Intervista a Liliana Di Napoli: “un’influencer di cultura”

Risale all’8 novembre scorso il primo video su Instagram di Liliana Di Napoli, giovane dottoranda UniMe in Filologia e cultrice di letteratura greca, e ad oggi il suo profilo conta già più di 1000 followers.

La sua pagina Mellichomeidos (Μελλιχόμειδος) si propone come uno strumento nuovo ed innovativo per fare conoscere e apprezzare il greco, tramite appuntamenti settimanali.

Abbiamo avuto il piacere di “entrare” nella sua cameretta, set dei suoi video, per fare una chiacchierata con lei e ne siamo rimaste piacevolmente colpite: conosciamola assieme.

Liliana Di Napoli direttamente dalla sua cameretta – © Liliana Di Napoli

Domanda che sicuramente ti avranno fatto e rifatto, ma come nasce la tua passione per il mondo greco? Hai frequentato un liceo classico? Cosa ci puoi dire sul tuo percorso scolastico prima e universitario dopo?

In realtà no, io ho frequentato un liceo scientifico. È una cosa che non mi piace sottolineare perché può essere interpretata in due modi: da una parte c’è chi inizialmente mi ha sottovalutata per questo, soprattutto agli inizi; dall’altra potrebbe sembrare che io me ne voglia vantare, in entrambi i casi c’è un errore di fondo. Il tutto è cominciato alle scuole medie dove mi sono perdutamente innamorata dell’epica, leggendo l’Iliade e l’Odissea. Ho molto apprezzato le versioni tradotte da Rosa Calzecchi Onesti e mi sono detta «io da grande voglio fare quello che fa questa signora!». A 13 anni, però, è difficile prendere una decisione che condiziona poi gli anni a venire. Molti professori mi consigliavano di seguire la strada del liceo classico, ma al contempo mi fu detto che lo scientifico mi avrebbe preparata meglio a tutte le facoltà Universitarie. Vi posso dire che non è affatto così. Studiare lingue antiche non è soltanto utile dal punto di vista culturale. C’è tutto un modo di ragionare dietro la traduzione, lo studio della morfologia; diventi più analitico nella vita e questa capacità la puoi poi applicare alla chimica, alla fisica, all’ingegneria. In questo senso è una scuola che ti prepara a tutto, ma non ti da nulla di concreto alla fine. Adesso c’è la cultura del “tutto e subito” ed è per questo che il liceo classico sta perdendo consensi: è preferibile un sapere che ti dia qualcosa di concreto nell’immediato, cosa che il liceo scientifico fa maggiormente.

Gli studi classici ti distruggono e ti ricostruiscono, ti rinnovano, ti cambiano, alla fine non sei più lo stesso.

Ai tempi mi sono fidata del consiglio e per questo mi sono ritrovata in un liceo scientifico. Ero molto studiosa e mi sono diplomata con il massimo dei voti; non ho sofferto, ma ho capito già dopo il primo anno che non ero nel posto giusto per me. Per questo ho deciso di aggiustare il tiro all’Università. Qui ho scelto lettere classiche, perché nonostante al liceo mi fossi innamorata del latino, grazie anche alla passione della mia insegnante, era giusto che conoscessi il mondo antico in toto. Da latinista convinta, il greco è stato un colpo di fulmine.

“Incontrare” il greco è stato come essere stati fidanzati da una vita con un uomo, credendo di amarlo, e poi conoscere l’altro e capire che in vita tua non avevi mai amato.

Come ti è venuta l’idea di diventare “un’influencer di cultura”?

Io non mi definirei proprio influencer per via della connotazione che questo termine oggi ha assunto. Anche se in realtà questo anglismo è una vox media, non ha una valenza né positiva, né negativa. Inoltre l’influencer per antonomasia è colui che ha tanti seguaci, non è questo il mio caso né tantomeno il mio obbiettivo. L’idea è nata facendo le mie lezioni di tutorato su Teams e registrandole affinchè gli studenti potessero riascoltarle. Poi ho collaborato con un collega che insegna in un liceo classico di Pescara, facendo un intervento sulla Medea di Euripide durante una sua lezione. Voleva dimostrare ai suoi studenti, prossimi alla maturità, che proseguire i loro studi scegliendo un percorso come lettere antiche, non fosse una scelta polverosa, ma piuttosto un mondo vissuto e condiviso da giovani. Lì ho avuto la scintilla ed ho unito le due cose. È stato tutto molto naturale: in una notte ho girato il primo video e l’indomani l’ho pubblicato sulla pagina.

Io sono molto sensibile al valore della bellezza, intesa non nella sua accezione puramente fisica. Già nelle mie pagine social personali postavo poesie, citazioni di libri, musica. Ho sempre voluto diffondere bellezza, l’ho sempre sentita come una mia vocazione, vorrei che gli altri vedessero la bellezza che vedo io con i miei occhi.

 

Il tuo username “Mellichomeidos” cioè “dal sorriso di Miele” è il nome con cui Alceo decanta Saffo, come mai lo hai scelto?

