Una bomba nelle nostre tasche: la batteria a litio

Al giorno d’oggi le batterie al litio sono ampiamente utilizzate nei dispositivi tecnologici come cellulari, computer portatili, tablet, veicoli elettrici etc.
Molti però ignorano il pericolo di un dispositivo surriscaldato o di una batteria che viene danneggiata.

Elenco dei contenuti

  1. Cos’è il litio?
  2. Avvertenze
  3. Rischi per la salute
  4. Esperimenti 
  5. Precauzione
  6. Batteria gonfia
  7. Cosa fare
  8. Conclusione

Cos’è il Litio?

Il Litio è il terzo elemento della tavola periodica. Si tratta, quindi, di uno dei metalli più leggeri.
Le batterie sfruttano il litio sotto forma di ione che migra dal catodo verso l’anodo nella fase di carica, mentre viceversa in quella di scaricamento.
Il loro vantaggio più evidente è rappresentato dalla loro capacità di erogare una gran quantità di energia, mantenendo i vari dispositivi sempre più sottili e leggeri

digilander.libero.it

Avvertenze

Con il crescente uso di batterie a litio, i pericoli legati allo stoccaggio e alla ricarica di queste vanno aumentando.
Infatti, proprio per la loro elevata densità energetica, possono scoppiare e causare incendi.
Solo se manipolate idoneamente, l’uso di
batterie al litio in normali condizioni è considerato più che sicuro, mentre se presenta difetti tecnici, urti o contaminazioni, la situazione può diventare critica.

Rischi per la salute

La Dott.ssa Jie Sun, ricercatrice dell’Università di Virginia, nel suo studio  “Preparation of LiCoO2 films from spent lithium-ion batteries by a combined recycling process” fa notare che gli elettroliti utilizzati nelle batterie a litio contengono alogeni tossici (cloro, fluoro, bromo).
Queste sono sostanze che se infiammate sono in grado di catturare idrogeno producendo acidi alogenidrici, i cui fumi sono dannosi per la salute.
La ricerca ha individuato oltre 100 gas tossici emessi da batterie a litio, tra cui il monossido di carbonio (CO).
Tali gas possono causare dermatiti irritative, congiuntiviti, polmoniti, cefalee e possono risultare potenzialmente fatali.
La fuoriuscita di questo gas letale in ambienti chiusi come l’automobile o uno scompartimento aereo può mettere a repentaglio la sicurezza pubblica.

Esperimenti

La ricercatrice e i suoi colleghi hanno riscaldato fino al punto di combustione circa 20 mila batterie agli ioni di litio. Molti dispositivi sono esplosi e tutti hanno emesso una serie di gas tossici.
Da questo studio hanno scoperto che le batterie con un livello di carica del 100% emettono livelli maggiori di gas tossici rispetto alle batterie con una percentuale di carica del 50%.

biancoebruno.it

Prevenzione

Per evitare tutto ciò bisogna cercare di preservare la batteria.
Una batteria a litio ha in media una vita tra i 200 e i 500 cicli di ricarica.
Solitamente dopo i 250 utilizzi una batteria non arriverà al 100% ma all’80% della sua capacità nominale.

Per non rovinarla:

  • non lasciarla mai scaricare del tutto, si dovrebbe cercare di ricaricarla quando è ancora sopra al 20%
  • se non si usa per un periodo di tempo prolungato è necessario caricarla portandola tra il 60% e il 70%
  • caricarla con un caricabatteria meno veloce per avere una carica omogenea e cicli di ricarica maggiori. I moderni caricabatteria riescono a caricare le batterie in tempi brevissimi, questo rappresenta uno stress eccessivo per la batteria. Infatti se la batteria viene portata quotidianamente al limite delle sue capacità di carica, le reazioni chimiche che avvengono al suo interno non saranno omogenee e di conseguenza si avrà una riduzione della vita della pila stessa, con possibili riscaldamenti e rigonfiamenti.
  • mantenerle a temperatura ambiente. A temperature molto basse (inferiori a 0 °C) la batteria tenderà a scaricarsi più velocemente. Così come temperature sopra i 30 °C possono interagire con la reazione chimica all’interno della stessa.

