Intervista a Giampiero Massolo, ex capo dei servizi segreti

Nel corso di Taobuk 2024 abbiamo avuto il piacere di ascoltare l’ambasciatore ed ex capo dei servizi segreti Giampiero Massolo durante l’appuntamento intitolato «La concretezza della Realpolitik contro le insidie dello scacchiere mondiale». L’incontro, che si è tenuto presso il Palazzo dei Duchi di Santo Stefano, ha avuto al suo centro una conversazione a tre in cui hanno partecipato Viviana Mazza, corrispondente negli Stati Uniti per il Corriere della Sera, e Andrea Montanari, direttore di Rai Radio 3.

Chi è Giampiero Massolo

Giampiero Massolo è attualmente presidente della società Mundys, del settore delle infrastrutture autostradali e aeroportuali. Il gruppo gestisce, fra le altre cose, lo scalo di Roma-Fiumicino (primo aeroporto italiano per traffico passeggeri) e quello di Nizza Costa Azzurra. È stato inoltre presidente di Fincantieri e dal 2017 al 2024 presidente dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI). La parte più consistente della sua carriera è però occupata dal suo ruolo di diplomatico. Dopo aver lavorato presso l’ambasciata della Santa Sede e a Mosca, dal 2007 al 2012 è stato Segretario Generale del Ministero degli affari esteri. Successivamente, dal 2012 al 2016, è stato direttore del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS), la più alta carica di coordinamento dell’Intelligence italiana. Inoltre è stato sherpa durante il G8 dell’Aquila.

Data la notevole esperienza diplomatica e conoscenza della geopolitica, i suoi interventi sono stati ricchi di aneddoti e analisi degli equilibri internazionali. Nell’affrontare i diversi argomenti proposti da Mazza e Montanari, l’ambasciatore ha parlato soprattutto dei rapporti fra Cina e Stati Uniti, del ruolo dell’Unione Europea all’interno del quadro politico ed economico occidentale e di una nuova definizione di “Mediterraneo”. Inoltre ha discusso di altri temi che stanno spesso all’ombra delle maggiori crisi internazionali, come la crescente influenza militare ed economica Russa in Africa (specie dopo la disgregazione del gruppo Wagner) e dei fragili equilibri dell’area Indo-Pacifica.

Giampiero Massolo (centro), Viviana Mazza e Andrea Montanari al Taobuk 2024

L’intervista all’ambasciatore Massolo

Dopo l’appuntamento abbiamo avuto il piacere di fare qualche domanda all’ambasciatore Massolo, volgendo la nostra attenzione soprattutto sui due grandi fronti bellici del momento: l’Ucraina e la Striscia di Gaza.

Buonasera ambasciatore Massolo, come sa il tema di quest’anno del Taobuk è “identità”. In Occidente sono state molte le manifestazioni universitarie contro l’aggressione israeliana in Palestina. Tuttavia sembra essersi diffuso un sentimento di sfiducia contro le establishments occidentali. Viene percepito un uso di “doppi standard” nei confronti della questione israeliana e russa. Secondo lei questa visione è legittima? Se sì, rappresenta un problema di fiducia nei confronti delle istituzioni?

Va intanto detto che la reazione israeliana, legittima dal punto di vista del diritto internazionale, fa seguito a un’aggressione terroristica da parte di Hamas che ha provocato delle vittime e un trauma terribile nell’opinione pubblica israeliana. Ciascun governo parametra le proprie reazioni sulla base di ciò che la propria opinione pubblica si aspetta e sulla base degli obiettivi che persegue. L’obiettivo, che è essenziale, del primo ministro Netanyahu di annientare Hamas e mettere in sicurezza Gaza sta costando molto a Israele in termini di isolamento nella comunità internazionale e chi ha aggredito Israele ha contato anche su questo: ha contato sulla reazione della comunità internazionale, dei giovani, su questo isolamento in cui Israele è entrato.

Non so per quanto il primo ministro Netanyahu continuerà quest’iniziativa, ma so che la sua opinione pubblica è d’accordo con gli obiettivi che persegue. Lo sforzo della comunità internazionale è invece quello di evitare di pregiudicare i futuri sviluppi, ovvero il ritorno agli accordi di Abramo e di dare al Medio Oriente una sistemazione pacifica di segno occidentale e basata sulla cointeressenza su questi temi. Per quanto riguarda la “legittimità”, io trovo che l’espressione di forti opinioni pubbliche entrano nell’equazione con cui i governi portano avanti le loro decisioni. Sarebbe quindi un errore pensare che conti solo un fattore: quando fanno i loro atti di sintesi entrano in gioco una pluralità di fattori. È molto importante il ruolo delle opinioni pubbliche, ma aspettarsi che le decisioni dei governi si basino solo su queste istanze sarebbe eccessivo.

