Protezione speciale, cos’è e perché il Governo vuole abolirla

Lo scorso 13 aprile, il governo italiano, per combattere il problema immigrazioni, aveva dichiarato uno “stato d’emergenza di sei mesi”, dopo l’arrivo di circa 32.769 persone nei primi mesi del 2023. Negli ultimi giorni, la maggioranza ha deciso di sostenere la proposta fatta da parte della Lega, in termini di modifica al così denominato Decreto Cutro.

L’emendamento presentato prevede una stretta alla “protezione speciale”, norma esistente solo da qualche anno. Quest’ultima è stata introdotta durante il Governo Conte-bis (2020) dall’allora Ministra Luciana Lamorgese. In precedenza, era presente una norma simile, denominata “protezione umanitaria”, ma nel 2018 è stata abolita dall’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini, nell’ambito dei cosiddetti “Decreti Sicurezza”.

L’eliminazione di questa specifica protezione è al momento oggetto di negoziato tra le forze politiche. La situazione sembrerebbe essere ancora provvisoria e in fase consultiva, ma sta generando ugualmente non poche polemiche. Di cosa si tratta? Vediamolo nel dettaglio.

Che cos’è la “protezione speciale”, che il governo vorrebbe abolire?

In Italia il diritto di asilo è garantito dall’art.10 comma 3 della Costituzione:

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Quando una persona straniera entra nel nostro paese, può provare ad ottenere la “protezione internazionale” in tre modi:

  1. Attraverso asilo politico, se teme di subire una persecuzione personale nel proprio paese.
  2. Attraverso la protezione sussidiaria, se teme di subire un danno grave nel proprio paese (come la morte o la tortura).
  3. Attraverso la protezione speciale, se questa persona è stata discriminata nel proprio paese per: etnia, religione, orientamento sessuale, opinioni politiche. Si teme che tornando si rischierebbe non la propria vita, ma una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata o familiare.

Quest’ultima categoria è molto più ampia rispetto alle precedenti. Nel 2022, i beneficiari della protezione speciale sono stati in tutto 10.865, circa uno su due dei permessi di asilo rilasciati. Un numero più elevato rispetto alle altre due tipologie.

Arrivano le proteste: la “protezione speciale” non esiste solo in Italia

Ho come obiettivo l’eliminazione della protezione speciale, perché si tratta di un’ulteriore protezione rispetto a quello che accade al resto d’Europa.

Questo sono le parole della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ritiene questa norma come un “unicum” italiano. Per la Lega di Salvini, è veicolo solo di «situazioni attrattive per l’immigrazione, che bisogna  azzerare».

Ma in realtà questa protezione, che in Italia spetta ai richiedenti asilo che non hanno le caratteristiche per ottenere né lo status di rifugiato né la protezione sussidiaria, è uno strumento presente e utilizzato anche in altri Stati.

Come ricorda Filippo Miraglia, vicepresidente e responsabile immigrazione dell’Arci, nell’UE ci sono 18 paesi su 27 che vantano una forma di protezione complementare a questa. Tra questi menzioniamo: la Francia, la Germania, il Regno Unito, la Spagna, il Belgio, la Croazia, la Danimarca, l’Estonia, la Finlandia, la Grecia, la Lettonia, la Lituania, la Polonia, il Portogallo, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Svezia, l’Ungheria. Ciò che cambia è solo la denominazione della norma e forse il fatto che vengano utilizzate queste protezioni più concretamente.

La segretaria del PD, Elly Schlein, ritiene che il tentativo del governo di abolire la protezione speciale sia una «vergogna» e aggiunge:

Siamo fermamente contrari e continueremo a batterci, affinché le politiche migratorie siano in linea con i diritti internazionali, con le carte internazionali a partire da quella di Ginevra sui diritti delle rifugiate e dei rifugiati. Abbiamo una posizione molto netta su questo!

