Intervista a Giacomo Costa: l’antica arte dei maestri d’ascia

Immaginatevi rilassati sul lago di Ganzirri, seduti su una panchina leggendo un libro. Tutt’a un tratto venite distratti da un paio di turisti intenti a parlare con un anziano signore. I due sono come ipnotizzati dalle sue parole, che narrano segreti, miti e tradizioni di Messina e dello Stretto.

Noi di UniVersoMe abbiamo deciso di condividere la sua storia con voi: ecco il Professor Giacomo Costa, Maestro d’ascia e memoria storica della città di Messina.

©Andrea Rapisarda, Diploma di maestro d’ascia rilasciato al Professor Giacomo Costa nel 1962 – Ganzirri, Messina 2020

Buongiorno Professore, ci spiega il mestiere del maestro d’ascia?

Cari ragazzi, il maestro d’ascia è il lavoro del carpentiere, colui che si occupa di disegnare, intagliare ed assemblare le imbarcazioni. È un antico mestiere, che la mia famiglia svolge da cinque generazioni (in principio c’erano i Calbo, poi i Costa, ora di nuovo i Calbo con mio nipote Giuseppe). Io ottenni il mio diploma nel 1962: molte cose sono cambiate da allora.

Un tempo le barche si costruivano con mezzi primitivi, ad occhio. Io ho continuato la tradizione, usando anche nuove tecniche d’ingegneria. Uno strumento fondamentale era il c.d. mezzo garbo, una sagoma di legno ricurva che permette di tracciare le c.d. linee d’acqua e le ordinate del corpo della barca.

©Andrea Rapisarda, Un modellino di luntro realizzato dal Professor Costa – Ganzirri, Messina 2020

Vedete queste macchine? Io le uso da quarantacinque anni, necessitano di manutenzione, senza la quale rischiano di diventare molto pericolose.

Anche il legno deve essere adatto, per evitare che si spezzi durante la lavorazione. Per questo è meglio scegliere un legno curvo, come quello del gelso (raccolto nel mese di Novembre, quando l’albero “dorme”). Durante la seconda guerra mondiale fu difficile da reperire, poiché era l’ambiente ideale per far riprodurre i bachi da seta, necessari per i paracadute. 

©Andrea Rapisarda, Il Professor Costa nel suo laboratorio circondato dalle sue creazioni – Ganzirri, Messina 2020

La sua vita è sempre stata legata al mare: com’era un tempo la pesca a Messina?

La costa di Messina è divisa in 20 postazioni (c.d. poste). Partendo dalla fontana di Paradiso, ogni posta ha un nome: Fontana, Pricupara, Spina, Fossa, Pettu, Rutta, Grotte, Tarea e così via… Ogni anno i c.d. padroni lanzatori (capi dell’equipaggio per la pesca del pesce spada) devono recarsi in capitaneria e sorteggiarsi le poste. Questa è una tradizione che si ripete da secoli: nessun pescatore poteva sconfinare nella posta vicina. L’unica eccezione era aver avvistato il pesce spada nella propria posta: solo in quel caso era possibile inseguirlo nella posta altrui. Un tempo la caccia al pesce spada si praticava con due imbarcazioni: la feluca (usata per avvistare la preda, con un albero alto 22 metri) e il luntro (un’imbarcazione con 4 rematori ed il padrone lanzatore).

Ricordo quando andavo con mio nonno Iacopo Lisciotto a Palmi: era lì che iniziava la pesca, nel mese di Aprile. “Vasusu, vaiusu, vantera, vafora”: quelle che possono sembrare parole magiche sono invece le quattro direzioni che l’avvistatore (c.d. ntinneri) gridava ai rematori del luntro affinché questi potessero letteralmente inseguire il pesce spada. Il padrone lanzatore, con precisione matematica, puntava la preda calcolandone la velocità:”pigghia puntu! pigghia puntu!” (prendi la mira! prendi la mira!), e dopo pochi stanti l’arpione (c.d. ferro) trafiggeva il pesce spada.

