Il caso Almasri: omertà di Stato o fallimento della giustizia?

Il caso di Najeem Osama Almasri, noto come Almasri, ha acceso un vivace dibattito in Italia e a livello internazionale. La sua vicenda coinvolge questioni di giustizia internazionale, relazioni diplomatiche e polemiche politiche interne. L’arresto, la scarcerazione e il successivo rimpatrio in Libia hanno sollevato interrogativi sull’efficacia delle istituzioni giuridiche sovranazionali e sulle scelte strategiche del governo italiano.

Chi è Almasri?

Najeem Osama Almasri  è generale libico e capo della polizia giudiziaria nel paese nordafricano.

Figura controversa, è accusato dalla Corte Penale Internazionale (CPI) di crimini contro l’umanità, tra cui torture, stupri e omicidi perpetrati nel carcere di Mittiga, vicino a Tripoli.

Il carcere di Mittiga è noto per essere stato il teatro di abusi sistematici sui detenuti in cui Almasri ha un ruolo di primo piano nella gestione di queste atrocità dal 2011 in poi.  Dai documenti dell’Aia, è emerso che le vittime sono almeno 34 persone uccise e un bimbo violentato.

L’arresto, la liberazione e il rimpatrio

Prima del suo arresto in Italia, Almasri ha viaggiato in diversi paesi europei, tra cui Francia e Germania.

Il 19 gennaio 2025, Almasri è arrestato dalla Digos a Torino, in seguito a un mandato di cattura internazionale emesso dalla CPI. La sua presenza in Italia è rimasta per lo più ignota fino al momento dell’arresto.

Solo due giorni dopo l’arresto, il 21 gennaio 2025, la Corte d’Appello di Roma ha disposto la liberazione di Almasri.

La Corte stabilisce che l’arresto è stato effettuato in maniera irrituale, in quanto la Corte penale internazionale non aveva trasmesso tempestivamente gli atti al Guardasigilli, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, come previsto dalla procedura. La Corte d’Appello ha sottolineato che, pur essendo stato informato delle circostanze il 20 gennaio scorso, il ministro non ha richiesto alcuna azione a riguardo, determinando così l’illegittimità dell’arresto.

Dopo il rilascio, Almasri è immediatamente rimpatriato in Libia con un volo organizzato dalle autorità italiane. Atterrato a Tripoli, viene accolto come un eroe, sollevando ulteriori critiche sulla gestione del caso.

 

Almasri
Almasri accolto il Libia. Fonte: associazionemagistrati.it

Le reazioni e le polemiche

La decisione di liberare e rimpatriare Almasri ha scatenato forti reazioni a livello politico e mediatico. Le opposizioni italiane accusano il governo di aver favorito un criminale di guerra per mantenere rapporti strategici con la Libia, in particolare sul delicato tema del controllo dei flussi migratori. Diverse organizzazioni per i diritti umani hanno espresso indignazione per il fatto che un uomo accusato di crimini così gravi sia stato liberato senza un regolare processo e senza un’adeguata collaborazione con la CPI.

Anche la Corte Penale Internazionale ha reagito con durezza. La sua portavoce ha dichiarato che la liberazione di Almasri è avvenuta senza la dovuta consultazione, mettendo in discussione il rispetto degli impegni internazionali da parte dell’Italia. Questo episodio ha alimentato il dibattito sulla capacità della CPI di far valere i propri mandati di arresto, già spesso ostacolati da questioni politiche e diplomatiche.

Implicazioni politiche e diplomatiche

Il caso Almasri ha avuto ripercussioni sulle relazioni tra Italia e Libia, un paese con cui il governo italiano mantiene rapporti complessi, soprattutto in materia di sicurezza e migrazione. Alcuni osservatori ritengono che la decisione di rimpatriare il generale libico sia influenzata dalla necessità di non compromettere gli accordi bilaterali in essere, specialmente quelli relativi al contrasto dell’immigrazione clandestina.

Tuttavia, questa scelta ha sollevato interrogativi sul rispetto dei diritti umani e sulla coerenza della politica estera italiana. Il governo difende la propria posizione, sostenendo che l’arresto è eseguito in maniera impropria e che, la liberazione, è conseguenza necessaria per rispettare le procedure legali italiane. Ma per molti critici, questa vicenda evidenzia un problema più ampio: la difficoltà di far rispettare la giustizia internazionale in un contesto geopolitico in cui le alleanze strategiche spesso prevalgono sulla tutela dei diritti umani.

L’indagine della Procura di Roma

Il rilascio di Almasri ha portato all’apertura di un’inchiesta nei confronti di alcuni membri del governo italiano. Tra i nomi coinvolti figurano la premier Giorgia Meloni, il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, tutti indagati per favoreggiamento e peculato. L’inchiesta ha evidenziato possibili irregolarità nella gestione del mandato d’arresto e nella decisione di rimpatriare Almasri senza un regolare processo di estradizione.

Parallelamente, il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) sta valutando una pratica a tutela del procuratore di Roma, Francesco Lo Voi, il quale ha ricevuto critiche dalla premier Meloni in merito alla gestione del caso. Questo ha acceso ulteriormente il dibattito sul rapporto tra il governo e la magistratura, già teso su altri fronti.

 

Almasri
I ministri Nordio e Piantedosi in aula. Fonte: euractiv.it

 

Questo scenario apre una serie di quesiti giuridici e diplomatici: la giustizia italiana ha agito nel rispetto del diritto internazionale? E, soprattutto, che conseguenze avrà questa vicenda sulla credibilità dell’Italia nei rapporti con la comunità internazionale?

Il caso Almasri rimane un nodo irrisolto tra giustizia, diplomazia e interessi nazionali. Resta da vedere se l’indagine avviata in Italia porterà a nuove rivelazioni o se il caso Almasri diventerà l’ennesimo esempio di giustizia negata in nome della realpolitik.

Gaetano Aspa

Giustizia Smart, concluso il primo seminario al dipartimento di Giurisprudenza di Palermo. UniMe presente.

Si è tenuto giorno 3 marzo 2023 il primo seminario del progetto Giustizia Smart: Strumenti e Modelli per ottimizzare il lavoro dei giudici, che vede coinvolte 5 delle Università delle Isole

L’evento, svoltosi nella suggestiva cornice dell’Aula Magna del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo, è stato introdotto dai saluti istituzionali del Prof. Armando Plaia, Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza UniPa, del Prof. Davide Galli e del Dott. Ettore Sala e prosegue con gli interventi dei presidenti delle Corti d’appello delle città di Palermo, Messina, Catania, Cagliari, Sassari e Caltanissetta.

Il punto della situazione con i Presidenti delle Corti d’Appello della Macroarea 6

Nel suo intervento, il Presidente della Corte d’Appello di Palermo, S.E. Dott. Matteo Frasca ha voluto chiarire con estrema sincerità ed in modo molto esplicito quali sono, al momento, le criticità degli Uffici Giudiziari, affermando che «la sinergia tra accademia e giurisdizione è fondamentale».

Gli obiettivi del progetto mirano ad una riduzione dell’arretrato del 50% per le Corti d’Appello e del 65% per i Tribunali entro il 2024, obiettivo più volte definito ambizioso da parte dei Presidenti.Ci si domanda infatti quali siano stati i parametri di valutazione, utilizzati dal legislatore, per la definizione di questi obiettivi.