Riguardo invece al conflitto russo-ucraino, recentemente è arrivata una proposta della Russia che include un cessate al fuoco in cambio della cessione di quattro delle regioni orientali e delle aspirazioni di ingresso nella NATO dell’Ucraina. Secondo lei è una proposta credibile o è soltanto un tentativo da parte della Russia di apparire aperta al dialogo rispetto all’opinione pubblica occidentale?

Putin dice: “mi siedo al tavolo della pace se si fa come dico io”. Questo è inaccettabile sia per la resistenza degli ucraini che per l’esistenza dell’Ucraina. Ma anche per i futuri equilibri politici europei. Se gliela dessimo vinta, la Russia farebbe con ogni probabilità in tre o quattro anni nuovi tentativi di politica di potenza ed espansione. C’è però una cosa interessante in questa proposta. Putin ammette implicitamente che la sostituzione del governo ucraino con uno fantoccio di pertinenza russa, uno dei primi obiettivi, non è più perseguibile. Sarebbe poi un errore negoziare come se la situazione sul campo non esistesse. Attendiamo quindi il prossimo anno, quando il campo stesso ci dirà fino a che punto sia possibile arrivare a un tavolo.

Se domani, per assurdo, Israele cessasse le sue ostilità in Palestina e si ritirasse dai territori occupati, considerando anche l’Iran e le milizie affiliate, la situazione in Medio Oriente si stabilizzerebbe oppure no?

Io credo che questa ipotesi sia del tutto irrealistica, perché la situazione in Medio Oriente dipende da interessi contrapposti. L’interesse dell’Iran, di Hamas, di Hezbollah e degli Houthi è che un’ipotesi di questo tipo non si avveri.

Francesco D’Anna

 

Sapienza, proteste e arresti tra gli studenti. Cosa sta accadendo a Roma

L’Università come centro di dibattito scientifico, ma l’Università anche, indubbiamente, come terreno in cui si combattono guerre politiche vere e proprie, marchiate da ideologie, valori personali e personali partigianerie.

I recenti fatti verificatesi all’Università La Sapienza, a Roma, evidenziano i caratteri sempreverdi di una delle massime istituzioni del Paese; che, per carità, non sono in assoluto un male o un bene, quando rimangono ancora nell’ambito del discutibile.

Il colore politico vi si immischia pienamente, è vero, tuttavia si farebbe cattivo gioco a banalizzare. Dato che, allora che si contesta, si svolge il compito democratico. Con più o meno grazia, ora vedremo.

Approfondiamo quindi le motivazioni sottese alle ultime proteste e all’impegnato sciopero che alcuni studenti dell’ateneo capitolino hanno deciso di avviare. Inserendo gli atti nelle più lunghe sequenze di eventi recenti, che unitamente riconducono a un tema: la guerra di Gaza.

Sapienza, i collettivi contro Israele

Il sottotitolo è lampante, come la realtà. Dei collettivi studenteschi, negli scorsi giorni, hanno protestato per chiedere alla rettrice Polimeni di interrompere i rapporti di collaborazione scientifica che l’Università La Sapienza ancora mantiene con svariate università israeliane.

Il pretesto? Quello che si è già sentito in altre occasioni: per gli allievi, Israele è diventata una potenza da boicottare – soprattutto nella figura del suo Primo Ministro Benjamin Netanyahu – per via delle proprie scelte belliche nei confronti della popolazione di Gaza.

E dato che il boicottaggio verso una Nazione non passa solo per le sanzioni economiche o la mancata esportazione di armi, i manifestanti hanno creduto doveroso farsi sentire per agire nell’ambiente, probabilmente, più di loro potere e competenza: l’ambiente accademico.

Il riferimento studentesco, oltre all’interruzione delle relazioni generali, si pone particolarmente su un accordo fatto tra il ministero israeliano dell’Innovazione, Scienza e Tecnologia (MOST) e il ministero italiano degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale (MAECI), per finanziare progetti di ricerca tra i due paesi in vari ambiti scientifici.