©Andrea Rapisarda, Un esempio di luntro realizzato nel laboratorio del Professor Costa – Ganzirri, Messina 2020

Lei ha tenuto dei corsi sia all’Unime sia al carcere di Gazzi: ci racconta queste sue esperienze?

All’Università ero stato designato per il supporto tecnico alla realizzazione e costruimmo una barca a vela per gareggiare a Porto Santo Stefano (in Toscana). Ricordo che tutti gli studenti dell’allora corso di ingegneria navale – insieme ai docenti – lavorarono come una vera squadra: fu una grande occasione di crescita personale e professionale per tutti.

L’esperienza in carcere è stata eccezionale. In quell’occasione il “fattore umano” è stato determinante per me e per i detenuti, i quali – superati l’imbarazzo e la timidezza iniziali – iniziarono a familiarizzare con il mestiere. Costruimmo un luntro ed una piccola feluca, successivamente esposte alla scuola Minutoli.

Queste iniziative (all’Università, nelle carceri) a scopi rieducativi e di istruzione sono state per me motivo di grande soddisfazione e li conservo con affetto.

Finito il tour nel suo laboratorio, ci avviamo per una passeggiata di pochi minuti verso il lago.

©Andrea Rapisarda, Vista sul lago dalla panchina realizzata dal Professor Costa, con la barca paciota (barca a vela) al centro – Ganzirri, Messina 2020

Anche il Lago di Ganzirri si presta alla pesca. Lei, che vive da anni in questo luogo, ha dei consigli per riqualificare la zona?

Il Lago è un posto molto bello, ma sarebbe ancora più vivibile con pochi interventi mirati. Io ci vado spesso ed ho costruito molte barche per pescarci. Un esempio d’imbarcazione che potete trovarvi dentro è la c.d. barca paciota, una barca a vela e priva di motore con la quale un tempo era possibile arrivare fino alle Isole Eolie o a Taormina. Sarebbe bello poter passeggiare lungo il lago, magari con una passerella ed eliminando questi infestanti cespugli di oleandro (pianta non originaria di questo territorio lacustre).

Conclusa l’intervista abbiamo salutato il Professor Costa, che ha ricambiato il saluto con la stessa gentilezza con cui ci aveva accolto nel suo laboratorio, luogo in cui si apprestava a tornare per continuare la sua arte. In pochi minuti è riuscito a raccontarci gran parte della sua vita e noi speriamo di aver fatto altrettanto con questa intervista. Non ci resta che consigliarvi di recarvi voi stessi sui laghi, ammirarne le sponde e magari fermarvi e rilassarvi sulle panchina in legno – anch’esse costruite dal Professor Costa – alla scoperta di tradizioni e misteri della nostra splendida terra.

Salvatore Nucera

 

Immagine in evidenza:©Andrea Rapisarda, Il Professor Giacomo Costa intento a intagliare un pesciolino ligneo -Ganzirri, Messina 2020

 

 

 

Natale sul lago di Ganzirri: un presepe unico nel suo genere

Non molto tempo fa, noi di UniVersoMe avevamo provato a “fare il punto della situazione” riguardo il Natale a Messina in questo breve articolo; da allora alcune cose sono cambiate, fortunatamente in meglio: la pista di ghiaccio a piazza Cairoli è stata riaperta e nuovi addobbi hanno ridato la giusta luce che il cuore pulsante del centro cittadino merita durante questo periodo festivo.

Ma abbiamo lasciato volutamente a parte l’oggetto di questo breve pezzo: il Presepe sul lago di Ganzirri è ormai giunto alla sua 5ª edizione, in contrasto con la grande variabilità che ha caratterizzato le iniziative messinesi, confermandosi una delle attrazioni caratteristiche che la nostra città può offrire.