Cosa prevede la rimozione e a cosa porterebbe?

Il numero di migranti in arrivo sicuramente non diminuirebbe, poiché non tutti conoscono queste differenze di status. Quello su cui si potrebbe influire è il numero di migranti che oggi in Italia vivono in modo regolare. Togliere questa protezione renderebbe migranti irregolari tutte quelle persone che ad oggi nel nostro paese hanno la possibilità di lavorare regolarmente, di inserirsi in circuiti di accoglienza, di imparare la lingua, di affittare case e molto altro.

I richiedenti asilo non saranno più ospitati nel Sistema accoglienza integrazione (Sai), che verrà riservato solo a chi ha già ottenuto lo status di rifugiato. L’hotspot di Lampedusa sarà affidato alla Croce Rossa Italiana. Verrà aggiunto un traghetto di collegamento con la Sicilia per trasferire i migranti che arriveranno sull’isola. I permessi di soggiorno per protezione speciale concessi per calamità o/e per cure mediche non potranno essere più convertiti in permessi di soggiorno per motivi di lavoro, ma queste sono solo alcune delle previsioni ancora oggetto di discussione.

In teoria, tutti questi migranti, risultando così irregolari, potrebbero essere rimpatriati, ma nella pratica i numeri dei rimpatri sono spesso molto bassi. Probabilmente, il loro destino sarà l’abbandono sul nostro territorio, in uno status di individui senza diritti e con il rischio di venire sfruttati. Sarebbe questo un grande passo indietro, invece che in avanti. In sostanza, il numero di migranti irregolari anziché diminuire, aumenterebbe. Potremmo dire che questa non sia proprio una soluzione efficace al problema dell’immigrazione. Ma quale sarà il responso? Staremo a vedere.

    Marta Ferrato

Approvato il progetto del ponte sullo stretto, opera strategica… o forse no

Lo scorso 16 marzo il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto per riesumare la Società Stretto di Messina S.P.A. e dare il via alla realizzazione del fatidico ponte sullo stretto. La società è nata nel 1981, ma solo nel 2003 aprì il suo primo cantiere con il governo Berlusconi, per poi essere bloccata dopo 10 anni dal governo Monti, che decise di metterla in stato di liquidazione.

Tempo fa ci eravamo chiesti che fine avesse fatto questo progetto sul ponte e forse adesso avremo una risposta. Non c’è ancora un programma ufficiale, poiché verrà perfezionato entro e non oltre il 31 luglio 2024. Solo in seguito partirà l’opera, almeno secondo quanto dichiarato dal governo Meloni. Un ponte di circa 3,2 chilometri a campata unica tra Villa San Giovanni e Messina, nelle le relative zone di Cannitello e Ganzirri, dovrebbe emergere per rivoluzionare il nostro paese, ma sarà davvero così?

Ponte sullo stretto: una vita tormentata tra le diverse reazioni politiche

Dopo cinquant’anni di chiacchiere, questo Consiglio dei Ministri approva il ponte a campata unica, il quale unisce la Sicilia all’Italia e al resto dell’Europa.

Il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, la definisce come una delle opere più green al mondo, un vero e proprio «gioiello dell’ingegneria italiana nel mondo». Anche Berlusconi, che 20 anni fa aveva stanziato 30 milioni di euro per l’apertura di un primo cantiere fallendo miseramente, si dichiara entusiasta:

Questo è un progetto che rappresenta l’idea di un futuro che abbiamo sempre avuto. Questa volta non ci fermeremo!

L’Unione Europea con Adina Valean, commissaria europea per i Trasporti, aveva già in precedenza teso un mano per la realizzazione del progetto. Dichiarandosi disponibile a finanziarne la prima parte, in attesa di un «progetto solido». Mentre le dichiarazioni da parte di Giuseppe Provenzano, vicepresidente dei deputati del PD, sono differenti:

Un ponte immaginario (e salvo intese), per far passare l’autonomia differenziata che frantuma l’Italia e affossa il Mezzogiorno.