Per Frasca non ci sono dubbi: Il vero problema della giurisdizione italiana è quello dell’arretrato. Se non ci fosse arretrato ci si potrebbe concentrare di più sull’ottimizzazione dei tempi ed accorciare il periodo necessario per la definizione dei provvedimenti, ma soprattutto è importante fare attenzione ai numeri riportati dagli uffici statistici. Le parole del Presidente Frasca sono condivise anche dal Dott. Alessandro Castello della Corte d’Appello di Cagliari.  Egli infatti definisce l’arretrato civile «un vero macigno» e ritiene il progetto una grande iniziativa ed il principio di un grande sviluppo per il mondo giuridico.

Anche il Presidente Filippo Pennisi della Corte d’appello di Catania nel suo intervento afferma che «l’esigenza di fare presto e di fare bene sono due parole che devono sempre risuonare all’interno del progetto. Rischiamo, se siamo troppo astratti, di non riuscire a identificare i problemi». Nel suo intervento, il Presidente Sebastiano Neri, della Corte d’Appello di Messina, ammette che «il rischio è che per fare presto, si possa non fare bene» ma fiducioso sullo sviluppo del progetto, è «convinto che il percorso intrapreso, sia un percorso di grande utilità», e ringrazia il Prorettore Vicario dell’Università di Messina, Prof.re Giovanni Moschella e la Prof.ssa Maria Astone per l’interesse e l’impegno nel portare avanti il progetto con l’aiuto di numerosi assegnisti e borsisti.

Nel corso del progetto è emerso che all’interno dell’UPP (Ufficio per il Processo) c’è un’oggettiva mancanza di professionalità dettata soprattutto da una mancata definizione del lavoro dell’addetto all’UPP, in cui molti si sono preparati da soli, calibrando questo nuovo organo più ad uffici di primo grado, come i tribunali, piuttosto che alla Corte d’Appello. Sempre nell’ambito del modello organizzativo dell’UPP si pronuncia anche la Presidente S.E. Dott.ssa Maria Grazia Vagliasindi, promuovendo l’acquisizione di una cultura di Staff all’interno degli Uffici Giudiziari per risolvere le problematiche relative all’organizzazione, ribadendo che «amministrazione e giurisdizione servono un’unica platea!».

L’evento prosegue con due Panel con interventi da parte di un relatore per ogni università,

Primo Panel – Linee d’azione

Introduce il primo panel, il Prof. Enrico Camilleri, ordinario di Diritto privato del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo, responsabile della MacroArea 6 del progetto Giustizia Smart che, dopo i ringraziamenti per questo primo seminario, condivide con i partecipanti delle idee per il potenziamento del modello organizzativo dell’UPP, confrontandolo con dei modelli di benchmark utilizzati in ambito bancario e finanziario. Modernizzazione, massimazione delle sentenze e formazione sono gli aspetti cardine per il progresso dell’UPP, ma in questo momento la massimazione e la formazione non sono prioritari allo stato dell’arte, ma «sono terreno di proiezione dei nostri sforzi e dei risultati del nostro progetto», e concludendo l’intervento affermando che sempre più professionalità sono richieste all’interno degli Uffici Giudiziari, tra cui ingegneri gestionali e statistici.

Per il distretto di Messina, interviene il Prof.re Massimo Villari, ordinario di Informatica presso l’Università di Messina, che ribadisce l’importanza dell’utilizzo di tecnologie open source per organizzare al meglio gli uffici giudiziari e per semplificare il lavoro degli avvocati e dei giudici attraverso nuovi strumenti che consentono di affiancare alla mole di lavoro che investe i magistrati e funzionari il supporto dell’intelligenza artificiale. Tutto questo, facendo particolarmente attenzione ai dati sensibili, presentando un modello, in fase di sviluppo che permetterà di ottenere documenti totalmente anonimi in tempi rapidissimi.

Secondo panel – Stato di avanzamento, assetto organizzativo

Nel secondo panel, dopo la pausa pranzo, interviene per l’Università di Messina la Prof.ssa Maria Astone, Responsabile Scientifico del progetto e ordinario di Giurisprudenza ad UniMe, presentando le iniziative e le strategie adottate nel distretto di messina per ridurre l’arretrato e migliorare il rendimento dell’UPP, attraverso la valutazione degli uffici giudiziari con il supporto della piattaforma in fase di sviluppo da parte del team informatico. Particolare attenzione è stata prestata dal team degli avvocati ai casi studio, cercando di individuare le affinità tra i diversi casi, prendendo in analisi gli schemi di provvedimento.

Conclusioni

L’evento si conclude con i saluti di Scaletta che dà la parola al Capo Ispettorato Generale del Ministero della Giustizia, Presidente Maria Rosaria Covelli la quale dichiara che «Il ministero non ha mai fatto un’analisi così attenta degli uffici giudiziari» e ringraziando tutte le università per il lavoro svolto. Un profilo molto importante è quello della formazione. 

«La grande attività che state portando avanti, genera formazione per i futuri addetti ai lavori. I benefici sono numerosi: ricerca dell’università, ricerca mirata alla giurisprudenza italiana e tutto ciò ha portato confronto tra le università, tra i diversi dipartimenti, e tra gli studenti. E’ un sapere organizzativo che rimarrà!»

Sulle note di quanto detto dagli altri Presidenti delle Corti d’Appello, intervenuti ad inizio giornata: «se non si elimina l’arretrato, la giustizia civile non splenderà mai», e conclude augurando una buona continuazione dei lavori a questa magnifica task force.

Il caso Cospito torna a far discutere su 41-bis ed ergastolo ostativo

Cospito oggi. Fonte: Open

Negli ultimi giorni, la questione dello sciopero della fame intrapreso dall’anarchico Alfredo Cospito, al 41-bis (“carcere duro”) ormai dallo scorso maggio, ha rianimato il dibattito sulla legittimità del cosiddetto “ergastolo ostativo”, previsto dall’articolo 4-bis della Legge sull’ordinamento penitenziario del 1975.

In particolare, le disperate condizioni in cui riversa Cospito hanno fatto auspicare per un trasferimento (che è avvenuto nei giorni scorsi) in una struttura carceraria adatta ad affrontare situazioni di emergenza, quale il carcere di Opera in provincia di Milano.

Nel frattempo, numerosissimi appartenenti alla Federazione anarchica informale (FAI), ma anche semplici manifestanti, hanno dato inizio nelle piazze di tutt’Italia a delle proteste più o meno violente richiedendo la fine del regime di 41-bis per il detenuto. Su tale possibilità, in base al reclamo mosso dai difensori di Cospito, il Tribunale di Torino si è già espresso negativamente. Adesso, gli atti giacciono in Cassazione, in attesa che questa si pronunci sul ricorso mosso in seguito al rigetto del Tribunale, in un’udienza fatidica prevista per il 7 marzo.

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Le ragioni dello sciopero: 1. Ergastolo ostativo

Cospito, in prigione dal 2013 per diverso reato, rischia di incorrere nella pena dell’ergastolo ostativo per un capo d’imputazione che gli è stato contestato durante la reclusione: un delitto di strage politica commesso in una notte del giugno 2006, quando vennero posizionati due pacchi bomba davanti alla scuola allievi dei carabinieri di Fossano, a Cuneo.

