Sintomi neurologici da covid-19: alterazioni di gusto e olfatto

 

La malattia da Coronavirus SARS-CoV-2, nota col nome Covid-19, comporta principalmente un quadro clinico caratterizzato da sintomi respiratori. L’evenienza più grave, come ben sappiamo, è rappresentata dalla polmonite interstiziale, ma questo virus ha la capacità di diffondersi anche in altri distretti. In particolare il sistema nervoso sembra poter essere interessato precocemente e le manifestazioni lievi connesse potrebbero aiutare a velocizzare il processo diagnostico. Ciò sarebbe utile a discriminare i soggetti che non svilupperanno polmonite ma sono portatori attivi dell’infezione.

Quali sono i sintomi neurologici del coronavirus?

La risposta arriva da dove ci si sta avviando ad una lenta ripresa delle attività dopo la fase critica dell’epidemia, ovvero dalla Cina. Proprio uno studio cinese, recentemente pubblicato su JAMA Neurolgy, ha portato alla luce possibili sintomi e complicanze neurologiche della Covid-19. I partecipanti allo studio sono stati 214 pazienti ospedalizzati SARS-CoV-2 positivi, sia uomini che donne, sia con infezione severa che non. Di questi, 78 pazienti (il 36,4%) mostravano una sintomatologia neurologica, più frequente in coloro con malattia grave. In base alla sede coinvolta, hanno distinto i sintomi in:
– Manifestazioni del sistema nervoso centrale: mal di testa, perdita della coscienza, accidenti cerebrovascolari acuti (coinvolti il 24,8% dei pazienti oggetto di studio, ictus nel 6%).
Manifestazioni del sistema nervoso periferico: compromissione del senso del gusto (ageusia: perdita della capacità di discriminare i sapori) e dell’olfatto (anosmia: mancanza della percezione degli odori nell’aria), ma anche problemi visivi (8,9%).
– Danni ai muscoli scheletrici, con coinvolgimento del 10,7% della popolazione studiata.
La maggior parte dei sintomi neurologici si sono mostrati precocemente, anche in assenza del classico quadro respiratorio, potendo costituire quindi un elemento utile al riconoscimento precoce ed un miglior trattamento. Comunque un grande limite di questa analisi è la bassa numerosità del campione in esame.

Quali riscontri nel vecchio continente?

Anche in Europa sono in corso delle ricerche a riguardo. Uno studio condotto su 417 pazienti ricoverati in 12 località diverse si è soffermato sulle disfunzioni di gusto ed olfatto. Il 34,5% dei soggetti studiati era nella fase acuta della malattia. Le principali comorbilità del gruppo erano rinite allergica, asma, ipertensione arteriosa ed ipotiroidismo.
Per quanto riguarda i sintomi olfattori i risultati sono stati i seguenti:
– L’85,6% della popolazione campione presentava disordini dell’olfatto, di cui la maggior parte lamentava anosmia.
– La fantosmia, ovvero la percezione di un odore per il quale nell’ambiente non è presente alcuna molecola, interessava il 12,6% dei soggetti durante il decorso clinico.
– Mentre la parosmia, cioè lo scambiare un odore per un altro, veniva lamentata dal 32,4%.
– In 247 pazienti con infezione clinicamente risolta, in cui erano scomparsi tutti i sintomi “canonici”, le disfunzioni olfattive persistevano per un tempo indeterminato nel 63% delle persone.
Riferendoci alle alterazioni del gusto, queste hanno dato manifestazioni nell’88,8% dei pazienti. Consistevano in una riduzione o distorsione della percezione di alcuni sapori, in particolare salato, dolce, amaro ed acido.
Basandoci sui risultati dello studio, i disturbi olfattivi e gustativi sono risultati essere sintomi significativi dei pazienti Covid-19 europei. Inoltre possono rappresentare, in alcuni casi, anche gli unici sintomi in assenza di complicanze e per questo necessitano di essere riconosciuti per aiutare nella limitazione della diffusione del contagio.

Trattamento anosmia
Opzioni terapeutiche adottate in questo studio europeo per i pazienti con problematiche dell’olfatto (Da https://link.springer.com/article/10.1007/s00405-020-05965-1#citeas ).

 

Come SARS-CoV arriva al sistema nervoso?

L’esame del liquor cefalorachidiano è in genere negativo, quindi il virus non attraversa la barriera emato-encefalica. Certo, sono possibili eccezioni, ma non sono state riscontrate frequentemente meningiti o encefaliti, come invece può avvenire con gli Herpes virus. Per identificare le porte di ingresso del Coronavirus al SNC le ipotesi sono due.
La prima prende in considerazione la possibilità che il virus possa risalire dai neuroni del bulbo olfattivo. Questo spiega l’elevata frequenza di anosmia riscontrata negli studi sopra citati ed è una via già utilizzata da altri virus respiratori.
Secondo l’altra ipotesi il danno neurologico non sarebbe diretto, bensì scatenato dalla tempesta di citochine sistemica dovuta all’infezione. Le nostre difese immunitarie iperattivate andrebbero fuori controllo e coinvolgerebbero altri distretti, fra cui il sistema nervoso ma anche il cuore (possibilità anche di miocarditi).