L’iniziativa è stata molto criticata da studenti, professori e ricercatori, secondo i quali rischierebbe di finanziare tecnologie cosiddette dual use, ossia sfruttabili sia a scopo civile che militare.

Gli scontri con la polizia e i due arresti

Già da quanto scritto si può evincere il certo settarismo dei protestanti, palesemente pendenti verso una parte piuttosto che un’altra. Ma sono idee, visioni del mondo, sindacabili alla stregua dei loro contraltari.
Ciò che invece si può dire nettamente condannabile, al di là della posizione di giudizio, è l’atteggiamento di protesta. Almeno in prima fase eccessivamente aggressivo e distruttivo.
Martedì pomeriggio, infatti, al culmine del movimento studentesco si è giunti al confronto diretto con la polizia: per i tentativi di forzare la difesa posta innanzi alla struttura del Senato accademico e al commissariato.
Dallo scontro nessuno è uscito gravemente ferito. Ciononostante, due tra i molteplici partecipanti sono stati presi in riserva dagli agenti, per poi essere rilasciati – fatte le indagini del caso – dopo alcune ore.
Uno ragazzo è stato fermato dopo avere danneggiato un’auto della polizia, una ragazza avrebbe aggredito un dirigente della polizia durante il tentativo di irruzione nel commissariato.

Sapienza, ora è sciopero della fame

Che richiederà un sacrificio oneroso, una dedizione rara, che sarà meno esplicito e d’impatto, eppure – possibilmente – più ragionevole e incisivo sul lungo periodo.
I due scioperanti, Francesca e Leonardo (del collettivo Cambiare Rotta) si sono incatenati di fronte al rettorato dell’Università e ora non chiedono più di un confronto con la loro rettrice.
Adducendo alla responsabilità d’ascolto che quest’ultima dovrebbe rispettare, al fatto che le rivendicazioni non provengano dalla sola anima studentesca dell’Università e che quello di Israele sia un puro genocidio, né giustificabile né ignorabile.

(Link all’intervista: “L’intervista video agli studenti in sciopero della fame dell’Università La Sapienza di Roma“. Fonte: La Ragione).

Gabriele Nostro

Israele: Attacco Iran con droni e missili

Nella notte fra sabato e domenica l’Iran ha lanciato un attacco contro Israele. Sono stati impiegati più di 300 armi fra droni e missili. Nelle scorse ore infatti sono stati pubblicati in rete diversi video che riprendono il passaggio delle armi iraniane nei cieli dell’Iraq. Già nei giorni scorsi Israele aveva innalzato lo stato di allerta al livello massimo, a causa di diversi avvertimenti interni e internazionali su un possibile attacco.

Israele ha confermato la neutralizzazione del 99% di droni e missili attraverso il suo scudo – l’Iron Dome – e l’impiego dell’aviazione. Anche Stati Uniti e Regno Unito hanno partecipato alla difesa di Israele. Nel corso dei bombardamenti undici persone sono rimaste ferite. I danni più importanti sono quelli riportati nella base aeronautica di Navatim, nel centro del Paese.

(Reuters)

 

Vendetta contro Israele

L’operazione rappresenta una rappresaglia nei confronti dello stato ebraico per il bombardamento all’ambasciata iraniana a Damasco. Nel corso di questa offensiva Israele ha ucciso Mohammad Reza Zahedi, importante capo delle guardie rivoluzionarie iraniane (o pasdaran). Altri sette diplomatici sono morti, mentre l’ambasciatore iraniano in Siria è rimasto illeso poiché non si trovava in sede.

Non si tratta del primo attacco iraniano contro Israele. Tuttavia, un’offensiva di questa portata rimane senza precedenti in tempi recenti. L’offensiva rientra in un più ampio quadro di ostilità fra le due potenze nel Medio Oriente, nonché all’interno dell’attuale conflitto fra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza. L’Iran infatti sostiene economicamente e militarmente diverse milizie nella regione fra cui Hamas in Palestina, Hezbollah in Libano, i ribelli Houthi in Yemen e altre unità in Iraq e Siria. Nel corso del conflitto nella Striscia, Israele ha ucciso importanti esponenti di Hamas fra cui i tre figli adulti del capo politico della milizia Ismail Haniyeh.