Fonte: Robert Crow

Secondo le ricostruzioni, la prima esplosione sarebbe stata ideata per attirare gli ufficiali e la seconda (contenente anche chiodi ad altro tipo di oggetti offensivi) avrebbe dovuto raggiungere quanti si fossero radunati. Eppure, quella notte non vi furono né morti né feriti.

In primo grado, la condanna era stata per strage semplice che, in assenza di morti, prevede una pena comunque superiore a quindici anni. Tuttavia, i successivi gradi di giudizio hanno ribaltato la decisione, qualificando il reato commesso come delitto di strage politica, la quale, a prescindere dalla presenza di morti, viene punita con la pena dell’ergastolo ostativo.

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]L’ergastolo ostativo comporta che l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione possano essere concesse al detenuto solo nel caso in cui collabori con la giustizia o, a partire dal 2022, nel caso in cui sussistano elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, o la collaborazione sia impossibile o irrilevante.[/box]

L’ultima parola spetta adesso alla Corte d’Appello di Torino che, su sollecitazione della Cassazione, dovrà decidere sull’inasprimento della pena da riservare a Cospito. Queste le parole dell’imputato all’ultima udienza che ha sostenuto:

La magistratura italiana ha deciso che troppo sovversivo non potevo avere più la possibilità di rivedere le stelle, la libertà, si è preferito l’ergastolo ostativo, che non ho dubbio mi darete, con l’assurda accusa di aver commesso una strage politica per due attentati dimostrativi in piena notte, in luoghi deserti, che non dovevano e non potevano ferire o uccidere nessuno.

Le ragioni dello sciopero: 2. Carcere duro

E tuttavia, per applicare il regime previsto dall’articolo 41-bis della Legge sull’ordinamento penitenziario non è necessaria una condanna definitiva. Anzi, in virtù della sua funzione preventiva, esso fu introdotto (come lo conosciamo oggi) dopo le stragi di Capaci e di Via D’Amelio per impedire ai vertici delle associazioni mafiose di intrattenere rapporti coi rispettivi membri e di dettare a questi ultimi ordini dal carcere.

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””] Il 41-bis viene applicato con decreto motivato del Ministro della Giustizia e prevede la sospensione delle ordinarie regole di trattamento dei detenuti, con conseguenti limitazioni della sfera sociale del detenuto nonché dei suoi spazi, delle sue corrispondenze, addirittura delle attività di studio o lavorative.[/box]

A tal proposito, afferma a Il Post Carmelo Musumeci (ex detenuto al carcere duro ed oggi scrittore):

Fonte: FE Week

La mia salvezza è stata studiare, ha assorbito tutte le mie forze. Ma al 41-bis è difficile anche quello, che è invece uno strumento unico e fondamentale per il recupero alla vita civile, che poi dovrebbe essere uno degli obiettivi del carcere.

Nel caso di Cospito, l’ex Ministro della Giustizia Marta Cartabia ritenne di applicare tale misura in virtù delle corrispondenze intrattenute da quest’ultimo con permesso, che finivano per essere pubblicate su delle riviste di stampa anarchica. Secondo Cartabia, infatti, Cospito «istigava esplicitamente a continuare la lotta contro il dominio, particolarmente con mezzi violenti ritenuti più efficaci».

Ma secondo i difensori, sarebbe bastato attuare un controllo più stretto sulla corrispondenza o emettere uno specifico provvedimento per quello specifico reato. Avrebbe rilievo anche la struttura organizzativa della FAI: trattandosi di un’organizzazione orizzontale dotata di diverse cellule eversive che agiscono autonomamente, sarebbe una forzatura vedere Cospito come “vertice” dell’associazione stessa.

A questo punto, ammessa e non concessa l’offensività dei suoi interventi in stampa nei confronti dell’ordine pubblico, risulterebbe comunque difficile giustificare le ragioni di un tale trattamento che, di solito, viene riservato ai soli elementi di spicco dei clan mafiosi.

41-bis ed ergastolo ostativo: male necessario o strumenti di ubbidienza?

Se la funzione principale della sanzione penale (come immaginata dai Padri costituenti) mira ancora, nell’immaginario collettivo, ad una qualsivoglia rieducazione del condannato, dobbiamo ammettere che nessuna delle due misure risulta compatibile con un tale obiettivo: vuoi perché il totale isolamento risulta antitetico al fine di reinserimento sociale; vuoi perché in alcuni casi la rieducazione non risulta possibile a causa delle circostanze.

E allora bisogna chiedersi se i due istituti rappresentino un “male necessario” di cui la società non può fare a meno o se, piuttosto, (come anche ipotizzato da chi auspica ad un uso limitato di questi strumenti), non rispondano più ad un’esigenza di ritorsioneintimidazione da parte dello Stato nei confronti di chi lo metta in discussione. Se però così fosse, non possiamo escludere la futura possibilità di una configurazione di alcuni istituti penali ispirati al principio dell’ubbidienza, all’adesione (sanzionata) a modelli comportamentali.

E, dopotutto, legare la libertà personale di un soggetto – per quanto colpevole – al solo atteggiamento psicologico della collaborazione, della redenzione nei confronti dello Stato, senza tener conto (com’è stato prima del 2022) delle possibili circostanze che spingano eventualmente il soggetto a non collaborare, rischia di rendere la funzione rieducativa una mera comodità nelle mani di tutti quei pentiti che hanno scelto di collaborare per mere ragioni utilitaristiche, anziché per sincero ravvedimento.

Valeria Bonaccorso

Votazioni: affluenza bassa alle #EleMe2022, precipita il referendum giustizia. Ecco i primi risultati

Si sono chiuse ieri sera alle 23 le votazioni sui cinque quesiti del Referendum sulla giustizia promosso da Lega e Radicali. Al contempo, diversi comuni in tutta Italia (tra cui anche Messina) sono stati chiamati ad eleggere i nuovi rappresentati politici, tra cui sindaco, consiglieri comunali e rappresentanti di quartiere. Non sono mancate le problematiche: tra ritardi, file ed ore di attesa che hanno inciso sensibilmente sull’affluenza alle urne, soprattutto tra le fasce d’età più alte.

A Palermo, ben cinquanta seggi non hanno potuto aprire per via del ritiro all’ultimo minuto dei relativi presidenti di sezione e di centinaia di scrutatori. Solo nel pomeriggio di domenica sono stati trovati gli ultimi sostituti, ma il voto a quel punto era già stato irrimediabilmente intaccato. Il Comune di Palermo ha provveduto ad inviare alla procura i documenti relativi all’organizzazione del voto necessari all’avvio di un’indagine.

EleMe 2022, a che punto siamo?