©Antonio Nuccio – Presepe sul lago, 2019

Ho avuto il piacere di fare una chiacchierata con uno dei ragazzi che da ormai 10 anni si occupa di valorizzare la zona di Ganzirri, Nicolò Donato. Nicolò si è dichiarato sin da subito grande amante dei presepi: da questa passione nasce l’idea di combinare tradizione natalizia e caratteristiche del territorio. Grazie al sostegno di numerosi commercianti messinesi e alla partecipazione della parrocchia San Nicolò di Bari, sarà possibile recarsi sulle sponde del Lago Grande per osservare questa particolarissima rappresentazione della natività fino al 6 Gennaio.

Fonte: pagina Facebook “Presepe sul lago – Ganzirri”

Il presepe è situato a bordo della feluca, tipica imbarcazione dello stretto: ancora oggi è usata a Ganzirri per portare San Nicola in processione, durante la festa del patrono in agosto.

Ciò che mi ha colpito maggiormente, oltre alla peculiare “contraddizione” tra natività classica e il panorama lacustre, è la ricchezza di iniziative che ruotano intorno alla rappresentazione. Il gruppo volontario di parrocchiani che ha organizzato l’iniziativa non si è infatti limitato ad allestire il presepe, ma è riuscito a offrire un calendario pieno di eventi per i cittadini.

Tutto è iniziato giorno 8 dicembre, come da tradizione, con l’inaugurazione e la benedizione dei bambinelli: ogni cittadino è stato invitato a portare il bambinello del proprio presepe per accogliere la benedizione di Padre Antonello, parroco della chiesa San Nicolò di Bari.

Domenica 15 è stato invece allestito un vero e proprio Villaggio di Natale a piazza Cutugno, con tanti spazi ricreativi per bambini, tombolate e mercatini: a conclusione dell’iniziativa si è svolto in chiesa un concerto di zampognari, al quale ha partecipato anche il sindaco De Luca.

Fonte: pagina Facebook “De Luca Sindaco di Messina”

Alla vigilia, dopo la messa delle 23, una breve processione accompagna il parroco fino a una piccola barca, grazie alla quale Padre Antonello deposita nel presepe il Bambin Gesù, sempre sulle classiche note della zampogna. Un gesto tipico della tradizione natalizia, che tantissimi cittadini compiono ogni anno nelle proprie abitazioni, assume così anche carattere di condivisione tra i numerosi partecipanti.

Infine, il 26 dicembre e il 6 gennaio il presepe prenderà letteralmente vita: i personaggi inanimati saranno sostituiti da volontari che hanno deciso di rendere realmente unica questa bella rappresentazione. L’arrivo dei Magi su una barchetta completerà la storia della natività.

©Antonio Nuccio – Presepe sul lago, 2019

Mi ha fatto particolarmente piacere constatare come ci sia ancora una parte della popolazione messinese che si spende in prima persona per creare un senso di appartenenza, di comunità, in un contesto che spesso -purtroppo- offre poco dal punto di vista delle iniziative volte a coinvolgere non soltanto i residenti, ma anche i numerosi turisti che si recano nella nostra città.

Quest anno, Nicolò ha lasciato spazio ai due organizzatori Antonino Ingemi e Orietta Arena, che insieme a tanti altri collaboratori hanno reso possibile la realizzazione del presepe. Tuttavia, mi ha confessato quale sarebbe il suo desiderio per i prossimi anni: realizzare una vera e propria piattaforma sul lago, in modo tale da permettere ad ogni cittadino di raggiungere in barca il presepe.

Nell’attesa che questo desiderio diventi realtà, siamo tutti invitati a passare il Natale sulle sponde del lago di Ganzirri!

Emanuele Chiara

 

Alla realizzazione del presepe hanno contribuito Maurizio Panetta, Giuseppe Donato, Orazio Albeggo, Andrea Arena e Tanina Scimone.

Immagine in evidenza: © Antonio Nuccio – Presepe sul lago, 2019.