Struttura delle vie olfattive
Bulbo olfattivo ed epitelio olfattivo nel naso separati solo dalla lamina cribrosa dell’osso etmoide (Da Stanfield, Fisiologia umana)

 

Anche i neurologi possono quindi essere aggiunti alla lista degli specialisti che, insieme ad infettivologi e pneumologi (oltre ai medici di medicina generale), potranno avere contatti con pazienti covid già alla prima diagnosi od essere coinvolti durante il loro trattamento. Già si sta cercando di scrivere delle linee guida ad hoc che permetteranno di affrontare l’infezione da coronavirus dal punto di vista multidisciplinare. Così da prepararci al meglio a quella che sarà la fase 2, di cui iniziamo a vedere gli spiragli, in cui si auspica la messa in funzione dei Covid hospital. Si tratterà di centri interamente dedicati ai pazienti covid con l’obiettivo di facilitare anche la ripresa degli altri reparti ospedalieri, le cui attività ambulatoriali sono state momentaneamente sospese.

Antonio Mandolfo

 

 

Bibliografia

https://link.springer.com/article/10.1007/s00405-020-05965-1#citeas
https://jamanetwork.com/journals/jamaneurology/fullarticle/2764549
https://www.focus.it/scienza/salute/la-covid-19-da-anche-manifestazioni-neurologiche

Quando l’infezione da COVID-19 si ‘traveste’ da ictus o da stato confusionale

Messina e le sue dolci tradizioni

Siamo a Messina, terra di antiche dominazioni e influenze straniere. Terra di passaggio, grazie alla sua posizione di favore sul Mediterraneo che ne ha fatto punto di approdo per numerosi popoli, alcuni dei quali si soffermarono più a lungo di altri lasciando un po’ delle loro tradizioni anche sulle nostre tavole che ritroviamo ancora oggi, soprattutto in alcuni dolci della tradizione messinese.

A differenza del resto della Sicilia presenta influenze arabe molto minori, il che rende i suoi dolci molto meno zuccherati e melensi. Si sa, la città dello Stretto è famosa in fatto di dolci, con i quali contribuisce notevolmente al buon nome di tutta la Sicilia con cui condivide molte delle sue specialità, forte della sua antichissima storia, interessata soprattutto dall’influenza greca e spagnola.

La tradizione vuole che, a seguito della dominazione spagnola del 1600, allorquando la città stava passando un periodo di grande depressione, le monache di un convento di clausura – esistente ancora oggi – in occasione di feste popolari cominciarono a fare dolci da offrire alla popolazione, spesso da loro inventati come: Nzuddi, un biscotto mandorlato all’uovo, immancabile nella pasticceria panaria messinese. I Sospiri di Monaca, anch’essi immancabili nella piccola pasticceria delle domeniche messinesi. Si tratta di soffici savoiardi ripieni di ricotta dolce, il quale nome sembra proprio provenire dalle loro creatrici che si dice sospirassero di gioia ogni volta ne mangiassero uno.  Si racconta, inoltre, che in occasione del Carnevale offrissero quelli che risultano essere i diretti antenati della famosissima Pignolata. Si trattava, inizialmente, di mucchietti di pinoli fritti e amalgamati col miele che avevano la forma di una pigna, da cui il nome di pinolo del biscotto e pignolata dell’intero dolce. Successivamente si cominciò a mischiare insieme al frutto della pasta all’uovo; l’esperimento ebbe degli ottimi risultati e col passare del tempo la pasta all’uovo sostituì in toto i pinoli, fino a renderlo il dolce gustoso e ricoperto di glassa –  nella versione cioccolato e limone –  che ben conosciamo oggi.

Nel periodo pasquale l’aria dello stretto si profuma di cannella e semi di sesamo, e dai forni di tutto il messinese l’aroma dolce e pungente attira i cittadini in cerca dei morbidissimi Panini di cena, le cui origini si perdono nella tradizione della città. Questi dolci rappresentano il pane che Gesù condivise con gli Apostoli durante l’ultima cena e per questo tradizione vuole che si facciano il Giovedì Santo, anche se spesso ormai si trovano anche fuori periodo. Curiosa è la tradizione messinese circa la produzione di particolari dolcetti correlati alla festa dei defunti: le ossa di morto ( c.d morticini), proprio a ricordare, sia nel nome che nella forma, l’oggetto della celebrazione. Si tratta, infatti, di dolcetti composti dalla bicroma pasta garofalo bianca e nocciola. E i più allegri e colorati dolci in pasta reale che per via della loro forma, che riproduce fedelmente svariati frutti, sono comunemente conosciuti come frutta martorana.