Batteria Gonfia

Cosa succede se una batteria si gonfia?
Le batterie agli ioni di litio utilizzano una reazione chimica per generare potenza. Man mano che la batteria invecchia questa reazione chimica non si completa più perfettamente e porta alla creazione di un gas che gonfia la batteria. Il rigonfiamento si genera a causa di particelle che rimangono incastrate tra gli strati della batteria e finiscono con perforare la membrana che li separa.
Se la membrana viene compromessa, l’umidità dell’aria può reagire con la cella facendola gonfiare.

ilsoftware.it

Cosa fare

Per rimuovere la batteria è necessario lavorare in un’area ben ventilata onde evitare di inalare gas nocivi. L’ideale sarebbe quello di indossare una mascherina.
Una volta rimossa deve essere smaltita in maniera sicura, negli appositi contenitori.
Mai gettare mai batterie nella spazzatura o in contenitori della raccolta differenziata domestica!

static.ohga.it

Conclusione

Di questi dispositivi non possiamo più farne a meno seppur pericolosi.
Ma bastano pochi accorgimenti, talvolta anche banali, per evitare di far di questo oggetto “una bomba per le nostre tasche”.
La scienza ci porterà sempre a “toccare con mano” nuove scoperte, ma solo se usate con criterio e intelligenza  riusciremo a sfruttare al meglio il loro potenziale.

Elena Fortuna

 

Bibliografia:

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S037877530200037X?via%3Dihub

https://www.researchgate.net/publication/322582792_Effective_regeneration_of_LiCoO2_from_spent_lithium-ion_batteries_A_direct_approach_towards_high-performance_active_particles

https://www.greenstyle.it/batterie-al-litio-emissioni-gas-pericolose-salute-ambiente-207974.html

https://journals.lww.com/ccmjournal/Citation/2005/12001/Carbon_monoxide.30.aspx

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S1888989120300756?via%3Dihub

https://linkinghub.elsevier.com/retrieve/pii/S0045-6535(21)01416-8https://hr2n59f75g6m.cdn.shift8web.com/wp-content/uploads/2018/07/ricerca-mercato-batterie-litio-industriali.jpg

L’Eni accontenta Mosca sull’acquisto del gas e apre un conto in rubli

L’Eni ha deciso di sottostare alle misure richieste da Mosca per l’acquisto del gas russo e aprire due conti, uno in euro e uno in rubli, presso la Gazprombank. Una scelta pesantemente criticata dalla Commissione europea poiché rischia di vanificare le misure contenute nel pacchetto di sanzioni adottate dall’Unione Europea per colpire l’economia russa. Parallelamente, altre aziende stanno adottando questa pratica in attesa di capire se il sesto pacchetto di sanzioni, riguardante l’embargo sul petrolio russo e di fatto ostaggio del veto dell’Ungheria entrerà mai in vigore.

fonte: mahalsa.it

La risposta di Mosca alle sanzioni europee: il sistema del doppio conto

Due mesi fa, precisamente il 31 marzo, un decreto emanato dal Cremlino statuiva che d’ora in avanti i “paesi ostili” avrebbero potuto accedere alle forniture di gas ed effettuare i corrispettivi pagamenti solamente a fronte dell’apertura di due conti presso la Gazprombank. Una decisione frutto della necessità di rispondere alle sanzioni adottate dalla Commissione europea che prevedono l’obbligo di effettuare tale acquisto unicamente adoperando la valuta comunitaria. L’apertura presso lo stesso istituto dei due conti, uno in euro o dollari e l’altro in rubli, permetterebbe di bypassare le sanzioni e mitigare le problematiche riguardanti l’aspetto rivelatosi più spigoloso dei rapporti tra paesi UE e Russia: la dipendenza energetica.