Il mito sepolto dei laghi di Ganzirri. Il tempio, la mitilicoltura e la flora selvatica

In questa nuova tappa di Messina da scoprire vogliamo raccontarvi di come i fili che tessono le trame di leggende remote si intreccino alle vicende storiche di pescatori, regnanti Borboni e altri uomini di mare, in un paesaggio unico che si staglia tra le acque dei laghi di Capo Peloro e il litorale di Torre Faro.

Una palude. L’etimologia più accreditata fa risalire il nome dell’area alla parola ghadir, cioè stagno, zona acquitrinosa. I laghi che scorgiamo una volta attraversata tutta la costa del litorale settentrionale della città sono oggi il Pantano Grande (o Lago di Ganzirri) e il Pantano Piccolo (o Lago di Faro). Questo complesso lagunare venne unito attraverso il canale di Margi fatto costruire nella prima metà del 1800 dagli inglesi. Nello stesso periodo furono anche realizzati altri condotti per mettere in comunicazione i due laghi con i mari Tirreno e Ionio, che ancora vengono occasionalmente aperti, soprattutto in estate, per rifornire di ossigeno le acque salmastre. Ma in origine, e fino a poco più di un secolo fa, i laghi erano quattro: esistevano, come fonti storiografiche, a partire da Diodoro Siculo, riportano, anche il Lago di Margi e il Lago Madonna di Trapani, poi affluito nel Pantano Grande. Originati da progressivi insabbiamenti di un’area delimitata da cordoni litorali e plasmata dal moto ondoso marino e dai venti dello stretto, i bacini d’acqua presentano differenti caratteristiche fisico-chimiche. A detenere il primato di salinità e di varietà di specie è il lago di Faro dove vivono orate e anguille e un tempo oltre alle cozze, erano allevate anche ostriche.

La lingua di sabbia. Capo Peloro, punta nord orientale estrema della Sicilia. Da millenni culla delle divinità della mitologia pagana, antica custode di templi, circondata e protetta dai mostri implacabili di Scilla e Cariddi. Ulisse nel XII canto dell’Odissea per sfuggire a Cariddi (colei che “gloriosamente l’acqua livida assorbe”) e al vortice terribile che imperversava nel punto instabile di congiunzione tra i due mari dello stretto, preferì far naufragare la sua imbarcazione sul versante calabro e finire imprigionato nel giogo di Scilla, tra le cui fauci tuttavia alcuni suoi compagni persero la vita. Altre leggende che circondano questo lembo di terra parlano di Pelorias, una sorta di dea madre che risiedeva nel pantano e che personificava lo spirito della natura. La ninfa compare su monete coniate nell’antica città di Messana almeno dalla fine del V sec. a.C. A Pelorias erano associate nella simbologia mitili e conchiglie come la pinna nobilis, ritenuta preziosa e che venne importata dai fenici. E’ l’origine stessa della parola Peloro che in greco (pèloron) significa infatti mostruoso, fuori dal comune a rievocare la stratificazione di leggende che fin dall’antichità hanno influenzato i naviganti di quelle feroci e prodigiose acque. Più in prossimità di Capo Peloro sorge il lago di Faro che, in base a testimonianze, deve il suo nome alle fortificazioni fatte costruire dagli antichi abitanti di Zancle che lo dotarono di un faro a fiaccole per l’orientamento notturno delle navi.