Droni e missili non sono partiti solo da Iran, ma anche da altri paesi dell’area dove risiedono milizie filoiraniane. Fra queste spiccano Hezbollah in Libano e gli Houthi in Yemen, ampiamente finanziate e supportate dal regime iraniano. In particolar modo Hezbollah rappresenta una sempre più preoccupante minaccia per Israele, a causa della forte espansione del gruppo. L’apertura di un fronte a nord dello stato ebraico potrebbe impegnare diverse forze militari israeliane distogliendole dalla Striscia di Gaza.

(Al Jazeera)

Le armi usate dall’Iran

L’attacco ha preoccupato la comunità internazionale per una possibile escalation regionale dell’attuale conflitto fra Israele e Palestina. L’Iran è infatti uno dei paesi più militarizzati della regione mediorientale. A partire dagli anni novanta la guida suprema Khamenei ha investito molto nell’esercito e in un’industria bellica nazionale e autonoma, che ha fornito al paese un grosso arsenale. La maggior parte delle risorse sono conservate in depositi sotterranei difficilmente attaccabili da attacchi esterni. L’Iran inoltre porta avanti da anni un piano di sviluppo di un potente arsenale nucleare.

Nel corso dell’attacco sferzato contro Israele, sono stati impiegati 170 droni, 120 missili balistici e trenta da crociera. I droni, del tipo Shahed 136 (che l’Iran vende tra l’altro alla Russia), sono detti “kamikaze” poiché volano autonomamente attraverso coordinate GPS e si schiantano contro diversi target, distruggendosi e facendo detonare l’esplosivo trasportato: possono impiegare diverse ore in volo prima di colpire, per cui il loro passaggio è visibile in cielo (come accaduto in Iraq e Israele la scorsa notte). I missili balistici, di cui l’Iran ne ha usati circa 30, vengono sparati a grosse altitudini oltre atmosfera per poi ricadere su diversi obiettivi: non richiedono motore e sono molto veloci, richiedendo solo una decina di minuti prima di colpire. I missili da crociera hanno invece una velocità intermedia e seguono una traiettoria orizzontale ad altitudine molto inferiore, poiché volano alimentati da un motore: anch’essi sono visibili insieme ai droni.

Shahed 136 (Wikimedia)

La reazione internazionale

Dopo che l’Iran ha lanciato il suo attacco contro Israele, diversi paesi hanno espresso la loro condanna e preoccupazione per gli attacchi iraniani contro Israele. Quest’ultimo peraltro non ha rassicurato i suoi alleati in Occidente, promettendo una contro-rappresaglia «quando il tempo sarà dalla sua parte». Di contro, la missione iraniana presso le Nazioni Unite ha affermato che gli attacchi sono stati condotti unicamente come vendetta contro Israele ma che potranno seguirne altri se questo risponderà. Il presidente Joe Biden ha dichiarato che non garantisce l’appoggio a Israele in un eventuale contro-attacco e starebbe inoltre dissuadendo il governo Netanyahu a rispondere.

(Reuters)

Francesco D’Anna

Sei mesi di guerra nella Striscia di Gaza

Sono trascorsi circa sei mesi dall’attacco di Hamas del 7 ottobre, quando diversi miliziani presero di mira diversi kibbutz nel sud di Israele. Questa serie di attentati, noti come operazione diluvio Al-Aqsa, ha portato alla morte di 1200 persone fra civili e militari israeliani. Contestualmente circa 250 ostaggi sono stati trasportati nei tunnel sotterranei della Striscia, usati come centro operativo da Hamas.

La reazione di Israele non si è lasciata attendere: il giorno seguente ha dichiarato lo stato di guerra con la Striscia di Gaza, una delle zone più densamente popolate al mondo. Qui vi abitano più di 2 milioni di persone, soprattutto palestinesi, in un’area geografica di 365 km2 (pari circa alla metà di quella di Madrid). Lo stato ebraico ha mobilitato migliaia di riservisti per organizzare una cospicua operazione di terra nella Striscia, preceduta da intensi bombardamenti su bersagli civili e militari. Le perdite umane complessive fra gli abitanti della striscia sono più di 30.000, un terzo dei quali rappresentati da bambini.

