Dietro le quinte di Sanremo

©Giulia Greco, Sanremo 2019

Avete presente quando da bambini pensavate che quando sareste diventati grandi avreste fatto una determinata cosa che in quel momento vi affascinava? Come “da grande conoscerò Michael Jackson, lo vedrò” lo pensai a 10 anni immaginandomi a 20 anni – beh dai, noi credevamo di essere grandi a soli 20 anni – ad un suo concerto, ad intervistarlo!! Bene, tre anni dopo scomparve. Ma se c’è uno di quegli infantili desideri che ho realizzato è stata di certo questa esperienza a Sanremo. Si, lo so cari lettori, forse è arrivato il momento di smetterla di parlarne, però questa volta è diverso!!

Non posso spiegare cosa ho vissuto, non riuscirei a farlo capire ad altri. A Sanremo anche la confusione è musica, per questo ricorderò ogni singolo istante, ogni via, ogni occasione ed esperienza con una canzone diversa… ognuna farà parte del concerto della mia vita. – Marta Frangella, Speaker di Radio UniVersoMe

Teatro Ariston – ©Giulia Greco, Sanremo 2019

Pensandoci a mente fredda sicuramente sarà stata la Giulia di 10 anni a spingermi ad andare, senza pensarci due volte: lo dico perché mi sono ritrovata in un vortice di eventi che solo adesso riesco a delineare. Tutta la mia avventura è iniziata con un messaggio di Cristina di domenica pomeriggio, alle 18.20 per l’esattezza, io ho pensato “oddio ma che vuole mo’, lo sa che non posso andare”. Ma il senso di colpa si è fatto sentire subito, e nel giro di qualche minuto ho saputo che dovevo sostituire la fotografa che doveva partire. Da un momento all’altro i miei programmi della settimana successiva si sono stravolti, per ritrovarmi alle 4.00 del mattino di lunedì su un pullman diretto all’aeroporto. La scimmietta che batteva i piatti nella mia testa si è fermata incredula per tutto quel che stava accadendo. Stavo andando a Sanremo e ancora non avevo la più pallida idea di come raggiungerlo, di dove avrei dormito e tutto il resto, ecco.

Il cuore di San Remo durante il festival va al ritmo delle canzoni che in quei giorni diventano i tormentoni di tutta Italia e non si può fare altro che lasciarsi coinvolgere. – Elena Perrone, Speaker di Radio UniVersoMe

Da sinistra: Marta, Cristina, Giulia ed Elena

Sanremo è una cittadina che senza il festival ha ben poco da dare, e forse questo era appurato, ma è talmente curata, che le palazzine bianche e perfettamente armoniche rendono l’ambiente un’evasione… solo per i turisti: chi sta dietro alla rassegna canora ha una crisi di nervi dopo l’altra. Casa Sanremo era l’headquarter dei giornalisti, luogo dove si trova la sala stampa Lucio Dalla, fonte di non poche polemiche per l’ultima edizione. In questo luogo un po’ mistico ed un po’ tanto improbabile, i soggetti erano i più disparati: aspiranti cantanti, aspiranti modelli, aspiranti giornalisti, gente piena di speranza insomma, che cerca di acchiappare il vip di turno per una qualsiasi opportunità. Il motto che aleggiava per la struttura era “o la va o la spacca”, la dignità aveva fatto posto alla sfrontatezza. Solo così si riesce ad ottenere quel che si vuole, a Sanremo. Francesco Renga in un’intervista ha detto <<qui è concentrato in una settimana tutto il lavoro che facciamo in un anno>> e la stessa cosa vale per chi sta dietro le quinte. Corri da una parte all’altra, appostamenti coordinati come militari in tempo di guerra, la strategia è fondamentale.

Statua di Mike Bongiorno – ©Giulia Greco, Sanremo 2019

Ma quanto è stato utile conoscere questo mondo? In ambito giornalistico sicuramente manna dal cielo: per chi vuole intraprendere questa carriera deve interfacciarsi da subito con situazioni così complicate. Quel che accade in una città dimenticata e poco meritocratica come Messina, non è nemmeno una palestra per la vita di un reporter. Lì bisognava crearsi le opportunità ed accettare anche le porte in faccia dei manager. Soprattutto quando, nella gerarchia delle emittenti, puoi essere paragonato al portaborse. La formazione di una settimana che vale per un anno intero, con i suoi pro ed i suoi contro. È stato un po’ come il primo giorno di liceo: vedi i grandi dell’ultimo anno che ti sembrano irraggiungibili, quelli già “studiati” all’adolescenza che frequentano le classi di mezzo, ed infine ci sei tu, novellino del primo anno carico come pochi perché finalmente sei entrato nel periodo più confusionario della tua vita.