Durante il primo lockdown ad aprile, ho partecipato ad una diretta con la pagina “La setta dei poeti estinti”. Avevano organizzato una serie di incontri per sfruttare al meglio il tempo che avevamo a disposizione e nello specifico io ho fatto una lettura sui lirici greci. Tra i tanti brani ho letto proprio questo frammento di Alceo in cui apostrofa Saffo come «dal sorriso di miele». Dopo la diretta ho ricevuto molti complimenti e tra questi uno in particolare mi ha fatta proprio emozionare: «Liliana, quando racconta in greco, ha proprio il sorriso di miele di Saffo». Mi fa piacere che si veda tutto l’amore che ci metto, non è sempre così scontato.

Molti scelgono di lasciare la propria città per studiare fuori, tu hai scelto di restare a Messina e puntare tutto su UniMe. Ci puoi raccontare la tua esperienza?

Io sono molto legata alla Sicilia, sono una «siciliana di scoglio» – per citare Camilleri – e non ho mai sentito l’esigenza di andarmene. Quando mi sono iscritta all’Università di Messina ho capito che effettivamente avevo preso una scelta giusta. Qui ho trovato una qualità che altrove non c’è, e lo dico perché ho avuto modo di confrontarmi con altri ragazzi che hanno seguito il mio stesso percorso di studi in Atenei di città diverse; quindi sono doppiamente contenta. Spesso andarsene è una moda, un’esterofilia, e sono sempre dell’idea che sia giusto fare esperienze fuori per poi tornare e arricchire la nostra terra.

Se gli intelletti più promettenti se ne vanno, non potremo mai risorgere, questa è la cosa triste.

Che messaggio vorresti mandare ai liceali e alle matricole che si affacciano per la prima volta al mondo del greco antico e della letteratura classica?

Innanzitutto non bisogna avere paura della fatica, a prescindere dall’indirizzo di studi, perché la fatica e lo studio fondamentalmente sono le uniche cose che possono portare ovunque.

Bisogna avere il coraggio di affaticarsi ed avere coraggio ad avere paura.

Io stessa ho avuto paura, uscendo da un liceo scientifico, di approcciarmi a lettere classiche e sicuramente non è stato facile. Però credo fortemente che per certe cose si nasca. Io, grazie al greco, mi sono riscoperta, mi ha aiutata a capire chi fossi. Se qualcun altro che non abbia fatto degli studi classici, sentisse il richiamo, dovrebbe intraprendere questo percorso di studi. Alle matricole voglio dire che i latini dicevano “per aspera ad astra” cioè “attraverso la fatica si raggiungono le stelle”. Voglio rassicurarvi: le stelle ci sono, arriveranno, dovete solo avere l’audacia di intraprendere questa strada, che per quanto faticosa, darà gioie grandissime.

Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro?

Sicuramente finire il dottorato il prossimo anno. Nel periodo che siamo costretti a vivere è molto duro fare ricerca, avere contatti con l’esterno o fare convegni. Non disprezzo la figura del professore, anzi, però la ricerca è la mia più grande passione e vorrei continuare a farla.
Dalla pagina invece, non mi aspetto nulla; mi richiede molto tempo e io ho già un lavoro. Cerco di aggiornarla nel tempo libero, magari il sabato sera non potendo uscire causa Covid, e mi piacerebbe anche ampliarla con uno spazio sulla letteratura, oltre quello già dedicato alla grammatica. In maniera molto tranquilla continuerò a condividere contenuti senza pretese, non voglio di certo diventare la nuova Chiara Ferragni del greco.

Non cerco popolarità e ritengo che per far innamorare bisogna essere innamorati, ed io sono innamorata del greco.

Giuseppina Simona Della Valle e Claudia Di Mento

Làscaris e la rinascita italiana del greco.

Quest’articolo per la rubrica Personaggi, sarà dedicato a Costantino Làscaris, colui che si fece promotore della rinascita dello studio della lingua greca in Italia.

Costantino Lascaris, filologo e umanista bizantino, nacque a Costantinopoli tra il 14 giugno 1433-1434. Avviato agli studi letterari, frequentò le lezioni del maestro Giovanni Argiropulo. Il suo arrivo in Europa è legato a delle precise circostanze storiche: quando i Turchi presero Costantinopoli, il 29 maggio 1453, venne fatto prigioniero; riuscito a fuggire, diede inizio ad una lunga peregrinazione in Grecia passando per la città di Fere e le isole di Rodi e Creta.

Tra il 15 novembre e il 14 dicembre 1458 si stabilì a Milano e vi restò fino al 1465 ricoprendo la carica di insegnante di greco per la figlia di Francesco I Sforza, Ippolita.

