Un nuovo studio porta alla luce la diversità umana.

Di recente è stata pubblicata la prima bozza del pangenoma umano, che cattura la diversità umana tramite il DNA di diverse persone.

Indice dei contenuti

  1. Cos’è un pangenoma umano?
  2. Come siamo arrivati ad avere un pangenoma?
  3. Come fu creato il nuovo genoma di riferimento?
  4. Conclusione

Cos’è un pangenoma umano?

 

Credits immagine Darryl Leja NHGRI
Crediti immagine: Darryl Leja, NHGRI. Fonte: Wired

Stiamo parlando di una sequenza, una mappa del DNA.
E’ stata scoperta tramite un’iniziativa del National Human Genome Research Institute (NHGRI) dei National Institutes of Health (Nih) americani.
E’ un genoma che fa allo stesso tempo riferimento per descrivere il nostro DNA ma che tiene conto anche quanto l’uomo sia diverso l’uno dall’altro.
Oggi fu pubblicata la prima bozza del pangenoma, quindi la descrizione della genetica umana nel suo complesso. Viene definita come una pietra militare nella storia della genetica che consentirà di capire cosa ci rende diversi l’uno dall’altro e lo sviluppo di malattie.

Come siamo arrivati ad avere un pangenoma?

 

Fonte: Future Brain

Dagli inizi degli anni 2000, vennero rilasciate le prime bozze del genoma umano, qui segue il primo genoma umano di riferimento.
Però questa sequenza non era completa, per la presenza di buchi che vennero colmati oggi tramite delle nuove tecniche, così si presenta una sequenza completa del nostro genoma, denominata T2T-CHM13. Questa è una sequenza di 20 persone, quindi non si aveva una diversità di specie, per cui ora possiamo rispondere alla nostra domanda dicendo che ci serve un genoma di partenza più rappresentativo e quindi allargare lo stesso. 

Come fu creato il nuovo genoma di riferimento?

Pangenoma: progetto che punta a rappresentare la variabilità genetica umana - Osservatorio Terapie Avanzate
Fonte: osservatorioterapieavanzate.it

Per la creazione partirono 47 persone di diversa appartenenza, di diverse aree del mondo, quindi il genoma di riferimento che ne deriva non è più proveniente da quasi una sola persona, ma prende uno spettro più ampio dell’umanità.

Nel pangenoma abbiamo:

  • delle aree più comuni, che sono quelle perfettamente allineate;
  • delle deviazioni che rappresentano i punti in cui i genomi sono diversi.

I ricercatori del progetto mirano ad includere 350 persone rispetto alle 47 nominate prima. In questo modo non avremo un pangenoma completo ma sicuramente più rappresentativo. Lo Human Pangenome Reference consortium presenta l‘assemblaggio di 94 genomi umani per studiare le variazioni genetiche alla base delle differenze tra gli esseri umani. Inserendo informazioni a partire da diversi individui, la prima versione del pangenoma di riferimento umano fornisce una base più equa per la ricerca biomedica, da questo gli autori mostrano che il pangenoma può migliorare l’accuratezza della genotipizzazione e permettere la scoperta di quasi il doppio delle varianti strutturali rispetto a quanto possibile con un singolo genoma di riferimento.

Conclusione

Un test del genoma all'ingresso in ospedale: il futuro è vicino - la Repubblica
Fonte: Repubblica

Questa scoperta è la dimostrazione che la scienza ci stupisce giorno dopo giorno sempre di più. Il pangenoma venne definita come una “Tv in bianco e nero fino ad arrivare a una ad alta definizione”.

                                                                                                                                                                   Sofia Musca

Bibliografia

https://www.wired.it/article/pangenoma-umano-significato-definizione-nature-mappa-dna/
https://www.focus.it/scienza/scienze/primo-pangenoma-diversita-umana 
https://www.cnr.it/it/news/11934/il-pangenoma-umano-rivela-inaspettate-scoperte-sull-infertilita-e-le-condizioni-congenite
https://www.alamy.it/fotos-immagini/genoma-umano.html?sortBy=relevant

Prima sequenza completa del genoma umano: 21 anni di ricerca

Dopo due decenni, i ricercatori hanno generato la prima sequenza completa e senza interruzioni di un genoma umano.