 

 

L’aria che si respira nella città di Sanremo è fresca e colorata come i fiori che offre.  Un attimo prendi un caffè e l’attimo dopo hai accanto chi fino alla sera prima guardavi in tv. Animata da milioni di persone, la città riesce ad unire i pensieri di tutti, grazie alla sua musica. Da 69 anni a questa parte, ogni anno. Magia, no? – Cristina Geraci, responsabile della Radio UniVersoMe

Comprendi che esistono tanti meccanismi da dover imparare, ed è di più il lavoro di tutti quelli che popolano quel pezzo di terra ligure in 7 giorni che il programma che vediamo in tv e rende poco partecipativo il pubblico.

Forse è una lacuna dei palinsesti tv italiani? Del modo di operare? La politica economia è di gran lunga superiore della politica sociale. Sanremo si riempie di produttori, talent scout, discografici, che regolano buona parte dell’andamento della rassegna. È nell’indole dell’italiano politicizzare ogni cosa di dominio pubblico, ma è anche nella sua indole nascondere tutto ciò che è possibile per indirizzare lo spettatore verso uno scopo ben preciso.

Le ragazze “giudici” di The Voice

Non sto insinuando che il risultato finale sia stato deciso a priori, ma che si tende a monitorare l’opinione pubblica (voi direte “grazie Giulia hai scoperto l’acqua calda”) secondo le tendenze del momento ed intanto i pecoroni ci cascano, ancora più triste è che di mezzo ci sia la musica. Ah, la musica, rifugio per tanti, riscoperta per altri, ogni singolo essere umano ha la propria melodia. Perché macchiarla?

Sanremo è tradizione, Sanremo è quella settimana di festival per l’intero popolo italiano, unione sotto una bandiera strappata e ricucita innumerevoli volte.

P.S. ho visto pochi fiori. Ci sono rimasta molto male.

 

 

Giulia Greco

 

Il valore del ricordo a quarant’anni dalla morte di Mario Francese

La mafia ha sempre mietuto molte vittime, ma per non renderle vane occorre perpetuarne il ricordo. Le idee di chi ha lottato e dedicato la propria vita alla ricerca della verità non moriranno mai. E continueranno a vivere nelle parole e nelle azioni di chi ne racconta l’operato, commemorandoli nel nome di un ricordo che mai si affievolisce. Sono tante le categorie colpite dalla malavita, che non risparmia nessuno: civili, magistrati, forze dell’ordine, ispettori e giornalisti. Sì, giornalisti, come Mario Francese, garante ideale dell’informazione per antonomasia, uno dei primi pionieri delle inchieste antimafia, risoluto, ostinato ed eccellente professionista considerato scomodo da un sistema criminale, e per questo zittito. A quarant’anni dal suo omicidio avvenuto per mano mafiosa, studenti, professori e giornalisti si sono raccolti per riflettere, nell’aula dell’accademia dei pericolanti dell’università degli studi di Messina. Vi hanno preso la parola il prof. Giovanni Moschella, presidente del centro studi sulle mafie, il prof. Luigi Chiara, direttore del centro studi sulle mafie, il prof. Marco Centorrino, docente di sociologia della comunicazione e Claudia Benassai, giornalista e promotrice della realizzazione dell’evento, in collaborazione con UniVersoMe, la testata giornalistica degli studenti universitari di Messina, il cui direttore generale, Alessio Gugliotta, ha moderato gli interventi.

©Marina Fulco, Messina 2019

 

©Marina Fulco, Messina 2019

Presente anche Giulio Francese, in veste di presidente dell’ordine dei giornalisti di Sicilia, nonché figlio del giornalista prematuramente scomparso, testimone della vita del padre, di cui ha descritto e condiviso i tratti della personalità in un discorso toccante e ispirante che ha visibilmente risvegliato gli animi e smosso le coscienze dei partecipanti. “Il giornalista con la schiena dritta” è l’espressione che ha dato il titolo alla ricorrenza, che, come ha dichiarato Giulio Francese, rispecchia a pieno la figura del padre incorruttibile, coraggioso, con un modus operandi eticamente corretto, che agiva con trasparenza e responsabilità. Figura esemplare per chiunque voglia intraprendere un percorso giornalistico. Non c’è coraggio senza paura. Il figlio di Francese ha infatti negato che il padre non avesse paura. Sicuramente ne ha provata molta nello svolgere il suo lavoro, ma non ha mai lasciato che prevalesse sul senso del dovere. La reputazione odierna del ruolo di giornalista tende a subire generalizzazioni ed essere compromessa, denigrata, infangata, privata di dignità, sminuita, svilita ed erroneamente ridotta a mero sciacallaggio. Raccontare di un giornalista come Mario Francese aiuta a ripristinare quell’immagine genuina di interprete della realtà riportata con credibilità e senza essere distorta. A proposito di storpiature, dalle parole di tutti gli intervenuti è emersa un’amara consapevolezza: l’esistenza di chi vorrebbe manipolare e orientare l’informazione, ingannando la società e divulgando le sempre più diffuse fake news. Tra i consigli per riconoscerle, quello di verificare sempre le fonti di ciò che leggiamo, confrontare diversi testi e approfondire i contenuti, analizzandoli con criterio e spirito critico. Il lascito di Francese è un’eredità intellettuale e culturale che dovrebbe fungere da monito per non ricommettere più gli stessi errori. L’aver ottenuto giustizia, se pur parziale e con tante congetture irrisolte, non colmerà mai il dolore di persone come Giulio Francese. Ciò nonostante, egli stesso ha affermato, durante il suo intervento, di credere che prima o poi la verità emergerà. Se è vero che la storia insegna, quella di Mario Francese non deve più cadere nell’oblio, dove è finita per vent’anni, prima di essere rivalutata e riportata in auge per i restanti venti.

