Giovanni Pascoli a Messina: “Io ero giunto dove giunge chi sogna”

“A Messina ho passato i cinque anni migliori, più operosi, più lieti, più raccolti, più raggianti di visioni, più sonanti d’armonie della mia vita”

Sono le parole che Giovanni Pascoli, figura emblematica della letteratura italiana di fine Ottocento, scrisse in una lettera del 1910 a Ludovico Fulci in riferimento al suo soggiorno nella città di Messina, dove dimorò tra il 1898 e il 1902, in seguito all’ottenimento della cattedra di Letteratura latina alla facoltà di Lettere dell’Ateneo messinese.

Il poeta Giovanni Pascoli – Fonte: proletteraturacultura.com

Palazzo Sturiale, “il più bell’alloggio di tutta Messina”

Il poeta giunse nella città dello Stretto nel gennaio del 1898, accompagnato dalla sorella Mariù e dal cane Gulì.

I tre andarono ad abitare al secondo piano di un appartamento in via Legnano 66, ma i primi mesi della permanenza non furono semplici.

A marzo Pascoli e la sorella si ammalarono di tifo. Molti anni dopo, ricordando quel periodo in una lettera indirizzata a un amico, il poeta scrisse che “il primo anno a Messina rischiò di essere l’ultimo”.

Preoccupata per la salute del fratello e insoddisfatta dell’abitazione in cui alloggiavano, Mariù mutò la prima impressione entusiastica della città, dichiarando in una lettera alla sorella Ida di “odiare Messina e il suo bel cielo, sempre nuvolo”.

Trascorse le vacanze estive a Castelvecchio di Barga, Pascoli fece ritorno a Messina nel mese di novembre, senza la sorella, e si trasferì in un appartamento di Palazzo Sturiale in via Risorgimento, al numero civico 162.

Nell’invitare Mariù a fare ritorno in Sicilia, il poeta elogiò largamente la nuova abitazione, situata nella zona di nuova espansione a sud della città; definendo l’alloggio “moderno e abbastanza vasto” ne decantò la bella vista: “dalla cucina si vede il forte Gonzaga sui monti…dall’altra finestra il mare, su l’Aspromonte...”. Inoltre la assicurò che, occupandosi personalmente dell’arredamento, la nuova casa sarebbe diventata “il più bell’alloggio di tutta Messina”.

Palazzo Sturiale, Messina – Fonte: regione.sicilia.it

Il soggiorno messinese

Nei momenti liberi Pascoli amava passeggiare per la città in compagnia del collega Manara Valgimigli.
Fra le sue mete preferite vi erano la Palazzata, la Pescheria, la spiaggia di Maregrosso da dove ammirava il Fretum Siculum e il mare, quel mare che “se ci tuffi una mano, gocciola azzurro”.

Le bellezze paesaggistiche del luogo incantarono l’autore romagnolo e furono di grande ispirazione per la propria produzione letteraria.

Durante il soggiorno messinese Giovanni Pascoli visse uno dei periodi più laboriosi e intensamente creativi, intrecciò relazioni col mondo intellettuale e accademico, compose le poesie “L’aquilone” e “Le ciaramelle” e si dedicò alla stesura dei saggi danteschi.

Giovanni Pascoli sulla spiaggia di Maregrosso – Fonte: medium.com

La partenza e il legame con la città

Alla fine di giugno del 1902 Pascoli e Mariù lasciarono definitivamente Messina.

La notizia del terremoto che nel 1908 colpì la città con conseguenze devastanti sconvolse il poeta, che dedicò al luogo che l’aveva accolto calorosamente parole cariche d’emozione:

“Tale potenza nascosta donde s’irradia la rovina e lo stritolio, ha annullato qui tanta storia, tanta bellezza, tanta grandezza. Ma ne è rimasta come l’orma nel cielo, come l’eco nel mare. Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia”. 

Fra i messinesi che rimasero nel cuore del poeta vi era Giovanni Sgroi, il portinaio di Palazzo Sturiale.
Dopo il terremoto del 1908, Pascoli si ricordò di lui e della sua grande bontà d’animo inviandogli una grossa somma di denaro e una lettera dove espresse l’augurio che “…la nostra Messina risorga più bella di prima…”.