Successivamente, Lascaris visse in varie città, sempre insegnando greco, probabilmente a Ferrara, sicuramente a Firenze e a Napoli, dove il re Ferdinando I d’Aragona lo nominò professore di retorica; continuò la sua attività di docente fino al giugno 1466. E’ possibile ipotizzare che tra le ragioni del suo trasferimento a Napoli vi fosse l’intenzione di rimanere al seguito di Ippolita Sforza, sua alunna che aveva sposato il duca di Calabria, Alfonso d’Aragona. Proprio a quest’ultimo dedicò le sue 35 biografie di filosofi calabresi, raccolte nelle Vitae illustrium philosophorum Siculorum et Calabrorum. Anche in questo caso non si conoscono le ragioni dell’improvvisa partenza da Napoli e dello scontento nei riguardi della città, comunque la sua presenza a Napoli segnò un risveglio e uno sviluppo notevole degli studi greci nella città.

Con l’intenzione di tornare in Grecia e di abbandonare definitivamente l’Italia, si recò nel 1466 a Messina, e grazie alle insistenze di Ludovico Saccano, si trattenne nella città peloritana. Messina era l’ultima città in Sicilia dove era ancora attivo l’insegnamento del greco, per via della presenza del monastero basiliano del Ss.mo Salvatore in lingua Phari; è lì che l’insegnamento fu affidato a Lascaris nel 1467.

I primi anni a Messina non furono facili, ma lentamente l’umanista si inserì nella vita locale e finì per restare a Messina fino alla sua morte. Non si spostò mai da Messina, se si eccettuano due viaggi a Napoli, nel 1477-78 e nel 1481.

La subita emarginazione dai grandi circuiti culturali umanistici, gli consentì di dedicarsi all’attività filologica e soprattutto sfruttare per le sue ricerche la miriade di codici greci rappresentata dalle raccolte librarie pubbliche e private dell’Italia meridionale e da manoscritti.

La sua fama è legata al ritrovamento della Gigantomachia, opera greca del poeta latino Claudiano. Lascaris ne rintracciò e ne copiò 77 versi, inframmezzati da una lacuna di 68 versi, che si ripromise di colmare grazie al ritrovamento del frammento dell’opera in alcuni manoscritti a lui donati.

La fama di Lascaris come insegnante si estese in tutta la Sicilia. In ringraziamento degli onori concessigli, donò la sua biblioteca al Senato e al popolo messinesi intorno al 1494. Il prestigio della sua scuola si diffuse per tutta la penisola e nel 1488 Ludovico il Moro lo invitò a tornare a Milano per insegnare. Molti giovani si recarono a Messina per seguire le sue lezioni, di cui si ricordano il piacentino Giorgio Valla e il grande poeta e letterato rinascimentale Pietro Bembo.

Nell’agosto 1501 Lascaris contrasse la peste per morire poco dopo, ed essere seppellito nella chiesa carmelitana di Messina.

I codici donati dal Lascaris rimasero nella cattedrale di Messina per quasi due secoli, per essere poi trasferiti a Palermo ed ancora a Madrid a seguito della rivolta antispagnola di Messina. La raccolta, denominata Fondo Uceda, contiene 99 codici, dei quali più di ottanta copiati dal Lascaris ed è attualmente conservata presso la Biblioteca Nacional de España.

Costantino Lascaris fu produttivo copista, come risulta dai molti suoi manoscritti autografi, e appassionato bibliofilo. Un problema a lui molto caro fu la mancanza di copisti esperti: all’epoca in cui Lascaris lavorava, la maggior parte dei copisti non conosceva il greco e si limitava a ricopiare alla cieca i caratteri che leggeva sugli antichi manoscritti, accompagnandoli con la dicitura latina “grecum est; non legitur” (è greco, non si capisce). Solo grazie al prezioso contributo di Lascaris e di diversi altri umanisti di origine greca, la lingua greca antica riuscì ad acquisire il ruolo di spessore nella formazione classica che tutt’oggi conserva. 

La sua opera maggiore è la Grammatica greca, iniziata al tempo del suo soggiorno milanese. La prima edizione è di Milano, 30 gennaio 1476: è il primo libro impresso a stampa in caratteri greci, a parte la prefazione in latino. Conteneva soltanto una prima versione breve dell’opera, la cosiddetta Epitome.

L’opera, grammatica di base per l’apprendimento della lingua greca, ebbe lunga gestazione e perfezionamenti. Divisa in tre libri, l’opera ebbe numerose edizioni tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento.

Nei secoli XV e XVI il manuale servì da modello alle grammatiche greche. Testimonianza non comune della sua fama è nell’Utopia di Thomas More, dove è elencata insieme con i grandi classici che Raffaele Itlodeo porta agli abitanti di Utopia affinché apprendano il greco.

Poco prima di morire, Lascaris vide uscire una delle sue poche opere a stampa, le citate Vitae illustrium philosophorum Siculorum et Calabrorum, che fu stampata proprio a Messina. L’opera comprendeva 66 biografie di filosofi siciliani e 35 di filosofi calabresi: il significato profondo dell’opera era il tentativo di recupero di una grande tradizione culturale che si andava spegnendo nell’incuria e nell’abbandono.

Erika Santoddì

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