Saranno 254 le sezioni che verranno scrutinate a partire dalle 14 di oggi. Diminuisce l’affluenza alle urne dei messinesi rispetto alle precedenti elezioni, ove si stimava al 65,01%, toccando il 55,64%. Il sindaco verrà dunque eletto da meno della metà dei cittadini, con un totale di 107mila votanti si 192mila. Bene Primo e Sesto quartiere con affluenza rispettivamente di 58,57% (11.126 votanti) e 57,75% (14.579). Superato il 50% anche negli altri quartieri:

  • Secondo Quartiere – 55,29% (14.002 votanti)
  • Terzo Quartiere – 55,64% (24.433 votanti)
  • Quarto Quartiere – 50,65% (20.845 votanti)
  • Quinto Quartiere – 56,35% (21.096 votanti)

Per il Referendum Montemare superato il quorum con il 51,59% degli aventi diritto (99.093 votanti). Tra le altre problematiche già riportate, sono stati lamentati anche dei cambi di sezione di tanti votanti: molte comunicazioni di cambio sezione inviate per posta ordinaria non sono arrivate e dunque i votanti si presentano nelle vecchie sezioni in cui non sono registrati (LetteraEmme).

Referendum giustizia, appena il 20,8% di affluenza

Nelle ultime ore, il Viminale ha diffuso i primi dati relativi ai risultati dei referendum. Appena il 20,8% degli aventi il diritto si è recato alle urne, divenendo la percentuale di affluenza ad un referendum più bassa nella storia della Repubblica. Infatti, nessuno dei cinque quesiti referendari promosso ha raggiunto il quorum (che necessitava il voto della maggioranza assoluta degli aventi il diritto, ossia il 50% + 1).

Le cinque schede colorate contenenti i quesiti referendari – Sandrino 14, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Nel tweet di YouTrend, l’affluenza relativa a ciascun quesito a livello nazionale (dati parziali).

Le ragioni di un tale risultato sono diverse: anzitutto, la complessità dei quesiti. Si trattava di scegliere su argomenti squisitamente giuridici, alcuni di questi particolarmente tecnici (come quelli riferiti alla composizione del Consiglio Superiore della Magistratura o alla separazione delle carriere di magistrato e pubblico ministero).

L’uso indiscriminato del referendum, negli ultimi 20 anni, è stato la causa di numerose sconfitte politiche (basti pensare a quella dell’ex premier Renzi nel 2016) che hanno contribuito ad allontanare il cittadino da questo strumento di democrazia diretta, se non addirittura a farglielo odiare.

Anche la poca informazione (e formazione) ha contribuito al risultato ottenuto. Infatti, solo nelle ultime settimane i mezzi d’informazione ed i social media hanno iniziato a parlare del Referendum, laddove sarebbe stato appropriato formare più accuratamente il popolo alle decisioni di estrema importanza che avrebbe dovuto prendere. Anche per questa ragione si sono sviluppate, negli ultimi tempi, delle correnti di boicottaggio delle votazioni: numerosi sono, ad esempio, i tweet sotto l’hashtag #NoQuorum, che invitavano – appunto – a boicottare le votazioni.

Dopotutto, le modalità di elezione dei membri togati del Csm, le modalità di valutazione della professionalità dei magistrati e la separazione delle funzioni sono anche oggetto della riforma Cartabia, ossia la riforma sulla Giustizia promossa dall’omonima Ministra Cartabia e che verrà votata in questa settimana al Senato (essendo già passata alla Camera).

D’altro canto, nei comuni dove contestualmente si votava per le amministrative, l’affluenza è riuscita a superare il 50%, secondo quanto riportato su Twitter da YouTrend (dati riferiti al Primo Quesito).

Referendum: i risultati nazionali e a Messina

RISULTATI NAZIONALI:

  • Primo Quesito – SÌ 53,97%, NO 46,03% (affluenza del 20,94%)
  • Secondo Quesito – SÌ 56,12%, NO 43,88% (affluenza del 20,93%)
  • Terzo Quesito – SÌ 74,01%, NO 25,99% (affluenza del 20,93%%)
  • Quarto Quesito – SÌ 71,94%, NO 28,06% (affluenza del 20,92%)
  • Quinto Quesito – SÌ 72,52%, NO 27,48% (affluenza del 20,92%)

RISULTATI NELLA CITTÀ METROPOLITANA DI MESSINA:

  • Primo Quesito – SÌ 50,99%, NO 49,01% (affluenza del 36,46%)
  • Secondo Quesito – SÌ 52,77%, NO 47,23% (affluenza del 36,44%)
  • Terzo Quesito – SÌ 67,33%, NO 32,67% (affluenza del 36,46%)
  • Quarto Quesito – SÌ 63,99%, NO 36,01% (affluenza del 36,45%)
  • Quinto Quesito – SÌ 65,32%, NO 34,68% (affluenza del 36,43%)

RISULTATI NEL COMUNE DI MESSINA:

  • Primo Quesito – SÌ 46,66%, NO 53,34% (affluenza del 52,37%)
  • Secondo Quesito – SÌ 48,47%, NO 51,53% (affluenza del 52,30%)
  • Terzo Quesito – SÌ 63,42%, NO 36,58% (affluenza del 52,37%)
  • Quarto Quesito – SÌ 59,44%, NO 40,56% (affluenza del 52,35%)
  • Quinto Quesito – SÌ 61,22%, NO 38,78% (affluenza del 52,29%)

Risulta evidente che (ai dati attuali), se fosse stato raggiunto il quorum tutti e cinque i quesiti sarebbero stati approvati. Intanto, il segretario della Lega Matteo Salvini ha ringraziato su Twitter i dieci milioni di italiani che ieri si sono recati alle urne:

Per il Comune di Messina si accresce l’affluenza generale (fino al 50% degli aventi il diritto) rispetto al precedente referendum costituzionale del 2020, a cui aveva partecipato solo il 31,67% degli aventi diritto.

Valeria Bonaccorso

1° maggio 1947: la strage di Portella della Ginestra

Oggi, 1° maggio, in quasi tutti gli Stati del mondo, si ricordano le rivendicazioni dei diritti dei lavoratori. Come spesso accade, la scelta della data non è casuale, ma è legata a dei precisi episodi.

Il 1° maggio del 1886, negli USA, viene proclamato uno sciopero generale con una grande partecipazione del movimento operaio; la richiesta principale è il pieno rispetto della riduzione ad 8 ore della giornata lavorativa.

Nella città di Chicago -dove l’adesione è vastissima- la polizia cerca di reprimere violentemente la manifestazione, con il risultato di esasperare ancora di più la protesta. Dopo quattro giorni di brutali scontri tra manifestanti e polizia, diversi sono i morti e i feriti, ricordati come i “martiri di Chicago” e protagonisti della rivolta di Haymarket.

Pochi anni dopo (1889), la Seconda Internazionale – riunita a Parigi – dà i natali alla Festa internazionale dei Lavoratori, in ricordo delle rivendicazioni operaie di Chicago.

La rivolta di Haymarket – Fonte: ilpost.it

La festa del Primo Maggio in Italia

Istituita nel 1891, nel nostro Paese è regolarmente celebrata fino al 1924, quando il governo Mussolini anticipa i festeggiamenti al 21 aprile che diviene ufficialmente il “Natale di Roma – Festa del lavoro”. Dopo la caduta del regime fascista e la fine della Seconda guerra mondiale, la Festa dei Lavoratori viene nuovamente celebrata il 1° maggio.

In Italia il primo maggio è senza alcun dubbio un giorno di celebrazione; in Sicilia, però, proprio in questo giorno di festa, si ricorda un terribile crimine: la strage di Portella della Ginestra.