Gli interventi di tutti gli altri relatori hanno rappresentato stimoli e spunti di confronto per un dibattito interessante. In particolare, i professori Moschella e Chiara hanno analizzato la figura del giornalista Mario Francese in relazione al contesto storico della Sicilia degli anni settanta, scenario in cui l’organizzazione mafiosa si stava consolidando in modo capillare controllando molti aspetti del sistema politico e sociale della regione e dello Stato. Moschella ha definito Francese un giornalista che esercitava la propria professione scevro di condizionamenti, emblema che incarna un prototipo giornalistico sano e autentico come elemento fondante della coscienza democratica e civile. Il suo operato, che ha pagato con la vita, è la dimostrazione di come l’attività di informazione non possa essere disgiunta dal perseguire la verità”. 

Il professore Centorrino ha ribadito, in linea con quanto già sottolineato dai colleghi, la centralità di una delle funzioni del giornalismo: la tutela della democrazia e di indagine in opposizione alla criminalità organizzata. Da parte del professore è stato doveroso e spontaneo menzionare il parallelismo tra Francese e “un altro giornalista con la schiena dritta, altra vittima della mafia che si è distinto per il suo operato altrettanto degno di nota: Beppe Alfano, con il quale Centorrino ebbe il privilegio di lavorare durante l’esperienza di cronista di nera per il quotidiano “La Sicilia” di Catania”.

La giornalista Claudia Benassai, molto sensibile alla tematica ed esperta del caso Francese, su cui ha elaborato la sua tesi di laurea, durante l’incontro ha approfondito le inchieste condotte da Francese e spiegato le modalità di svolgimento del suo lavoro di ricerca, citando come modello l’articolo “Perché il Belice è un terreno minato” scritto proprio dal giornalista stesso. Il figlio Giulio ha ricordato l’importanza della lettura dei testi redatti dal padre, di cui è possibile prendere visione nel sito marioegiuseppefrancese.it., in una sezione del sito dedicata all’archivio pazientemente creato con la collaborazione del fratello Giuseppe, che fino a poco prima di togliersi la vita, si prodigò per la raccolta di dati in favore della ricostruzione dell’omicidio del padre.

©Marina Fulco, Messina 2019

La Benassai ha inoltre riportato la testimonianza del giornalista Vincenzo Vasile, collega di Mario, che per lui rappresentò un mentore dall’impeccabile etica professionale, al quale ispirarsi. Ecco un estratto del suo racconto, in cui dichiara:

“In alcune fiction recenti gli sceneggiatori tratteggiano un personaggio anacronistico, riscrivendo il profilo professionale e culturale di Mario con lo stereotipo del cosiddetto “giornalismo di inchiesta”. È invece la normalità, la quotidianità del mestiere di informare, il tratto caratteristico di Francese, e il suo omicidio dice dell’impossibilità, del divieto mafioso del mestiere di informare, alla svolta della metà degli anni Settanta. Mario lavorava una quindicina di ore al giorno, come facevano a quei tempi i veri cronisti. E la cronaca normale – riferire un rapporto dei carabinieri sui maneggi mafiosi e politici su una diga nel Corleonese – era divenuta impossibile. Un invisibile confine si era spostato. E Mario Francese lavorando normalmente quelle quindici ore al giorno si trovò un passo oltre quel confine per fare nient’altro che il suo mestiere. 

©Marina Fulco, Messina 2019

Molto significativa è stata la risposta della platea, che ha partecipato con attenzione e rispettoso silenzio, al quale è seguito un momento di interazione in cui il pubblico ha potuto rivolgere curiosità e domande agli ospiti. L’evento ha sortito l’effetto che la testata UniVersoMe si era prefissata tra gli obiettivi, e cioè, come ha affermato il coordinatore Gugliotta, quello di non speculare sul dolore e di non strumentalizzarlo con pietismo, ma di volgere il quarantesimo anniversario della morte di Francese alla sensibilizzazione dell’intera comunità studentesca e di quei giovani che, se pur non contemporanei all’epoca in cui è vissuto Francese, hanno il dovere morale di conoscerne la storia per non dimenticare. 