I due conti, uno in euro o dollari e l’altro in rubli, garantirebbero da un lato il rispetto delle misure sanzionatorie adottate dall’Unione Europea che vietano l’acquisto di forniture energetiche in rubli e dall’altro salvaguarderebbero la valuta russa, oggetto di pesanti svalutazioni nelle scorse settimane. Le aziende per garantire l’afflusso di gas dovranno effettuare il pagamento in euro o dollari (come previsto dalle misure) su un conto per potere, una volta avvenuta la conversione in rubli sul secondo, accedere alle forniture. Gli obblighi di pagamento verrebbero considerati adempiuti al momento del versamento in euro ma l’erogazione delle risorse avverrebbe unicamente a conversione avvenuta. Un operazione dall’indubbio controsenso rispetto alle ragioni delle suddette sanzioni ma che di fatto è perfettamente valida operando nelle “zone grigie” delle misure.

 

Non riusciamo ad essere indipendenti dal gas russo

Una scelta che nelle scorse settimane è stata effettuata da altre aziende europee, tra cui anche la francese Engie, e da ultimo presa anche da Eni. Per l’azienda italiana si tratterebbe di una manovra resasi necessaria per adempiere all’incombenza della fattura in scadenza giorno 20 maggio e preservare così l’apporto energetico alle case degli italiani. Sebbene il governo Draghi abbia più volte assicurato di stare lavorando duramente per trovare nuovi fornitori, allo stato di fatto l’Italia continua a dipendere dalla Russia per il 43% delle risorse energetiche e non può permettersi in alcun caso un taglio delle forniture. Nell’annunciare la decisione presa, Eni ha specificato che la stessa è stata condivisa dalle istituzioni italiane (il 30,3% dell’azienda è controllata dallo Stato), e soprattutto che è pienamente conforme ai contratti già stipulati e alle sanzioni europee.

Eric Mamer, portavoce di Ursula von der Leyen, fonte: castbox.com

Di diverso avviso è ovviamente la Commissione europea, il cui portavoce Eric Mamer ha sottolineato che versare rubli a Mosca o aprire un secondo conto in rubli vada “oltre le indicazioni date agli Stati membri”.

Sull’energia Europa disunita e poco chiara

L’esecutivo europeo non ha di fatto però strumenti per impedire questo genere di operazione, potendo unicamente minacciare gli Stati di adoperare la procedura d’infrazione. Una procedura che però richiede mesi o addirittura anni prima di sortire qualsiasi effetto. A dovere vigilare sulle aziende e sul rispetto delle misure sono perciò gli stessi Stati che però, a loro volta, sono ancora dipendenti dalle suddette forniture e non supportati da indicazioni chiare della stessa Europa. Nelle scorse settimane la Commissione Europea aveva espresso un parere sul pagamento in rubli, di fatto approvando lo schema del doppio conto, ma era stato considerato confuso e insufficiente da vari Paesi. Lo stesso presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, per esempio, aveva chiesto che la Commissione Europea chiarisse al più presto questo punto equivoco in vista delle scadenze dei pagamenti.

La questione sembra dovere tenere banco ancora per giorni e sicuramente si aggiungerà al tavolo di un ulteriore discussione: quella sulle ulteriori sanzioni alla Russia. L’obiettivo della Commissione è quello di un embargo totale del petrolio russo ma sul tema non vi è unità di vedute da parte dei paesi europei, in primis dall’Ungheria. Infatti, con il protrarsi del conflitto in Ucraina e le sempre più evidenti emergenze dell’esercito russo le sanzioni appaiono sempre più non necessarie.

Filippo Giletto

 

Italia, Eni e il gas algerino: tutti i dettagli del nuovo accordo per aumentare l’indipendenza dalla Russia

Il Governo italiano ha formalizzato un nuovo accordo sul gas con l’Algeria. Si mira a trovare fornitori alternativi per rimpiazzare la dipendenza dal gas russo.