Proseguendo nel calendario delle feste, Immacolata fa rima con Niputiddata, dolcetti dalla pronuncia tutta messinese e dalla classica forma a stella. Fatti di pasta frolla molto sottile, profumano l’aria in città nel periodo natalizio con il loro ripieno di frutta secca, fichi secchi, mandorle, canditi e cacao. Ma al di là dei periodi festivi, ci sono dei veri e propri must, che non possono mai mancare sulle tavole dei messinesi, che oltre ad essere delle delizie per il palato sono dei veri e propri momenti di sacra convivialità. E’ il caso del dolce messinese per eccellenza, quello che dopo una lunga e stressante settimana ti dice che finalmente è arrivata la domenica, quello per cui “uno spazietto libero lo trovo!” sempre, quello che non si conta in fette, pezzi o porzioni, ma “palle” è la sua unità di misura. Stiamo parlando del – rigorosamente chiamato – Bianco e Nero, il piramidale mucchietto di profitteroles ripieni di panna montata (il bianco), e ricoperti accuratamente da una crema al cioccolato (il nero), e con le immancabili scaglie di cioccolato, sottili da sciogliersi in bocca. Insomma, un vero e proprio classico immancabile. E’ la volta delle dolci salate sfinci messinesi, dolci fritti, ricoperti di zucchero semolato e tipicamente ripieni di uva passa. Il nome deriva dal latino spongia, spugna, a sua volta mutuato dal greco a indicare la loro consistenza morbida e irregolare come una spugna. Gli arabi le soprannominavano sfang.

Forse meno conosciuto a chi non è del posto, il Lulù alla messinese, un sorprendente dolce fatto di pasta choux (o pasta bignè) di solito abbastanza grande e dalla forma bizzarra e irregolare – quasi a ricordare un cavolo – ripieno di panna e talvolta anche di crema al cioccolato. A Messina, durante tutto l’anno, è possibile mangiare delle dolcissime pesche. Parliamo di un dolce dalla tipica forma ispirata fedelmente all’omonimo frutto. Si tratta di due mezze sfere di pasta brioches, tenute insieme al centro da uno spesso strato di crema chantilly e guarnite con ciliegie candite. Non sono tipiche di un momento o periodo precisi, ma vanno mangiate a sentimento, il momento giusto è esattamente quello in cui se ne ha voglia, che sia la colazione, la merenda o un qualsiasi momento della giornata.

Stilare una lista completa di tutti i dolci della tradizione messinese risulta impresa davvero ardua, ma un focus sulle specialità dedicate alla colazione è d’obbligo.
Decretata patrimonio dell’umanità direttamente dai messinesi, la Granita. Lei, l’unica e inimitabile, invidiata in tutto il mondo e oggetto di continue imitazioni che per i messinesi fa rima con profanazioni. Quella che per il resto del mondo non è altro che ghiaccio tritato guarnito con sciroppo, nella sua versione originale si tratta di una semplice miscela di acqua e purea o succo di frutta fresca di stagione o con caffè e cacao, addolcita a piacere e lasciata gelare in freezer per poi essere servita appena frullata e con aggiunta di panna appena montata nella sua versione “mezza con panna“, accompagnata dall’insostituibile brioche col tuppo, da intingere accuratamente. Anche la granita risale al periodo arabo della Sicilia e deriverebbe dal loro sherbet. In origine si usava la neve raccolta sui monti Nebrodi e la granita era chiamata rattata (grattata). Poi la neve passò da ingrediente a refrigerante. Insomma, una terra di tradizioni e storia non solo da raccontare ma anche da mangiare fatta di riti gelosamente custoditi, ma anche generosamente condivisi col resto del mondo, che hanno fatto della pasticceria siciliana una delle più famose al mondo.

 

Giusi Villa

Street Food, che passione!

È letteralmente sulla bocca di tutti.
La street food mania ormai dilaga. Ha preso piede ovunque, dalle più grandi alle più piccole, ogni città presenta il suo prodotto tipico e il suo numero di cucine on the road.
Negli ultimi cinque anni, il fenomeno si è notevolmente incrementato; nel 2013 si constatavano 1.717 attività di ristorazione su ruote, mentre nell’anno corrente la Unioncamere-InfoCamere ha registrato ben 2.729 attività. Più di mille nuove piccole imprese. Sono tanti e sempre in aumento i giovani e gli imprenditori stranieri che puntano su questo tipo di attività per entrare nel mondo del lavoro.
Ovviamente ad essere maggiormente coinvolte in questo business sono principalmente le grandi città, al primo posto Milano, seguita da Roma e Torino, ma anche più a sud il fenomeno si sta diffondendo: presenti in classifica anche le città di Lecce, Napoli, Bari e Catania.

Ma perché il cibo da strada ci piace così tanto?

I tempi cambiamo, il mondo corre e la gente altrettanto, tutto si evolve e così il rapporto col cibo e la sua cultura. Lo street food è questo: reinvenzione, evoluzione, praticità e gusto.
È alla portata di tutti, è veloce, ma principalmente deve essere ottimamente preparato e di qualità, sono queste le peculiarità del buon cibo da strada, grazie alla quali questo fenomeno si sta ormai globalizzando.

Ma la grande eco di questo nuovo modo di “far cibo” è anche dovuta alla sua semplicità. Se il numero di coloro che si lanciano in questo nuovo business è così elevato, il merito va sicuramente anche al modesto investimento iniziale che permette un po’ a tutti di reinventarsi, mettersi in gioco e “giocare” nel contempo con cibo e lavoro.

Benedetta Sisinni