La strage di Portella della Ginestra

In quel 1° maggio del 1947, nel palermitano e precisamente nel comune di Piana degli Albanesi, poco più di duemila lavoratori provenienti dalle zone limitrofe sono vittime di un agguato da parte del bandito Salvatore Giuliano e della sua banda.

I manifestanti, riuniti nella località di Portella della Ginestra, festeggiano il 1° maggio, manifestano contro il latifondo e celebrano la recente vittoria del Blocco del popolo (coalizione di sinistra guidata dal PCI e dal PSI) nelle prime elezioni regionali. La folla è improvvisamente colpita da una spaventosa pioggia di proiettili: 11 le vittime e 27 i feriti gravi. Dopo oltre 70 anni, la vicenda non è mai stata chiarita del tutto e le vittime non hanno ancora ricevuto giustizia.

Salvatore Giuliano è esclusivamente l’esecutore materiale di tale eccidio, ma i veri mandanti non sono tuttora identificati. Probabilmente è più corretto affermare che non si è mai voluto realmente cercare i veri colpevoli della strage; la giustizia si è fermata agli esecutori.

Il disprezzo di Giuliano nei confronti dei comunisti non convince nessuno, difatti le diverse interpretazioni della vicenda convergono su un punto: la complicità della mafia agraria e di una certa classe politica, legata al ceto dei grandi proprietari terrieri, interessate a colpire e spaventare i contadini di sinistra per conservare il vecchio sistema e bloccare ogni tentativo di rinnovamento sociale e politico, specie dopo il successo delle sinistre nelle elezioni regionali del 20 aprile del 1947.

Portella della Ginestra – Fonte: wikipedia.org

Salvatore Giuliano

Una delle poche certezze sembra essere quella del coinvolgimento della banda Giuliano. Ma chi è Salvatore Giuliano?

Originario di Montelepre e attivo tra il 1943 e il 1950, Salvatore Giuliano è il più celebre bandito della Sicilia e ben presto aderisce all’Esercito Volontario per l’indipendenza Siciliana (EVIS), con il grado di colonello.

Nonostante i suoi numerosi crimini, la figura del bandito Giuliano è spesso associata a quella di un “giustiziere sociale”; nell’immaginario collettivo Giuliano è un novello “Robin Hood”, che ha a cuore gli interessi del popolo siciliano e della Sicilia, per troppo tempo trascurata.

Ovviamente questa è solo l’interpretazione distorta di una fascia popolare siciliana -piuttosto ampia- fuorviata dalla propaganda dell’epoca; per il resto dei siciliani egli è un criminale utilizzato strumentalmente all’interno di un controverso gioco di potere, i cui protagonisti cercano –caduto il fascismo– di conquistare autorità o di mantenere lo status quo.

In quegli anni circola una voce nel messinese: Maddalena Lo giudice, giovane ragazza originaria di Antillo, dichiara più volte di aver avuto una relazione proprio con il famoso bandito Giuliano. Nonostante il discreto seguito di questa voce, sappiamo che Giuliano non entrò mai nella zona di Messina; infatti mai si allontanò troppo dal suo territorio di competenza (nel palermitano).

Il celebre bandito Giuliano – Fonte: wikipedia.org

Un intreccio pericoloso

La strage di Portella della Ginestra rappresenta una delle pagine più buie della storia siciliana, inserita in un periodo di estremo caos -tra l’Amministrazione militare alleata, il risveglio della mafia, il dirompente MIS e il mito della Sicilia a stelle e strisce, la scelta istituzionale e la sorprendente avanzata elettorale delle sinistre- dove banditismo, mafia e politica sono strettamente intrecciati.

 

Francesco Benedetto Micalizzi

 

Fonti:

M. Ganci, L’Italia antimoderata, radicali, repubblicani, socialisti, autonomisti dall’Unità a oggi, Palermo, Arnaldo Lombardi Editore, 1996

Francesco Renda, Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, volume terzo, Palermo, Sellerio Editore, 1987

Immagine in evidenza:

La prima pagina del giornale “L’Ora” dopo la strage

Chauvin dichiarato colpevole per la morte di George Floyd. Biden: “É ora di cambiare”

Guilty” (colpevole) è la sentenza emessa dal Tribunale di Minneapolis per il poliziotto Derek Chauvin, accusato di aver ucciso George Floyd il 25 maggio 2020. Quest’ultimo era stato trovato in possesso di una banconota falsa da 20 dollari.

Costretto dagli agenti intervenuti a rimanere immobile, a terra ammanettato, è morto in seguito al soffocamento causato dal ginocchio di Chauvin stretto sul suo collo per più di nove minuti. Non ci sono più dubbi. La violenza non si è arrestata neanche dopo le implorazioni e ultime parole di Floyd I can’t breath, divenuto poi simbolo di numerose proteste in tutta l’America.

Chauvin lascia l’aula dopo la sentenza della sua condanna, in custodia alle autorità. Fonte: Deutsche Welle.

La sentenza

Chauvin è tre volte colpevole: per omicidio colposo, per omicidio di secondo grado preterintenzionale e per omicidio di terzo grado. Una decisione che ha richiesto solo due giorni di deliberazione e che, per questo, aveva lasciato presagire la lapidaria sentenza dei giudici di Minneapolis che, senza attenuanti, potrebbero far rischiare all’ex poliziotto fino a 40 anni di carcere.

Mentre Chauvin si allontana in manette dall’aula del tribunale, in custodia alle autorità, fuori la folla esplode di entusiasmo con con applausi e cori che invocano Justice!. Scene analoghe hanno attraversato molte altre città americane, da Times Square (New York) a Washington, fino a Los Angeles e Chicago. Nella stessa città in cui si è consumata l’ingiustizia è stato dichiarato lo stato d’emergenza, in via del tutto precauzionale, schierando la guarda nazionale nei punti nevralgici.

Oggi si rivendica una “svolta storicaper gli Stati Uniti, come affermato dal legale della famiglia Floyd.

Il supporto del presidente Joe Biden

Joe Biden conferma il suo supporto alla causa e dichiara: “Bisogna riconoscere e confrontare il razzismo sistemico, nelle attività di polizia e nel sistema della giustizia”. Fonte: Corriere della Sera.

Lo stesso Joe Biden, che aveva espresso vicinanza ai familiari della vittima con una telefonata del tutto eccezionale, si è spinto a parlare di “prove schiaccianti” emerse durante il processo, auspicando la fine delle violenze razziste e l’inizio di una nuova stagione sociale per il Paese:

E’ stato un omicidio in piena luce, che ha strappato i paraocchi e tutto il mondo ha potuto vedere. Il razzismo sistemico è una macchia sull’anima dell’America” e ancora Dobbiamo ricordare le sue parole “non posso respirare” per cambiare. Questo può essere un momento di significativo cambiamento”.

La denuncia delle violenze

E’ stato uno dei processi più seguiti nella storia d’America, che ha tenuto tutti col fiato sospeso, per il timore delle eventuali conseguenze che una decisione differente da quella emessa oggi avrebbe potuto scatenare, in particolar modo per alcune comunità, come quella afroamericana e ispanica, spesso oggetto di violenze da parte della polizia americana.

