Haiti: una crisi che non sembra vedere una fine

La fuga del criminale Jimmy Chérizier, avvenuta ieri a seguito di una operazione poliziesca, è simbolo di una sempre più acuta crisi del piccolo Stato caraibico di Haiti, il paese più povero del Centro America. Bisogna però rifarsi agli eventi precedenti, per capire il motivo di tale contesto critico.

Il terremoto e l’epidemia di colera del 2010

Il 12 gennaio 2010, il piccolo Paese caraibico fu colpito da un forte terremoto di magnitudo 7.0. I danni causati alle infrastrutture resero difficile stabilire delle stime precise all’inizio, anche a causa della forte povertà della popolazione. Successivamente, grazie anche all’arrivo degli aiuti umanitari, si stimò che 230.000 persone persero la vita. Risultò però che quattro milioni di abitanti erano rimasti colpiti o feriti, e che gran parte degli edifici furono rasi al suolo o danneggiati. A peggiorare le cose, pochi mesi dopo il Paese fu colpito da una forte epidemia di colera, che si scoprì essere stata causata dagli scarti provenienti da una base ONU nepalese. Il bilancio fu di circa 800.000 contagiati, con quasi 10,000 morti. Questi due eventi contribuirono a portare lo Stato in una forte crisi economica e sociale.
macerie terremoto

La crisi politica e sociale del 2021

Nel 2018 il Paese fu colpito da una serie di proteste che chiedevano le dimissioni del presidente Jovenel Moise, che aveva preso il posto del dimissionario Michel Martelly nel 2017. Nel 2021 lo stesso Moise venne assassinato, e Haiti ripiombò in una nuova crisi politica. A tale evento seguì anche un nuovo terremoto, che portò a più di 2000 morti e ad ulteriori danni al Paese. Ben presto, varie gang criminali videro il vuoto di potere come un’occasione per estendere il loro potere. La capitale haitiana Port-au-Prince diventò teatro di vere e proprie guerre tra i vari clan, che iniziarono anche a scontrarsi con lo Stato.

Nuove proteste e cambiamenti politici

Nel 2022 l’aumento dei prezzi della benzina portò a ulteriori proteste da parte della popolazione nei confronti del governo. La carica del primo ministro era stata assegnata ad Ariel Henry, ma nonostante ciò i crimini da parte delle gang criminali aumentarono. Nel 2023 la percentuale di rapimenti da parte di tali gang raggiunse il 72%, con le vittime che erano spesso membri altolocati della società, quali dottori o avvocati, conseguentemente, molta gente fu costretta a fuggire dal Paese. Nel marzo del 2024, durante una visita in Kenya da parte di Henry, le gang bloccarono il suo rientro ad Haiti, e di conseguenza lui decise di rassegnare le dimissioni. Successivamente, il 25 aprile, si viene a creare il Consiglio presidenziale di transizione, creato per cercare di gestire la difficile situazione delle bande armate.
bandiera dello Stato di Haiti

La situazione politica attuale

Il Consiglio presidenziale di transizione, salito al potere il 25 aprile, ha cercato di mettere ordine nel quadro politico haitiano. Il 3 giugno viene nominato come primo ministro Garry Conille, che aveva ricoperto già tale funzione tra il 2011 e il 2012. La situazione che deve fronteggiare è piuttosto critica: nonostante l’arrivo di una missione multinazionale, guidata dal Kenya, a supporto della polizia haitiana, le bande armate controllano più dell’80% del paese. Tra le bande armate più importanti vi è l’Alleanza del G9, guidata da Jimmy Chérizier. In risposta a questi gruppi, è in costante aumento il numero di gruppi armati autodifensivi, i Bwa Kale, che contrastano le varie bande armate presenti nel Paese.
polizia che cerca di risolvere un caso