 

Giusy Boccalatte   

Studenti, professori e giornalisti a confronto sulla figura di Mario Francese, a quarant’anni dal suo omicidio

Si svolgerà mercoledì 13 febbraio, alle ore 10.30  presso la Sala dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti, un seminario sul tema “Il giornalista con la schiena dritta. Riflessioni su Mario Francese a quarant’anni dall’uccisione”.

Ospite dell’incontro Giulio Francese, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti Sicilia; interverranno il prof. Giovanni Moschella, Presidente del Centro sulle Mafie, il prof. Luigi Chiara, Direttore del Centro sulle Mafie, il prof. Marco Centorrino, docente di Sociologia della Comunicazione, Claudia Benassai, giornalista e Alessio Gugliotta, coordinatore UniVersoMe,  testata giornalistica degli studenti Unime.

L’evento, organizzato dalla redazione di UniVersoMe, si concluderà nel pomeriggio in Sala Senato con un workshop giornalistico rivolto agli studenti dell’Ateneo.

Qui di seguito si allega il link del form che deve essere compilato per potersi iscrivere all’evento: https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSeLklSWHXVkXcCNu__x9jhB4FsEV4TjXkwnA355sPL2oSXRkw/viewform

Il Time sceglie i giornalisti come persone dell’anno

Il famoso settimanale americano ha annunciato la copertina dedicata alla “persona dell’anno” edizione 2018.

Il fatto curioso ed insolito è che ad essere protagonisti della prima pagina della rivista quest’anno sarebbero un gruppo di giornalisti, definiti “guardiani della verità”.

Professionisti dell’informazione presi di mira proprio perchè avrebbero svolto con zelo il proprio mestiere, offrendo un concreto e preziosissimo contributo per lo svelamento di verità scomode.

Tra loro c’è anche Jamal Khashoggi, il giornalista saudita ucciso nel consolato di Istanbul a Ottobre, e per il quale si è sfiorata una grave crisi diplomatica internazionale.

E’ la prima volta che il Time sceglie una persona morta per la sua copertina della persona dell’anno, “ma è anche la prima volta che l’influenza di una persona cresce in modo così considerevole dopo la sua morte”, ha spiegato la redazione del gruppo editoriale.

Gli altri “volti copertina” premiati sono la direttrice del sito di informazione online filippino Rappler, Maria Ressa, sottoposta a censure e minacce da parte del regime di Duterte.

La redazione della Capital Gazette, il giornale di Annapolis negli Stati Uniti che nel giugno scorso è stato oggetto di un attacco terroristico in cui hanno perso la vita cinque giornalisti.

E infine i giornalisti birmani della Reuters Wa Lone e Kyaw Soe Oo, contro i quali è stato architettato un processo farsa, con accuse farlocche fabbricate dal regime, conclusosi dopo un anno di carcerazione preventiva con una condanna ad altri sette anni di prigione per violazione delle leggi sulla segretezza.

“Studiando ed analizzando le scelte per il 2018 ci è parso chiaramente come la manipolazione e l’abuso della verità siano stati il comune denominatore di tante delle più grandi storie dell’anno”, ha detto il direttore della rivista Edward Felsenthal.

I “Guardiani del’informazione” hanno preceduto Donald Trump, in corsa per la seconda volta dopo la copertina del 2016 e secondo classificato.

Al terzo posto il procuratore speciale Robert Mueller: a giudizio di Felsenthal “quest’anno era troppo presto, ma per come stanno andando le cose potrebbe toccare a Mueller la copertina della Persona dell’Anno 2019”.

Un pò di consolazione e rispetto meritati  per una categoria lavorativa, troppo spesso bistrattata e violentata, che fa della propria professione una missione di vita ed uno strumento fondamentale nelle dinamiche della società moderna iper-connessa, ma umanamente lontana più che mai.

Antonio Mulone

Solidarietà e arte si fondono in un tripudio di bellezza grazie allo spettacolo teatrale “Otto storie di giornalisti eroi”

Molteplici forme d’arte si sono coniugate sabato 22 settembre presso il Salone della Borsa della Camera di Commercio di Messina, in occasione della messa in scena dello spettacolo “Otto storie di giornalisti eroi”. Si tratta del quarto appuntamento con DONARtE per NeMO SUD, iniziativa che prevede una serie di eventi di scopo benefico volti alla raccolta fondi per il Centro Clinico NeMO SUD gestito dalla Fondazione Aurora Onlus, ente senza scopo di lucro a sostegno dei pazienti del Policlinico di Messina affetti da malattie neuromuscolari. Molto significativi sono stati gli applausi e i consensi del pubblico chiamato a raccolta in questa manifestazione, a dimostrazione di come l’arte sia un dono e che metterla a disposizione degli altri ha il potere di innescare bellezza, emozione, riflessione e impegno civico.