(Flickr)

La catastrofe umanitaria nella Striscia

L’operazione israeliana nella Striscia, organizzata per recuperare gli ostaggi ed eradicare Hamas dal territorio, non ha finora sortito gli effetti desiderati dal governo Netanyahu. Inoltre ha causato una catastrofe umanitaria nella Striscia: milioni di persone sono sfollate, vivono in condizioni igienico-sanitarie molto precarie ed è in corso una gravissima carestia. Nonostante le pressioni internazionali, Israele non ha facilitato l’arrivo o la distribuzione di aiuti umanitari. Ha inoltre chiuso la maggior parte dei valichi con la Striscia e non ha garantito percorsi sicuri per i convogli.

Recentemente ha fatto molto clamore la notizia dell’uccisione di sette operatori umanitari della ONG World Central Kitchen. Israele ha colpito tre auto dell’organizzazione poiché sospettate di trasportare un miliziano di Hamas. Questa ipotesi si è poi rivelata incorretta, inducendo Israele ad aprire un’inchiesta interna su chi abbia ordinato l’esecuzione. L’opinione pubblica internazionale tuttavia ha definito questo atto come: farebbe parte della strategia israeliana di affamare la popolazione palestinese come arma da guerra. L’attacco ha portato all’interruzione degli aiuti nella striscia da parte di WCK e di altre ONG, aggravando ancor di più le condizioni umanitarie.

Questi fatti si aggiungono a quelli dei mesi precedenti che hanno spinto il Sudafrica a fare causa ad Israele alla Corte internazione di giustizia dell’Aia. Quest’ultimo, secondo i sudafricani, non starebbe rispettando la Convenzione sul genocidio. L’opinione pubblica ha largamente lodato l’iniziativa giudiziaria, sebbene questa richieda tempi relativamente lunghi prima di ricevere un esito definitivo.

Flickr

Le reazioni della comunità internazionale

La comunità internazionale ha condannato la reazione israeliana, ritenuta spropositata e ingiusta. Tuttavia l’opinione pubblica ritiene insufficienti le misure prese contro la guerra: molti chiedono l’imposizione di un cessate il fuoco permanente e l’interruzione della vendita di armi a Israele. Inoltre diversi attivisti e politici denunciano il ritardo nelle azioni prese dall’ONU. I veti incrociati di Stati Uniti, Russia e Cina hanno infatti più volte bloccato l’operato delle Nazioni Unite.

Le Nazioni Unite hanno approvato due risoluzioni relative alla situazione nella Striscia solo nell’ultimo mese. La prima è quella del 25 marzo che chiede un immediato cessate il fuoco, approvato grazie all’astensione degli Stati Uniti: è teoricamente vincolante per Israele, che però non risulta al momento intenzionato a farlo. L’UNHRC, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha invece approvato la seconda, chiedendo l’interruzione della vendita di armi a Israele.

InternationalAffairs.org

Il ritiro da Khan Yunis

Negli ultimi giorni, le truppe di terra israeliane hanno abbandonato le loro postazioni a Khan Yunis, una delle ultime città a sud della Striscia. Il motivo fornito da Israele è quello di permettere al suo esercito di riposarsi e organizzarsi per le successive operazioni a Rafah. Qui si concentrano le sacche resistenza residue di Hamas ma anche nonché la maggior parte degli sfollati, spinti progressivamente dall’avanzata militare israeliana.

Ad oggi non si conosce con precisione la ragione per cui i membri della 98esima divisione stiano ritornando alle loro postazioni dall’altro lato del confine. Secondo esperti e analisti però è da escludere una fine del conflitto. Molto probabilmente Israele non rinuncerà all’invasione di Rafah, così come ricordato dal ministro della difesa israeliano Yoav Gallant e dal presidente Benjamin Netanyahu. Alcuni esponenti interni al governo israeliano non sono però così sicuri: paventando una presunta indecisione da parte dell’esecutivo, il ministro della Sicurezza nazionale Itaman Ben-Gvir ha dichiarato che Netanyahu «non potrà servire da Primo ministro se decidesse di non invadere Rafah».

Nel frattempo molti sfollati stanno facendo il loro ritorno a Khan Yunis, dove hanno trovato mucchi di macerie e corpi.

Wikimedia

Francesco D’Anna

Immagina

Immagina di essere solo, nascosto sotto un muro retto da una trave arrugginita, con la polvere addosso che ti sgorga dagli occhi insieme alle lacrime, che serpeggia tra le tue dita, che si mischia al sangue delle ginocchia sbucciate.

Immagina di essere uomo, donna, vecchio o bambino. Di respirare, bere e mangiare come ogni essere umano, ma sentendo dentro di te un vuoto, qualcosa che ti manca, che fa di te qualcosa di dimezzato.