La destituzione di Conille

Nonostante alcuni segnali di stabilità, due eventi sembrano aver riportato paura e tensioni all’interno di un Paese già martoriato dalla violenza e dall’odio. L’11 novembre, a seguito di forti tensioni tra il Consiglio presidenziale di transizione e Conille, in carica da appena cinque mesi, egli viene destituito. Il Consiglio voleva destituire vari ministri, contro la volontà del premier, che ha definito la sua destituzione “illegale”. Sempre lo stesso giorno, al suo posto il Consiglio ha scelto l’uomo d’affari Alix Didier Fils-Aimè, che ha promesso di impegnarsi nell’indire nuove elezioni, già posticipate da diversi anni.


La fuga di Chérizier e conclusione

Nonostante i buoni propositi di indire il prima possibile delle elezioni, i problemi del Paese, ossia povertà e violenza, rimangono. A peggiorare la situazione è la fuga di Jimmy Chérizier, detto Barbecue, capo dell’Alleanza del G9. Egli infatti è riuscito a fuggire nel corso di un’operazione della polizia haitiana, nella quale sono morti due capi della gang Viv Ansanm. Se non si riesce a stabilizzare questo Paese, già dilaniato da calamità naturali e malattie, il rischio è di trovarci davanti uno Stato fantasma, senza alcuna possibilità di ripresa per il suo popolo.

Samuele Di Meo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Haiti: il rapido declino del paese più sfortunato degli ultimi anni

Nella notte tra il 6 e il 7 luglio è stato assassinato il presidente haitiano Jovenel Moïse. Il capo di stato è stato raggiunto e freddato nella sua villa a Péticion-Ville, non lontano dalla capitale Port-au-Prince, da un commando di 28 persone. Questi, dopo avere aperto il fuoco contro il presidente e la moglie, hanno saccheggiato l’ufficio per poi scappare. Secondo le ricostruzioni della polizia haitiana, e confermate dal comandante Leon Charles, tra i 28 individui vi sono 26 colombiani e 2 haito-americani. Questi sono accusati di essere gli esecutori materiali dell’omicidio ma restano ancora ignoti mandanti e movente dell’attentato.

Il defunto presidente haitiano Jovenel Moise, fonte: ibw21.org

Il Commando

Già 3 membri del commando sono stati uccisi nel corso delle operazioni di indagine mentre 17 sono stati arrestati. I restanti 8 sono latitanti. L’Afp scrive che i 26 colombiani sono ex membri dell’esercito colombiano di cui sei membri  in ritiro: quattro ex soldati semplici e due ex sottufficiali. Ci sono poi due americani di origine haitiana: James Solages, ex guardia giurata ed ex agente diplomatico ed ora capo della sicurezza dell’ambasciata del Canada a Haiti, e Joseph Vincent, ufficialmente semplice uomo d’affari. Nel gruppo questi erano i soli due uomini di colore e dovevano svolgere il ruolo di interpreti in un Paese dove si parla francese misto al creolo. Tra i fattori che hanno permesso una rapida identificazione e il tracciamento dei sospettati vi sono stati infatti la carnagione bianca e l’utilizzo della lingua spagnola.

Le reazioni all’attentato

Il premier ad interim Claude Joseph ha detto alla BBC che il presidente potrebbe essere stato fatto fuori perché in contrasto contro “gli oligarchi” nel Paese. Intanto il governo di Bogotà (Colombia) ha assicurato che collaborerà nelle indagini con Port au Prince mentre il dipartimento di Stato americano non ha ancora confermato il coinvolgimento dei suoi connazionali. Il premier Joseph ha provveduto a dichiarare lo stato di assedio, cercando di rassicurare la comunità internazionale e i suoi stessi cittadini sulla continuità dello Stato.