 

Il tempio di Nettuno. Tra Il Pantano Grande e il Pantano Piccolo esisteva, come abbiamo detto all’inizio, il lago Margi o “Maggi”. Le sue esalazioni pestifere non permettevano di raggiungere l’area paludosa che venne bonificata dai Borboni nell’800. Scavi condotti in seguito portarono alla luce una serie di importanti reperti archeologici: vasi, suppellettili e altri antichi resti che rivelarono i gloriosi fasti sepolti di un misterioso tempio pagano. Oltre a Esiodo, lo scrittore romano Gaio Giulio Solino, vissuto nel III sec. d.C nella sua Raccolta di cose memorabili raccontava che su quello stagno melmoso era sorto un imponente tempio dedicato a Poseidone o Nettuno, il dio del mare, protettore ante litteram di Messina, che, stando al mito, separò la Sicilia dal continente con un colpo di tridente. A farlo erigere sarebbe stato niente meno che Orione, suo figlio, che la tradizione volle essere stato il fondatore della città, in onore del quale Angelo Montorsoli nel 1553 costruì la fontana collocata in piazza Duomo. Le colonne dell’antico tempio vennero quindi trasferite in epoca bizantina per permettere la costruzione delle navate del tempio cristiano.
Visioni e città. Al di là del mito, nelle più aleatorie propaggini della fantasia, un’altra storia lega il lago di Faro al folclore locale. Alcuni giurano ancora di scorgere qualcosa in quel fondale. Abbagliati dall’aria immobile del lago c’è chi afferma di sentire qualche volta il suono delle campane e di vedere i muri di un’antica città sepolta dentro le sue acque; Risa, un fiorente centro preellenico che a causa di un cataclisma sprofondò improvvisamente e lasciò al suo posto un fossato dove l’azione protratta delle piogge diede origine al lago. Le immersioni, se non sono riuscite a trovare conferme a questa curiosa leggenda, hanno comunque permesso di recuperare anfore bizantine e i resti di un antica imbarcazione, arrivata forse dal mare dello stretto. Il mare di Messina del resto da secoli confonde, inebria i suoi viaggiatori, e in certe giornate si può incappare nel bizzarro fenomeno ottico della Fata Morgana, quando da Reggio le due coste, siciliana e calabrese, sembrano toccarsi per effetto del riflesso delle abitazioni sull’acqua.

La pesca. Storici ipotizzano che la zona di Ganzirri fosse abitata fin dai tempi del neolitico. Documenti più sicuri testimoniano la presenza di villaggi e insediamenti di pescatori attorno alla laguna almeno a partire dal XVI secolo. Senz’altro la bonifica promossa dai Borboni intensificò l’urbanizzazione, dovuta anche alla necessità di difendere le coste dalle incursioni piratesche, e lo sfruttamento delle risorse offerte dalla varietà di pesci e di molluschi, detti cocciole. L’attività produttiva legata alla mitilicoltura e tellinicoltura caratterizza indissolubilmente il legame dell’uomo con il territorio. La zona, promossa a riserva naturale dal 2001, riveste un notevole interesse sotto questo profilo, tanto da essere annoverata come bene etno-antropologico sottoposto a divieti e restrizioni. L’habitat naturale in ogni caso in seguito al proliferare urbano sempre più massiccio, risulta  oggi compromesso. Recentemente, dopo le proibizioni degli ultimi anni, è ripresa comunque, seppure in misura minore rispetto agli anni ’60-’70, l’attività di allevamento dei frutti di mare. Molti pescatori di Ganzirri inoltre praticano la pesca del pesce spada a bordo delle feluche.

Specie floreali insolite. Nonostante il litorale di Torre faro sia fortemente alterato a causa dell’azione antropica conserva ancora un valore floristico e vegetazionale rilevante, grazie alle numerose specie molto particolari che continuano ad abitarlo, pressoché assenti nel resto della Sicilia, ad esempio la Centaurea deusta subsp. divaricata che cresce solo in questa zona, Anthemis peregrina, e Hypecoum procumbens della quale rimangono pochi esemplari esclusivamente nell’area di Ganzirri. Il sito è attualmente piuttosto degradato per l’intensa urbanizzazione; il lago Grande di Ganzirri e il Pantano piccolo hanno perso gran parte della loro vegetazione naturale, ma si rinvengono ancora specie rare come Cynanchum acutum.

Eulalia Cambria

Ph: Salvatore Cambria