Proteste per George Floyd a Minneapolis. Fonte: Il Post. 

Secondo le statistiche, infatti, dal 2005 solo sette agenti sono stati trovati colpevoli in casi violenza letale, mentre sono circa 1.100 le persone uccise durante interventi della polizia americana. Eventi drammatici che hanno trovato voce nel movimento di protesta Black Lives Matter, che ha denunciato il controverso uso della forza letale da parte degli agenti e si è, inoltre, attivato per chiedere giustizia di altre vittime dopo la morte di Floyd; l’ultima, quella del ventenne afroamericano Daunte Wright, ucciso qualche giorno fa da un agente che sostiene di aver utilizzato erroneamente la pistola invece del teaser.

La riforma George Floyd Justice in Policing Act

Il verdetto di oggi assume, dunque, un valore altamente simbolico, che vuole consegnare al Paese la pace sociale, assente dalle ultime proteste, e la speranza di una riforma della polizia, sia a livello locale che federale, che necessita di essere realizzata in tempi più celeri.

La riforma, chiamata “George Floyd Justice in Policing Act“, sostenuta in prima linea dalla vice-presidente Kamala Harris, crea standard nazionali per gestire l’ordine pubblico, vieta tecniche di strangolamenti e banche dati sugli agenti accusanti di abusi, fino a una revisione radicale dell’immunità, concessa ai poliziotti in caso di accuse di maltrattamenti verso i civili. Nonostante ciò, la riforma sembra essere destinata ancora a lungo a rimanere bloccata in Senato, sia perché contrariata all’unanimità dai repubblicani sia per due defezioni democratiche. 

 

Alessia Vaccarella

La Nuova Zelanda distribuirà assorbenti gratis alle studentesse. Una decisione epocale

A partire da giugno 2021, in Nuova Zelanda la distribuzione di assorbenti e prodotti indispensabili per il ciclo mestruale sarà resa gratuita per le studentesse ed effettuata in tutte le scuole. La decisione definitiva arriva dopo 3 anni di sperimentazione in 15 scuole, con oltre 3mila studentesse. La decisione, che costerà 25 milioni di dollari neozelandesi – circa 15 milioni di euro – nei prossimi 3 anni, è stata confermata ieri dalla premier Jacinda Ardern, che ha sottolineato il motivo del provvedimento:

«Le giovani ragazze non dovrebbero essere costrette a perdere la loro istruzione a causa di un qualcosa che è parte integrante della vita di metà della popolazione».

Povertà, disagio scolastico e stigma sociale: un’iniziativa concreta

Secondo uno studio citato dalla stessa Ardern, un’alunna su 12 è costretta a saltare le lezioni per il cosiddetto “period poverty”. Per molte studentesse, è impossibile andare a scuola durante il periodo mestruale a causa di uno stato di povertà che non permette loro di acquistare questo tipo di prodotti sanitari. Addirittura, nelle aree più povere, le autorità neozelandesi riportano che alcune ragazze utilizzano “mezzi di fortuna” – carta igienica nel migliore dei casi – pur di non saltare le lezioni.

«Perciò – ha aggiunto la prima ministra – garantire la gratuità e la distribuzione dei prodotti per l’igiene mestruale nelle scuole è una delle strade che il governo sta seguendo per affrontare la povertà, migliorare la frequenza scolastica e incrementare il benessere delle più giovani».

Fonte: Dignity NZ’s Instagram. Nel post, l’associazione femminile ribadisce l’impegno contro il senso di vergogna e la disparità economica che le studentesse mestruate subiscono.

Educazione scolastica e accesso gratuito a prodotti sanitari indispensabili non sono e non devono essere considerate un lusso. In età da mestruazioni sono ben  95mila studentesse tra i 9 e i 18 anni – a quanto afferma Dignity NZ. Avere il ciclo è una cosa naturale e non può ancora essere oggetto di disparità economica e stigma sociale. Infatti, oltre alla natura propriamente pratica del provvedimento, ciò si costituisce come vero e proprio progetto a sostegno delle studentesse, che a gran voce hanno richiesto un “porto sicuro” per ricevere maggiori informazioni su come affrontare le mestruazioni e le indicazioni per utilizzare le forniture.

La Scozia, la prima a fare il passo

Un modello di riferimento quello neozelandese per la comunità internazionale, ma non certamente il primo. «Non saremo gli ultimi a farlo ma abbiamo la possibilità di essere i primi»: queste le parole di Monica Lennon, deputata di Edimburgo e autrice del disegno di legge che, con voto unanime, lo scorso novembre ha fatto conquistare alla Scozia il primato nel mondo per il libero accesso ai prodotti sanitari legati alle mestruazioni negli edifici pubblici.

Monica Lennon
Fonte: NPR. La Scozia è il primo paese al mondo a rendere gratuiti i prodotti legati alla mestruazione.

Un passo avanti nella lotta alla parità di genere, di straordinaria importanza per donne e ragazze, troppo spesso lasciate indietro nel dibattito pubblico su temi che inoltre le riguardano in prima linea.

L’Italia non è un paese per donne

L‘ex Ministro delle Finanze Roberto Gualtieri –  dal 2019 fino alla caduta del Conte II – annunciò con giubilo l’abbassamento dell’IVA sugli assorbenti dal 22% al 5%. Questo, però, riguardava esclusivamente prodotti igienici compostabili e biodegradabili, la cui scarsissima reperibilità – solo in farmacie specifiche e alcuni supermercati bio – è inversamente proporzionale al costo molto elevato che esclude l’acquisto a gran parte delle donne. Inoltre, per quanto nobile l’attenzione rivolta all’ambiente, questi prodotti sono ancora visti con largo scetticismo in fatto di efficacia.

Gualtieri
Fonte: L’avvenire. Il tweet di Gualtieri riguardo il taglio della tampon tax. Tra le firmatarie del provvedimento, anche Laura Boldrini.

Poter comprare assorbenti non è un privilegio, così come il ciclo mestruale non è qualcosa che avviene ogni mese in seguito a una libera scelta di una donna. Se accedere gratuitamente a questi prodotti sembra ancora un provvedimento lontano per il nostro Paese, abbassare l’IVAattualmente pari a un prodotto di lusso come il tartufo – segnerebbe davvero l’inizio di una svolta.

Quello che venne salutato come un “primo segnale per l’Italia” non sembra una conquista, piuttosto appare come un piccolo inefficace aiuto – che alcuni definirebbero “un contentino” – concesso per placare gli animi femminili. Muoversi verso una traiettoria comune, all’insegna di una giustizia sociale che dia importanza al benessere e alla salute delle donne, è una prerogativa che necessita oggi più che mai di essere realizzata. Ne abbiamo gli esempi.

 

Alessia Vaccarella

Sistema carcerario in crisi. Movimenti sovversivi arrivano fino a Gazzi

L’inaspettata diffusione del coronavirus ha portato il governo a prendere delle misure restrittive anche per gli ambienti delle carceri dove, tra le altre, la sospensione dei colloqui predisposta per evitare contagi ha causato rivolte in molti penitenziari italiani.  Da nord a sud il sistema carcerario, dunque, sembrerebbe in crisi: primi episodi di ribellione violenta sono stati registrati a Pavia e a Modena, ma l’ondata sovversiva ha coinvolto ben 22 istituti penitenziari della penisola causando morti, occupazioni, sequestri ed evasioni. Il clima di sommossa arriva in maniera singolare anche a Messina dove ad incitare la protesta sono stati i parenti dei detenuti all’esterno della casa circondariale di Gazzi.