La crisi politica di Haiti

Nonostante la tragicità dell’evento molte fonti riportano come l’attentato in questione non fosse totalmente imprevedibile o imprevisto. Il Paese risulta da parecchio tempo attraversato da una profonda crisi politica. Nel 2015 Moïse si era presentato alle elezioni presidenziali alla guida del partito di centrodestra Tèt Kale. La sua però non fu una vittoria schiacciante: arrivato al ballottaggio salì con solo il 21% delle preferenze. Una percentuale troppo bassa e che, unita ai sospetti brogli elettorali in suo favore, ha contribuito non poco al clima di tensioni. Tensioni che sfociarono in proteste violente e che comportarono un notevole ritardo nell’insediamento dello stesso Moïse ( da settembre 2016 a febbraio 2017). Ritardo che il defunto presidente avrebbe voluto “recuperare” spostando la naturale scadenza del suo mandato dal settembre 2021 a febbraio 2022 attirando non poche critiche dall’opposizione. Moïse stava inoltre elaborando una riforma costituzionale con cui dare più poteri all’esecutivo, eliminare la figura del primo ministro, e permettere il doppio mandato consecutivo per i presidenti uscenti. Il tutto però in un periodo in cui le camere sono sciolte non essendo state queste ultime state rinnovate alla loro naturale scadenza per via del mancato accordo sulla legge elettorale.

Già a febbraio Moise aveva denunciato un golpe ordito ai suoi danni dall’opposizione e che ha portato all’arresto di 23 persone. Tra queste anche un giudice della Corte Suprema.

Strade di Puer-au-Prince, fonte: evasion-online.com

Le tragedie di Haiti

Il clima di instabilità politica è frutto si del malgoverno ma anche della sfortuna. Haiti, che occupa la parte occidentale dell’isola di Hispaniola, è stata falcidiata prima dal terremoto del 2010, il secondo più forte della storia e che causò più di 200 mila morti e 3 milioni di sfollati, e poi dall’uragano Matthew del 2016, che si stima abbia inciso sul Pil per il 32%. Tra il terremoto e l’uragano anche una epidemia di colera che causò altre migliaia di morti e che, ironia della sorte, fu portata sull’isola proprio dagli interventi umanitari dell’ONU. Le catastrofi naturali hanno portato a una costante situazione di emergenza umanitaria aggravatasi ulteriormente nell’ultimo anno e mezzo dalla pandemia da Covid-19. Ad oggi risultano poco meno di 20 mila i casi totali registrati e meno di 500 i morti. Molte Ong però contestano fortemente questi dati. Il sistema sanitario del Paese è di fatto inesistente e non esiste né un sistema di tracciamento né le infrastrutture adeguate per curare chi ne ha bisogno. Haiti risulta, inoltre, tra i 26 Paesi al mondo a non aver ancora iniziato la campagna vaccinale anti Covid-19.

Un futuro imprevedibile

Haiti risulta ad oggi il Paese più povero delle Americhe e tra i più poveri al mondo. Il tasso di povertà superiore al 60% e un Pil pro capite di poco superiore ai mille dollari lo posizionano al 170° posto su 189 Paesi per Indice di Sviluppo Umano. Ormai, secondo numerosi analisti, le condizioni di Haiti rispecchiano quelle della Somalia, quindi di uno Stato prossimo al fallimento. L’uccisione del presidente Moïse rappresenta l’ennesimo colpo assestato ai danni di un Stato troppo fragile e che necessita il prima possibile di una nuova guida. Il vuoto istituzionale che è stato generato deve essere necessariamente colmato nel minor tempo possibile, ma non sarà facile. Questo perché le leggi haitiane stabiliscono che in caso di vacanza della carica presidenziale questa debba essere ricoperta dal presidente della Corte Suprema. Quest’ultimo però è morto di Covid. Il ruolo spetterebbe allora al primo ministro che però necessita dell’approvazione parlamentare. Ma le camere sono tutt’ora sciolte, in attesa di nuove elezioni. Nuove elezioni che però dovrebbero essere indette in assenza di una legge elettorale.

 

Filippo Giletto