Accordo Italia-Algeria -Fonte:ilsussidiario.net

L’Esecutivo in tal senso si è messo al lavoro per “difendere i cittadini e le imprese dalle conseguenze del conflitto”. L’incontro tenutosi lunedì 11 aprile nella capitale algerina, Algeri, presso il Palazzo presidenziale “El Mouradia” ha visto le firme del Presidente del Consiglio Mario Draghi e del Presidente della Repubblica algerina democratica e popolare, Abdelmadjid Tebboune. Lo scopo di tale missione ruota attorno all’incremento della fornitura di gas, in quanto l’Algeria risulta esserne tra i principali fornitori. Essa presenta infatti un import totale superiore del 30% rispetto all’Italia, ma si dovrà però attendere il 2024.

Il contenuto dell’accordo

Alla firma sulla cooperazione bilaterale nel settore dell’energia, si aggiunge l’accordo tra Eni e Sonatrach, l’azienda di stato algerina, che prevede un aumento per le esportazioni di gas in Italia. Ad esservi presenti vi erano anche i ministri degli Esteri Luigi Di Maio, della Transizione ecologica Roberto Cingolani, il capo di gabinetto Antonio Funiciello, l’amministratore delegato Eni Claudio Descalzi e l’ambasciatore italiano ad Algeri Giovanni Pugliese.

Gasdotto Transmed -Fonte:geopop.it

Sebbene il piano inziale prevedesse un aumento delle forniture già da quest’anno, per poi entrare a regime nel 2023, l’accordo ha trovato approvazione in tempi più dilatati. Si è così previsto che entro il 2024 l’Italia riceverà dall’Algeria circa 9 miliardi m3 di gas in più all’anno ed incrementando così i 22,6 miliardi di m3 importati già nel 2021.

Quest’anno saranno erogati 3 miliardi m3 in più incidendo notevolmente sulla dipendenza dall’esportazioni di gas russo che, riducendosi di circa un terzo, favorirà la riorganizzazione dei consumi, nonché la ricerca di nuove fonti al fine di reciderne il legame. Non si tratta infatti di un mero trattato estemporaneo bensì, come affermato dal ministro Cingolani “un flusso costante o una rampa che tenderà a crescere”.

Lo scopo dell’accordo

Lo scopo dell’accordo mira a fornire una risposta significativa a Mosca ed avvia le procedure per porre con celerità degli accordi che ledano l’economia Russa. A seguito dell’invasione dell’Ucraina, da parte di Vladimir Putin, l’Italia si è così mossa per creare obiettivi strategici.

Dipendenza dell’Italia dal gas russo -Fonte:ilcorriere.it

Tra le missioni per “accaparrarsi il gas” l’Esecutivo ha previsto la stipula di altri accordi al fine di tutelare la sicurezza energetica del Paese. Dopo le festività pasquali è pertanto prevista la visita in Congo, Angola e Mozambico del Presidente del Consiglio Draghi. Si cercherà di ottenere forniture extra nel medio-lungo periodo. Ciò non consentirà nel breve termine di sostituire i 29 miliardi m3 di gas russo, ma permetterà al Paese di lavorare per redigere nuove trattative per le forniture, livellando e ottimizzando i consumi riguardanti il fabbisogno anno di cittadini e dell’industrie, che toccano livelli compresi tra 75-80 miliardi m3 .

Le proposte dal Governo

Sono state previste dall’Esecutivo nazionale delle opzioni per favorire la riduzione dei consumi. Sul tavolo la possibilità di predisporre dei periodi dell’anno in cui le aziende lavoreranno a regime ridotto concentrando così la produzione in brevi e specifici mesi e riducendo i picchi, pronosticando consumi uniformi.