Uno spettacolo che può definirsi completo, all’insegna di varie espressioni artistiche: le note musicali del sassofonista Flavio Cometa e le coreografie della ballerina Claudia Bertuccelli hanno accompagnato e intervallato le interpretazioni teatrali degli attori Alessio Pettinato e Antonio Gullo. I testi di Alessio Caspanello, fondatore e direttore di Lettera Emme, sono stati sapientemente curati dal regista Vincenzo Tripodo, che ha eccezionalmente rivestito anche i panni di attore nel monologo che ha aperto lo spettacolo. Come una voce fuori campo, dall’alto di una balconata del salone della Camera di Commercio, avvia la narrazione in medias res, interrogandosi e interrogandoci su chi siano gli eroi e sul loro ruolo. Abituati a uno stereotipo di supereroe che salva vite, che indossa travestimenti per non farsi riconoscere e che volteggia per i grattacieli delle megalopoli, potrebbe risultare insolito il connubio giornalista-eroe.

Eppure, come recitano le parole di Caspanello, i veri eroi forse non portano medaglie e non innalzano coppe. Sono uomini comuni che compiono ogni giorno il proprio dovere “in un tempo in cui chiunque crede di avere solo diritti, lavorando con dignità e onestà, senza scendere a compromessi, senza scorciatoie o espedienti”. Sono persone che hanno avuto il coraggio di vivere in funzione di nobili valori e di retta condotta, credendoci fermamente e scegliendo, con competenza e perseveranza, di dedicare la loro professione alla ricerca della verità, senza lasciarsi sopraffare dalla paura e impedendo che quest’ultima potesse ostacolare il cammino intrapreso. “Perché proprio i giornalisti dovrebbero essere considerati eroi?” Perché sono consapevoli che penna e taccuino, gli strumenti principali che da sempre danno libera voce ai loro pensieri e alle loro parole, potrebbero essere usati contro di loro. La scrittura viene tramutata in crimine e rende questi eroi mortali, che vengono strappati al mondo così come i pezzi di un foglio di carta cadono, come viene metaforicamente mostrato in scena.

Dal monologo si passa al dialogo tra i due personaggi (Pettinato e Gullo). Il primo comincia a parlare di otto giornalisti (Pippo Fava, Mauro De Mauro, Cosimo Cristina, Giovanni Spampinato, Mario Francese, Peppino Impastato, Mauro Rostagno, Beppe Alfano), che hanno pagato con la morte il prezzo delle loro scelte, “scegliendo di non voltarsi”, di non tacere, di osservare, analizzare e raccontare con sguardo obiettivo e critico la realtà malavitosa che incombeva nei loro contesti. Lo spettatore ha l’opportunità di rivivere le loro storie attraverso alcuni resoconti dettagliati di informazioni, documentati anche dalla proiezione di immagini di articoli scritti sulle loro scomparse e targhe a loro dedicate. Se da un lato, Pettinato rappresenta un prototipo di cittadinanza attiva, impegnata, di chi prende posizione e denuncia i cancri della società, dall’altro, Gullo, incarna il tipico individuo ignavo, portatore di un’indifferenza che a tratti risulta peggiore di chi ha perpetrato la violenza, che “non vede, non sente, non parla, non sa”, e che prima nega l’esistenza della mafia per poi affermare che “ormai bisogna conviverci”. I due personaggi sono emblema di una società spaccata in due, tra chi persegue la verità coerentemente al proprio agire, e chi paradossalmente sfoglia le pagine dei quotidiani, ma poi con omertà si rifiuta di vedere e di capire.

Mauro Rostagno, sociologo ucciso dalla mafia, ha dichiarato: “Noi non vogliamo trovare un posto in questa società, ma creare una società in cui valga la pena trovare un posto”. Avere un impatto sulla società è infatti uno dei fili conduttori dell’evento, e i Giovani Imprenditori di Sicindustria Messina hanno colto fin da subito questo aspetto, e quindi deciso di contribuire a promuoverlo e organizzarlo. Sveva Arcovito – presidente dei Giovani Imprenditori – ha ringraziato la fautrice del progetto, Letizia Bucalo Vita, responsabile comunicazione, marketing e fundraising di NeMO Sud, perché il centro clinico si è confermato ancora una volta “coltivatore di sviluppo socio culturale, riuscendo a creare legami simbiotici nel territorio orientati verso l’obiettivo comune di riscoprirne e restituirne il valore”. Lo spettacolo infatti ha trasmesso, a questo proposito, un messaggio prorompente e di straordinaria attualità, ricordando che l’operato di questi giornalisti-eroi non sarà mai reso vano e le loro idee non saranno mai spezzate, fino a quando ci saranno i posteri che seguiranno le loro orme e il loro modello, tramutando penna e taccuino nelle uniche e più potenti armi di cui ci si possa servire per raccontare la verità.