    Indice articolo:

Cos’è un genoma?

Un genoma è l’insieme completo di istruzioni genetiche di un organismo. Ogni genoma contiene tutte le informazioni necessarie per costruire quell’organismo e consentirgli di crescere e svilupparsi.
Il nostro corpo è composto da milioni di cellule (100.000.000.000.000), ognuna con il proprio set completo di istruzioni per comporci, come un ricettario per il corpo. Questo insieme di istruzioni è il nostro genoma, ed è costituito da DNA.  All’interno di esso c’è un codice chimico unico che guida la nostra crescita, sviluppo e salute. Questo è determinato dall’ordine delle quattro basi nucleotidiche che compongono il DNA, ovvero adenina, citosina, guanina e timina, indicati con le lettere A, C, G e T. Il DNA ha una struttura contorta a forma di doppia elica. I singoli filamenti di DNA sono avvolti in strutture chiamate cromosomi.

Rappresentazione grafica del DNA e del genoma https://upload.wikimedia.org

I nostri cromosomi si trovano nel nucleo all’interno di ogni cellula, dove le sezioni del DNA vengono “lette” insieme per formare i geni. I geni controllano diverse caratteristiche, come il colore degli occhi e l’altezza. Tutti gli esseri viventi hanno un genoma unico, quello umano è composto da 3,2 miliardi di basi, ma altri organismi hanno dimensioni del genoma diverse.
Se stampati, i 3,2 miliardi di lettere nel tuo genoma riempirebbero una pila di libri tascabili alta 61 m oppure 200 elenchi telefonici di 500 pagine.

Human Genome Project

Nel 2020 un team di scienziati statunitensi e britannici aveva prodotto la sequenza di DNA senza interruzioni, dall’inizio alla fine, di un cromosoma X umano, cosa già trattata in uno scorso articolo.
Questa volta gli scienziati hanno generato il primo genoma umano completo e senza gap, due decenni dopo che lo Human Genome Project ha inizialmente prodotto una bozza. La ricerca è stata completata dal consorzio Telomere to Telomere (T2T), che includeva la leadership dei ricercatori del National Human Genome Research Institute (NHGRI) degli Stati Uniti, parte del National Institutes of Health degli Stati Uniti; Università della California, Santa Cruz e l’Università di Washington, Seattle. Sei articoli che comprendono la sequenza completata appaiono in Science, insieme ad altri complementari in diverse riviste.
Avere una sequenza completa e priva di lacune di circa tre miliardi di basi del DNA umano, è fondamentale per l’intero spettro della variazione genomica umana e per comprendere i contributi genetici per determinate malattie. Le analisi della sequenza completa del genoma aumenteranno significativamente la conoscenza dei cromosomi, comprese mappe più accurate per cinque bracci cromosomici, il che apre nuove linee di ricerca. Questo aiuta a rispondere alle domande di biologia di base su come i cromosomi si segregano e si dividono correttamente. Il consorzio T2T ha utilizzato la sequenza del genoma ora completa come riferimento per scoprire oltre due milioni di varianti aggiuntive nel genoma umano. Questi studi forniscono informazioni più accurate sulle varianti genomiche all’interno di 622 geni clinicamente rilevanti.

La generazione di una sequenza del genoma umano veramente completa rappresenta un incredibile risultato scientifico, fornendo la prima visione completa del nostro progetto di DNA“, ha affermato il dottor Eric Green, direttore di NHGRI.