Immagina di ascoltare la radio in un lurido scantinato, ascoltando il grande uomo bianco, il padrone dei padroni, affermare che è dovere aiutare chi viene aggredito, chi è vittima del bullo, chi è soggetto a persecuzione.

Immagina un cielo oscuro illuminato da fiori in fiamme, tempeste di pollini, rombi di api, e poi il silenzio. Mortale silenzio, per un attimo o due, e poi urla levarsi nella notte.

Immagina di essere un puntino nella folla oceanica, in processione dietro una bara bianca. Con le ambulanze che scorrazzano qua e là, e due schiere di cavalieri di carta con scudi di plastica a spingerti ora da una parte, ora dall’altra.

Immagina di essere un padre, una madre, un nonno o un figlio, e di riuscire a contare nella tua vita più funerali che feste di compleanno. Di avere almeno un lutto in casa, un martire laico da ricordare o vendicare.

Immagina di essere figlio di nessuno, padre di niente, cittadino del nulla. Essere vivente solo perché ancora in grado di respirare, ma privato d’ogni cosa che rende l’uomo un uomo.

Immagina di esserti fidato dell’uomo bianco. Delle sue promesse mancate, delle sue prese di posizione, dei suoi finti moti di sdegno.

Immagina di essere tu l’aggredito. Tu la vittima del bullo. Tu la persona da sostenere. E immagina il tuo volto nel vedere che no, il grande uomo bianco sostiene l’aggressore, sostiene il bullo.

Immagina di essere un Gazawi. Padre, figlio e fratello di uomini senza diritti né patria. Senza una bandiera intorno a cui raccogliersi, una terra da difendere e tramandare, un governo da sostenere o contestare.

Avresti potuto immaginarlo.
Ma ieri casa tua è stata colpita da un missile.
Sei morto tu, tua moglie, tua figlia di sei anni e tuo figlio di tre.

Diranno che eri un terrorista. O che nascondevi un terrorista o che in ogni caso, in quanto palestinese, eri un potenziale terrorista.

Non è poi così difficile prendere un uomo, spogliarlo di ciò che è, vestirlo di ciò che non è, ucciderlo per ciò che lo si è fatto diventare.

Ora che hai finito di soffrire, libero dalle catene bianche e azzurre, lontano dai cavalieri dagli elmi stellati, scommetto che puoi vedere noi, uomini bianchi, riempirci la bocca di buone intenzioni e le mani di banconote insanguinate.

“Hai visto?” ti immagino dire a tuo figlio “Quanto sono poveri quegli uomini bianchi, che pur essendosi arricchiti d’ogni cosa hanno perso il bene più importante: la coscienza”.


Giuseppe Libro Muscarà

*immagine in evidenza: illustrazione di Marco Castiglia

Notte di guerra al confine tra la Striscia di Gaza e Israele. Prevista oggi seduta urgente dell’Onu

Notte di guerra al confine tra la Striscia di Gaza e Israele, dove l’escalation di violenza prosegue ancora oggi con ripetuti lanci di razzi dalla Striscia e raid dell’esercito dello Stato ebraico, che ha annunciato il richiamo di 5mila riservisti, in vista di una guerra che non sarà di breve durata.

Gli ultimi avvenimenti

L’85% dei razzi lanciato da Hamas è stato intercettato mentre circa 200 sono esplosi all’interno della Striscia. Il movimento islamico ha anche cercato di colpire l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, le cui sirene di allarme sono risuonate verso le 6 locali (le 5 in Italia) costringendo la popolazione a correre in locali protetti.

Altri attacchi sono stati segnalati nel sud di Israele, dove le scuole restano chiuse, mentre il traffico ferroviario verso Ashkelon e il sud del Paese è interrotto. Nella località, 26 israeliani sono stati feriti dai razzi, uno dei quali ha centrato un edificio di otto piani. Una razzia già preannunciata dal portavoce dell’ala militare di Hamas, Abu Ubaidah, che aveva dichiarato:  “Se Israele continuerà ad attaccare, trasformeremo Ashkelon in un infernoaggiungendo poiabbiamo lanciato razzi contro Ashkelon a seguito di un attacco israeliano che ha colpito una casa a ovest di Gaza City”.

I razzi lanciati dalla Striscia verso Gerusalemme. Fonte: Ansa.