Imprese energivore -Fonte:lumi4innovation.it

Altra possibilità avanzata dal ministro Cingolani è la riduzione dei consumi di energia elettrica non solo attraverso il calo dell’illuminazione urbana e dei monumenti, ma anche attraverso una diversificazione delle fonti. L’obiettivo mira ad incrementare l’uso di energia da fonti rinnovabili che però necessiterà di investimenti e tempi lunghi per funzionare a pieno regime.

Fonti rinnovabili -Fonte:eticasgr.com

Si comprende come l’intesa accordata non sia risolutiva, ma di certo inciderà positivamente sulla sicurezza delle forniture. Oltre a porre fine al finanziamento diretto di Mosca si eviteranno ipotesi di razionamenti energetici, sempre più concreti il prossimo inverno.

Giovanna Sgarlata

Il mistero della fosfina su Venere: c’è vita nell’atmosfera?

In quanto esseri umani, la curiosità ci appartiene da millenni e le domande più frequenti riguardano le nostre origini: chi siamo? Da dove veniamo? Ma soprattutto, siamo soli nell’universo? L’atmosfera di Venere potrebbe dare una risposta.

Venere fotografato dal Mariner 10.
Fonte: NASA/JPL-Caltech

Venere è il secondo pianeta del Sistema Solare, nonché il più vicino alla Terra. Nonostante sia considerato il gemello del nostro pianeta, poiché simile in dimensioni e struttura, in realtà non potrebbe essere più diverso. La sua superficie è costellata da vulcani, montagne e valli. La pressione atmosferica equivale a quella presente a circa mille metri di profondità in un oceano, essendo 92 volte quella della Terra. L’atmosfera è composta principalmente da anidride carbonica e da nubi di acido solforico. Essa è talmente densa da intrappolare il calore del Sole: ciò genera il più forte effetto serra del Sistema Solare che rende Venere perfino più caldo di Mercurio, con temperature che raggiungono i 470°C.

Sicuramente, il nostro vicino roccioso non sembra il pianeta più ideale ad ospitare la vita, eppure il 14 settembre 2020 gli astronomi hanno rilevato nelle sue nubi un gas chiamato fosfina. Ma cos’è la fosfina? E perché è così importante?

La molecola della vita aliena

Riconosciuta da Lavoisier come combinazione di fosforo con idrogeno e scoperta negli anni ’70 nelle atmosfere di Giove e Saturno, la fosfina è un gas altamente tossico per chi respira ossigeno. Sulla Terra è possibile trovarlo in zone paludose o sedimenti lacustri. Secondo uno studio della ricercatrice Clara Sousa-Silva del Massachusetts Institute of Technology (MIT), questo gas è prodotto da organismi anaerobici, come batteri e microbi, che non hanno bisogno dell’ossigeno per vivere, ma assorbono fosfato, aggiungono idrogeno ed espellono fosfina.

Impronta della fosfina nello spettro di Venere.
Fonte: Alma(Eso/Naoj/Nrao), Greaves et al. & Jcmt (East Asian Observatory)

La rilevazione del gas è stata effettuata per la prima volta da Jane Greaves, astrofisica della Cardiff University. Greaves ne scorse la firma spettroscopica nella regione abitabile dell’atmosfera di Venere (circa 60 chilometri di altezza dalla superficie) utilizzando il James Clerk Maxwell Telescope (JCMT), che si trova alle Hawaii. A confermare la scoperta sono state le verifiche effettuate dal team di Sousa-Silva tramite l’Acatama Large Millimiter Array (ALMA) in Cile. ALMA è una rete di radiotelescopi che produce osservazioni ad altissima risoluzione e che dunque permetterebbe una mappatura dettagliata dell’atmosfera di Venere.