Giusy Boccalatte

L‘illustratore di Pinocchio: disegni, poesie e scritti di Ugo Fleres

Ho tante smanie / sotto il cappello / leggo – e dimentico / scrivo – e cancello

Messina da Leggere si arricchisce di un nuovo tassello. Tracceremo in questa puntata un profilo biografico dedicato a Ugo Fleres: critico d’arte, ma anche romanziere, disegnatore e autore di versi.

L’ingegno multiforme di Ugo Fleres non ha conosciuto freni. La sua versatilità irriducibile gli ha permesso di muoversi come una scheggia impazzita percorrendo i più disparati territori dell’arte. Eppure non sono molti, nella sua terra natale, ad averne conservato il ricordo. Gli anni centrali della sua vita sono spesi tra gli incarichi affidati dal ministero dell’Istruzione e le frequentazioni, sfociate nell’incontro e amicizia con altri esuli siciliani, dei circoli letterari e giornalistici nella capitale.  E avendo bene in mente quell’ambiente Luigi Pirandello lo ricorda in una lettera, pervasa di un sentimento di malinconia, dell’ottobre del 1924: “Vivo a Roma quanto più posso ritirato; non esco che per poche ore soltanto sul far della sera, per fare un po’ di moto, e m’accompagno se mi capita, con qualche amico: Giustino Ferri o Ugo Fleres”. A Pirandello, Fleres, fece anche un ritratto, e svolse il ruolo di intermediario per introdurlo a Luigi Capuana. Lo stesso Capuana parlò di “abbandono alla fantasticheria riflessiva” nei riguardi dello scrittore messinese ed ebbe delle parole di elogio per le poesie contenute nella raccolta Sacellum (1889).

era un bel fanciullone nonostante la bionda lanugine di barba e il cappellone di castoro e il passo grave con cui girellava per l’Urbe (Luigi Pirandello, 1937)

Lasciata in gioventù Messina, dove nacque l’11 dicembre 1857, figlio di un procuratore legale originario di Savoca, dopo avere frequentato l’Istituto Tecnico, si stabilì, obbedendo al suo talento artistico, a Napoli, dove divenne allievo del pittore Domenico Morelli. Nella città partenopea si trattenne solo un paio di anni per trasferirsi presto a Roma. Qui riuscì a farsi strada, studiando i classici latini e greci, imparando lo spagnolo e il francese, iniziando a stringere contatti che lo porteranno a militare come illustratore nelle file di alcuni giornali. Negli stessi anni scrisse dei poemetti e una novella, Il cieco (1879), appuntandola in una sorta di diario personale. Nonostante la frequenza di lezioni all’università rimase fondamentalmente un’autodidatta. E fu grazie anche all’amico poeta G.A Costanzo che venne preso nel 1880 nella redazione del periodico letterario Capitan Francassa, dove pubblicò prose d’arte a cui associava spesso, celandosi dietro a una sequenza di pseudonimi bizzarri (Ariel, Fortunio, Fantasio o Leo Fergus, ad esempio) illustrazioni e disegni realizzati a penna e a matita. Contemporaneamente Fleres si dedicò anche all’attività di scrittore, lavorando allo stralunato scritto La musica dell’occhio.