 

https://www.ck12.org

Le ultime tecnologie di sequenziamento

Secondo i ricercatori, nell’ultimo decennio sono emerse due nuove tecnologie di sequenziamento del DNA che hanno prodotto letture di sequenze molto più lunghe. Il metodo di sequenziamento del DNA di Oxford Nanopore può leggere fino a un milione di ‘’lettere’’ di DNA con una precisione modesta, mentre il metodo di sequenziamento del DNA di PacBio HiFi può leggere circa 20.000 lettere con una precisione quasi perfetta. I ricercatori del consorzio T2T hanno utilizzato entrambi i metodi di sequenziamento del DNA per generare la sequenza completa del genoma umano.
Il sequenziamento completo si basa sul lavoro dello Human Genome Project, che ha mappato circa il 92% del genoma e della ricerca intrapresa da allora. Migliaia di ricercatori hanno sviluppato strumenti di laboratorio, metodi computazionali e approcci strategici migliori per decifrare la sequenza complessa.
Quest’ultimo 8% include numerosi geni e DNA ripetitivo ed è paragonabile per dimensioni a un intero cromosoma. I ricercatori hanno generato la sequenza completa del genoma utilizzando una linea cellulare speciale che ha due copie identiche di ciascun cromosoma, a differenza della maggior parte delle cellule umane, che trasportano due copie leggermente diverse. Hanno inoltre osservato che la maggior parte delle sequenze di DNA appena aggiunte erano vicine ai telomeri ed ai centromeri ripetitivi.

Conclusioni

Il costo del sequenziamento di un genoma umano, utilizzando tecnologie di “lettura breve” che forniscono diverse centinaia di basi di sequenze di DNA alla volta, è solo di poche centinaia di dollari, essendo diminuito in modo significativo dalla fine del Progetto Genoma Umano. Tuttavia, l’utilizzo di questi metodi di lettura, lasciano ancora alcune lacune nelle sequenze genomiche assemblate. L’enorme calo dei costi di sequenziamento del DNA si unisce a maggiori investimenti in nuove tecnologie di sequenziamento del DNA per generare letture di sequenze di DNA più lunghe senza compromettere l’accuratezza.

Queste informazioni fondamentali rafforzeranno i numerosi sforzi in corso per comprendere tutte le sfumature funzionali del genoma umano, che a loro volta rafforzeranno gli studi genetici sulle malattie umane“, ha concluso Green.

 

Gabriele Galletta

 

Fonti: https://www.science.org/doi/10.1126/science.abj6987

Ringiovanire senza effetti collaterali: la possibilità prende forma

Uno studio pubblicato di recente sulla rivista Nature Aging dal Salk Institute (California), in collaborazione con la società Genentech, dimostra che si può tornare “giovani” senza conseguenze. E, se ve lo steste chiedendo, non c’è bisogno di avere alcun quadro in soffitta che invecchia al vostro posto.

  1. Generalità
  2. Il genoma
  3. La terapia
  4. Cosa sono i vettori retrovirali e come funzionano
  5. L’esperimento condotto con i topi
  6. Conclusioni

Generalità

Questa importante scoperta dalla parvenza fantascientifica, pone in realtà basi solide per il futuro terapeutico di diverse patologie importanti, tra cui le malattie neurodegenerative. Alla base di questo studio ci sono quattro geni (Oct4, Sox2, c-Myc, klf4) che codificano per dei fattori di trascrizione (i cosiddetti fattori di Yamanaka), in grado di riprogrammare il genoma di una cellula riportandola ad uno stato embrionale. Lo studio è stato condotto su topi sani, che dopo questa terapia non presentavano nessun effetto negativo a livello comportamentale e fisico.

www.scienzenotizie.it

Il genoma 

Per genoma si intende la totalità aploide dei cromosomi contenuti in una cellula. Tutte le cellule dell’individuo che prendiamo in considerazione hanno lo stesso genoma, ma ogni tipo cellulare ha un epigenoma differente. Con ‘epigenoma’ si intende l’insieme di modificazioni molecolari che controllano l’espressione di un gene. La scienza che le studia è l’epigenetica. 