La rivolta di Pavia– I due poliziotti presi in ostaggio sono stati liberati nella notte di domenica: uno dei due è il comandante della polizia penitenziaria della struttura Torre del Gallo. I carcerati sono scesi dai tetti e dai camminamenti dove si erano asserragliati dopo una trattativa con il procuratore aggiunto pavese Mario Venditti. La protesta, nata sull’onda dello stop ai colloqui “a vista” per il coronavirus, ha dato spazio anche a lamentele su questioni che riguardano il trattamento carcerario.

Modena – E’ qui che si è registrata la rivolta più violenta, dove sono morti ben 6 detenuti. Il motivo dei decessi è legato però a overdose e psicofarmaci. Durante la rivolta, infatti, si è verificato un assalto all’infermeria da cui sono stati prelevati diversi farmaci come sostanze oppioidi e benzodiazepine che hanno provocato il decesso accertato di tre dei detenuti di Modena. Altri tre detenuti sono morti nei penitenziari di Verona, Alessandria  e Parma ma provenienti comunque dal carcere di Modena. Il settimo invece è deceduto nel carcere San Benedetto del Tronto.

Foggia – Continuano le ricerche di 23 evasi ancora in circolazione tra cui persone legate alla mafia garganica e un condannato per omicidio, Cristoforo Aghilar, il 36enne che il 28 ottobre scorso ha ucciso ad Orta Nova Filomena Bruno, 53 anni, mamma della sua ex fidanzata. Ieri infatti, approfittando dei disordini, 77 detenuti sono riusciti a fuggire ma 54 sono stati già catturati, tra cui due persone che hanno scelto di costituirsi. Al momento per tutti l’accusa è di evasione ma successivamente sarà analizzata la posizione di ogni singolo detenuto.

La rivolta di Milano– Anche nel carcere di San Vittore, a Milano, un gruppo di detenuti era salito sul tetto della struttura gridando “Libertà, libertà”. Nel carcere è poi entrata la polizia penitenziaria in assetto antisommossa. A dar vita alla protesta, i detenuti de ‘La Nave’, il reparto modello riservato a chi soffre di forme di dipendenza. Persone che hanno scelto di seguire la strade del recupero. Due i raggi del carcere devastati prima che la protesta rientrasse. Sul posto sono intervenuti anche i vigili del fuoco.

La rivolta a Roma– A Rebibbia la protesta si è spostata anche fuori dal carcere, dove circa venti donne hanno bloccato via Tiburtina all’altezza dell’istituto penitenziario. Le forze dell’ordine hanno circondato il carcere. La rabbia è esplosa anche nel complesso di Regina Coeli. In diversi bracci sono stati segnalati roghi e fumo. Immediato l’intervento dei vigili del fuoco.

Bologna – “I detenuti si sono ormai impossessati del carcere e il personale è fuori, con il supporto delle altre Forze dell’ordine”, ha fatto sapere il sindacato Sappe sulla situazione del carcere bolognese della Dozza. Nel carcere di Villa Andreino alla Spezia la direttrice Maria Cristina Biggi e alcuni operatori sono “asserragliati all’interno per cercare di riportare la situazione alla calma”  ha raccontato un operatore, mentre alcuni detenuti sono saliti sui cornicioni. Intorno alla struttura si sono dispiegate decine di auto delle forze dell’ordine per questioni di sicurezza e per evitare eventuali tentativi di evasione.

Messina – Caos ieri davanti al carcere di Gazzi. La protesta è iniziata dentro le celle con il rumore delle pentole sbattute dai detenuti contro le inferriate per poi estendersi al di fuori. La differenza è che a Messina si è verificata una manifestazione fortunatamente pacifica terminata grazie alla supervisione delle forze dell’ordine. Protagoniste in questo caso sono state le donne che hanno coinvolto anche i loro figli originando un corteo partito da Via delle Corse per poi stazionarsi davanti l’entrata pedonale del penitenziario.

Hanno sospeso i colloqui senza avvisarci – ha spiegato la moglie di un detenuto– non è giusto agire in questo modo. C’è gente che è venuta dalla provincia e si è ritrovata la porta sbarrata con la sola possibilità di lasciare i pacchi per i propri cari. Pretendiamo rispetto“.

Alla protesta si sono aggiunti anche attimi di tensione tra i manifestanti e gli automobilisti in seguito alla chiusura del traffico in via Consolare Valeria.

protesta gazzi

Al momento le visite sono state proibite fino al 22 Marzo e oltre all’impossibilità di vedere i parenti cresce la preoccupazione per i rischi di contagio tra gli stessi detenuti.A tal proposito, la Protezione Civile si sta giù muovendo e nei prossimi giorni verranno distribuite 100mila mascherine negli istituti penitenziari mentre saranno montate 80 tende di pre-triage per lo screening del Covid-19.

«E’ nostro dovere tutelare la salute di chi lavora e vive nelle carceri ma deve essere chiaro che ogni protesta attraverso la violenza è solo da condannare e non porterà ad alcun buon risultato», ha spiegato il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che mercoledì terrà in aula al Senato una informativa urgente sulla situazione.

Antonio Gullì

 

Messina scende in piazza: IO VEDO, IO SENTO, IO PARLO

21 Marzo 2019.Si è svolta a Messina in Piazza Lo Sardo (Piazza del popolo) la XXIV° Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie organizzata da Libera “Orizzonti di Giustizia Sociale. L’iniziativa nasce dal dolore di una mamma che ha perso il figlio nella strage di Capaci e non sente pronunciare mai il suo nome. Un dolore insopportabile. Una vittima meno vittima. Una vittima di serie B. Una vittima a cui viene negato anche il diritto di essere ricordata con il proprio nome.

Così, dal 1996, ogni anno, un lungo elenco di nomi scandisce la memoria che si fa impegno quotidiano. Un lungo rosario civile recita nomi e cognomi, per farli vivere ancora una volta, per non farli morire mai. Perché nessuno muore finché vive nel cuore di chi resta. Tanti i luoghi del nostro Paese che si uniscono per un abbraccio sincero ai familiari delle oltre 900 vittime innocenti delle mafie, non dimenticando le vittime delle stragi, del terrorismo e del dovere. Un appuntamento preceduto da centinaia di iniziative promosse in Italia e in Europa, tra incontri nelle scuole, cineforum, dibattiti e convegni.

Libera sceglie l’equinozio di primavera non a caso. Ѐ fortemente metaforico. Vuole far sì che si viva in modo differente il solstizio, promuovendo e realizzando un percorso simbolico di risveglio delle coscienze e della memoria. Un percorso di preparazione che dura da diversi mesi, realizzato dalle organizzazioni del Presidio “Nino e Ida Agostino”, da associazioni come le Acli e dalle oltre 20 scuole, che hanno partecipato consapevolmente all’iniziativa e hanno dato vita ai “100 passi verso il 21 marzo” attraverso parole e striscioni narrando “Storie di memoria, Percorsi di verità”. Una giornata di impegno, partecipazione, riflessione, di lotta per il bene comune, per la dignità e la libertà delle persone.

