con un numero limitato di indiziati (rispettivamente Nigger Island e l’Orient-Express).

In questi casi ciò che conta non è tanto il colpevole (che sembrerebbe svanito nel nulla) ma il come sia stato commesso il delitto.

 

 

La nostra regina del delitto, in tutti i suoi romanzi, tiene in bilico il lettore, il quale dapprima cerca di tenere bene impressi nella sua mente tutti gli indizi forniti, e poi, andando avanti nell’indagine, si ritroverà a formulare tutte le possibili soluzioni, anche se – molto probabilmente – queste sembreranno quasi non esserci. Così la curiosità cresce, pagina dopo pagina, finché finalmente scopriamo – nel sempre sbalorditivo finale – che la soluzione era proprio lì davanti ai nostri occhi, e che sì, avevamo davvero tutti gli indizi.

Come ho fatto a non pensarci prima?

Nel 100% dei casi sarà il pensiero finale di ognuno di noi dopo aver letto uno qualsiasi dei suoi inimitabili romanzi.

Alice Scarcella

Assassinio sull’Orient Express, l’ego del regista si gonfia e il treno esplode.

Il 30 novembre è uscito nei cinema italiani Assassinio sull’Orient Express, regia di Kenneth Branagh, basato sul celebre romanzo omonimo di Agatha Christie. 

Iniziamo col dire che ci vuole una gran faccia tosta per fare un film del genere.

Il soggetto è tratto da uno dei più celebri romanzi di Agatha Christie e ha per protagonista uno dei personaggi letterari più amati di sempre, Hercule Poirot. In più il romanzo è già stato portato sul grande schermo nel 1974 da Sidney Lumet con cinque nomination agli Oscar e persino i complimenti della stessa Agatha Christie (morta circa un anno dopo l’uscita del film).
Quindi si, il regista nonché primo attore Kenneth Branagh ha dimostrato il coraggio e la faccia tosta necessarie per sfidare dei mostri sacri quali la Christie e Lumet, ma fa la figura dello scolaretto di prima elementare che si pavoneggia con i ragazzi dell’ultimo anno

Il film ricalca fedelmente la trama del libro. Poirot si ritrova sull’Orient Express, bloccato sul territorio jugoslavo a causa della neve, ad indagare sull’omicidio di uno dei passeggeri: gli indizi sono molti, ma nulla è come sembra.
Il cast è semplicemente stellare, difficile trovare tanti attori di talento in un unico film. Stupisce in particolare Michelle Pfeiffer nel ruolo dell’eccentrica Caroline Hubbard, che regge perfettamente il confronto con la grande Lauren Bacall -che nella versione del ’74 ha interpretato il medesimo personaggio-. Anche il resto del cast non delude, basti pensare a Johnny Depp nel ruolo di Rachett, a Daniel Defoe che interpreta Gerhard Hardman e Judy Dench nei panni della principessa Dragomiroff.
Resta ancora incerto il motivo della scelta di Penelope Cruz per interpretare una severa missionaria con un grande fervore cattolico (svedese nel libro, spagnola nel film).
È vero, confrontarsi con la precedente interpretazione della divina Ingrid Bergman -che è valsa all’attrice il suo terzo Oscar- è un impresa ardua per chiunque, ma gli occhi da lupa dell’attrice spagnola rendono vano qualsiasi tentativo. Non è quindi chiaro se l’effetto straniante che ne viene fuori sia voluto oppure meno.

Un soggetto avvincente, un cast blasonatissimo, e un budget milionario: cosa potrebbe andare storto?Purtroppo diverse cose.

In primo luogo il protagonista. Branagh, forse in un accesso di egocentrismo, trasforma il complesso personaggio di Poirot in un megalomane accentratore di attenzioni, poco credibile sia per i lettori della Christie che per il pubblico in generale: quello che la scrittrice descrive come un buffo ometto con la testa a forma d’uovo, diventa magicamente un macho hollywoodiano persino vagamente affascinante. La sua presenza sulla scena è parecchio ingombrante. I primi piani insistiti, i momenti introspettivi assolutamente inutili -che fanno rabbrividire i fan del personaggio per la mancanza di credibilità- portano sia gli altri personaggi che il soggetto stesso del film in secondo piano. Che senso ha ingaggiare attori strapagati come Johnny Depp e Penelope Cruz per fargli interpretare quelle che sono diventate delle macchiette?

La fotografia altamente artificiosa, le riprese dall’alto del treno danno quasi un senso di vertigine che cozza drasticamente con l’atmosfera claustrofobica che permea il libro e il film del ‘74. Che l’ego di Branagh sia gonfiato talmente tanto da non essere contenuto nel vagone del treno?

Il regista ha recentemente annunciato di voler tornare a vestire i panni dell’investigatore Poirot in Assassinio sul Nilo. Il tempo porta consiglio e la speranza è che insegni a Branagh un po’ di umiltà.

Renata Cuzzola