Ponte sullo stretto: tra vantaggi e sfide

Ci chiediamo tutti se questa possa essere la volta buona, dopo mille progetti e promesse. Prima di tutto, però, bisognerebbe partire dalle basi, guardare ai costi ed ai possibili benefici economici. Ad oggi, il ponte – pur non esistendo ancora – è già costato tanto. Lo Stato si trova, ad esempio, a dover adempiere a delle richieste di risarcimento pendenti da parte di alcune società e il costo delle sue casse potrebbe salire a circa 1,2 miliardi. Ad esempio, Eurolink (società che aveva vinto l’appalto per la costruzione nel 2005) chiede oggi 657 milioni di euro, per illegittimo recesso. La mancanza di un collegamento stabile costa alla Sicilia 6,5 miliardi di euro annui. Invece, il costo previsto per la realizzazione del ponte è di 7 miliardi di euro complessivi, di cui 3 per l’opera e 4 per i servizi aggiuntivi.

Il ponte dovrebbe essere a sei carreggiate e porterebbe dei vantaggi anche in termini di trasporti ferroviari. Negli ultimi anni, grazie anche al PNRR, sono stati stanziati 25 miliardi per potenziare le infrastrutture ferroviarie e stradali tra Sicilia e Calabria. Il ponte renderebbe il viaggio verso la Sicilia, dal resto della penisola e non solo, più facile da raggiungere in treno.

Ad esempio, secondo alcune stime, la tratta Roma-Messina che oggi dura otto ore, si ridurrebbe a quattro. Si parla anche di maggiore occupazione che esso porterebbe, con la creazione di 150 mila posti di lavoro. Si parla di una riduzione delle emissioni di anidride carbonica (di circa 312.000 tonnellate). Ma si pensi anche ai traghetti che percorrono ogni anno lo stretto 95.600 volte, contribuendo così all’inquinamento.

Ma dall’altro lato non mancano le sfide progettuali, poiché lo stretto di Messina è un’area soggetta ad alta sismicità. In più, il tratto di mare arriva fino a 250 metri di profondità, quindi i piloni del ponte non possono essere costruiti nel tratto centrale. La distanza da collegare è molta e le faglie geologiche sono in continuo movimento, tra raffiche di vento e forti correnti.

Ma sicuramente bisognerà andar contro ogni tipo di corruzione e fenomeno mafioso, pericoli non solo appartenenti al Mezzogiorno.

Non sono tutte rose e fiori: per molti quest’opera è una “minaccia”

Un’opera fallimentare, che porterebbe elevatissimi ed insostenibili costi ambientali, sociali ed e economico-finanziari.

Questo è quanto dichiara il WWF Italia, che più volte si è pronunciato sul tema. Non ritengono che questa possa essere un progetto“green”, anzi, secondo l’ONG bisognerebbe porci sopra una pietra tombale. Ma le preoccupazioni non vengono a mancare, soprattutto dai cittadini delle aree interessate: molti siciliani si chiedono come e dove avverrà la localizzazione e l’estensione dei 30 cantieri previsti, da Contesse a Torre Faro.

Da pochi giorni si è formato un comitato di opposizione al collegamento stabile tra Sicilia e Calabria. Si tratta del Comitato No Ponte Capo Peloro, che si sta impegnando a diffondere, tramite social e assiduo volantinaggio, tutte quelle informazioni finora strette nell’ombra. Come si legge in una loro nota:

Il comitato nasce per cercare di svolgere un lavoro di informazione e contro-informazione su di un’opera che minaccia di travolgere case, terreni, attività produttive, la nostra stessa vita quotidiana e di cui purtroppo non si ha ancora piena consapevolezza.