La terapia 

La terapia si basa sull’introduzione dei geni Oct4, Sox2, c-Myc e klf4 nel genoma dei fibroblasti dei topi, usando dei vettori retrovirali. Questi geni codificano per dei fattori di trascrizione (i fattori di Yamanaka) che sono in grado di riprogrammare il genoma della cellula matura (fibroblasto).
Mediante il processo di riprogrammazione genetica su cui si basa lo studio, il fibroblasto (cellula matura specializzata) è riportato ad uno stato embrionale, ossia allo stato di cellula staminale pluripotente indotta (iPSC), che potrà poi differenziarsi generando tutti i tipi cellulari. L’uso delle iPSC si preferisce all’uso di cellule staminali embrionali (ESC) per motivi etici. Fatta questa premessa, è facile capire perché questa scoperta rappresenta una svolta per il campo biomedico, sotto vari aspetti.

Cosa sono i vettori retrovirali e come funzionano 

I vettori retrovirali sono virus a RNA che possiedono una funzione di trascrittasi inversa, capace di sintetizzare una forma di DNA complementare che può integrarsi al DNA cromosomico. Fino ad ora i vettori retrovirali si sono dimostrati uno strumento più che efficace per introdurre geni in cellule umane per la terapia genica delle malattie ereditarie. 

www.microbiologiaitalia.it

L’esperimento condotto con i topi

Per provare l’efficacia di questa nuova terapia, gli scienziati del Salk Institute hanno voluto testare la sicurezza del trattamento in caso di utilizzo prolungato nel tempo. I ricercatori hanno somministrato il mix dei quattro geni a topi sani di età compresa tra i 15 e i 22 mesi (che per l’uomo equivale a una terapia assunta tra i 50 e i 70 anni) e a topi tra i 12 e i 22 mesi (dai 35 ai 70 anni per l’uomo). Tutti sono stati trattati per 7-10 mesi.
Un terzo gruppo di topi più anziani di 25 mesi (circa 80 anni per l’uomo), ha ricevuto il trattamento per un mese. Alla fine della terapia nessun topo presentava alterazioni fisiologiche o anomalie di qualsiasi tipo. Nei topi più anziani, trattati per un mese, non è stato però notato alcun miglioramento.
I topi più giovani, trattati per più mesi, hanno invece mostrato un miglioramento (assimilabile a un ringiovanimento) riguardante sia i processi metabolici che le cellule presenti a livello della pelle e del rene. 

Conclusioni  

Alla fine dello studio si nota un’efficacia maggiore riguardante una terapia protratta nel tempo, per questo preferibile a una terapia più breve. È stato anche provato che gli effetti di ringiovanimento si possono notare non durante la terapia, ma solo alla fine. Per quanto possa sembrare un film di fantascienza, questo studio pone le basi per dei trattamenti terapeutici che potrebbero non solo fermare i processi d’invecchiamento, ma addirittura anche invertirli. Insomma, se tutto procede per il verso giusto, questa terapia non avrà nulla da invidiare alla chirurgia estetica.

Francesca Aramnejad

 

Per approfondire

https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/biotech/2022/03/08/topi-ringiovaniti-senza-il-rischio-di-tumori-_edb27ab7-20fe-4a27-9e29-751e1d751943.html

https://www.lescienze.it/news/2013/05/28/news/staminali_pluripotenti_riprogrammazione_ottimizzare-1671094/

https://www.nature.com/articles/s43587-022-00183-2

Coronavirus e gruppo sanguigno: un’analisi del genoma per capire meglio la loro correlazione

Dopo aver passato la prima parte di 2020 quasi totalmente in lockdown, stiamo imparando a convivere con il virus e contemporaneamente stiamo conoscendo la sua storia e le sue caratteristiche.  È recente la notizia del riscontro di tracce del suo RNA nelle acque di Milano e Torino già a dicembre (per saperne di più clicca qui).Ma abbiamo mai pensato che un indizio potrebbe essere celato nel DNA delle nostre cellule? Chissà se anche l’infezione da Coronavirus SARS-CoV-2 colpisce preferibilmente pazienti con determinate mutazioni?