Messina in seguito al sisma del 1908 – Fonte: tg24.sky.it

Verso la realizzazione del “Museo Casa Pascoli”

Nel descrivere il nuovo appartamento il poeta l’aveva definito, quasi profeticamente, “sicuro contro il terremoto”.

L’edificio, infatti, scampò alla furia del sisma, giungendo fino a noi come testimonianza di una delle rare fughe del poeta dal suo “nido”.

Per iniziativa del Comitato Cittadino 100 Messinesi per Messina 2008 è stata realizzata e collocata accanto al portone d’ingresso di palazzo Sturiale una targa commemorativa con iscrizione di Aldo Di Blasi.

Di recente l’edificio è stato ristrutturato e verrà acquistato dalla Regione Siciliana per essere inserito nella “Rete regionale delle case museo”.

“L’immobile che ospitò il grande Pascoli ha le potenzialità per diventare luogo di attrazione per gli studiosi, ma anche per i turisti, entrando a far parte di un interessante circuito culturale – afferma il Presidente della Regione Nello Musumeci – che unisce la storia di tanti personaggi illustri della nostra terra o che in Sicilia hanno vissuto e operato. Faremo uso delle più avanzate tecnologie per realizzare uno spazio museale moderno e interattivo”.

L’acquisizione dell’abitazione da parte dell’Ente Regionale ha l’obbiettivo di valorizzare le dimore legate ai personaggi illustri, nate, cresciute o semplicemente innamorate della Sicilia.

Quest’ultimo è il caso del più grande poeta decadentista, di cui colpisce l’apertura che, da uomo estremamente riservato e attaccato ai propri luoghi di origine e al proprio focolare domestico, mostra di avere in “terra straniera”, al punto da decantare apertamente il senso di appartenenza e l’attaccamento profondo che ad essa lo legano:

“C’è molto di buono, o messinesi, nella nostra cara Messina”

Targa commemorativa a Palazzo Sturiale – Fonte: archeome.it 

 

Santa Talia

Fonti:

mutualpass.it/post/538/1/giovanni-pascoli-e-gli-anni-a-messina

medium.com/giovanni-pascoli-narratore-dellavvenire/le-città-pascoliane-messina

sicilianpost.it/messina-unorma-del-cielo-cosi-giovanni-pascoli-dichiarava-amore-alla-citta/

Immagine in evidenza:

Giovanni Pascoli sul balcone della sua abitazione in Via Risorgimento – Fonte: sicilianpost.it

Il Natale a Messina: tradizione, arte e storia in una prospettiva di rinascita

@GIULIAGRECO2018

L’aspetto religioso è per Messina, oltre che un elemento culturale di identità, un’immagine di rinascita. Il culto mariano nei momenti critici che hanno coinvolto la città, dalle terribili ondate di pestilenza ai terremoti, fino ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, ha fornito un sostegno per risollevare gli animi in una storia, quella di Messina appunto, caratterizzata da profondi traumi, ma anche da slanci e riprese vitali. Più che un’esteriore forma di devozione il richiamo ai valori della fede è quindi per i messinesi un elemento di attaccamento alle proprie radici cittadine. E’inevitabile che le celebrazioni del Natale si leghino fortemente alle usanze e al folclore. Una relazione espressa sotto aspetti diversi e che tocca anche l’arte e la musica: sono moltissime le modalità e le usanze, radicate nella tradizione della città, di festeggiare e raffigurare il momento della Natività.

Bambinello Gesù, Francesco Juvarra http://www.messinareligiosa.it

A partire dal simbolo per eccellenza: il presepe. Fino agli anni ’40 – ’50 l’albero di Natale era percepito con indifferenza, se non con aperta ostilità per via delle sue origini slegate dalla religione cattolica; Giuseppe Arena lo definì una “scimmiottagine”, un oggetto di una moda passeggera destinata negli anni a scomparire. Nelle case si preferiva mettere le statuine dei personaggi, spesso realizzate a mano dalle botteghe degli artigiani. Una tradizione, quella del presepe, che risale a moltissimo tempo prima. Qualche volta si trattava persino di opere monumentali ed eccentriche, come il presepe nella casa del cavaliere Calamarà che, come riportano le testimonianze, si snodava per sette stanze o quello di Salvatore Bensaia che conteneva all’interno addirittura i pali del telegrafo. Connessa al presepe, sotto il profilo del manufatto artistico, è anche la tradizione molto antica, presente già nel ’600-‘700, dei bambiniddari: statue del bambin Gesù in cera d’api. La produzione era estremamente diffusa, in Sicilia e a Messina, tanto da ottenere una grande popolarità ed essere richiesta nei salons di Parigi. Uno dei bambinelli si trova oggi nella chiesa di Gesù e Maria delle Trombe; è un’opera molto venerata, realizzata da Francesco Juvarra, fratello dell’architetto Filippo, a cui il popolo attribuì poteri miracolosi.