Gli incontri con Luigi Pirandello si fecero nel tempo più frequenti. Pirandello lesse in vari momenti a Fleres Il Fu Mattia Pascal e i due, insieme, esplorano gallerie d’arte, musei, pinacoteche, per trarne spunti da utilizzare nella produzione letteraria. Contro le mode letterarie, in primo luogo il dannunzianesimo, ma anche il filone della Scapigliatura e in nome di una “sincerità” del fare letterario, fondarono anche una rivista, Ariel (1897-1898), periodico a cadenza settimanale. A presentare al pubblico il romanzo L’Anello è sempre l’amico agrigentino, nascosto dietro il nome d’arte di Giulian Dorpelli. In questo scritto Fleres racconta l’ambiente del teatro operistico alle soglie del ‘900 con tutti i suoi retroscena e i personaggi che vi gravitano; un parallelo, potremmo dire, del pirandelliano Quaderni di Serafino Gubbio operatore, dedicato alla nascente industria cinematografica. Ma il poliedrico messinese è passato alle memorie, soprattutto, per essere stato il primo ad avere dato fisicità e forma concreta al burattino di legno di Carlo Collodi nelle  Avventure di Pinocchio (1882) apparso sul Giornale per bambini. In origine, quello che poi sarà stampato come romanzo nel 1883, era uscito per metà a puntate con un altro nome, ed era stato sospeso quando l’autore, stanco del personaggio, aveva deciso di farlo morire. La prima vignetta si apre proprio sulla scena in cui Pinocchio, impiccato a una quercia, riprende a camminare e porta così avanti la storia. Oltre alle novelle, contenute in Profane Istorie, i romanzi (Vortice esce nel 1887), Fata Morgana (in cui scrisse anche in dialetto messinese) la passione predominante di Fleres resta l’arte, a cui si dedica con fervore, ottenendo, dopo la cattedra di storia dell’arte al Magistero, la nomina a direttore, agli inizi del ‘900, della Galleria nazionale di arte moderna di Roma, carica che mantenne, con qualche interruzione nel periodo della prima guerra mondiale, fino al 1933. Al Fleres si deve anche una interessante produzione nel campo del melodramma, con libretti per il teatro: da Uranio, La tazza per the, a Il trillo del diavolo, messo in musica dal Maestro Falchi.

                                                                                                                Eulalia Cambria

Abbatti lo stereotipo : Lo studente di Giornalismo

News1) “Con o senza sottaceti?!”

E’ vero, la laurea a cui ambiamo ha la stessa utilità di uno di quei volantini che troviamo spesso sul parabrezza della nostra macchina.

E’ vero, il nostro è lo zimbello di tutti i corsi di laurea esistenti nel panorama universitario italiano…

E’ anche vero che, nonostante tre anni di studio avremo lo stesso peso accademico di un ragazzo con la terza media, ma non è vero che lavoreremo tutti al McDonald’s! C’è anche il Burger King… Scherzi a parte, non tutti noi studenti di giornalismo ambiamo a friggere patatine e girare migliaia e migliaia di hamburger, misti a lacrime, per il resto della nostra vita; anzi puntiamo in alto, ci sogniamo a firmare gli editoriali delle grandi testate nazionali, a dirigere i Tg di punta delle emittenti italiane o a vivere 24 ore su 24 con le cuffie in testa ed il microfono davanti. Raggiungere questi risultati non è semplice, specialmente in un mercato in crisi come quello del giornalismo, ma noi non molliamo. Potremmo riassumere tutto ciò che rappresentiamo in una celebre frase di Steve Jobs: ”Stay hungry, stay foolish”… e noi ce ne intendiamo di cibo (I’m lovin it…)

2) “Ccezionaleeee!” Non tutti sono giornalisti sportivi

downloadCaressa, Tranquillo, Piccinini, sono tutti grandi idoli per gli amanti del calcio e delle telecronache sportive, ma non per questo ogni giornalista sogna di commentare le partite dei più grandi club italiani e del mondo, di urlare per un canestro sulla sirena, di narrare le gesta dei più illustri campioni fuori e dentro il campo da gioco (Buffa docet). Tra gli studenti di questo corso troverai sicuramente chi conosce persino la formazione della Ternana dell’annata 72-73, ma anche chi sa tutto di storia, è sempre al corrente degli ultimi arrivi in campo scientifico e chi darebbe di tutto per intervistare il Presidente del Consiglio. Ciò a cui ambiamo è informare le persone nella maniera più oggettiva possibile, evitando la spettacolarizzazione e la strumentalizzazione delle notizie, far sapere al pubblico ciò che accade ogni giorno cercando di cambiare il mondo con una penna ed un pezzo di carta.

3) “Vabbé, ma tanto studi Scienze delle Merendineee!!”

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E’ ciò che lo studente medio di Medicina, Giurisprudenza, Economia si sente obbligato a dirci quando parliamo di esami o lezioni varie. E’ vero potremmo non salvare mai la vita ad un uomo, difenderlo in tribunale o cercare di emulare Leonardo DiCaprio nel film “The Wolf of Wall Street”, ma siamo noi a pubblicizzare le scoperte più importanti dei medici, a rendere noto l’andamento dei processi di rilevanza nazionale, ad aggiornare gli indici delle borse mondiali. Senza di noi, studenti di “Scienze delle Merendine”, non potreste nemmeno conoscere le offerte delle Kinder Brios al Despar sotto casa, appunto. D’altronde, se la stampa è chiamata Quarto Potere un motivo ci sarà…