Antonio Gallo, Presidente Provinciale delle Acli (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani) di Messina spiega la volontà di unirsi ad un’associazione come Libera:

“Insieme alle altre associazioni che hanno aderito, noi delle Acli ci consideriamo in prima linea in questo percorso, la nostra società nasce nel 1944 da principi cristiani, infatti, il nostro punto di riferimento è la dottrina sociale della chiesa, di conseguenza è insito nel nostro DNA associativo essere paladini della legalità e di ogni forma di antimafia. Ci poniamo l’obiettivo di continuare a lavorare per la cultura della giuridicità, per fare in modo che questa straordinaria partecipazione si trasformi in un nuovo impegno di tutti i cittadini, dal Nord al Sud della Penisola.  Per la fioritura di una nuova terra. Una terra di speranza e riscatto, per una nuova primavera dell’impegno civico e sociale. Oggi partecipiamo attivamente all’iniziativa ma è solo una delle tante iniziative a cui abbiamo aderito e aderiremo. Negli anni scorsi abbiamo, infatti, partecipato a delle marce in nome di Falcone e Borsellino”.

I promotori dell’evento sottolineano che per contrastare le mafie e la corruzione occorre sì il grande impegno dell’arma, ma prima ancora, occorre diventare una comunità solidale e corresponsabile, che faccia del “noi” non solo una parola, ma un crocevia di bisogni, desideri e speranze. Non vi è la necessità di grandi opere ma dell’opera quotidiana di cittadini responsabili, capaci di tradurre la domanda di cambiamento in forza di cambiamento.

Gabriella Parasiliti Collazzo

Dal Doodle di Google alla Giornata dei Giusti: scopriamo insieme il 6 marzo 2017

 

 

 

 

 

 

Il problema non è fare la cosa giusta. È sapere quale sia la cosa giusta.

(Lyndon Baines Johnson)

 

Esistono ben 1052 siti in tutto il mondo considerati Patrimonio dell’Umanità (secondo l’UNESCO). Tra questi, uno, oggi 6 marzo 2017, viene ricordato dal Doodle di Google: Il Parco Nazionale di Komodo.

Con un piccolo test, il doodle, mette alla prova le nostre conoscenze riguardo, per l’appunto, un animale molto particolare: il Komodo.

I Draghi di Komodo sono delle lucertole originarie dell’Indonesia e sono cento volte più grandi delle lucertole più piccole che esistono: possono raggiungere i tre metri di lunghezza e hanno una coda lunga tanto quanto il corpo.

Oggi, 37 anni fa, fu inaugurato il parco che ospita, appunto, questi antichi animali e li protegge. Ma non illudetevi: sono antipatici, un po’ aggressivi e mangiano cadaveri. Insomma, non esattamente tra le specie più simpatiche del regno animale.

6 Marzo 2017. Tra due giorni, l’8 marzo (ndr), è la festa della donna. Il 4 marzo è stato il compleanno di Lucio Dalla. Il primo del mese il suo anniversario di morte.

Ogni giorno c’è un santo, un onomastico, un compleanno, un anniversario o una ricorrenza.

6 Marzo 2017. Vorrei che l’abbiate, per sempre, ben impressa in mente questa data. Correva il 10 maggio del 2012 quando, essa, divenne importante. Il 10 maggio 2012 il Parlamento Europeo ha approvato, con 388 firme, la proposta di Gariwo di istituire, il 6 marzo, una Giornata europea dedicata ai Giusti per tutti i genocidi. Dal 6 marzo 2013 celebriamo quindi l’esempio dei Giusti per diffondere ovunque i valori della responsabilità, della tolleranza, della solidarietà.

Le persone Giuste, umane. Chi sono i Giusti? Sono quelle persone che, nonostante il momento storico che stanno vivendo, si ribellano in nome della giustizia. È dedicata a quelle persone che hanno combattuto contro le ingiustizie, ingiustizie dettate dalla religione, dalla politica, dall’essere umano che non sempre sa rispettare gli altri esseri umani.

Sono quelle persone che non hanno seguito la massa solo perché fosse più sicuro farlo, che hanno deciso di proteggere i più deboli, anche al costo delle loro stesse vite.

Gariwo: è l’acronimo di Gardens of the Righteous Worldwide, l’ONLUS che ha proposto ed ha ottenuto questa giornata. Ha sede a Milano e riconosce collaborazioni internazionali.

Dal 1999 lavora per far conoscere i Giusti: pensano che la memoria del Bene sia un potente strumento educativo e serva a prevenire genocidi e crimini contro l’Umanità.

Come si muovono? Bonificando e creando parchi, che loro stessi chiamano i Giardini dei Giusti.

Ogni anno, dal 2012, la Giornata dei Giusti esalta un tema che abbia sempre, come obiettivo principale, quello di spronare tutti noi ad affiancare la giustizia, anche se può fare paura, anche andando contro agli ideali della massa.

Quest’anno, 2017, il tema scelto per la cerimonia, al Monte Stella, è: “I Giusti del dialogo: l’incontro delle diversità per superare l’odio”. Tantissime figure parteciperanno alla riunione mondiale che verterà intorno ad esso.

Figure che, probabilmente, la maggior parte di noi, io stessa, disconosceva fino a questo momento: Raif Badawi, ad esempio, un blogger saudita condannato a mille frustate e arrestato per aver espresso le sue idee di laicità dello stato, per essersi ribellato all’idea di Religione che gli stati musulmani impongono.

E, ancora, Lassana Bathily, giovane ragazzo nero, originario del Mali, che ha salvato gli Ebrei durante l’attacco al supermercato Kasher, mettendosi contro i terroristi Islamici, rischiando la sua stessa vita. Pinar Selek, sociologa turca (e queste, QUESTE, sono le donne da cui dovremmo prendere esempio e che dovremmo festeggiare l’8 marzo) attivista per la pace e i diritti umani, che fu arrestata solo perché dichiara a gran voce che tutti, TUTTI, siamo uguali a questo mondo. Mohamed Naceur, guida turistica che ha salvato gli italiani al Bardo.

Ogni regione, città, nazione può, a proprio modo e libertà (soprattutto), celebrare la Giornata dei Giusti: in Sicilia, la città di Palermo è attiva a riguardo, con manifestazioni in tutto il territorio. Ancora, l’Università di Catania. Agrigento: L’Accademia di Studi Mediterranei di Agrigento, in collaborazione con il Parco Valle dei Templi di Agrigento, con la Prefettura di Agrigento, l’Ufficio Scolastico Provinciale di Agrigento, celebrerà la “Giornata Europea dei Giusti”, al Teatro “Pirandello” e nella Valle dei Templi.

E noi? Siamo dei Giusti, o vogliamo ricordarli? Vogliamo rendere partecipe il nostro territorio messinese, le nostre scuole, la nostra università, di questa giornata? Vogliamo fare parte dei Giusti?

Perché, sinceramente, ci comportiamo da tali? Possiamo dire di essere dei bravi esseri umani?

È facile essere buoni. Difficile è essere giusti.

Elena Anna Andronico