In campo artistico massima espressione della Navità a Messina è naturalmente la tela dell’Adorazione dei Pastori di Caravaggio del 1609 contenuta nel Museo Regionale. L’opera, che venne commissionata dal senato della città, fu fatta dall’artista durante il passaggio in Sicilia dopo essere fuggito dal carcere de La Valletta dove venne rinchiuso in seguito a una violenta rissa. L’incarico prevedeva la realizzazione di una pala d’altare destinata alla chiesa di Santa Maria della Concezione, distrutta dal terremoto. La scena rappresenta Maria in atteggiamento realistico e umile insieme a San Giuseppe e i pastori, avvolti da un fascio di luce che rischiara la scena e mette sullo sfondo il resto, compresi il bue e l’asino. Stesso tema ebbe l’opera trafugata a Palermo, la Natività con i Santi Lorenzo e Francesco D’Assisi. Per Caravaggio il Natale, come ha scritto il Professore Tomaso Montanari “è la festa della dignità del corpo umano: non importa quanto indifeso, stanco, piccolo, umile, povero, migrante. Anzi, proprio per questo, divino”.

@GIULIAGRECO2018

 

“Diciamo d’un remoto Natale in un paese ai piedi dei Nebrodi, nella piana fitta d’ulivi e d’aranci, il mare di fronte con le Eolie fantasmatiche all’orizzonte e le boscose colline alle spalle, l’immenso Etna in fondo di nevi e caligini (…) In questo tempo, dopo il rito liturgico, c’era la notte l’attesa di un’altra novena, quella cantata sotto il balcone dai ciaramiddari, cantata dal cieco (…)” (Vincenzo Consolo, Un remoto e un recente presepe)

http://www.strettoweb.com/foto/2018/12/natale-a-messina-tradizioni-storia-usanze/785451/

Ma soprattutto era la musica della zampogna a rendere gioiose e allegre le notti di Natale, in particolare prima del terremoto. C’erano allora i cosiddetti ciaramiddari, i zampognari di Camaro che intonavano le loro tipiche ninne nanne della Novena e i vecchi cechi, chiamati i “sonaturi orbi”, accompagnati da chitarra e violino e da un picciotto che suonava l’azzarino (il triangolo). Giovanni Pascoli, che a Messina abitò dal 1898 al 1902 per insegnare all’Università, scrisse proprio in quel periodo la poesia Le ciaramelle: “udii tra il sonno le ciaramelle/ho udito un suono di ninne nanne/ci sono in cielo tutte le stelle/ ci sono i lumi delle capanne”. Viva ancora oggi è invece la tradizionale processione che la notte del 24, dopo la messa di Natale, parte dalla chiesa di S. Francesco all’Immacolata trasportando tra musiche e fuochi d’artificio un bambinello in cartapesta del XVIII secolo.

Eulalia Cambria

Sotto il velame e La mirabile visione: opere di un Pascoli messinese

Giovanni Pascoli

La scorsa settimana, scrivendo della storia del nostro Ateneo, abbiamo citato alcuni degli intellettuali ai quali è stato reso l’onore di poter figurare tra i più illustri professori dell’Università degli Studi di Messina; tra questi, uno tra i più celebri, conosciuti e studiati di tutti i tempi: Giovanni Pascoli.

Ma,chi era Giovanni Pascoli prima dei suoi “cinque anni migliori, più operosi, più lieti, più raccolti, più raggianti di visioni, più sonanti d’armonie […]” (G.Pascoli a L.Fulci, 5 Luglio 1910) passati nella città dello Stretto?