4) Si, tutte le studentesse di Giornalismo sono come la Leotta e la Crivello…

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…Sui social! Dobbiamo abbattere questo falso mito che tutte le giornaliste si fanno spazio in questo mercato a colpi di pose plastiche, “abilità manuali” e likes su Instagram. Molte vanno avanti per la loro grande personalità, si vedano la Gabanelli, la Fallaci, l’Annunziata… molte invece per le loro Due Grandi Personalità (tranquilli si scherza). Sono davvero molte le ragazze che con passione e dedizione si impegnano in questo campo, superando i pregiudizi comuni e perseguendo i loro sogni. Oggi nell’era di Internet e della comunicazione universale non si può pensare di fermarci all’aspetto fisico delle persone, troppe volte preso in considerazione come l’unità di misura per indicare la professionalità di un individuo, d’altro canto, così come “non è l’abito a fare il monaco”, non è il vestitino attillato a fare la giornalista! Potremmo chiudere qui la nostra lista di stereotipi abbattuti, di luoghi comuni distrutti e di miti sfatati, ma come sempre c’è bisogno di  e quindi arriviamo al nostro quinto stereotipo, questa volta più che mai confermato:

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5) Si , il nostro Dio è Enrico Mentana!

Vincenzo Francesco Romeo

Giorgio Muzzupappa

Gli Aspiranti Giornalisti

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Siamo tornati! Dopo aver cercato di abbattere lo stereotipo legato al modo di portare i capelli (se non hai letto, oltre ad essere una brutta persona, clicca qui ), oggi affronteremo un argomento ancora più spinoso, ancora più deprimente, ancora più stereotipato: gli aspiranti giornalisti.

Come se non fosse già abbastanza dover fare a pugni con una società che ha di te la stessa considerazione che hanno gli studenti per la bibliografia dei testi universitari, e con tante persone che ti accollano epiteti poco simpatici come giornalista terrorista, si aggiungono una serie di stereotipi poco simpatici.

Cercheremo di sfatarne giusto 5.

1- Sì, esiste il corso di laurea di Giornalismo. Sembra lapalissiano, ma non tutti (anzi, la quasi totalità delle persone con cui mi trovo a discorrere in merito all’argomento) sanno che esiste in tanti Atenei, soprattutto nel nostro, un indirizzo giornalistico. Sfido tutti voi aspiranti giornalisti che frequentano questo corso, ad affermare che non si sono mai sentiti dire: “Ti piacerebbe fare il giornalista? E che studi? Scienze della comunicazione?”. Sì, cari amici, esiste.

2- Non esiste solo il giornalismo sportivo. Questo poi, forse è quello che mi è più caro. La dimensione che tante persone hanno del giornalismo è distorta: sei giovane, segui lo sport = farai il giornalista sportivo. No, fortunatamente non è un dogma nemmeno questo, e per quanto lo sport possa essere appassionante, non esiste un settore del giornalismo che viene univocamente ambito dagli aspiranti giornalisti.

3- Non ci ispiriamo per forza a qualcuno. Tanti hanno un modello, un riferimento, qualcuno cui ci si ispira. È tipico degli amici dell’aspirante giornalista iniziare ad etichettarlo: “Oh Travaglio!”. “Ti senti più Di Marzio o Marianella?”. Quello che dovete sapere, amici, è che non ci ispiriamo per forza ad un altro giornalista: ognuno, nel corso della propria formazione, assume un determinato stile (e sarebbe strano se così non fosse), senza dover emulare quello di un altro professionista del settore. P.S. Mi hanno davvero chiesto: “Ma se fossi un commentatore sportivo, esulteresti alla  Caressa o alla Compagnoni?”, qui non mento, MARIANELLA ORA E SEMPRE, MERAVIGLIOSAMENTE.

4- L’aspirante giornalista non vive in un film americano. Avrete certamente presente i classici film americani in cui il giovane giornalista passeggia nervosamente in redazione nella propria stanza (vedi tu, una stanza tutta tua…) , fumando venti sigarette ed aspettando che “la fonte” lo chiami per rivelare chissà quali segreti di Stato. Ecco, nella vita reale non è proprio così: più che altro ti trovi ad aspettare comunicati stampa o notizie del calibro “Rubata gallina sulla Tommaso Cannizzaro”, cercando disperatamente una rete Wifi, il più delle volte scrivendo da device poco adatti come telefonini che puntualmente saranno scarichi.

5- Non per forza moriremo di fame. Uno su mille ce la fa. Ringraziando Gianni Morandi che ci concede la licenza poetica, ammettiamo che questo è lo stereotipo più difficile da abbattere. Sarà forse uno strano senso sadico a portarci ad intraprendere la strada del giornalismo, pur sapendo le difficoltà del mestiere, ma il requisito fondamentale per essere un aspirante giornalista è una fiducia sconfinata nei propri mezzi ed un pizzico di illusione verso la vita. Per sfatare questo stereotipo, contattate i membri della redazione fra vent’anni. O in alternativa lanciateci una moneta al semaforo.

Alessio Micalizzi