La preoccupazione, secondo il Comitato, è che l’alterazione dell’assetto ambientale potrebbe mettere a dura prova anche lo splendido lago di Ganzirri. Questi dubbi e perplessità di certo non sono gli unici e nemmeno i primi. Nel sentire generale c’è entusiasmo, ma c’è la possibilità che anche queste parole che ancora sono al vento (e nonostante l’approvazione) rimangano fiato sprecato.

 

Marta Ferrato

Manovra finanziaria 2023 del governo Meloni: stanziati 35 miliardi

Dopo poco più di un mese dall’insediamento del nuovo governo guidato da Giorgia Meloni iniziano i primi bilanci sul futuro del nostro paese. Lo scorso 21 novembre il Consiglio dei ministri si è riunito a Palazzo Chigi per approvare, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, il disegno di legge recante il bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e il bilancio pluriennale per il triennio 20232025.

Il testo del decreto ancora non è presente per intero, però possiamo cogliere alcune delle tematiche  trattate tramite le parole pronunciate in conferenza stampa dalla premier Meloni, che ritiene questa manovra economica «importante e coraggiosa» affinché l’Italia possa «tornare a correre». Il documento deve essere ancora approvato da ambo le camere prima della fine dell’anno; da quel momento capiremo in che direzione i nostri rappresentanti vorranno condurre il paese.

Dalla teoria alla pratica: STOP al reddito di cittadinanza dal 2024

Fonte: Money.it

«Lo Stato si deve occupare delle persone aiutandole a trovare un lavoro, non mantenendole all’infinito nella loro condizione».

Queste le parole della Meloni su una delle più centrali tematiche nei programmi di riforma dei partiti di centro-destra, ovvero il Reddito di cittadinanza. Tale misura, voluta dal Movimento 5 Stelle durante il primo governo Conte, per una politica attiva nel lavoro per il contrasto della povertà e disuguaglianza, tra poco più di un anno sarà totalmente abolita.

Infatti, dal primo gennaio 2024 chi potrà lavorare, i cosiddetti “occupabili”, perderà completamente questo beneficio. Mentre per chi non potrà lavorare come disabili, anziani e donne in gravidanza, verrà rivisto. Ci sarà per loro un sussidio economico ma con diverse modalità.

«Noi abbiamo sempre detto che il Reddito di cittadinanza era una misura sbagliata, perché uno Stato giusto non mette sullo stesso piano dell’assistenza chi può lavorare e chi non può farlo».

Il Reddito sarà abolito per chi è in condizioni di lavorare alla fine del 2023. Quindi, la paura per molti è che venga tolto senza offrire un’alternativa. Ma sembrerebbe che ancora nell’imminente nuovo anno, chi non potrà lavorare, in quanto soggetto fragile, continuerà a riceverlo come in questi ultimi anni. Per tutti coloro definiti “abili al lavoro tra i 18 e i 59 anni”, che non hanno nel nucleo familiare disabili, minori o persone a carico con almeno 60 anni d’età, entreranno in vigore alcune modifiche. Infatti, il Reddito non potrà essere percepito per più di otto mesi e salterà al primo rifiuto di un’offerta di lavoro. Inoltre, per agevolare fino al 2024 l’ingresso nel mondo del lavoro, sono stati previsti corsi di formazione e altre iniziative.

Allarme caro energia: stanziati 21 miliardi 

La crisi energetica incombe sullo scenario nazionale e internazionale e la guerra in Ucraina è una delle cause. Ad esempio, nel nostro paese circa il 46% del gas utilizzato arriva dalla Russia, per poi produrre circa il 60% dell’energia. È chiaro che questa dipendenza ha portato a delle forti conseguenze, come il caro dei costi sulle bollette.

La premier Meloni in conferenza, Fonte: Leggo.it

«Come avevamo promesso la voce maggiore di spesa di questa manovra di bilancio riguarda il tema del caro bollette. Su una manovra complessiva di 35 miliardi, i provvedimenti destinanti al caro energia sono circa 21 miliardi di euro».