Nasce a San Mauro di Romagna nel 1855 e cresce in un clima familiare agiato, fino a quando, il 10 Agosto del 1867, il padre, per ragioni ancora ignote, viene assassinato. Da quest’evento il poeta rimase fortemente provato. Ciononostante, la vocazione poetica lo spinge a scrivere poesie che fanno stretto riferimento all’accaduto, tra queste: X Agosto e La Cavallina Storna. Successivamente la famiglia venne colpita da numerose sciagure, quali la perdita del proprio status economico ed un susseguirsi di lutti che porteranno via la madre ed i fratelli. La sua tenacia per completare gli studi liceali e proseguire quelli universitari, lo porta con i fratelli a Rimini, dove frequenterà il liceo classico Giulio Cesare. Grazie ad una borsa di studio riuscì a trasferirsi a Bologna per gli studi universitari, avvicinandosi sempre più al movimento anarco-socialista che lo portò, in una manifestazione, a leggere pubblicamente un’ode dal titolo “Ode a Passannante” della quale si pentì e che venne criticata dalla sorella Maria, che, incredula, lo riteneva incapace di scrivere tali parole. Dopo essere stato arrestato nel 1879 per aver partecipato ad una protesta, ed in seguito alla morte del Re Umberto I, Pascoli si converte al Socialismo Umanitario. Conseguita la laurea, Pascoli intraprese la carriera di insegnante, arrivando, nel 1898, ad insegnare Letteratura Latina presso l’Università degli Studi di Messina. Il poeta va ad abitare, dapprima, assieme alla sorella Maria, in un appartamento al secondo piano di via Legnano, al civico 66; successivamente, da solo, in un appartamento di Palazzo Sturiale in Piazza Risorgimento, al civico 162, del quale parlerà entusiasta alla sorella Maria, in quanto l’alloggio si presenta “moderno, abbastanza vasto, e soprattutto sicuro contro il terremoto”. In questa sede, il poeta stringe amicizia con il portinaio, un certo Giovanni Sgroi, al quale Pascoli donerà un’ingente somma di denaro in seguito alla catastrofe sismica che metterà in ginocchio tutta la città di Messina. Qui scrive Sotto il velame. Saggio di un’interpretazione generale del poema sacro e La mirabile visione. Abbozzo d’una storia della Divina Commedia.

Nel tempo libero, il poeta amava passeggiare per la città; sue mete preferite erano la Palazzata, la Pescheria, la spiaggia di Maregrosso dalla quale poteva ammirare il Fretum Siculum ed il mare.

Nel 1902, Pascoli e la sorella lasciano Messina, in quanto il poeta è chiamato all’insegnamento in altre Università, ma l’amore per Messina ed i suoi abitanti non svanisce nel nulla, anzi, si sente ancora più forte nella sua reazione alla notizia del terremoto del 1908; la disperazione per l’accaduto, traspira e viene sintetizzata nelle parole Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia.”.

Le trasformazioni politiche e sociali dell’Italia di quei tempi e l’insuccesso nel tentativo di crearsi una famiglia, portarono Pascoli ad una situazione di depressione che sfociò nell’alcolismo, con conseguente cirrosi epatica. La malattia lo porterà a morire il 6 Aprile del 1912 nella sua casa di Bologna, in via Osservanza, al civico 2.

Recentemente, per iniziativa del Comitato Cittadino “100 Messinesi per Messina” è stata realizzata e collocata accanto al portone d’ingresso di Palazzo Sturiale, una grande lapide:

“AL NUMERO 162 DI PIAZZA RISORGIMENTO, ALPALAZZO STURIALE,

GIOVANNI PASCOLI, DOCENTE DI LETTERATURA LATINA ALL’ATENEO MESSINESE

NEL NOVEMBRE 1898 TROVO’ IL SUO ALLOGGIO IDEALE DOPO IL PRIMO DI VIA LEGNANO:

“BELLA VISTA…DALLA CUCINA SI VEDE IL FORTE GONZAGA SUI MONTI… DALL’ALTRA FINESTRA IL MARE SU L’ASPROMONTE…”

Il prossimo passo, sarà quello del Comune di Messina per l’acquisto dell’appartamento e la seguente istituzione di un “Museo Casa Pascoli”.

Erika Santoddì

Image credits:https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Pascoli#/media/File:Giovanni_Pascoli_01.jpg