L’elaborazione dei dati è stata effettuata tramite un modello sviluppato da Hideo Sagawa, della Kyoto Sangyo University. Si è scoperto che la concentrazione di fosfina nelle nubi è di circa venti parti per miliardo, una quantità più elevata rispetto a quella presente nell’atmosfera terrestre. Dal team degli scienziati Bains e Petkowski sono stati considerati vari scenari in cui sarebbe possibile la produzione di fosfina che non sia collegata alla vita: la luce solare, l’attività vulcanica, un impatto di un meteorite e i fulmini. Tra tutti i casi analizzati, nessuno è risultato avere una concentrazione di questo gas tossico tanto alta quanto quella presente nell’atmosfera di Venere. L’unica spiegazione possibile resta dunque la presenza di organismi viventi.

James Clerk Maxwell Telescope (JCMT). Fonte: eaobservatory.org

C’è vita su Venere?

In realtà la risposta non è quella che gli astronomi speravano di ottenere, in quanto la presenza di fosfina potrebbe essere stata un abbaglio. Un gruppo di scienziati, guidato da Therese Encrenaz dell’Osservatorio di Parigi, ha analizzato i dati ottenuti nel 2015 dall’Infrared Telescope Facility (IRTF) della NASA alle Hawaii. I dati hanno mostrato che la fosfina presente nell’atmosfera di Venere è pari a un quarto rispetto a quella rilevata nello studio originale. Inoltre, il gas si troverebbe al di sopra delle nubi, ipotesi considerata improbabile dagli astronomi dal momento che si disperderebbe molto facilmente.

La ricercatrice Sousa-Silva ha tentato di dare una spiegazione alla mancanza di fosfina, dichiarando al National Geographic che la quantità potrebbe variare nel tempo. Un altro interrogativo riguarda l’altitudine: le osservazioni all’infrarosso potrebbero non aver sondato le nubi a una profondità tale da rilevare il gas ai livelli riportati.

Un’altra analisi ai dati

La ricerca però non finisce qui. Altri scienziati hanno deciso di analizzare nuovamente i dati ottenuti dai telescopi JCTM e ALMA. Sfortunatamente, anche stavolta, non vi è stata alcuna evidenza della presenza di fosfina.

Per quanto riguarda il JCTM, il telescopio ha rilevato una linea spettrale alla giusta frequenza, la stessa che corrisponde all’anidride solforosa presente nell’atmosfera di Venere.
I dati ricavati da ALMA sono stati più difficili da elaborare. Trattandosi di apparecchi ad altissima risoluzione, catturano molto rumore di fondo. Per ottenere dei segnali, il team ha dovuto utilizzare un metodo chiamato adattamento polinomiale. Questo metodo consiste nel rimuovere matematicamente il rumore di fondo intorno alla regione in cui si sarebbe dovuta trovare la fosfina. Purtroppo, può produrre dei falsi segnali se utilizzato con più variabili e unito a dei dati ‘’rumorosi’’. Nonostante l’analisi accurata e la ricalibrazione di ALMA, lo spettro di Venere non mostra presenza di fosfina.

Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA).
Fonte: Di Iztok Bončina/ESO – http://www.eso.org/public/images/potw1040a/, CC BY 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11686363

La ricerca continua

Gli scienziati continuano a lavorare, fiduciosi di poter risolvere il mistero della fosfina. In fondo è proprio così che la scienza funziona.

“Abbiamo bisogno di ulteriori osservazioni in modo da non fare affidamento su pochi, molto rumorosi set di dati,” ha spiegato Sousa-Silva. “La lezione è spingere per ulteriori analisi e più dati.”

‘’In un universo infinito, deve esserci altra vita. Non vi è dubbio più grande. È tempo di impegnarsi per trovare una risposta.’’ 

 

Serena Muscarà

 

 

Bibliografia

https://news.mit.edu/2020/life-venus-phosphine-0914
https://www.media.inaf.it/2020/09/14/venere-vita-fosfina/
https://www.eso.org/public/news/eso2015/
https://news.mit.edu/2019/phosphine-aliens-stink-1218
https://www.nature.com/articles/s41550-020-1174-4
https://www.nationalgeographic.com/science/2020/10/venus-might-not-have-much-phosphine-dampening-hopes-for-life/