Molte patologie dell’uomo, infettive e non, sono correlate ad una predisposizione genetica. La mutazione di un gene, ereditata dai genitori o successivamente acquisita, può rendere un individuo più suscettibile ad una determinata malattia. Pensiamo, ad esempio, alle malattie autoimmuni che sono spesso associate all’espressione di un particolare aplotipo del complesso maggiore di istocompatibilità (HLA, Human Leukocyte Antigen).
Un gruppo di ricercatori europei, spinto dalla voglia di conoscere a 360° SARS-CoV-2, ha eseguito uno studio di associazione sull’intero genoma (GWAS, dall’inglese genome-wide association study). Si tratta di un particolare tipo di indagine eseguita in epidemiologia genetica con lo scopo sequenziare il genoma dei partecipanti per individuarne differenze e somiglianze.

Come si è svolta l’indagine?

Sono stati reclutati 1980 pazienti affetti da covid-19 diagnosticata mediante la ricerca tramite PCR dell’RNA di SARS-CoV-2 sui tamponi nasofarigei. Le nazioni coinvolte sono state le due più colpite dalla pandemia in Europa, almeno nei primissimi mesi, ovvero Italia e Spagna. Sono stati scelti pazienti ricoverati in terapia intensiva o nei normali reparti che hanno sviluppato insufficienza respiratoria, definendo tale evenienza come il ricorso all’ossigeno-terapia o alla ventilazione meccanica almeno una volta durante la degenza. Inoltre si è fatto un raffronto dei dati ottenuti con quelli di un gruppo di controllo di 2381 italiani e spagnoli, scelti tra donatori di sangue e volontari sani, di cui solo 40 avevano sviluppato anticorpi anti-coronavirus.

Dopo l’estrazione del DNA, la fase investigativa ha portato all’analisi di circa 9 milioni di polimorfismi di singolo nucleotide (SNP), sia nella coorte italiana che in quella spagnola.
I risultati ottenuti hanno dimostrato una frequenza maggiore di mutazioni in due loci genici: il primo sul braccio corto del cromosoma 3, l’altro su quello lungo del 9.

Locus 3p21.31

Questo locus comprende sei geni che potrebbero avere un’azione rilevante nella patogenesi della Covid-19. Il principale indiziato è SLC6A20 codificante per un cotrasportatore sodio-prolina che interagisce con il recettore ACE2, proprio il recettore di SARS-CoV sulla superficie cellulare. Inoltre altre proteine potenzialmente mutate in relazione allo stesso locus sono recettori per le chemochine, come CXCR6. Questo peraltro regola l’azione dei linfociti della memoria T CD8 residenti nel polmone contro i patogeni aerei.

Locus 9q34.2

Veniamo alla curiosità che ha destato più sorpresa dello studio. Il locus individuato sul cromosoma 9 è quello in cui si trovano i geni per gli antigeni del sistema principale dei gruppi sanguigni, ovvero AB0. Facciamo un piccolo off topic per capire il suo significato. I soggetti di gruppo sanguigno A sono quelli che esprimono sulla membrana plasmatica dei globuli rossi solo l’antigene A, mentre il gruppo B è determinato dall’antigene B. Coloro con gruppo AB presentano entrambi gli antigeni ed infine 0 (zero) indica l’assenza di antigeni sulla membrana degli eritrociti.

I risultati dicono che tra i partecipanti allo studio la maggioranza presentava gruppo sanguigno A, definito come un fattore di rischio che aumenta del 50% circa la possibilità di trattamento intensivo. Invece avere gruppo 0 assume addirittura il ruolo di fattore protettivo per forme critiche di Covid-19. Difatti i pazienti affetti da Covid-19 con gruppo sanguigno 0 raramente necessitano di ventilazione od ossigeno. Del resto anche in Cina ad inizio pandemia si erano resi conto che il nuovo coronavirus colpiva in prevalenza il gruppo A, ma non avevano approfondito ulteriormente.

Quali saranno i risvolti positivi di questa scoperta?