In risposta l’esercito ha compiuto oltre 500 attacchi contro personale, armamenti e infrastrutture di Hamas e Jihad nella Striscia, uccidendo altri due capi militari: Hassan Kaogi, capo del dipartimento di sicurezza dell’ intelligence militare di Hamas, e il suo vice, Wail Issa, capo del dipartimento di controspionaggio dell’intelligence militare.

Il portavoce delle Forze della sicurezza israeliana, Hidai Zilberman, ha ribadito la volontà di non fermare lo scontro: “Abbiamo un indirizzo chiaro: questo è Hamas. Il gruppo pagherà un caro prezzo per le sue azioni. Risponderemo ferocemente“.

Il bilancio delle vittime

Il Jerusalem Post scrive che sono almeno cinque i cittadini israeliani uccisi dai raid. Il numero delle vittime cresce di ora in ora: a Gaza sono 35 i palestinesi uccisi – tra i quali 12 bambini e tre donne -, e più di 200 persone sono rimaste ferite. Un razzo anticarro sparato da Gaza, rivendicato da Hamas, ha inoltre centrato in mattinata un veicolo israeliano che si trovava nei pressi della linea di demarcazione, provocando tre feriti che versano in condizioni gravissime. Anche nelle gli abitanti delle vicinanze del Kibbutz Netiv a Assarà hanno ricevuto l’ordine di entrare nei rifugi.

Edificio del ministero dell’interno di Hamas, alla periferia di Gaza, distrutto da un raid aereo israeliano. Fonte: Ansa.

Fino agli scontri di ieri invece, il ministero della Salute palestinese ha aggiornato il bilancio a 24 morti, tra cui nove minori dopo gli attacchi israeliani verso Gaza, con un numero di feriti che viaggiano intorno ai 103. Secondo i media di Tel Aviv la morte dei 3 bambini palestinesi a Gaza sarebbe stata invece causata da un fallito attacco da parte di Gaza contro Israele.

La riunione dell’Onu

L’incontro si tiene oggi su richiesta urgente di Cina, Tunisia, Norvegia, Francia, Estonia e Irlanda, che avevano presentato lunedì scorso una bozza di dichiarazione in cui si invitava “Israele a fermare le attività di insediamento, demolizione ed espulsione” dei palestinesi, “anche a Gerusalemme est”. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu, tuttavia, non aveva raggiunto l’accordo per una dichiarazione comune, nonostante i numerosi appelli alla moderazione tra cui quello del Ministro degli Esteri italiano Luigi di Maio.

Arrivata ieri la condanna della Casa Bianca agli attacchi di Hamas contro Israele, Joe Biden ha chiesto ai suoi funzionari di inviare sia da israeliani sia ai palestinesi “un chiaro messaggio teso a far rientrare l’escalation”. Il suo portavoce, Jen Psaki ha aggiunto: “Il sostegno del presidente alla sicurezza di Israele e il suo legittimo diritto a difendersi e difendere il proprio popolo è fondamentale e non verrà mai meno”. Una dichiarazione giunta dopo la telefonata avvenuta nella notte tra Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale di Biden, e il consigliere israeliano Meir Ben Shabbat. Lo stesso Sullivan ha tracciato la strada “verso la restaurazione di una calma sostenibile”, ha detto nel corso del colloquio.

Palazzo dell’Onu dove si riuniranno oggi le autorità internazionali. Fonte: Lindro.it

Anche il segretario dell’Onu Antonio Guterres ha esortato Israele a cessare le demolizioni e gli sgomberi, invitando lo Stato mediorientale alla massima moderazione e al rispetto al diritto della libertà di tenere riunioni pacifiche.

Il Segretario generale esprime la sua profonda preoccupazione per la continua violenza nella Gerusalemme est occupata, così come per i possibili sgomberi di famiglie palestinesi dalle loro case“, ha dichiarato il portavoce Onu Stephane Dujarric.

Gli appelli delle autorità cristiane

La preoccupazione e l’invito a una restaurazione della pace giunge non solo da Papa Francesco, che ha chiesto “soluzioni condivise”, ma anche dai capi delle Chiese cristiane di Terra Santa che si erano detti sbigottiti per la violenza manifestata a Gerusalemme est, formulando un appello alla Comunità internazionale “e a tutti i popoli di buona volontà” a intervenire per mettere fine “a queste azioni provocatorie, così come continuare a pregare per la pace di Gerusalemme”.

Alessia Vaccarella