Sul versante delle imprese è stata confermata l’eliminazione degli oneri impropri delle bollette. Si prevede un rifinanziamento fino al 30 marzo 2023 del Credito d’imposta per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale. «Noi confermiamo e aumentiamo i crediti d’imposta- dichiara la Meloni- che passano dal 40% al 45% per le aziende energivore e gasivore», mentre per bar, ristoranti ed esercizi commerciali  «passeranno dal 30% al 35%». Per il comparto sanità e per gli enti locali, compreso il trasporto pubblico locale, vengono stanziati circa 3,1 miliardi.
Sempre su questo tema a sostegno delle famiglie, lo Stato vuole intervenire con un “bonus sociale bollette”. La platea si allarga e la misura si concretizza sui nuclei più bisognosi, così viene innalzata la soglia ISEE da 12.000 euro a 15.000 euro.

La legge di bilancio e le decisioni d’impatto fiscale 

Questo disegno di legge per il 2023 riporta tre misure che riguardano prettamente le tasse:

  1. Espansione del tetto per il regime forfettario delle partite IVA 
  2. Taglio al cuneo fiscale
  3. Tregua fiscale, condono che prevede la cancellazione di cartelle esattoriali inviate prima del 2015.

Nella manovra si parla di Flat tax come l’equivalente di “tasse piatte”. La più dibattuta è quella che riguarda l’aumento della soglia di ricavi o compensi per i beneficiari del regime agevolato della partita IVA. Quel regime che attualmente permette di versare le tasse con una quota fissa o piatta del 15%. Ad oggi, la soglia sta a 65 mila euro annui, ma con la legge di Bilancio verrebbe alzata a 85 mila euro, per giungere a 100 mila euro nel 2025. Sarà così?

Per quanto riguarda la tregua fiscale, le cartelle esattoriali (atti con i quali la pubblica amministrazione intima ai contribuenti di pagare cifre non ancora pagate) saranno cancellate a due condizioni:

  • In primo luogo, queste devono risalire ad un periodo antecedente al 2015
  • In secondo luogo, devono essere di un importo di massimo mille euro 

Per la riduzione del cuneo fiscale, ovvero delle tasse che il singolo lavoratore paga allo Stato ogni mese in detrazione dal proprio stipendio, la manovra stanzia 4,2 miliardi per aumentare le buste paga dei dipendenti con redditi medio-bassi.

Aiuti mirati con Quota “103” per le pensioni, famiglie e natalità  

In materia di pensioni il decreto prevede l’avvio di un nuovo schema di anticipo pensionistico, che possa consentire di andare in pensione con 41 anni di contributi e 62 anni di età anagrafica e non gli attuali 67. Da “Quota 100” si lasserebbe a “Quota 103”, un punto caro al vicepremier e ministro delle infrastrutture, Matteo Salvini, il quale ha aggiunto che “chi rimarrà a lavoro beneficerà del 10% in più di stipendio”.

Il ministro dell’Economia Giorgetti insieme alla premier, Fonte: QuiFinanza

Il ministro dell’Economia Giorgetti ha dichiarato anche che «la più grande riforma delle pensioni è quella che premia la natalità». Infatti, per le famiglie sono previste maggiorazioni sull’assegno unico per i figli, l’aggiunta di un mese di congedo parentale facoltativo retribuito all’80% e utilizzabile fino al sesto anno di vita del bambino.

Queste certo sono solo alcune delle tematiche affrontate in conferenza stampa. «In tanti si aspettavano- dichiara il ministro Giorgetti- che facessimo un po’ di follie, mega-scostamenti di bilancio, così non è stato. Anzi abbiamo avuto coraggio anche su scelte impopolari». In un paese come l’Italia in cui l’economia è stagnante, i tassi di disoccupazione sono esorbitanti, queste scelte saranno quelle giuste? Verranno portate a termine?

Marta Ferrato