Sicuramente le informazioni acquisite con l’analisi genomica avranno un vantaggio non indifferente nella stratificazione del rischio nella popolazione. Potremmo infatti così individuare i soggetti suscettibili a complicanze più gravi della Covid-19 ed organizzare campagne di prevenzione rivolte nei loro confronti.

È importante ribadire che i risultati dello studio non indicano che chi ha gruppo A ha un rischio maggiore rispetto agli altri di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2. Piuttosto ci dicono che se sono di gruppo A e contraggo il coronavirus ho una probabilità maggiore di sviluppare una polmonite più aggressiva.
Comunque il meccanismo biologico con cui il gruppo sanguigno A influenzi negativamente l’infezione da coronavirus non è stato del tutto chiarito. Spetterà a nuove ricerche investigare in questo settore per sviluppare magari protocolli diagnostici e terapeutici migliori.

Antonio Mandolfo

 

 

 

Bibliografia

https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2020283
https://www.assocarenews.it/primo-piano/ultim-ora/sanita/coronavirus-gruppo-sanguigno
https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.03.11.20031096v2
https://www.ilpost.it/2020/06/19/gruppo-sanguigno-covid-19-coronavirus/

Studio italiano all’Oms: Coronavirus in circolo già da Ottobre

A distanza di circa dieci giorni dalla prima diagnosi di Coronavirus in Italia, si contano oltre 2000 contagiati, dislocati su tutto il territorio nazionale.
Di fronte alla crescita esponenziale dei contagi, vacilla l’ipotesi dell’esistenza di un vero e proprio “paziente zero” e ci si chiede a quando risalga effettivamente l’inizio della diffusione del virus, in Cina e nel nostro Paese.

L’inizio e l’evoluzione del contagio

L’epidemia di SARS-CoV-2 è unica nella storia delle malattie infettive umane non solo perché è causata da un nuovo virus, ma anche per la disponibilità immediata di dati epidemiologici e genomici, che sono presenti su piattaforme accessibili a tutti.

Proprio grazie all’elaborazione di questi dati, un gruppo di ricercatori italiani del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche dell’Ospedale Sacco di Milano e del Centro di Ricerca di Epidemiologia e Sorveglianza Molecolare delle Infezioni dell’Università Statale del capoluogo lombardo ha ricostruito la filogenesi del virus lavorando sulle “variazioni del genoma virale”. 

Il loro lavoro, che verrà pubblicato sul Journal of Medical Virology, ha consentito di stabilire il periodo in cui il virus ha cominciato a circolare e di ricostruire la diffusione dell’infezione nei primi mesi dell’epidemia in Cina.

Gli autori hanno condotto un’ indagine epidemiologico-molecolare, basandosi sull’analisi di 52 genomi completi del Coronavirus SARS-Cov-2 depositati nelle banche internazionali di dati genetici fino al 30 gennaio 2020.

I risultati di questo studio mostrano che il Coronavirus sarebbe presente in Cina già da metà ottobre, diverse settimane in anticipo rispetto ai primi casi di polmonite virale. La sua diffusione avrebbe registrato una vera e propria accelerazione nel mese di dicembre.

Un’analisi matematica

E’ stato possibile ricostruire l’andamento del contagio analizzando parametri epidemiologici fondamentali.
Uno di questi è il numero riproduttivo di base (R con zero) che indica il numero di persone che, in media, ogni individuo infetto contagia a sua volta. La situazione ideale si ha quando R0 è inferiore a 1: se ogni infetto non contagia almeno un’altra persona, la diffusione si arresta da sola. Se, al contrario, R0 è maggiore di 1, anche di poco, siamo in presenza di un principio di epidemia. 

Da questa analisi è emerso che da un numero riproduttivo inferiore a 1, a dicembre il virus è passato a 2.6, oggi tra 2.2 e 2.9. Secondo i ricercatori, le cause dell’aumento di questo parametro potrebbero risiedere nei cambiamenti genomici che hanno permesso al virus di trasmettersi in modo più efficace da uomo a uomo oppure nelle caratteristiche della popolazione colpita.

I primi casi anomali

Quando si cerca di risalire al periodo in cui un nuovo virus può aver iniziato a circolare in una popolazione, un campanello d’allarme è rappresentato dalla comparsa localizzata e simultanea di un numero anomalo di casi delle manifestazioni patologiche che il virus può causare.

In Cina, per esempio, a destare i primi sospetti sulla presenza di un nuovo patogeno è stata la registrazione di molti casi di polmonite virale nel giro di pochi giorni.

Similmente, in Italia, si è scoperto che nell’ultima settimana di dicembre, nell’ospedale di Piacenza, a pochi km da Codogno e Casalpusterlengo, i primi focolai italiani, si sono avuti oltre 40 casi di polmonite, un picco assolutamente anomalo. Tuttavia, i sintomi dei pazienti sono stati confusi e curati come quelli delle influenze di stagione o di polmoniti comuni. La maggioranza è guarita, ma nel sangue sono rimaste le tracce degli anticorpi contro il Covid-19, a dimostrazione del fatto di essere stati già infettati.

Sulla base di questi accertamenti, si deduce che il virus è presente in Italia da molto prima della diagnosi del “paziente uno” e abbia avuto un’iniziale diffusione silente.

Come evolverà l’epidemia in Italia

Secondo un’analisi tecnica della diffusione del nuovo Coronavirus in Italia, realizzata dal biologo Enrico Bucci e da due fisici, Enzo Marinari e Giorgio Parisi, l’epidemia si troverebbe ancora nella sua fase iniziale. Considerando soltanto i casi gravi (in terapia intensiva ed i decessi) dal 24 febbraio al 1 marzo, i tre esperti hanno dimostrato che il tempo in cui i casi raddoppiano è di 2,4 giorni. La rapida crescita del numero dei casi critici, dei pazienti ospedalizzati e dei positivi al nuovo Coronavirus registrata negli ultimi giorni, potrebbe rallentare entro una o due settimane.

Grafico tratto dall’analisi di Enrico M. Bucci insieme a Enzo Marinari e Giorgio Parisi

L’evoluzione della situazione del nostro Paese dipenderà da quanto si dimostreranno efficaci le misure di contenimento adottate, dal rispetto da parte di ciascuno delle ordinanze istituzionali e delle regole di igiene.

Negli ultimi giorni si è aperta una faglia tra chi accetta quanto viene disposto dalle istituzioni e chi grida alla «psicosi collettiva». In realtà, proprio l’analisi matematica dell’andamento di questa epidemia, ci aiuta a capire che le misure restrittive messe in atto non sono affatto «esagerate».
Nel momento in cui queste misure venissero allentate o disattese è probabile che i valori di R0 tornerebbero ad innalzarsi nuovamente e il contagio ricomincerebbe a diffondersi.

I prossimi giorni saranno quindi cruciali per capire se si andrà verso una crescita incontrollata di casi oppure se saranno rilevati i primi segni di un rallentamento.

Federica Nuccio

 

Con l’app DreamLab diventi parte attiva nella lotta contro il cancro (mentre dormi)

L’estate è ormai iniziata da molto, almeno secondo il calendario, la sessione estiva è terminata da poco e, che sia andata bene o male, ormai le vacanze sono vicine anche per i più stacanovisti (o comunque così si spera). Le giornate saranno lunghe e dominate, finalmente, da relax, mare, sole e granite, intervallate da lunghe dormite dopo notti brave. E se anche mentre dormiamo potessimo “pigliare pesci”? O comunque, se anche durante la nullafacenza potessimo produrre qualcosa di utile? Beh questo si può fare, e non sto parlando di una canna da pesca automatica per pescatori narcolettici (anche se ammetto che potrebbe essere una svolta per il mercato ittico).

Tutto ciò che serve è il nostro smartphone, un caricabatterie, l’app DreamLab e qualche buona ora di sonno. L’app in questione, sviluppata in comunione da AIRC e da Fondazione Vodafone, trasforma il nostro telefono in uno strumento virtuoso, capace di accelerare la ricerca sul cancro. Dopo aver scaricato l’app, totalmente gratuita, e aver collegato il telefono al caricabatterie, basterà attivare DreamLab per far sì che la potenza di elaborazione dello smartphone sia messa a disposizione della ricerca, in modo da velocizzare i complicatissimi calcoli che sono sempre necessari al giorno d’oggi per gli studi oncologici. Fondazione Vodafone ha già lanciato l’app nel Regno Unito, in Australia e in Nuova Zelanda, e in Italia ha messo l’app al servizio del progetto Genoma in 3D di IFOM, l’Istituto FIRC per l’oncologia molecolare.

Tanto vale approfittare, quindi, delle ore di inutilizzo dello smartphone e mettere in funzione la sua capacità di calcolo per uno scopo virtuoso. Quando lo smartphone è inutilizzato e collegato alla rete elettrica, l’app scarica piccoli pacchetti di dati, li elabora e li invia ai ricercatori. Così, contribuisce a indagare in modo analitico la struttura tridimensionale del Dna nel nucleo cellulare. Quello che una macchina con processore a otto core attiva 24 ore su 24 può fare in 600 giorni, mille smartphone attivi per sei ore a notte lo fanno in circa 20. Trenta volte in meno.

Come spiega Francesco Ferrari, a capo del progetto di ricerca e responsabile del laboratorio di genomica computazionale di IFOM, il progetto “Genoma in 3D” punta a caratterizzare in modo accurato la struttura tridimensionale del DNA. Finora la maggior parte della ricerca molecolare sul cancro si è concentrata sulle mutazioni che riguardano la porzione di DNA codificante per delle proteine particolari, ossia quelle che permettono o bloccano la replicazione cellulare. I geni che codificano per queste proteine infatti, se mutati, causano la proliferazione incontrollata delle cellule, quindi la neoplasia. Questa porzione, però, rappresenta solo una piccolissima parte del nostro DNA, circa il 2 per cento. Il restante 98 per cento contiene, tra le altre cose, “istruzioni” che servono a regolare se e quando i geni codificanti devono essere attivati, per fabbricare le rispettive proteine, e in che misura lo devono fare.

Ne consegue che capire il ruolo di queste regioni e come loro eventuali mutazioni influiscano sull’insorgenza e la progressione del cancro sia diventato di fondamentale importanza per la ricerca, essendo questo un mondo ancora quasi inesplorato. “Il fatto è” precisa Ferrari a AIRC “che all’interno del nucleo di una cellula i filamenti di DNA sono avvolti attorno a una serie di proteine e insieme a esse sono ripiegati in una specifica architettura in tre dimensioni che non è casuale, e anzi contribuisce a modulare la funzione delle regioni sia regolatorie sia codificanti.”

Matrice che rappresenta la struttura tridimensionale della cromatina

Per svolgere questo tipo di analisi servono strumenti bioinformatici e statistici molto potenti. È qui che entra in campo DreamLab. Più alto sarà infatti il numero di utilizzatori di smartphone che aderiranno al progetto, maggiore sarà la velocità di calcolo a disposizione dell’analisi dell’enorme quantità di dati sull’architettura 3D del DNA. L’applicazione è scaricabile gratuitamente per dispositivi Android e iOS. Sarà l’applicazione stessa a darci costantemente notizie riguardo la lotta contro il cancro e, in particolare, lo stato del progetto (ad oggi completato solo per il 4,24%), il numero di “dreamer” -utenti dell’app- (ad oggi solo 16,4 mila), e quanto noi stessi abbiamo contribuito nel nostro piccolo.

I risultati ci aiuteranno a interpretare il significato delle mutazioni nelle regioni non codificanti del genoma in pazienti con tumore” conclude Ferrari, sottolineando che all’inizio il progetto si concentrerà sul tumore del seno, uno dei più diffusi, per poi passare ad altri tipi di neoplasie come quelle del polmone e del pancreas.

Antonio Nuccio